Red Moon Architect – Return of the Black Butterflies

Return of the Black Butterflies segna un’altra prova magistrale da parte dei Red Moon Archiect, oggi più che main a pieno titolo nel novero delle migliori realtà del funeral death doom melodico.

Se può essere inutile rimarcare come la Finlandia sia, per distacco, la patria delle sonorità più oscure e melanconiche, non lo è affatto continuare ad esaltare la qualità che le diverse band provenienti dalla terra dei mille laghi, alle prese con la materia funeral death doom, offrono ad ogni uscita.

In questo caso il lavoro preso in esame è il terzo dei Red Moon Architect, nati nel 2011 come progetto solista del talentuoso Saku Moilanen e poi trasformatisi nel tempo in una band a tutti gli effetti: Concealed Silence (2012), infatti, vedeva accreditato il solo musicista di Koivolua con l’ausilio di diversi ospiti, tra i quali la sola vocalist Anni Viljanen è rimasta a costituire il tratto d’unione tra quel lavoro e quelli successivi della band, ovviamente assieme al suo mastermind.
Se Fail, uscito nel 2015, consolidava il valore e lo status dei Red Moon Architect, questo nuovo Return of the Black Butterflies ha tutte le carte i regola per innalzare ulteriormente il livello della band finlandese e portarla a riempire un certo vuoto lasciato dai Draconian, dopo la svolta verso sonorità più morbide attuata da questi ultimi nell’ultimo decennio.
Certo, rispetto alla band svedese i nostri si spingono con più frequenza verso lidi prossimi al funeral, ma il connubio tra la voce femminile della Viljanen ed il growl del nuovo arrivato Ville Rutanen riporta automaticamente in quell’ambito, avendo in comune lo stesso senso drammatico ed evocativo che contraddistingueva le prime opere della creatura di Johan Ericsson.
Saku Moilanen si conferma compositore di grande spessore, offrendo una cinquantina di minuti di sonorità plumbee ma intrise di melodie dolenti che, come da copione, assumono sembianze drammatiche in coincidenza con il growl per poi aprirsi malinconicamente con l’entrata in scena della voce femminile.
Questo fa capire che non c’è da aspettarsi proprio nulla di nuovo ma, paradossalmente, tale aspetto si rivela la pietra angolare sul quale i Red Moon Architect erigono il loro magnifico monumento al dolore che, comunque, non assume mai un aspetto monocorde perché, pur tra gli scostamenti ridotti consentiti dal genere, il funeral opprimente esibito in maniera magistrale in End of Days è, per esempio, ben diverso sia dal gothic di Tormented sia dall’atmospheric doom di NDE.
Return of the Black Butterflies segna un’altra prova magistrale da parte della band finlandese, oggi più che main a pieno titolo nel novero delle migliori realtà del genere.

Tracklist:
1. The Haunt
2. Tormented
3. Return of the Black Butterflies
4. Journey
5. End of Days
6. NDE

Line up:
Saku Moilanen – Schlagzeug & Keyboard
Ville Rutanen – Gesang
Matias Moilanen – Gitarre
Anni Viljanen – Gesang
Jukka Jauhiainen – Bass

RED MOON ARCHITECT – Facebook

Centripetal Force – Eidetic ep

Thrash metal tecnico e progressivo è quello che ci propone questo terzetto italo/inglese formato da due musicisti attivi dal 1993 nella scena metallica torinese, i quali che si avvalgono della prestazione dietro al microfono del cantante John Knight (in forza ai Synaptic).

Thrash metal tecnico e progressivo è quello che ci propone questo terzetto italo/inglese formato da due musicisti attivi dal 1993 nella scena metallica torinese (il batterista Andrea Carratta ed il chitarrista Stefano Saroglia), i quali si avvalgono della prestazione dietro al microfono del cantante John Knight in forza ai Synaptic.

Eidetic è il loro primo lavoro, formato da tre brani che ci riportano tra le trame intricatissime del metal progressivo di natura estrema e di stampo thrash.
Non sono tracce facilissime da digerire se non si è amanti del tecnicismo, che raggiunge vette altissime per quanto riguarda la prestazione dei singoli musicisti, ma lasciando qualcosa a livello di fruibilità.
Certo è che i tre musicisti sono di un’altra categoria, costruendo una ragnatela di ritmiche, solos suonati alla velocità della luce ed una voce particolare che cresce col passare degli ascolti (a tratti sembra usata come strumento vero e proprio).
Dei tre brani, In Death Of A Marionette è quello più lineare e ad un primo ascolto è ovviamente quello che si ricorda più facilmente, ma dando il giusto tempo non mancano di convincere neppure Centripetal Force e Eidetic Memory le altre due tracce canzoni che completano l’ep.
Quello dei Centripetal Force è un sound che si avvale della perizia di questi tre ottimi musicisti e che, affondando le sue radici nelle opere di Coroner, Mekong Delta, Death e Cynic, verrà apprezzato dai fans di queste band.

TRACKLIST
1.Centripetal Force
2.Eidetic Memory
3.In Death Of A Marionette

LINE-UP
Andrea Carratta – beats
John Knight – screams
Stefano Saroglia – riffs

CENTRIPETAL FORCE – Facebook

Eli Van Pike – Welcome To My Dark Side

Welcome To My Dark Side scorre via senza particolari intoppi consegnandoci una decina di brani concisi, efficaci e vari.

Dall’unione di tre questi musicisti scaturisce, oltre ad un monicker (Eli Van Pike) originato dai rispettivi cognomi, una forma di gothic industrial che dovrebbe, secondo gli intenti dichiarati, attrarre i fans di Rammstein, Eisbrecher e in generale di un sound di tipica matrice tedesca.

Messa così, la questione potrebbe rivelarsi ingannevole perché in effetti il trio dimostra una certa versatilità, derivante anche da un’indubbia maestria strumentale che rende Welcome To My Dark Side un album tutt’altro che monotematico o ancor peggio noioso.
Quello che è il pregio dell’album si rivela però anche il suo principale difetto, perché l’idea di fondere sonorità industrial con altre di stampo più classico non è affatto male, ma finisce per far viaggiare il tutto a due velocità, con i brani più ritmati che si rivelano a mio avviso superiori a quelli di natura più melodica.
Sarà forse perché, da estimatore dei Rammstein fin dalla prima ora, l’ormai lunga vacanza compositiva presa da Lindemann e soci mi rende ancor più gradito tutto ciò che vi assomiglia, ma non c’è dubbio che a livello attitudinale gli Eli Van Pike si fanno preferire di gran lunga in questi frangenti.
Sono così le cosi le corpose Herzschlag e Tears Of War, con i lori classici riff squadrati, a spiccare in un album comunque divertente e piuttosto scorrevole, con un trio di musicisti che interpreta la materia con sapienza, disinvoltura ed un pizzico di gradita leggerezza dal punto di vista dell’approccio (Made In Germany), che spesso porta il sound dalle parti dei Mono Inc. in versione irrobustita (la title track, Amen).
L’alternanza vocale tra l’impostazione power dello statunitense Ken Pike e quella gothic del tastierista Thorsten Eligehausen funziona abbastanza bene, anche se entrambi non sempre appaiono a proprio agio, l’uno quando si spinge su tonalità troppo alte e l’altro quando tende a forzare ribassandole ulteriormente.
Poco male, tutto sommato, perché Welcome To My Dark Side scorre via senza particolari intoppi consegnandoci una decina di brani concisi, efficaci, vari e contraddistinti dal notevole lavoro chitarristico di Marc Vanderberg: nulla di imprescindibile, ma un qualcosa che si lascia ascoltare sempre con estremo piacere.

Tracklist:
01. Made in Germany
02. Herzschlag
03. 1-2 frei
04. World on Fire
05. Tears of War
06. One last Rose
07. Peter, 41
08. Welcome to my Dark Side
09. Amen
10. Valentine´s Day

Line-up:
Marc Vanderberg – Guitars, Drum & Bass Programming
Ken Pike – Lead Vocals
Thorsten Eligehausen – Lead Vocals, Keyboards

ELI VAN PIKE – Facebook

Midnight Odyssey – Silhouettes of Stars

Una compilation perfetta per conoscere la musica di questa one man band australiana e magari cercarne le produzioni passate.

Succulenta compilation per questa one man band australiana di black metal orchestrale ed atmosferico, conosciuta come Midnight Odyssey, creatura astrale del polistrumentista Dis Pater.

Questo monumentale lavoro (più di due ore di musica estrema), raccoglie una serie di inediti, due singoli (Magica e The Night Has Come For Me) più la cover di un brano degli Emperor, Cosmic Keys From My Creations & Times.
Il sound creato da Dis Pater è dunque un black metal orchestrale, ricco di lunghe parti strumentali, a tratti vicino all’ambient ma più spesso contornato da un’aura spaziale come il concept creato dal suo creatore.
Una musica che a livello artistico risulta molto interessante e che ha bisogno del suo tempo per essere apprezzata, visto la lunghezza dei brani che non giova sicuramente all’appeal della musica dei Midnight Odyssey.
L’alternanza tra lo spirito ambient e quello più metallico ed estremo varia l’ascolto di quel tanto che basta per arrivare in fondo senza grossi problemi, anche se non manca qualche pausa.
Nei brani in cui l’anima black metal prende il sopravvento (What Was Is No More, The World Tree Burns To Vapour), echi di Emperor e Limbonic Art si ascoltano tra le note, con uno scream che mantiene un piglio epico e declamatorio, mentre è un attimo essere ancora una volta cullati dalle lunghe parti atmosferiche (Sorrow Of Deadalus, Dis Pater).
Una compilation perfetta per conoscere la musica di questa one man band australiana e magari cercarne le produzioni passate.

TRACKLIST
Disc 1
1.The Night Has Come for Me
2.Magica
3.Cosmic Keys to My Creations & Times (Emperor cover)
4.Sorrow of Daedalus
5.What Was Is No More
6.Fighting the Seraphim
7.Descent
8.The World Tree Burns to Vapour
9.Lost and Forgotten

Disc 2
1.Nocturnal
2.Your Death Is Chosen
3.The Tempest Entranced
4.Dis Pater
5.A Whisper’s Emptiness
6.Theme of Forest and Firmament

LINE-UP
Dis Pater – All instruments, Vocals

MIDNIGHT ODYSSEY – Facebook

Desolate Pathway – Of Gods and Heroes

Chi ama il genere non resterà affatto deluso, mentre chi volesse ricercare elementi di novità passi pure oltre: questo è “solo” buonissimo doom, suonato come le divinità marine comandano …‬

In occasione della sua riedizione nel corso dell’estate, dopo la firma con Wormholedeath, riproponiamo quanto scritto nello scorso dicembre a proposito di Of Gods and Heroes.

I Desolate Pathway vengono fondati da Vince Hempstead più o meno contestualmente alla sua uscita dai Pagan Altar, avvenuta nel 2014.
Rispetto alla band che fu del defunto Terry Jones, i Desolate Pathway spostano le coordinate del loro doom su un versante più epico non solo a livello compositivo ma anche lirico, cosa che ben si evince sia dalla notevole copertina sia dal titolo eloquente scelto per il lavoro (Of Gods and Heroes), proseguendo la strada intrapresa fin dal precedente Valley Of The Kings, risalente a due anni fa.
Quando viene maneggiata da musicisti esperti e competenti, la materia in questione ben difficilmente delude, e ciò vale anche per Hempstead, il quale, accompagnato dalla batterista Mags e da un quartetto di ospiti ad occuparsi delle parti di basso, offre tre quarti d’ora di doom fedele alla tradizione ma sicuramente godibilissimo.
Of Gods and Heroes si snoda secondo copione tra vocals stentoree e sufficientemente evocative ed un lavoro chitarristico apprezzabile per la sua spontaneità: volendo trovargli una collocazione meglio definita, il sound dei Desolate Pathway potrebbe essere inquadrabile a meta strada tra Doomsword e Capilla Ardiente, risultando sempre coinvolgente pur nella sua essenzialità.
Chi ama il genere non resterà affatto deluso, mentre chi volesse ricercare elementi di novità passi pure oltre: questo è “solo” buonissimo doom, suonato come le divinità marine comandano …‬

Tracklist:
1. Intro
2. The Old Ferryman
3. The Perilous Sea
4. Medusa’s Lair
5. Into the Realms of Poseidon
6. Enchanted Voices
7. Gods of the Deep
8. The Winged Divinity
9. Trojan War

Line-up:
Vince Hempstead – Vocals, Guitar
Mags – Drums, Backing Vocals

Guest Bassists:
Jonathan Seale (Iron Void)
Addam Westlake (My Silent Wake)
Santiago Osnaghi (Nippur)
Ron McGinnis (Thonian Horde)

DESOLATE PATHWAY – Facebook

Divine Element – Thaurachs of Borsu

I primi brani trovano nell’impeto della battaglia la loro forza così da risultare i più canonici, mentre è la seconda parte che riserva le parti più epiche, lasciando che il sound si ricami di note folk, mentre una voce narrante ne rende maestoso l’incedere.

I Divine Element sono un duo greco/ungherese formato da Ayloss (chitarra, basso e synth) e Antonis (voce) e che, aiutati dal session drummer Hannes Grossman, ci invitano sulle colline dove è in atto una battaglia all’ultimo sangue.

Il loro sound è un buon esempio di death/black metal epico e battagliero, pregno di cavalcate dove non manca la componente tragico guerresca, qualche spunto folk e tanta fierezza metallica.
Il duo è attivo da più di dieci anni ed è al secondo lavoro sulla lunga distanza dopo sette anni dal debutto omonimo, un progetto che continua con Thaurachs Of Borsu, album che non dispiacerà agli amanti del metal estremo tutto sangue, battaglie ed eroi.
I cavalieri giungono sulla collina e la battaglia ha inizio, le ritmiche black accompagnano un growl death metal, mentre la chitarra scocca frecce classiche con solos e refrain melodici.
I primi brani trovano nell’impeto della battaglia la loro forza così da risultare i più canonici, mentre è la seconda parte che riserva le parti più epiche, lasciando che il sound si ricami di note folk, mentre una voce narrante ne rende maestoso l’incedere.
Call Of The Blade e Traitor’s Last Stand sono la coppia di canzoni poste quasi in chiusura (l’ultima, Augury For A Shapeless Future, è una suggestiva outro) e colpiscono con il loro sound che risulta una cavalcata verso la gloria, tra fughe metalliche e buone parti folk progressive, alzando di molto la qualità di un lavoro che cresce con il passare dei minuti.
Le influenze sono da riscontrare nei gruppi epic/black e folk, quindi si tratta di un disco da ascoltare senza remore se siete fans del genere.

TRACKLIST
1.A Realignment with Destiny
2.Thaurachs of Borsu
3.Onto the Trail of Betrayal
4.Beyond This Sea
5.Interlude (The Point of No Return)
6.Call of the Blade
7.Traitor’s Last Stand
8.Augury for a Shapeless Future

LINE-UP
Ayloss – Gutars, Bass, Synths
Antonis – Vocals
Hannes Grossman – Session Drums

DIVINE ELEMENT – Facebook

Slægt – Domus Mysterium

Black Heavy Metal ! Questa e’ la pozione magica creata con grande competenza da questi artisti danesi…

Una brillante prova da parte dei Slægt, quartetto di Copenhagen che, a partire dal 2012, ha elaborato un proprio suono passando dalla prima prova Ildsvanger, prettamente black metal, all’EP Beautiful and Damned in cui qualcosa si stava modificando per poi culminare in Domus Mysterium dove il loro black heavy metal rifulge splendidamente.

La band sapientemente e con grande gusto ha miscelato sensibilità black metal, gocce di trash, aromi psichedelici e un grande suono heavy anni 80, componendo otto brani per una durata di circa 55 minuti; le canzoni sono realmente evocative, la produzione decisamente buona evidenzia un guitar sound molto nitido e fluido, la cover raffigurante il loro “the eye of the devil”  e le vocals che alternano uno espressivo scream mai esasperato con un grintoso clean, danno vita a una piccola opera d’ arte del tutto inattesa.
Lunghi intermezzi strumentali nella loro inventiva profumano del migliore heavy anni 80 accompagnati da intarsi acustici di madrigalesca memoria (vengono in mente in alcuni momenti i Dissection); l’eclettismo e la competenza della band si esplicano in brani medio-lunghi, ricchi di idee a partire dall iniziale Succumb, con un inizio screziato della migliore psichedelia, per poi essere travolti da I Smell Blood, di cui esiste anche un video, con eccitanti intrecci di chitarre.
La struggente e sinistra melodia di The Tower può ricordare il miglior horror sound dei bei tempi, il breve intermezzo pianistico di Burning Feathers, dalla cristallina e antica melodia, apre la strada agli ultimi due lunghi brani: Remember It’s a Nightmare e la title track, nelle quali la capacità della band di scrivere splendide ed epiche songs viene fuori in tutta la sua limpidezza; chiaramente non si inventa niente di nuovo, ma il caleidoscopico blend creato e suonato con grande passione dai danesi appare sempre fresco e non può non essere apprezzato da attenti ascoltatori open-minded… “rise up in the Tower, climb high as they cower, ascend into glory with passionate fury…”

TRACKLIST
1. Succumb
2. I Smell Blood
3. Egovore
4. In the Eye of the Devil
5. The Tower
6. Burning Feathers
7. Remember It’s a Nightmare
8. Domus Mysterium

LINE-UP
Asrok – Bass, Guitars, Vocals
Olle Bergholz – Bass, Vocals (backing)
Ccsquele – Drums
Anders M. Jørgensen – Guitars (lead)

SLAEGT – Facebook

Helfir – The Human Defeat

Se Still Bleeding era già un album più che convincente, The Human Defeat va ancora oltre, collocando il nome Helfir ai vertici qualitativi della scena italiana.

Più o meno a due anni esatti dall’uscita di Still Bleeding, ritroviamo Luca Mazzotta ed il suo progetto solista Helfir con un nuovo lavoro su lunga distanza intitolato The Human Defeat.

Parlando di quell’album, con la necessità di inquadrare in qualche modo il sound proposto dal musicista leccese, mi ero esposto senza troppi rischi nel paragonarne l’opera a quella di nomi illustri quali Antimatter, Anathema e Katatonia, mentre The Human Defeat cambia non poco le carte in tavola.
Fin dall’opener Time In Our Minds è possibile percepire, infatti, una propensione al gothic e al doom e, in generale, un approccio relativamente più estremo alla materia; tutto questo conferisce al lavoro anche una maggiore varietà e, di conseguenza, spinge gli Helfir fuori dall’orbita delle band di riferimento per assumere una forma ben più personale senza smarrire, però, un’oncia dell’impatto emotivo evidenziato sul precedente lavoro.
Lo stesso ricorso al growl, utilizzato con parsimonia ma in maniera del tutto appropriata, aggiunge un ulteriore elemento di discontinuità che nel brano d’apertura accentua gradevolmente la dicotomia tra l’anima metal e quella più propriamente dark alternative, mentre la chitarra tesse melodie splendide e dolenti, catturando così subito l’attenzione dell’ascoltatore.
Con Light cambia lo scenario e le coordinate sonore si spingono oltreoceano, eguagliando per potenziale evocativo e pulizia sonora quanto fatto quasi contemporaneamente dagli splendidi 1476.
La marea si ritrae e Tide lascia riaffiorare tracce tangibili degli Helfir precedenti, un’entità capace di modellare con maestria sonorità liquide ma cariche di tensione emotiva, lasciando che l’intimismo di Protect Me e Chant D’Automne prenda educatamente il sopravvento.
Pulsioni elettroniche inaugurano una Mechanical God che oscilla tra l’alternative e l’industrial, esibendo a tratti riff di una cattiveria insospettabile: un brano di grande impatto, ma che rischia d’apparire addirittura fuori contesto, specie se seguito dalle delicate pennellate chitarristiche di Climax 2.0.
In Golden Tongue ritroviamo nuovamente quel sound inquieto che aveva contraddistinto la splendida traccia d’apertura, mentre in The Last Sun ritorna a predominare l’imprimatur poetico di scuola Antimatter, anche se, come già detto, in tali frangenti le possibili somiglianze appaiono meno marcate che in passato.
La versione strumentale di Chant D’Automne suggella idealmente un lavoro di grade maturità e soprattutto propositività: Luca Mazzotta avrebbe potuto continuare a seguire, peraltro facendolo benissimo, le tracce di Moss e compagnia, mentre con quest’opera decide di prenderne in qualche modo le distanze, ampliando in maniera efficace e condivisibile lo spettro compositivo con risultati eccellenti.
Se Still Bleeding era già un album più che convincente, The Human Defeat va ancora oltre, collocando il nome Helfir ai vertici qualitativi della scena italiana.

Tracklist:
1. Time In Our Minds
2. Light
3. Tide
4. Protect Me
5. Chant D’Automne
6. Mechanical God
7. Climax 2.0
8. Golden Tongue
9. The Last Sun
10. Chant D’Automne (Instrumental Version)

Line up:
Luca Mazzotta: Vocals, Guitars, Bass, Keyboards, Drums and Percussions programming

HELFIR – Facebook

Chiral – Gazing Light Eternity

Gazing Light Eternity conferma appieno il valore che Chiral aveva già esibito compiutamente nelle opere precedenti, mostrando un talento di livello superiore alla media.

In occasione della sua riedizione in uscita a giugno per la Folkvangr Records, riproponiamo quanto scritto nello scorso autunno a proposito di Gazing Light Eternity.

Terzo full length in un ridottissimo lasso di tempo per il progetto solista di Chiral, senza che la qualità del livello compositivo ne risenta, anzi …
Infatti, a partire da Abisso, album che arrivava a raccogliere e sintetizzare i frutti di un lavoro intenso durato per tutto il 2014 e parte del 2015, il musicista piacentino ha iniziato un percorso di crescita che lo ha postato ad essere uno dei protagonisti di una scena atmospheric black che, nel nostro paese, assume diverse sfaccettature.
Lo stile di Chiral differisce dal filone venato di epica e di retorica storico-guerresca (che sta comunque fornendo buoni frutti) e mostra invece il lato più riflessivo e, se vogliamo, naturalistico del genere.
Gazing Light Eternity, forse ancor più e meglio del suo predecessore Night Sky, è la rappresentazione di scenari che appaiono bucolici nelle sue fasi ambient, e velati di un’inquietudine che va a comporre un quadro in cui il gusto melodico mediterraneo si va a fondere con la scuola scandinava e con le derivazioni cascadiane di quella nordamericana.
L’album consta di quattro brani dei quali i due più lunghi (vicini al quarto d’ora) sono appunto contraddistinti da un black metal liquido e meditabondo, se si eccettuano le misurate accelerazioni in doppia cassa, dove un convincente substrato melodico funge da filo conduttore, ammantando di grande fascino le composizioni di qualità alle quali Chiral ci ha abituato.
Le due tracce più brevi (della durata di sei minuti circa) svelano la vena ambient del nostro, del quale qui si può apprezzare ancora di più l’abilità nel rendere meno interlocutoria e più affascinante questa sfumatura musicale (da rimarcare il lavoro chitarristico che resta quasi in sottofondo in The Hourglass).
Gazing Light Eternity conferma appieno il valore che Chiral aveva già esibito compiutamente nelle opere precedenti, e se consideriamo che stiamo parlando dello stesso musicista che sta dietro agli ottimi lavori di un altro progetto come Il Vuoto, appare in tutta la sua evidenza come ci si trovi al cospetto di un talento di livello superiore che merita tutto il supporto da parte degli appassionati italiani e non solo.

Tracklist:
1.Part I (The Gazer)
2.Part II (The Haze)
3.Part III (The Crown)
4.Part IV (The Hourglass)

Line-up:
Chiral

CHIRAL – Facebook

Zombie Lake – The Dawn Of Horror

Un macigno strutturato su mid tempo potentissimi e devastanti pezzi di raw thrash metal, questo è The Dawn Of Horror

Grind, death , black metal, industrial, le vie delle musica estrema hanno molte strade su cui viaggiare per arrivare al traguardo, certo è che una delle più difficili (e solo facili all’apparenza) è quella del thrash metal, troppo spesso poi nascosto dalla potenza del death e per molti diventato death/thrash, tanto per semplificare il tutto.

Ci sta, rimane il fatto che proposte estreme come quella degli svedesi/statunitensi Zombie Lake risultano un devastante esempio di thrash metal, estremizzato da rimandi al death, all’horror metal e al black, così da diventare un’orgia di suoni estremi come un pasto, consumato da famelici zombie, a base di arti e cervella dall’umana origine.
Il gruppo licenzia il secondo lavoro per la Iron Shield, un pezzo di incudine thrash metal pesante e orrorifico, estremo come solo lo splatter sa essere, che non passerà inosservato: la furia estrema di questo album è puro odio distruttivo, un macigno strutturato su mid tempo potentissimi e devastanti pezzi di raw thrash metal.
Questo è The Dawn Of Horror e su queste coordinate sfilano i nove inni alla totale distruzione senza compromessi, ma se volete dei titoli allora ecco Werewolf Attack, l’accoppiata Dead Eyes/Motorcycle Hammers e la conclusiva The Final Outbreak of Aggression, gli apici di questa blasfemia senza fine.
Volete un album estremo nel vero senso del termine? Eccolo.

TRACKLIST
1.Bridge Over Bloodred Water
2.Killed a Thousand Times
3.Werewolf Attack
4.The Ceremony
5.Hoardering Skulls
6.Dead Eyes
7.Motorcycle Hammer
8.Almighty Sorcerer
9.The Final Outbreak of Aggression

LINE-UP
Martin “Golem” Missy – Vocals
Derek “Neglect” Schilling – Guitar & Bass
Antman – Drums
Bill Kelly – leadguitar
Ryan Lipynsky- leadguitar

ZOMBIE LAKE – Facebook

Valborg – Endstrand

Ficcante e corrosivo, Endstrand è un lavoro perfetto per chi voglia immergersi in una realtà claustrofobica e ossessiva

I Valborg sono tra gli esponenti più in vista, oltre che più prolifici, della scena industrial metal tedesca, con i loro sei full length pubblicati negli ultimi 8 anni, incluso questo ultimo Endstrand.

Ovviamente la provenienza geografica ed il genere d’elezione sono indizi che portano ad un sound squadrato e marziale che, forse, alla lunga potrà anche apparire monocorde, ma che sarà apprezzato non poco da chi ama queste sonorità.
Va dato atto al trio di Bonn d’aver in buona parte rifuggito la tentazione di accodarsi didascalicamente alle linee guida rammsteinane, conferendo anche ai brani più rallentati un’asprezza ed una ferocia che depone a favore della sincerità compositiva, unita ad una conoscenza della materia che ne mantiene anche le scelte più azzardate al di qua della pericolosa china del kitsch.
Del resto, lo screaming è tutt’altro che accattivante e le ritmiche a tratti assecondano una tendenza tamarra che affiora nei brani più estremi anche dal punto vista lirico, come le invocazioni a Satana (Orbitalwaffe) e quella alla Madonna in una tutt’altro che “religiosamente corretta” Ave Maria.
Ficcante e corrosivo, Endstrand è un lavoro perfetto per chi voglia immergersi in una realtà claustrofobica e ossessiva, un po’ meno per chi associa tali caratteristiche ad una certa ripetitività. In effetti non è sempre così, visto che i Valborg provano qualche variazione sul tema anche se, alla fine, tra i pezzi che più colpiscono troviamo quelli martellanti e ritmati, come la micidiale Blut Am Eisen, Beerdigungsmaschine e Stossfront, poste tutte nella prima metà di un lavoro che, nel suo dipanarsi, assume tratti via via più più sperimentali e meno orecchiabili, raggiungendo punte notevoli con la disturbata ma meno feroce Geisterwürde.

Tracklist:
1.Jagen
2.Blut am Eisen
3.Orbitalwaffe
4.Beerdigungsmaschine
5.Stossfront
6.Bunkerluft
7.Geisterwürde
8.Alter
9.Plasmabrand
10.Ave Maria
11.Atompetze
12.Strahlung
13.Exodus

Line up:
Jan Buckard – Vocals, Bass
Christian Kolf – Vocals, Guitars
Florian Toyka – Drums

VALBORG – Facebook

Divinity – Immortalist

Un ottima idea quella di unire le tre parti di Immortalist, così da formare un unico e devastante pezzo di granito metallico che, tra potenza estrema e melodie, soddisferà sicuramente la fame dei fans del metal estremo moderno di estrazione thrash.

I Divinity sono un gruppo dedito ad una forma che è una buona via di mezzo tra il thrash metal moderno ed il melodic death metal scandinavo.

Nata in Canada (Calgary) a cavallo dei due millenni, la band ha dato alle stampe due full lenght e tre ep, che formano un concept intitolato Immortalist, usciti tra il 2013 e quest’anno.
Ora le tre parti (Awestruck, Momentum e Conqueror) vengono unite dal gruppo in un’unica compilation intitolata appunto Immortalist, trasformandosi così in un monumentale album che trasuda metallo e che nei suoi settanta minuti di durata regala momenti di altissimo livello, come D.M.T., brano thrash metal progressivo e melodico che vede la partecipazione dietro al microfono di Björn “Speed” Strid, vocalist dei Soilwork. E proprio dalla band svedese il sound dei Divinity è ispirato nella sua parte europea, mentre il resto del lavoro lo fanno le influenze di marca statunitense, tra Testament, Strapping Young Load e Machine Head.
Sempre in bilico tra la potenza del thrash/groove metal in uso aldilà dell’ Atlantico e la velocità e la melodia death metal scandinavo dal piglio melodico, Immortalist, pur nella sua durata, ovviamente diventata notevole, non annoia.
Il songwriting dunque è sicuramente efficace, così come il livello tecnico dei musicisti coinvolti, in particolare una sezione ritmica modello carro armato.
Oltre alla già citata D.M.T., l‘ album nel suo insieme non mostra cali di tensione e si avvale della buona qualità di brani come The Dead Speak From Beyond, Lucid Creator e Conqueror.
Un ottima idea quella di unire le tre parti di Immortalist, così da formare un unico e devastante pezzo di granito metallico che, tra potenza estrema e melodie, soddisferà sicuramente la fame dei fans del metal estremo moderno di estrazione thrash.

TRACKLIST
1.Manhunt
2.Atlas
3.Hallowed Earth
4.D.M.T.
5.PsyWar
6.Distorted Mesh
7.The Dead Speak from Beyond
8.Lucid Creator
9.The Reckoning
10.All Seeing Eyes
11.Momentum
12.Conqueror

LINE-UP
Sean Jenkins – Vocals
Jeff Waite – Vocals
James Duncan – Guitars
Brett Duncan – Drums
Keith Branston – Bass

DIVINITY – Facebook

Death Of Kings – Kneel Before None

Kneel Before None è una bomba sonora, un concentrato di metallo old school violentissimo, suonato ad altissime velocità, atmosfericamente perfetto nel risvegliare streghe come in una notte in quel di Salem.

Se siete dei metallari convinti che la parola old school porti con sé solo sonorità pregne di nostalgica passione ma obsolete, molte volte non supportate da una registrazione almeno dignitosa, fate un passo indietro ed ascoltatevi questo pezzo di meteorite speed/thrash in arrivo dagli Stati Uniti.

Tornando indietro agli anni ottanta, tra heavy metal tripallico reso estremo da dosi fatali di thrash metal, il nuovo lavoro dei Death Of Kings scende dallo spazio a pazza velocità in rotta di collisione con la Terra, produce un buco nero spazio temporale,  e come un serial killer vi rincorre, vi scova e vi fa a pezzi a colpi di metal vecchia scuola.
Kneel Before None è l’esordio sulla lunga distanza, preceduto da un singolo (Hell Comes to Life) e licenziato dalla Boris Records: la band, attiva dal 2010, porta in dote una manciata di lavori minori, così come migliaia di altre realtà che si affacciano sul panorama metallico mondiale, solo che i Death Of Kings non sono una band normale.
L’album, infatti, è una bomba sonora, un concentrato di metallo old school violentissimo, suonato ad altissime velocità, atmosfericamente perfetto nel risvegliare streghe come in una notte in quel di Salem, valorizzato da un lotto di brani esaltanti, tra ritmiche infernali di scuola speed metal, solos graffianti ed al limite dell’umano e voci possedute da demoni evocati dall’ennesimo lungo sabba.
Shadow Of The Ripper, Regicidal e l’atomica Knifehammer sono solo alcune delle violente raffiche di vento atomico che spazzerà via tutto dopo l’impatto del meteorite, lasciando solo morte, distruzione e i servi del demonio a girare tra i cadaveri come iene affamate.
Bellissimo lavoro, consigliato agli amanti del genere, anche se un ascolto non farebbe male neppure a chi pensa che certe sonorità in uso negli anni ottanta non fossero abbastanza cattive.

TRACKLIST
1.Shadow Of The Reaper
2.Sojourn
3.Regicidal
4.Descent Into Madness
5.Hell Comes To Life
6.Knifehammer
7.Plague (Upon the World)
8.Too Fast For Blood
9.Revel In Blasphemy

LINE-UP
Matt Matson- lead vocals, guitar
Scott Price – bass, vocals
Matt Kilpatrick – guitar, vocals
Amos Rifkin – drums, vocals

DEATH OF KINGS – Facebook

My Silent Wake – Damnatio Memoriae

Una riedizione utile e curata di Damnatio Memoriae, album che con la sua uscita ha sicuramente consolidato lo status acquisito dai My Silent Wake in virtù di una carriera lunga, produttiva e, a tratti, piacevolmente imprevedibile.

Non essendoci stata l’occasione di parlare di Damnatio Memoriae, ottavo album in studio degli inglesi My Silent Wake, all’epoca della sua uscita nel 2015, ne approfittiamo per farlo brevemente grazie alla riedizione in vinile appena licenziata dalla Minotauro Records.

La band fondata da Ian Arkley nel 2005 è una tra le più prolifiche in assoluto tra quelle dedite al death doom, genere dal quale hanno anche derogato più volte, andando ad esplorare lidi acustici o ambient, così come è avvenuto, del resto, nella loro recente release Invitation To Imperfection.
Damnatio Memoriae resta, quindi, in ordine temporale, l’ultima testimonianza del genere principalmente trattato con buoni risultati dai My Silent Wake; rispetto ai lavori del passato, l’album esibisce partiture più robuste e diversi brani nei quali, specie nella parte iniziale, il sound appare decisamente pesante e meno votato alla ricerca di melodie malinconiche e dolenti: quando ciò avviene, ne scaturisce una traccia magnifica come And So It Comes To An End, ma non è che le cose vadano male neppure allorché la spinta propulsiva pare giungere dai primi Paradise Lost e Anathema (con The Innocent a lambire gli suoni che furono di The Silent Enigma).
Ottima anche la lunga The Empty Unknown, che mostra coordinate più canonicamente doom, mentre si vira nuovamente su un gothic piuttosto andante con Chaos Enfolds Me, traccia che chiudeva la prima stesura del disco e che, invece, nella nuova, è seguita dalla riproposizione di And So It Comes To An End, Now It Destroys e Of Fury arricchite dalle tastiere di Simon Bibby: i brani in questione non cambiano volto più di tanto ma, specialmente gli ultimi due, vengono gradevolmente ammorbiditi in questa versione.
Una riedizione utile e curata di Damnatio Memoriae, album che con la sua uscita ha sicuramente consolidato lo status acquisito dai My Silent Wake in virtù di una carriera lunga, produttiva e, a tratti, piacevolmente imprevedibile.

Tracklist:
1. Of Fury
2. Highwire
3. Now it Destroys
4. Black Oil
5. And so it Comes to an End
6. The Innocent
7. The Empty Unknown
8. Chaos Enfolds Me
Bonus tracks on 2017 release:
9. And so it Comes to an End (with keys)
10. Of Fury (with keys)
11. Now it Destroys (with keys)

Line up:
Ian Arkley – vocals and guitar
Addam Westlake – bass
Gareth Arlett – drums
Mike Hitchen – live rhythm guitar

Guests:
Simon Bibby – keys
Greg Chandler – additional keys, vocals
Martin Bowes – synth

MY SILENT WAKE – Facebook

Bullet-Proof – Forsaken One

Il sound racchiuso in Forsaken One è 100% thrash metal, legato alla tradizione statunitense ma senza disdegnare sfumature moderne

I Bullet Proof sono un gruppo italo/slovacco, nato a Bolzano tre anni fa ma, di fatto, band internazionale già sul mercato con l’esordio De-Generation, uscito due anni, ideale preludio a questo ottimo secondo lavoro.

Il sound racchiuso in Forsaken One, infatti, è 100% thrash metal legato alla tradizione statunitense ma senza disdegnare sfumature moderne (specialmente per quanto riguarda arrangiamenti e produzione) ed un gusto melodico nei solos di matrice heavy metal.
Il quartetto formato da Richard Hupka (chitarra e voce) e suo figlio Lukas (batteria), a cui si aggiungono Max Pinkle (chitarra) e Federico Fontanari (basso), ci consegna un lavoro roccioso, agguerrito, ma straordinariamente melodico, laddove le sfuriate thrash lasciano il posto a lunghe e spettacolari parti heavy, con le chitarre che si vestono di un metal elegante per poi trasformare il sound da una sorta di un rassicurante Dottor Jekyll ad un cattivo ed indomabile mister Hyde.
Così, una volta che il lato oscuro prende il sopravvento, la band alza l’asticella e Forsaken One vola, con la sezione ritmica che è un rullo compressore grazie ad un Lukas Hupka straordinario picchiatore, mentre le due asce sfornano riff e solos che sono vangelo per ogni thrasher che si rispetti.
L’opener Might Makes Right, la title track, la splendida e melodica No One Ever e le devastanti Abandon e Revolution ci consegnano un lavoro che non lascia scampo, perciò bando all’esterofilia (e anche se fosse qui parliamo di una band italiana soprattutto per sede operativa) e buttatevi in un headbanging sfrenato in compagnia dei Bullet Proof: gli eroi della Bay Area sono tutti lì ad applaudire.

TRACKLIST
01 – Might Makes Right
02 – Forsaken One
03 – Portrait Of The Faceless King
04 – No One Ever
05 – I Was Wrong
06 – Abandon
07 – Lust
08 – Revolution
09 – Little Boy

LINE-UP
Richard Hupka – Lead Vocals, Guitar
Max Pinkle – Guitars
Federico Fontanari – Bass Guitar
Lukas Hupka – Drums

BULLET PROOF – Facebook

Norse – The Divine Light of a New Sun

Quaranta minuti di black metal fuori dai canoni, non fosse per qualche parte più marziale che può avvicinare brani come Exitus al sound dei nuovi Satyricon: una proposta estrema da maneggiare con le dovute cautele, ma a suo modo affascinante.

Black metal disarmonico e per questo ancora più estremo, misantropico nel concept che si riflette sulla musica, a tratti progressiva nel suo cercare soluzioni ritmiche fuori dagli schemi.

La band colpevole dei danni procurati dai padiglioni auricolari si chiama Norse e proviene dall’Australia, paese fuori dai circuiti metallici, perciò foriera (come i paesi asiatici) di metal che va oltre ai soliti cliché (infatti anche in questo album c’è lo zampino della Transcending Obscurity, label che da anni ci delizia con le opere estreme provenienti dai paesi dell’ immenso territorio asiatico.
Attivo da più di dieci anni, il duo composto da Forge (batteria e chitarra) e ADR (vocals, bass) arriva con questo destabilizzante lavoro al terzo full length della carriera che vede in The Divine Light of a New Sun l’intensificarsi delle parti dissonanti, per un approccio estremo che si discosta dalle proposte del genere.
Sfuriate black ed atmosfere in cui il duo gioca con le note in un’atmosfera che rimane oscura e diabolica, mentre il gran lavoro della sezione ritmica va di passo con la sei corde, molte volte portata al limite di saturazione in un delirio musicale che non lascia scampo.
Quaranta minuti di black metal fuori dai canoni, non fosse per qualche parte più marziale che può avvicinare brani come Exitus al sound dei nuovi Satyricon: una proposta estrema da maneggiare con le dovute cautele, ma a suo modo affascinante.

TRACKLIST
1.Supreme Vertical Ascent
2.Drowned by Hope
3.Telum Vitae
4.The Divine Light of a New Sun
5.Exitus
6.Synapses Spun as Silk
7.Sandarkan
8.Arriving in Peace, Pregnant with War
9.Cyclic

LINE-UP
Forge – Drums, Guitars
ADR – Vocals, Bass

NORSE – Facebook

L’Ira Del Baccano – Paradox Hourglass

La psichedelia pesante raggiunge qui uno dei suoi apici, arrivando a toccare vette molto alte, sempre imprevedibile e con l’avvertenza che questo è solo uno delle possibili versioni de L’Ira Del Baccano.

Torna uno dei migliori gruppi di improvvisazione psichedelica pesante. Il viaggio de L’Ira Del Baccano continua potentissimo senza scendere mai, come una psichedelia di soglia inconscia.

I suoni questa volta sono maggiormente melodici, mentre lo schema di composizione rimane invariato, ovvero non c’è, essendo un flusso di coscienza musicale che diventa una magnifica e lunga jam, passibile di mutazioni ad ogni atto de L’Ira del Baccano. Il disco è quindi la fotografia del momento, uno splendido bassorilievo magico che può variare, increspandosi come le onde di un mare capriccioso, o seguendo il disegno di muse capricciose, ma è sempre una musica magnifica. Paradox Hourglass è una nuova terra inesplorata in un mappamondo bellissimo come quello della musica di questo gruppo, che lascia sempre un bellissimo gusto nel padiglione auricolare dell’ascoltatore. La psichedelia pesante raggiunge qui uno dei suoi apici, arrivando a toccare vette molto alte, sempre imprevedibile e con l’avvertenza che questo è solo una delle possibili versioni de L’Ira Del Baccano, perché ve ne possono essere altre in molti multiversi.

TRACKLIST
1. PARADOX HOURGLASS – Part 1(L’Ira Del Baccano)
2. PARADOX HOURGLASS – Part 2 (No Razor for Occam)
3. ABILENE
4. THE BLIND PHOENIX RISES

LINE-UP
Alessandro “Drughito” Santori – guitar/direction and architecture of Baccano
Roberto Malerba – guitar/synth
Sandro “fred” Salvi – drums
Ivan Contini Bacchisio – bass

L’IRA DEL BACCANO – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO