Meshuggah – The Violent Sleep of Reason

Ancora una volta i Meshuggah hanno preparato meticolosamente un nuovo gelido tavolo autoptico.

Giunta ormai all’ottavo album in studio, la macchina perversa dei Meshuggah è tornata con un altro monolite d’acciaio tecnico e inesorabile.

Mi approccio all’ascolto quasi timoroso al cospetto di una band oserei direi essenziale per la natura stessa della sua proposta rivoluzionaria e innovativa, mai strettamente commerciale e, bisogna dirlo, con un approccio alla musica tra i più impegnativi e così dannatamente heavy. Così, prendiamo fiato e immergiamoci a ruota libera nei meandri di questo violento sonno della ragione. Nei 7 minuti dell’opener Clockworks vi sembrerà di essere pestati a sangue grazie a una sezione ritmica pesantissima e assassina che vi lascerà storditi in attesa di alienarvi con Born In Dissonance. La chirurgica MonstroCity vi sezionerà accuratamente e successivamente vi ricucirà abilmente con le corde affilate dell’allucinante solista di Thordendal . L’incubo tortuoso di By The Ton potrebbe temporaneamente lenire le vostre ferite attraverso le mani lente e inesorabile di uno psicopatico, ma non c’è tregua, perché la title track e Ivory Tower vi frantumeranno le ossa a martellate. Il maelstrom di Stifled vi opprimerà come un tiranno implacabile illudendovi solo attraverso brevi innesti disarmonici a base di synth e solos estranianti. Il tunnel di Nonstrum vi ingannerà per alcuni secondi per poi sminuzzarvi come schiacciati da una Tunnel Boring Machine. La pressione sul vostro cranio aumenterà dall’impellente incedere di Our Rage Won’t Die e con la mortifera Into Decay si chiude egregiamente un ennesimo lavoro di considerevole qualità. The Violent Sleep of Reason vi sequestrerà, e per un’ora potrete deliziarvi nei vortici ipnotici e nel dolore profondo concepito da Kidman e soci. Ancora una volta i Meshuggah hanno preparato meticolosamente un nuovo gelido tavolo autoptico.

TRACKLIST
01. Clockworks
02. Born In Dissonance
03. MonstroCity
04. By The Ton
05. Violent Sleep Of Reason
06. Ivory Tower
07. Stifled
08. Nostrum
09. Our Rage Won’t Die
10. Into Decay

LINE-UP
Jens Kidman – vocals, rhythm guitar
Fredrik Thordendal – lead guitar, rhythm guitar, synth
Mårten Hagström – rhythm guitar
Dick Lövgren – bass guitar
Tomas Haake – drums

MESHUGGAH – Facebook

Damnation Gallery – Transcendence Hymn

Un buon inizio ed una piccola sorpresa che non manca di promettere buone nuove, aspettiamo il prossimo malefico parto

Una creatura dannata si aggira tra i vicoli della mia città, Genova, un abominevole parto frutto della fusione di due identità metalliche, gli Insanity Hazard e i STAG.

La nuova band nata quest’anno si compone di quattro elementi, la strega Scarlet alla voce, Lord Edgard alla sei corde e la sezione ritmica formata da Low al basso e Nasco alle pelli.
Il quartetto genovese è abile nel trasportare le proprie ispirazioni ed influenze in un sound avvicinabile all’horror metal di scuola Death SS, ma dove la proposta dello storico gruppo di Steve Sylvester si basava sul metal classico, prima, e su soluzione moderne di matrice industrial negli ultimi tempi, i Damnation Gallery mantengono un approccio thrash old school, macchiato dal sangue proveniente dalla NWOBHM e dal black metal più oltranzista.
Produzione scarna, suono catacombale, ottimi spunti di teatrale malignità creano atmosfere evil ed oscure, l’attitudine underground dei protagonisti è ben visibile lasciando qualche impeferzione voluta in fase di registrazione, senza che ciò vada ad inficiare assolutamente la buona riuscita di Transcendence Hymn.
La band, fresca di firma con Masked Dead Records che si è presa cura di questo primo ep, ha confezionato una piccola opera horror thrash, con tanto di intro macabra e terrorizzante, ottime cavalcate metalliche dai rimandi old school ed un buon lavoro sulle voci, che passano con disinvoltura dallo scream, a toni teatrali, per rendere infine il tutto più malvagio possibile grazie a growl oscuri e abissali.
Nella cripta dove i Damnation Gallery ci invitano ad entrare, la fievole luce delle candele mostra ombre di esseri minacciosi e vecchi riti occulti, descritti dal gruppo a colpi di thrash/black/horror metal di cui si nutrono la title track, la splendidamente maligna Dark Soul e la devastante Evil Extreme.
Un buon inizio ed una piccola sorpresa che non manca di promettere buone nuove, aspettiamo il prossimo malefico parto, anche se nella ventina di minuti scarsi di questo ep i Damnation Gallery sembrano essersi giocati molto bene le loro carte.

TRACKLIST
1. Mankind’s fall
2. Evil extreme
3. Dark Soul
4. Transcendence Hymn
5. Rebirth

LINE-UP
Scarlet – Vocals
Lord Edgard – Guitar
Low – Bass Guitar
Nasco – Drums

DAMNATION GALLERY – Facebook

Lotus Thief – Gramarye

Gramarye è la manifestazione definitiva del talento musicale cristallino esibito dai californiani Lotus Thief.

L’ascolto di dischi di questa portata, composti da gruppi semi sconosciuti, non è solo una bella sorpresa ma costituisce, semmai, uno dei tanti buoni motivi per continuare tentare di scrivere di musica, visto che in caso contrario ben difficilmente avrei potuto imbattermici.

Qualcuno potrà obiettare con ragione che i Lotus Thief sono stati autori di un buonissimo album prima di Gramarye e che, per questo motivo, è strano che fino ad oggi io ne ignorassi l’esistenza, ma non ho alcuna remora ad ammetterlo e faccio, anzi, i complimenti più sinceri a chi li aveva già intercettati in occasione di Rervm; del resto, ciò che importa è quanto contenuto all’interno del disco oggetto della recensione, e parlare del passato di una band (facilmente reperibile in rete anche se ignota fino a quel momento) per lo più rappresenta un modo facile e indolore per allungare il brodo, quando gli argomenti da trattare scarseggiano.
Non è questo il caso, ovviamente, pertanto veniamo al dunque: Gramarye è la manifestazione definitiva del talento musicale cristallino esibito dai californiani Otrebor e Bezaelith, duo rodato ed integrato in quest’occasione dall’apporto di una Iva Toric che arricchisce ancor più i contenuti del lavoro, ridefinendo ancora un volta i confini del metal, un galassia in costante movimento ed espansione alla faccia dei detrattori e dei media italiani più importanti, i quali continuano a contrabbandarlo come una sorta di sub cultura appannaggio di drogati e disadattati.
Se costoro avessero orecchie per sentire forse cambierebbero radicalmente idea nello scoprire la bellezza e la profondità che i Lotus Thief riversano nel loro ultimo disco: Gramarye è un termine che in inglese arcaico stava ad indicare una forma di conoscenza occulta, ed infatti i cinque brani si ricollegano ad altrettante opere letterarie intrise di questa materia, in un viaggio millenario che parte dal Libro dei Morti dell’Antico Egitto per giungere fino all’era contemporanea, con The Book Of Lies di Aleister Crowley.
Un percorso magico ed affascinante, nel corso del quale la musa Bezaelith, sostenuta in più di un passaggio dal controcanto della Toric, ci guida supportata da un tappeto sonoro di inestimabile bellezza, per il quale è decisivo il contributo ritmico e compositivo offerto dal drummer Otrebor. Post black metal, space rock, ambient, dark, molte sono le etichette e le sfumature che si è tentati di affibbiare a queste sonorità: la verità è che nessuna di queste vi aderisce in maniera perfetta: se The Book Of Dead appare l’episodio più robusto e metallico, quindi definibile con più di una buona ragione post black, la più rarefatta Circe (qui il libro in questione è ovviamente l’Odissea) cambia il volto e l’umore del lavoro, mantenendo ugualmente elevata la tensione emotiva e lo spessore melodico.
Non viene meno tutto ciò neppure nelle successive The Book Of Lies, in una più ambientale Salem, dotata di una fase iniziale che crea la giusta attesa nei confronti di apertura graduale, ma sempre in qualche modo trattenuta, fino a giungere alla meravigliosa Idisi, brano memorabile per forza evocativa che, di fatto, arriva a finalizzare quanto preparato dalla canzone precedente.
Gramarye, seppure sia collocabile nello stesso segmento stilistico con una certa approssimazione, rischia seriamente di oscurare per valore un altro bellissimo lavoro come Kodama degli Alcest, anch’essi facenti parte di quella fabbrica inesauribile di tesori musicali meglio conosciuta come Prophecy Productions.

Tracklist:
1.The Book Of The Dead
2.Circe
3.The Book Of Lies
4.Salem
5.Idisi

Line-up:
Bezaelith – bass, synth, guitar, vox
Iva Toric – synth, backing vox
Otrebor – drums

LOTUS THIEF – Facebook

Escarnium – Interitus

Un album da sentire in tutta la sua ferocia mentre i brani scivolano via, in caduta libera negli abissi più profondi

L’evoluzione del death metal old school per molti si incarna nel blackened death metal, sottogenere che ha raggiunto il suo massimo splendore nei territori dell’est europeo e che da un po’ di anni trova terreno fertile in tutto il globo.

Specialmente a livello underground i gruppi che estremizzano il death metal classico, velocizzandolo e soffocandolo sotto una coltre di nebbia oscura ed ancor più maligna, non si contano più, fortunatamente mantenendo un buona qualità generale nelle uscite sempre più numerose.
Questa volta si vola in Brasile, appena lasciato in balia di sé stesso da media e tv dopo che le luci olimpiche si sono spente su Rio de Janeiro, e a Bahia incontriamo gli Escarnium, al secondo full length della carriera, ma con una manciata di lavori minori che vanno a completare la loro discografia iniziata nel 2009.
Il gruppo non mancherà di soddisfare i palati cannibali degli amanti del genere: il suo death metal, infatti, alquanto brutale, si allea con una forte componente black per viaggiare a forte velocità sulle strade di un estremismo a tratti nichilista, oscuro e maligno e devastante, creando una tregenda di suoni che vanno dalla tradizione statunitense a quella europea in un caos primordiale, diabolico e distruttivo.
Quasi quaranta minuti di musica feroce e spaccaossa, con Deicide e Behemoth a fare da padrini ai brani di Interitus.
Il quartetto brasiliano, oltre ad un growl mostruoso e sei corde seviziate, può contare su di una sezione ritmica da infarto, capitanata dal mostro a sei braccia nascosto dietro al drumkit, Nestor Carrera, aiutato in questo massacro dal basso di Vitor Giovanni.
Le chitarre come detto sanguinano, torturate dai due axeman, Victor Elian (anche dietro al microfono) e Mauricio Sousa, e ne esce un quadro perfetto di quello che risulta uno dei sound estremi più coinvolgenti degli ultimi anni.
Un album da sentire in tutta la sua potenza, mentre i brani scivolano via in caduta libera negli abissi più profondi, dove il volo dura un’eternità; in poche parole un ottimo lavoro.

TRACKLIST
1. The Horror
2. While The Furnace Burns
3. Starvation Death Process
4. Radioactive Doom
5. Omnis Mortuus Est – Interitus
6. Macabre Rites
7. Genocide Ritual
8. The Gray Kingdom
9. 100 Days Of Bloodbath
10. Human Waste

LINE-UP
Victor Elian – Vocals / Guitar
Mauricio Sousa – Guitar
Vitor Giovanni – Bass / Vocal
Nestor Carrera – Drums

ESCARNIUM – Facebook

Kuadra – Non Avrai Altro Dio All’infuori Di Te

I Kuadra sono uno dei gruppi di musica pesante meno banali del nostro paese.

I Kuadra sono uno dei gruppi di musica pesante meno banali del nostro paese.

E non essere banali in questo paese è impresa titanica, quasi impossibil. Ma questi ragazzi al terzo album in dieci anni ci riescono benissimo. Questo disco lacera l’anima, e parla al sangue che ci scorre nelle vene. I testi sono di una sincerità disarmante, figli di un dolore vero, senza filtri o pose. La musica è un hard rock tendente al nu metal, con tastiere ed un timbro molto personale. Non Avrai Altro Dio All’Infuori Di Te è una testimonianza con musica pesante di ciò che siamo noi, e più per esteso la nostra società. Non è un grido di dolore, ma un’amarissima constatazione di come ci siamo ridotti anche a causa nostra. Ma come in tutte le opere frutto di un intenso ragionamento uno spiraglio, seppur piccolo lo si può vedere. Questo spiraglio è l’umana pietà, certamente un concetto inglobato dalla cristianità e fatto suo, ma è un qualcosa di molto forte ed antico e il suo sinonimo è solidarietà, quel sentimento che ci insegnano a non usare. Invece i Kuadra lo usano e ci fanno anche vedere come, poiché questi ragazzi hanno fatto un tour di tre date in centri per richiedenti asilo, e ci torneranno. La solidarietà è quello che ci può tirare fuori da questo oceano di merda che chiamiamo società civile. Ascoltate e fate.

TRACKLIST
01. La Grande Crocifissione
02. La Larva
03. Per Un Mondo Minore
04. Abdul
05. Il Male
06. Con Una pistola
07. Questo E’ Un Morto
08. Godzilla A Milano
09. In Memoria Del Nostro Futuro
10. Mettersi In Salvo

LINE-UP
Yuri La Cava – voce, synth
Emanuele Savino – guitar, synth
Van Minh Nguyen – drums, drum machine
Simone Matteo Tiraboschi – bass

KUADRA – Facebook

VV.AA. – Imperative Music Compilation Vol.12

Un ottima occasione per fare un bel giretto per il mondo e conoscere nuovi adepti al sacro fuoco del metal, che sia classico o estremo non importa, le vie del metallo sono moltissime, provatele tutte.

Ottima e abbondante questa raccolta, giunta addirittura al dodicesimo volume, da parte della Imperative Music Agency, agenzia brasiliana a supporto di molte band metal/rock in giro per il mondo.

Incentrata su suoni che vanno dal thrash, al death ed ovviamente al metal più classico, la panoramica offerta spazia per il mondo alla caccia di talenti ed offre un quadro esaustivo sulla salute della nostra musica preferita, dal paese sudamericano, passando per gli Stati Uniti, il Giappone ed il vecchio continente, con una scappata nel nostro paese per conoscere i Wild Child ed il loro heavy metal epico.
Dicevamo, un’iniziativa lodevole e molto esauriente (anche per la buona qualità dei gruppi presenti) per tastare lo stato di salute della musica metal che ormai ha raggiunto tutti i paesi del mondo e regala sorprese ogni giorno, almeno per chi ne segue con interesse lo sviluppo nell’unico ambiente possibile, l’underground.
Varia la proposta, che passa dall’heavy metal classico dei nostri paladini Wild Child, alle sinfonie rock/metal degli olandesi Armed Cloud, dal thrash metal dei giapponesi Alice In Hell, all’hard rock dei brasiliani Basttardos e al death metal dei Nihilo, per tornare in Europa con il gothic robusto dei portoghesi Godvlad e volare in Canada per farci violentare dal death metal tecnico e colmo di groove dei devastanti Statue Of Demur.
Insomma, un ottima occasione per fare un bel giretto per il mondo e conoscere nuovi adepti al sacro fuoco del metal, che sia classico o estremo non importa, le vie del metallo sono moltissime, provatele tutte.

TRACKLIST
01 – Alice In Hell – Time To Die (Japan)
02 – Infact – Change My Name (Luxembourg)
03 – Cavera – Controlled By The Hands (Brazil)
04 – As Do They Fall – Burn (Brazil)
05 – Nihilo – On the Brink (Switzerland)
06 – Statue of Demur – Hot to Rot (Canada)
07 – Darcry – Cry of Despair (Japan)
08 – Death Chaos – Atrocity On Peaceful Fields (Brazil)
09 – The Holy Pariah – No Forever (USA)
10 – Tribal – Broken (Brazil)
11 – Hide Bound – Eden Kew (Japan)
12 – Phantasmal – Specter of Death (USA)
13 – Basttardos – Exilados (Brazil)
14 – Metanium – Resistiendo (USA)
15 – The Wild Child – You and The Snow (Italy)
16 – Armed Cloud – Jealousy With A Halo (The Netherlands)
17 – Eduardo Lira – The Edge (Brazil)
18 – Godvlad – Game of Shades (Portugal)

IMPERATIVE MUSIC – Facebook

Seputus – Man Does Not Give

Per chi ha voglia di spingersi oltre la brutalità di facciata di certo metal estremo.

Primo album per gli statunitensi Seputus, la cui line-up è composta da tre quarti dei Pyrrhon, band piuttosto quotata e dedita ad un notevole technical death.

Con i Seputus, Stephen Schwegler, Doug Moore ed Erik Malave accentuano ancor più il lato estremo della loro proposta, finendo per offrire una mix frutto della sanguinolenta macinatura di death, grind, black e hardcore: l’esito finale non può che essere una devastante mattanza, che si regge saldamente in piedi grazie alla perizia dei musicisti ed un approccio alla materia che, se si va a guardare oltre alle apparenze, è tutt’altro che scontato.
L’alternanza in stile Brutal Truth di un growl catacombale e di uno screaming acido, morbosi rallentamenti che si avvicendano ad accelerazioni furibonde, il tutto attraversato e disturbato da dissonanze che rendono sicuramente più complessa ma altrettanto interessante la fruizione dei brani, è ciò che viene offerto dai quaranta minuti scarsi di Man Does Not Give, album che non riscrive la storia del metal estremo ma ne offre senza dubbio una visione brutalmente distorta e mai banale.
E’ evidente che tali sfumature sono percepibili e conseguentemente apprezzabili da chi frequenta abitualmente tali territori musicali, perché già per gli adepti del death classico la ricetta dei Seputus potrebbe risultare indigesta. Per quanto mi riguarda, ritengo che l’operato del trio newyorchese sia di assoluto valore e meritevole d’esser tenuto in considerazione da chi ha voglia di spingersi oltre la brutalità di facciata di certo metal estremo.

Tracklist:
1.The Fist That Makes Flesh
2.Downhill Battle
3.Soft Palates Rasp
4.Desperate Reach
5.Top Of The Food Chain
6.Two Great Pale Zeroes
7.Vestigial Tail
8.Attrition Tactics
9.Haruspex Retirement Speech
10.A erfect Gentleman
11.Wetwork Hangover
12.No Mind Will Enshrine Your Name

Line-up:
Stephen Schwegler – Guitars/Drums/Programming
Doug Moore – Lyrics/Vocals
Erik Malave – Bass

SEPUTUS – Facebook

Watchtower – Concepts of Math: Book One

EP più lineare, ma siamo sempre su livelli eccelsi. Coraggio e determinazione vanno premiati.

Quanto abbiano dato i Watchtower all’heavy metal forse lo sanno in pochi, ma si può chiedere a gente come Dream Theater, Death, Atheist, Sieges Even, Spiral Architect, Twisted Into Form.

Questi extraterrestri del pentagramma, prima nel 1985 con Energetic Disassembly e poi nel 1989 con il capolavoro Control and Resistance, hanno dato l’input a tutta una serie di band hi-tech metal, nonché extreme-prog.
Perciò per chi come me adora questi texani, l’attesa di un nuovo album è stata veramente lunga, e queste 5 tracce (4 già pubblicate in digitale nel corso negli ultimi 5 anni) sono già un piccolo tesoro musicale.
In attesa del full-length Mathematics (spero presto!) immergiamoci in questo primo libro di matematica metallica. La strumentale M-Theory Overture apre alla Spastic Ink e la macchina perfetta dei texani ci trascina sulla giostra schizofrenica diretta dal maestro Jarzombek. L’estro creativo e i tecnicismi della successiva Arguments Against Design spezzano l’ascoltatore meno avvezzo a tali sonorità. Il basso di Keyser è in primo piano, ossessivo, e con l’entusiasmante drumming di Colaluca è come essere intrappolati tra le rapide di un fiume impetuoso.
Non c’è tregua nelle composizioni dei Watchtower e la densità di idee all’interno delle composizioni è notevole. Le vocals di Alan Tecchio sono ora più aspre, ora melodiche, meno acute di un tempo e la schizzata Technology Inaction ne è un esempio lampante. Le parti soliste di Ron hanno la capacità di estraniare la mente dal contesto e allo stesso tempo deliziare con soluzioni sempre brillanti. The Size of Matter è quasi orecchiabile con il suo incedere spezzato e martellante puntualmente infiorettato dalla solista di Jarzo.
Chiude l’inedita Mathematica Calculis che con i suoi quasi 10 minuti ritorna parzialmente agli antichi fasti, con una band matura che non vuole a tutti i costi ripetersi e che è ancora capace di gustosi colpi di scena sincopati, inseriti con moderna freschezza.
In …Book One le contorsioni e il parossismo tecnico sono affievoliti, così pure la chimica fenomenale che riesca a sorprendere ad ogni cambio di tempo o d’atmosfera, così anche lo stupore di un arrangiamento mai uguale a quello precedente.
EP più lineare dunque, ma siamo sempre su livelli eccelsi. Coraggio e determinazione vanno premiati.

TRACKLIST
1. M-Theory Overture
2. Arguments Against Design
3. Technology Inaction
4. The Size of Matter
5. Mathematica Calculis

LINE-UP
Alan Tecchio – vocals
Ron Jarzombek – guitar
Doug Keyser – bass
Rick Colaluca – drums

WATCHTOWER – Facebook

Simulacro – Echi Dall’Abisso

Gli otto Echi vanno ascoltati come un flusso costante di suoni e parole che, alla fine, non può lasciare indifferenti

Ennesimo parto di una scena underground sarda afferente al black metal più misantropico ed introspettivo, i Simulacro costituiscono una parziale novità a livello di modus operandi, in quanto trattasi di una band vera e propria e non di un progetto solista come nella maggior parte dei casi trattati nel recente passato.

Echi Dall’Abisso è il loro secondo lavoro su lunga distanza ed è il primo interamente cantato in lingua italiana: un’ottima scelta, anche perché qui i testi rivestono un ruolo fondamentale nella comprensione dell’opera nel suo insieme.
La ricerca di sé stessi, tramite un travagliato percorso interiore, è l’argomento che viene trattato con un approccio lirico di grande spessore (ne è autore Thaniey, uno dei fondatori della band, che ora riveste un ruolo comunque fondamentale pur occupandosi solo dei testi); l’abisso in cui l’ascoltatore viene catapultato è reso tangibile da un sound costantemente pervaso da una spessa coltre di tensione emotiva, ben assecondata dalle vocals, aspre ma perfettamente intelligibili, di Xul.
Il black dei Simulacro è peculiare, intenso ed essenziale, privo come è di infiocchettature atmosferico-tastieristiche, e questo in fondo costituisce un altro dei punti di forza di un lavoro che avvince ed avvolge, con una negatività di fondo che lascia però aperto più di uno spiraglio di speranza, riferito alla possibilità di approdare alla meta dopo un lungo e tormentato tragitto introspettivo.
Gli otto Echi vanno ascoltati come un flusso costante di suoni e parole che, alla fine, non può lasciare indifferenti: se l’album è ricco di contenuti e di spunti di riflessioni dal punto vista lirico, si manifesta nella sua ruvida bellezza musicale in più di una traccia, tra le quali Eco IV e Eco VII (dove l’inserimento in un simile contesto della voce dell’ospite Gionata “Thorns “ Potenti fa balenare tracce dei mai dimenticati Cultus Sanguine) contengono gli spunti melodici che meglio si imprimono nella mente, mentre Echo VI, scelta come trama sonora per un video di prossima uscita, si avvale di una maggiore complessità e completezza compositiva.
I Simulacro sono l’ennesima testimonianza di un approccio differente alla materia black che, nel nostro paese, sta fornendo con grande continuità frutti prelibati quanto inusuali.

Tracklist:
1.Eco I
2.Eco II
3.Eco III
4.Eco IV
5.Eco V
6.Eco VI
7.Eco VII
8.Eco VIII

Line-up:
Xul – Lead Vocals, Guitars, Programming
Ombra – Bass
Anamnesi – Drums, Backing Vocals

Guests:
Thorns – Lead Vocals on “Eco VII”
Satya Lux Aeterna – Female Choirs

SIMULACRO – Facebook

Ichabod Krane – Beyond Eternity

Quando le sonorità vecchia scuola sono glorificate in tale maniera, album come questi sono da usare come esempio per le nuove leve metalliche, cresciute ai ritmi sincopati del metal odierno.

E’ ancora una volta la Pure Steel a regalarci un piccolo gioiellino di metallo incendiario direttamente dagli States.

La band in questione si chiama Ichabod Krane, vede tra le proprie fila musicisti provenienti dagli storici Halloween, band ottantiana con una discografia alle spalle di tutto rispetto e Beyond Eternity è il secondo lavoro dopo l’esordio Day of Reckoning, licenziato un paio di anni fa.
Il gruppo chiaramente poggia le proprie basi musicali nell’U.S. Metal e lo fa ottimamente aiutato dall’esperienza accumulata dai protagonisti, un ottimo cantante, ed una raccolta di belle canzoni, elegantemente oscure, epiche e con una buona alternanza tra potenza e melodia.
Siamo in territori cari ai primi Queensryche e Crimson Glory, potenziati da una dose massiccia di soluzioni priestiane, valorizzate da un talento melodico non da poco che riesce nella non facile impresa di rendere accattivanti anche gli episodi più duri (la title track in questo senso è un piccolo capolavoro).
Ottima la prova di Jeff Schlinz al microfono, un cantante di razza, potente e melodico, interpretativo il giusto per dare un’anima alle tracce che compongono il cd, anche se la parte del leone la fa la sei corde di Rick Graig che impazza in tutto l’album tra riff classic metal e solos taglienti come rasoi.
L’album funziona alla grande in brani come Metal Messiah, When The Stars Fall (dove Schlinz raggiunge vette interpretative del Tate degli anni migliori) e Bitter Romance (semi ballad che mantiene comunque inalterata tutta la potenza espressa sull’album), ma è nell’insieme che il disco ha qualcosa in più, aiutato da un lavoro in consolle da elogiare.
Beyond Eternity è il classico album metal dai rimandi old school perfettamente inserito nel nuovo millennio, fiero nel suo essere classico, suonato ottimamente e a tratti trascinante, uno spasso per gli amanti dell’heavy metal suonato nel nuovo continente.
Quando le sonorità vecchia scuola sono glorificate in tale maniera, album come questo sono da usare come esempio per le nuove leve metalliche, cresciute ai ritmi sincopati del metal odierno.

TRACKLIST
1. Black World
2. Metal Messiah
3. Pandora’s Box
4. Beyond Eternity
5. When the Stars Fall
6. Bring It Down
7. Why So Sad
8. Whiskey Angel
9. Bitter Romance

LINE-UP
George Neal – bass
Rick Graig – guitars
Jeff Schlinz – vocals
Rob Brug – drums
Lisa Hurt – keyboards, backing vocals

ICHABOD KRANE – Facebook

Recitations – The First Of The Listeners

Partendo da un death black metal molto scandinavo, si dilatano i tempi e la composizione acquisisce un ampio respiro, fondendosi con l’elettronica più malata, fatta di neri droni e di oscuri loop.

The First Of The Listeners è un disco di sperimentazione metallica e non solo. Partendo da un death black metal molto scandinavo, si dilatano i tempi e la composizione acquisisce un ampio respiro, fondendosi con l’elettronica più malata, fatta di neri droni e di oscuri loop.

Pensate al seminale Perdition City degli Ulver, un disco davvero innovatore che ha rotto diversi muri, ecco, siamo in quella direzione, ma con molta più pazzia ed attitudine black metal. Il suono è malato e completo, possente e paranoico, con un’ottima produzione. Questo disco è la dimostrazione che l’elettronica può implementare molto il metal, diventando un altro codice per gridare il disagio. Quattro pezzi sono una giusta durata per questo disco sperimentale che porta il death black ad un altro livello. I componenti di questo gruppo sono tutti noti cospiratori della scena death black underground, che hanno voluto riunirsi in questo progetto per mette a fuoco territori musicali parzialmente inesplorati. Un grande lavoro è dietro questo disco, che è composto molto bene, con una scelta di strumentazione assai adeguata, e conferma che molti musicisti estremi hanno una capacità compositiva eccezionale. A suo modo questo disco è un rito moderno per richiamare antiche divinità, perché vi è un qualcosa di tribale qui dentro, ed questa è la sua essenza più vera. Un gran bel disco di avanguardia.

TRACKLIST
01 The First of the Listeners
02 Tongueskull Sacrament
03 Godspeak Halilu Lija
04 To Voice the Unutterable

SIGNAL REX – Facebook

Heller Schein – Sonic Clash Warning

Gli Heller Schein sanno alternare furia thrash/death e tecniche parti prog, atmosferici attimi di quiete intimista e mitragliate estreme violentissime

Eccolo un altro esempio di come nel nostro paese la musica metal abbia trovato terreno fertile nell’underground, colmo di talenti che sotto l’aspetto compositivo (soprattutto) non sono secondi a nessuno.

Sonic Clash Warning è un disco fresco, energico, dosato e bilanciato tra irruenza estrema e metallo che sposa sia l’anima classica che quella prog, in un variopinto quadro di note a tratti surreali, ma sbalorditivo nel non perdere mai il filo del discorso, che si interrompe solo al minuto trentanove, ultimo spazio temporale a disposizione del gruppo.
Loro sono gli Heller Schein, quartetto di Bologna nato nel 2002 per volere del cantante e chitarrista Francesco ‘Franz’ Massimiliani e che nel corso di questi anni ha più volte limato la line up per giungere a quella attuale formata, oltre che dal Massimiliani, da suo fratello Paolo alle pelli, da Nicola Deodato (chitarra) e da Davide Laugelli al basso (in sostituzione di Davide Salvatore Nicolais, dimissionario dopo le registrazioni di Sonic Clash Warning).
L’album parte da un concetto progressive metal che si evince dai molti cambi di tempo, uno spartito cangiante e tecnica notevole, ma non si ferma qui, abbatte molte barriere e libero si allea con il death metal, il thrash più evoluto ed il metal classico.
La prima sorpresa è l’uso che fa Massimiliani della voce, tra growl estremi, urla metalliche vicine al falsetto e toni teatrali, interpretando a modo suo le varie composizioni musicali che, come detto,  risultano una sorpresa dietro l’altra.
C’è di tutto e di più in questo lavoro, le diverse anime che vivono all’ interno del songwriting, si prendono a spallate per il comando del sound, ma inutilmente, gli Heller Schein sanno alternare furia thrash/death e tecniche parti prog, atmosferici attimi di quiete intimista e mitragliate estreme violentissime, sempre supportate da un lavoro agli strumenti di un’altra categoria.
Sonic Clash Warning stupisce non poco per una maturità compositiva notevole, supportata da brani intricati, ultra tecnici, ma dall’appeal enorme.
La parte del leone la fa il singer, davvero bravo in tutte le forme prese dalla sua voce, ma sono sicuramente da elogiare anche gli altri musicisti, che vanno a formare un combo da seguire con molto interesse.
Farvi nomi per elencare le ispirazioni del gruppo, non è facile, vista comunque l’originalità insita nella musica della band, vi invito perciò ad ascoltare brani come Karma, Twisted Jocker e Sonic Clash Warning per farvi un’idea delle enormi potenzialità del gruppo bolognese.

TRACKLIST
1.Ascension
2.Karma
3.GrandFatherSong
4.Twisted Jocker
5.Sonic Clash Warning
6.Watching Through My Head A Baby
7.Viky’s Legacy

LINE-UP
Francesco Massimiliani – Voices & Screams
Paolo Massimiliani – Drums
Nicola Deodato – Guitar
Davide Laugelli – Bass

HELLER SCHEIN – Facebook

Doomed – Anna

Doomed è ormai un marchio di qualità all’interno della scena doom, così come lo è la tipica copertina a sfondo verde che contraddistingue ogni sua uscita.

I Doomed, creati da Pierre Laube cinque anni fa, sono diventati in poco tempo uno dei nomi più interessanti della scena death doom europea.

A questo non ha contribuito solo la prolificità del musicista tedesco che, in media, ha pubblicato un full length all’anno, ma anche e soprattutto la qualità dei suoi lavori ai quali si unisce una indubbia peculiarità sonora.
Con Anna, i Doomed (tecnicamente un progetto solista di Laube, il quale ricorre però a diverse collaborazioni al momento dell’incisione dei dischi, diventando una band vera e propria in sede live) raggiungono il picco della loro produzione, grazie ad un songrwiting aspro ed intenso e ad un’esecuzione di grande spessore esaltata da una produzione perfetta.
L’album ruota attorno ad un concept piuttosto crudo che, descrivendo la storia di Anna, bambina che ha visto morire il padre durante la deportazione nazista, prende in esame il dramma della guerra visto e subìto dalla parte dei bambini, un argomento ben presente, purtroppo, in ogni fase della storia dell’umanità.
Il sound risente a livello di umore dei temi trattati, anche se per assurdo i momenti melodici persistono ugualmente e tutto sommato in misura non minore rispetto al passato: il fatto è che questi sono perfettamente inglobati all’interno di un mood drammatico, a tratti così violento da restituire pari pari la rabbia ed il dolore che l’argomento riesce ad evocare.
Il fulcro di Anna lo si ritrova nella sua parte centrale, quando due brani magnifici quanto differenti come The Weeping Trees e Withering Lives tratteggiano un’immagine nitida delle doti compositive di Pierre Laube: se nella prima traccia l’effetto straniante viene provocato da un intreccio vocale tra il nostro e la cognata Daniela, tra dissonanze ed aperture melodiche (qui l’assolo di chitarra è magnifico), la seconda è una vera e propria mazzata che si concretizza tramite una ritmica squadrata, riff pesantissimi e lo screaming dell’ospite Kris Clayton (Camel Of Doom) che ne moltiplica il livello di efferatezza.
Come detto anche in passato, il death doom dei Doomed è sovente sbilanciato sulla prima componente a livello sonoro, ma della seconda è del tutto intriso l’umore di un sound compresso da un livore sordo che ben esprime la reazione dell’artista nei confronti degli avvenimenti descritti.
Doomed è ormai un marchio di qualità all’interno della scena, così come lo è la tipica copertina a sfondo verde che contraddistingue ogni sua uscita, diventata ormai un appuntamento fisso in grado di ricordarci che il doom può essere anche una forma di reazione decisa nei confronti delle brutture che ci circondano, e non solo un malinconico e disperato ripiegarsi su sé stessi che è, invece, il leit motiv della sua frangia più melodica.
Entrambe le opzioni, comunque, sono assolutamente gradite, anzi, direi di più, necessarie …

Tracklist:
1. Your Highness The Chaos
2. Anna
3. As The Thoughts Began To Be Tarnish
4. The Weeping Trees
5. Withering Leaves
6. Roots Remain
7. The Frozen Wish

Line-up:
Pierre Laube – Vocals, All Instruments

Guest musicians:
Ed Warby (Hail Of Bullets / Ayreon / The 11th Hour, ex-Gorefest) – lead vocals on “The Frozen Wish”
Markus Hartung (Panzerkreuzer) – add. vocals on “Your Highness The Chaos”
Kris Clayton (Camel Of Doom, ex-Esoteric) – add. vocals on “Withering Leaves”
Daniela Laube – add. backing vocals on “The Weeping Trees”
Uwe Reinholz (Oak Ridge) – add. solo guitar on “Wither Leaves

DOOMED – Facebook

Haunted – Haunted

Un’altra opera affascinante proveniente da una Sicilia nella quale sono sempre più curioso di fare un salto per scoprire il segreto di una tale magnificenza musicale.

Esordio omonimo per questo quintetto doom stoner siciliano, nato solo lo scorso anno in quel di Catania e che annovera tra le sue fila Frank Tudisco, un passato nei seminali Sinoath e bassista nella nuova formazione degli storici Schizo.

Nelle nostre due isole maggiori deve nascere qualche pianta a noi sconosciuta, dagli effetti collaterali tremendamente allucinogeni, vista (e non è la prima volta che lo scrivo) la qualità altissima delle uscite discografiche nel genere, confermate pure da questa pesantissima opera degli Haunted.
La grafica che accompagna l’album (ad opera di Sandro Di Girolamo, leader degli straordinari psycho-stoner palermitani Elevator To The Grateful Sky) ricorda le opere doom settantiane e soprattutto gli album usciti per la Rise Above del sommo sacerdote Lee Dorrian, impressione confermata dal sound di cui che si avvicina a quanto fatto da Orange Goblin ed Electric Wizard.
Una voce femminile (Cristina Chimirri), ci accompagna in questo trip doom messianica di una potenza pari ad un eruzione vulcanica, le sei corde ribassate fino al limite, il basso che pulsa come il cuore di un gigante addormentato e le pelli che si squarciano sotto i colpi inferti da Valerio Cimino, formano un monolite sonoro di impressionante potenza e pesantezza.
Non manca, come spiegato, quella componente psichedelica che è ormai tradizione per i gruppi che provengono dal profondo Sud, come dal bel mezzo del Mediterraneo, che rende l’opera ancora più sabbatica e disturbante, facendoci perdere a lunghi tratti la bussola nel mezzo del magma sonoro che il gruppo catanese ci rovescia addosso.
Cinque brani per più di quaranta minuti di musica del destino dall’inquietante incedere, un mega trip che ci incatena alla poltrona e ci invita ad un diabolico sabba, ipnotizzante e pericolosissimo, una lunga e drammatica avventura persi in deserti oscuri dove il sole è una palla di micidiale catrame nerissimo e caldissimo, una lenta agonia che ha nelle sabbatiche note del singolo Silvercomb, dell’opener Nightbreed e della conclusiva title track le sue magmatiche perle nere.
Un’altra opera affascinante proveniente da una Sicilia nella quale sono sempre più curioso di fare prima o poi un salto per scoprire il segreto di una tale magnificenza musicale.

TRACKLIST
1. Nightbreed
2. Watchtower
3. Silvercomb
4. Slowthorn
5. Haunted

LINE-UP
Valerio Cimino – Drums
Cristina Chimirri – Vocals
Frank Tudisco- Bass
Francesco Orlando – Guitars
Francesco Bauso – Guitars

HAUNTED – Facebook

Metal Witch – Tales From The Underground

Un album dedicato a chi mantiene intatto il cordone ombelicale che lo tiene legato alla scuola old school, le nuove leve difficilmente troveranno di che soddisfarsi, ma ai Metal Witch non credo interessi più di tanto.

Il ritorno in auge delle sonorità old school hanno risvegliato realtà metalliche ormai dormienti da molti anni i gruppi storici, specialmente quelli conosciuti in ambito underground, sono tornati a combattere le loro battaglie sotto la bandiera di label attente nel mantenere vivi i suoni classici come, per esempio la Pure Steel, e le etichette che dalla label tedesca dipendono per la distribuzione, come la Iron Shields.

I tedeschi Metal Witch ne sono il classico esempio: una band cresciuta negli anni ottanta, ma che ha visto il primo lavoro uscire addirittura all’alba del nuovo millennio.
Nel 2008 il primo lavoro sulla lunga distanza passato quasi inosservato (Risen From The Grave), ristampato tre anni fa ed ora finalmente un nuovo lavoro, che se non susciterà grossi clamori sicuramente piacerà al pubblico metallico ancorato ai vecchi cliché ottantiani.
Nulla di clamoroso dunque, ma un buon esempio di heavy metal ignorante, un sound che del gergo calcistico, palla lunga e pedalare fa il suo credo, mescolando con risultati più che sufficienti molte delle caratteristiche dei gruppi più famosi dell’era d’oro della nostra musica preferita.
Il quintetto di Amburgo, infatti, parte da una base musicale fortemente influenzata dalla new wave of british heavy metal, aggiunge un pizzico di ritmiche power, classiche per chi proviene dalle terre germaniche, e lo velocizza con trame rock’n’roll: ne esce un sound che rispecchia le caratteristiche peculiari di gruppi quali Accept, Saxon e Motorhead.
Il tutto sinceramente funziona, anche per merito di brani come Heavy And Roll (con il classico fischio usato da Biff nei primi lavori dei Saxon), Stay True, dove aleggia lo spirito di Lemmy, senza dimenticare l’opener Cheers To The Underground, un inno metallico dedicato ai maestri Accept.
Un album dedicato a chi mantiene intatto il cordone ombelicale che lo tiene legato alla scuola old school, le nuove leve difficilmente troveranno di che soddisfarsi, ma ai Metal Witch non credo interessi più di tanto.

TRACKLIST
1. Cheers to the Underground
2. Flute of Shame
3. God Save the Heroes
4. Heavy and Roll
5. Standing in My Way
6. Stay True
7. Still Going Strong
8. The Heart of England
9. The Man Who Shouldn’t Live
10. Weapons of the Night

LINE-UP
Thorsten Meyer – Bass
Rüdiger Voigt – Drums
Ingo Hinz – Guitars
Lorenz Hoppe – Guitars
Kay Rogowski – Vocals

METAL WITCHES – Facebook

Darkthrone – Arctic Thunder

Arctic Thunder è un riportare le cose a a casa, in maniera molto divertente e metallica, con tante sorprese sonore.

Recensire un disco dei Darkthrone è poco più di esprimere un’opinione.

Ognuno ha già la sua idea di musica, e poi in particolare ogni metallaro ha la sua idea sui Darktrhone. Io personalmente li amo, anche perché in questi anni seguendo sulla rete Fenriz ho potuto vedere e sentire la sua concezione di metal, e se volete del vero metal rivolgetevi a lui. E’ fondamentale, anche per capire questo ultimo disco dei Darkthrone, la parabola fenriziana in rete. Partendo dal presupposto che Fenriz è il deus ex machina del gruppo, ascoltando Arctic Thunder si possono sentire le influenze di Fenriz e le sue passioni metallare, che poi riconducono alla vera attitudine punk metal, in seguito diventata in una sua accezione il black metal. Qui troviamo pure il black metal, ma non solo. Arctic Thunder è anche speed metal, parti di post metal qui e là, ma soprattutto tonnellate di metal, senza tante menate, solo voglia di ubriacarsi, sentire musica ad alto volume e muovere la testa su è giù. Sicuramente questo ultimo disco è migliore del precedente, che personalmente considero il peggiore della loro discografia, ovvero Underground Resistance. Si può trovare un po’ di tutto, e spesso in trenta secondi si vira dal black metal allo speed metal anni ottanta, ed è tutto molto bello, alla maniera di Fenriz che è forse il più attento e devoto ascoltatore del metal nel mondo. Seguite anche la sua pagina su soundcloud, e ne avrete molte gioie. In definitiva Arctic Thunder è un riportare le cose a a casa, in maniera molto divertente e metallica, con tante sorprese sonore. Ascoltatelo, poi ognuno la pensi come vuole, ma per favore non fate i black metallers duri e puri, che Satana vi prenderebbe a calci in culo.

TRACKLIST
1.Tundra Leach
2.Burial Bliss
3.Boreal Fiends
4.Inbred Vermin
5.Arctic Thunder
6.Throw Me Through The Marshes
7.Deep Lake Tresspass
8.The Wyoming Distance

LINE-UP
Gylve Fenriz Nagell
Ted Skjellum

DARKTHRONE – Facebook

Final Solution – Through The Looking Glass

Una serie di cavalcate metalliche veloci e potenti, eseguite con piglio e personalità.

I Final Solution irrompono sul mercato underground metallico tramite l’attivissima label nostrana logic(il)logic Records, con questa piccola bomba sonora dal titolo Through The Looking Glass.

Il gruppo capitanato dal chitarrista Fabio Pedrali, in passato axeman degli Hellcircles, licenzia questo bellissimo ed arrembante lavoro, incentrato su sonorità power prog seguendo le linee guida dei maestri americani Symphony X, ma accentuando l’anima estrema del sound, ricordi di un passato da melodic death metal band.
Ne esce un album violentissimo, sempre alla massima tensione, ma valorizzato dall’ottima tecnica dei musicisti, una serie di cavalcate metalliche veloci e potenti, eseguite con piglio e personalità.
Prodotto benissimo, così da mettere in luce tutti i dettagli che compongono il sound (la sezione ritmica è un uragano) Through The Looking Glass stupisce per la già notevole padronanza del proprio sound da parte del gruppo, una raccolta di brani, dove si nota l’elevata maturità del combo, in grado di lasciare nell’ascoltatore l’impressione di band navigata e non certo al debutto.
Funziona tutto perfettamente, dai suoni, alle ritmiche da mitragliatore impazzito, dall’ottimo lavoro sulle sei corde, al cantato che, se ricorda Russell Allen non dimentica di mantenere un approccio comunque personale.
Si parlava dei Symphony X, influenza o ispirazione (fate voi) del gruppo nostrano, ed in effetti Through The Looking Glass non può che ricordare i momenti più heavy della discografia del combo di Romeo, solo che i Final Solution accelerano le ritmiche, aggiungono al cantato, già di per se aggressivo del buon Mario Manenti, growl di estrazione death che deflagrano in tutta la loro potenza nella già devastante atmosfere dei brani.
Dopo l’intro, Sick Of You fa capire che qui la tempesta si fa intensa, power metal oscuro, veloce ed impreziosito da interventi chitarristici da manuale, dal taglio chiaramente progressivo.
Via una e sotto con Demon Inside: drumming straordinario, furia metallica, cambi di tempo che mantengono la velocità al limite dell’umano e le voci che alternano rabbia estrema e melodia metallica.
La furia tempestosa continua a fare danni, la band non smette di stupire tra ritmi indiavolati e chorus perfetti, il growl fa capolino come se la parte estrema facesse a spintoni con quella prog metal, e l’ascolto se ne giova travolti da Empty Walls, The Show Is On e Dogs Of War.
Questo è un lavoro che sprizza entusiasmo, voglia di emergere e talento: qualche volta la band si specchia un po’ troppo nel famoso gruppo americano, ma non vedo il problema, perciò fate vostro Through The Looking Glass senza se e senza ma.

TRACKLIST
01. Awakening
02. Sick Of You
03. Demon Inside
04. Empty Walls
05. The Show Is On
06. (R)Evolution
07. Dogs Of War
08. Grey

LINE-UP
Mario Manenti – Vocals
Fabio Pedrali – Guitars
Alessandro Martinelli – Guitars
Gabriele Savoldi – Bass
Gianluca Borlotti – Drums

FINAL SOLUTION – Facebook

In Aeternum – The Blasphemy Returns

Un buon ep che lascia la speranza su un sospirato ritorno sulla lunga distanza

In bilico (a livello di popolarità) tra l’underground e uno status più consono al livello della propria proposta, gli svedesi In Aeternum hanno da sempre tenuto alta la bandiera del black metal svedese, con quella componente di thrash e melodia che hanno fatto di questo sound uno dei migliori e più conosciuti modi di suonare metal estremo.

Attivo dalla prima metà degli anni novanta, il gruppo di Sandviken ha licenziato solo quattro album, colmando la sua discografia di ep e split, ma la qualità delle uscite è sempre rimasta a mio parere molto alta, come confermato da questo nuovo ep che riprende nel titolo il primo bellissimo album targato 1999, Forever Blasphemy.
The Blasphemy Returns, licenziato per la Pulverised Records infatti riprende nel titolo il primo e famoso album del gruppo, è composto da quattro brani: due tracce inedite, più la nuova versione di Majesty of Fire, brano che apriva quel lavoro e la cover di I Am Elite dei conterranei War.
Siamo scaraventati ancora una volta nel suono che fece fuoco e fiamme nel nord Europa dai primi anni del decennio novantiano, e non poteva essere altrimenti, le quattro songs sono sparate a velocità della luce, premendo il pedale a tavoletta tra attitudine black e partiture thrash come da copione, ed il tutto funziona ancora molto bene.
Le due tracce inedite (Wolfpack e Stench of Victory) non mancano di far danni, devastanti, potenti e dal forte sentore di anticristianità, con la puzza di zolfo che esce copiosa dagli altoparlanti.
Il suono è quello storico, portato alla luce dai Dissection e personalizzato dal gruppo con iniezioni letali di thrash metal slayerano e robuste scudisciate alla Angelcorpse; d’altronde stiamo parlando di un gruppo che il genere lo sa suonare al meglio, confermando che dalle loro parti la fiamma nera è più accesa che mai.
Un buon ep che lascia la speranza su un sospirato ritorno sulla lunga distanza (l’ultimo Dawn of a New Aeon è ormai di undici anni fa).

TRACKLIST
1. Wolfpack
2. Stench of Victory
3. Majesty of Fire (2016 Version)
4. I Am Elite (War cover)

LINE-UP
David “Impious” Larsson – Guitars, Vocals
Perra Karlsson – Drums
Claes “Clabbe”- Ramberg Bass
Joel Lindholm – Guitars (lead)

IN AETERNUM – Facebook

Crowbar – The Serpent Only Lies

Suono potente e che dà dipendenza, i Crowbar sono tornati e la sofferenza continua.

Tranquilli, i Crowbar sono in gran forma. Eravate forse preoccupati di trovare un disco molle? Non mi sembra che i Crowbar abbiano mai sbagliato un disco.

E The Serpent Only Lies è un disco tipico del gruppo di New Orelans, pieno di riffoni pesanti, con la voce di Windstein che ci ricorda della sofferenza che noi chiamiamo vita, e il gruppo che va come uno schiacciasassi. I Crowbar negli anni, nonostante qualche pausa dovuta ai molti progetti paralleli di Kirk, sono sempre stati sinonimo di pesantezza, e alla fine sono rimasti i portatori del vero suono di New Orleans. Questo disco in particolare segna un ritorno agli inizi. Proprio Windstein ha affermato che, per produrre questo disco, è andato a risentire con attenzione i primi dischi del gruppo, ascoltando con attenzione anche quelli di gruppi che lo hanno influenzato all’epoca, come i Trouble, i Melvins, i St. Vitus e i Type O Negative. The Serpent Only Lies è un disco molto potente, prodotto in maniera totalmente adeguata al suono dei Crowbar, ed è notevole. Nel disco il gruppo va al meglio delle proprie possibilità, regalando pezzi potenti ma anche ottimi passaggi più cadenzati, mostrando sicuramente più varietà rispetto alle ultime uscite. Dopo aver girato tanto il suono pesante di New Orleans sta tornando a casa, ritrovando quel tiro che aveva perso. Qui tutto è potente e sofferente, come è giusto che sia in un disco dei Crowbar. La ricerca delle origini gli ha giovato molto, e il tiro dell’album è molto forte, i Crowbar riescono a generare un groove sonoro fatto di sludge, hardcore e stoner che è di loro unica proprietà, e lo fanno davvero bene. Suono potente e che dà dipendenza, i Crowbar sono tornati e la sofferenza continua.

TRACKLIST
01. Falling When Rising
02.Plasmic And Pure
03. I Am The Storm
04. Surviving The Abyss
05. The Serpent Only Lies
06. The Enemy Beside You
07. Embrace The LIght
08. On Holy Ground
09. Song Of The Dunes
10. As I Heal

LINE-UP
Kirk Windstein – Guitar/Vocals
Matt Brunson – Guitar
Tommy Buckley – Drums
Todd Strange- Bass

CROWBAR – Facebook