Icy Steel – Through The Ashes

Dopo due ascolti non potrete fare ameno di urlare verso il cielo, in un’atmosfera delirante di conquista e vittoria.

Lucidate le spade, calzate le armature e foderate gli scudi, gli Icy Steel sono tornati, ancora una volta tramite la label tedesca Pure Steel (dopo la parentesi My Graveyard Productions con il precedente Krònothor) e Through The Ashes risulta un esempio tangibile dell’enorme potenziale del gruppo sardo, almeno per quanto riguarda l’heavy metal dagli spunti epici e manowariani.

Per chi non conoscesse il gruppo proveniente da Sassari, ricordo che si sta parlando di una realtà attiva dal 2005 e con tre full length sul groppone, il primo omonimo album uscito nell’ormai lontano 2007, seguito da As the Gods Command del 2010 ed il precedente lavoro licenziato quattro anni fa.
Fondati da quell’animale metallico che è  Stefano Galeano (voce e chitarra) e con una storia comune a molte band, con cambiamenti di line up in corso d’opera, il grupposi assesta con il condottiero sardo a capitanare un manipolo di eroi composto da Pietro Bianco alla sei corde, Flavio Fancellu alle pelli e Carlo Serra al basso, fautori di un’opera epica sopra le righe, in formato doppio cd con il primo (Before) a rinverdire la tradizione metallica della band, ed il secondo (After) a coglierne l’anima introspettiva ed acustica.
Si parte nel migliore dei modi con il metallo epico e coinvolgente del primo cd, un ottimo esempio di come l’heavy metal classico ed epico conquisti ancora la palma di genere re della musica a sfondo guerresco.
Before è un’apoteosi di atmosfere battagliere, orgoglio metallico che sfiora la perfezione, prodotto benissimo e valorizzato da un lotto di brani che grondano fierezza.
Sarà anche la provenienza dei nostri (il popolo sardo, senza nulla togliere agli altri, è uno dei più fieri del Mediterraneo), sarà un songwriting in stato di grazia, ma il lotto di brani qui presentato sbaraglia la concorrenza nel genere: Galeano si dimostra singer di altra categoria e la sei corde con i suoi assoli è una spada affilata piantata nel costato dei nemici affrontati in battaglia.
Epicità alla massima potenza, con una serie di tracce (la forma canzone qui è alla massima potenza) che dopo due ascolti vi spingeranno ad urlare al cielo, in un’atmosfera delirante di conquista e vittoria.
The Day Became Night, Last Thing To Destroy, …And The Warrior Return, sono straordinarie interpretazioni del classico metallo epico che collegano la band a realtà importantissime della storia del genere come gli amatissimi Manowar, gli inarrivabili Warlord e i meno conosciuti Slough Feg.
Si cambia cd ed entriamo nel mondo più poetico e folk degli Icy Steel con cinque brani acustici, cinque atmosferiche tracce che ci presentano il lato più riflessivo del combo.
La battaglia è giunta al termine e i guerrieri intorno al fuoco ringraziano gli dei per essere sopravvissuti ancora una volta e per poter tornare al più presto a combattere: le sei corde ricamano armonie acustiche dall’alto della tecnica dei protagonisti, con sfumature progressive che lasciano senza fiato, assolutamente non banali e piacevolmente strumentali come Inside The Glass Place e la conclusiva Shaman’s Death.
Album bellissimo ed emozionante, un affresco di metallo epico e classico che non si può ignorare, pena la morte a fil di spada …

TRACKLIST
CD1 – Before
1 Last Man On The Earth
2 Fire And Flames
3 The Day that Became Night
4 Ritual Of The Wizard
5 Last Thing To Destroy
6 …And The Warriors Return
7 Today The Rain Cries
8 The Earth After Man

CD2 – After (unplugged)
1 Bard’s Dreams In The Silent Woodland
2 Ashes Of Glory
3 Inside The Glass Place
4 Shaman’s Death
5 The Weight of Signs

LINE-UP
Stefano “Icy Warrior” Galeano – Guitars and Vocals
Pietro Bianco – Guitars
Flavio “Athanor F.D.H.” Fancellu – Drums
Carlo Serra – Bass

ICY STEEL – Facebook

Styxian Industries – Zero.Void.Nullified {Of Apathy and Armageddon}

Zero.Void.Nullified è un lavoro valido, ma il potenziale della band sembra superiore al risultato ottenuto sul campo: una serie di riff azzeccati uniti ad una prestazione tecnicamente valida non valgono per ora qualcosa in più di un’abbondante sufficienza.

L’esordio su lunga distanza per gli olandesi Styxian Industries arriva finalmente sotto l’egida della tentacolare Satanath Records, dopo diversi anni ed una serie di lavori di minutaggio ridotto.

Zero.Void.Nullified è un’opera devota al black di matrice industrial, una materia che viene trattata in maniera piuttosto efficace dal trio dei Paesi Bassi, anche se la tendenza oscilla tra un’adesione alle sfuriate canoniche del genere e l’approdo a ritmiche elettroniche, senza che si vada quasi mai a sconfinare nella danzabilità dei primi The Kovenant.
Il disco si dipana in maniera interessante, anche se talvolta affiora nei nostri un’indole un po’ troppo ondivaga, poiché nel complesso viene a mancare per continuità sia la martellante pesantezza dell’industrial sia la ferocia nichilista del black: il risultato è un compromesso tra queste due componenti che offre buoni risultati, come la notevole We Took the World, la cangiante Zero Void Nullified e la parossistica Salvation (con clean vocals rivedibili, però) accompagnati ad una serie di brani che, alla lunga, lasciano un po’ di stanchezza, essendo ricchi di potenziale corrosivo ma poveri di riff e spunti capaci di imprimersi a lungo nella mente.
L’operato dei Styxian Industries è tutt’altro che riprovevole, ma la sensazione è che, allo scopo di mantenere un certo equilibrio tra le due componenti, si scelga una via di mezzo che frena uno sviluppo più deciso, e probabilmente costruttivo, in un senso o nell’altro.
Zero.Void.Nullified è un lavoro valido, ma il potenziale della band orange mi sembra superiore al risultato ottenuto sul campo: l’impalcatura è solida, ma i contenuti sono senz’altro migliorabili, e una serie di riff azzeccati uniti ad una prestazione tecnicamente valida non valgono per ora qualcosa in più di un’abbondante sufficienza.

Tracklist:
1. Feed Us
2. You
3. Salvation
4. Revelation
5. Whiskey Vodka Blood
6. Zero Void Nullified
7. Bastard God
8. Wasted World
9. We Took the World
10. Execute Planet Earth

Line-up:
Ms. M – Guitars
Mr F. – Percussion, Drums
Ir T. – Vocals

STYXIAN INDUSTRIES – Facebook

Pentarium – Schwarzmaler

Un album che non lascia dubbi sul valore del gruppo tedesco, un ascolto piacevole per i fans del death metal più melodico

Con i tedeschi Pentarium ci aggiriamo nei meandri del death metal melodico, dalle buone melodie melanconiche che rendono l’atmosfera del sound gotica e dai rimandi dark.

Il gruppo non manca di irrobustire la propria proposta con sfuriate dal mood black e tanto melodic death metal che richiama la tradizione scandinava.
La band nasce una decina di anni fa, alle spalle ha un ep uscito nel 2009, ed un primo full length (Blood For Blood) targato 2012 ed uscito come autoproduzione.
Quest’anno tocca a Schwarzmaler, licenziato dalla Boersma Records, un album che troverà terreno fertile tra gli amanti del death più melodico ed atmosferico.
Il sound guidato dalle tastiere sempre in evidenza non manca di cavalcate estreme valorizzate da un ottimo lavoro delle sei corde, ma come espresso in precedenza sono i tasti d’avorio che hanno il maggior peso sul songwriting, elargendo orchestrazioni gothic e mantenendo il sound estremamente melodico.
Ottimo lo scream che a tratti si trasforma in un growl profondo, così che Schwarzmaler può essere considerato un lavoro riuscito.
Children Of Bodom, nelle veloci parti metalliche tecnicamente ben eseguite, un tocco di Dark Tranquillity ed In Flames e, con l’aggiunta di molta melodia dark/gotica, il gioco è fatto; Vanitas e l’ottima title track che sembra scritta in riva al famigerato lago finlandese, sono le tracce più convincenti di un lavoro discreto, buono in quanto ad appeal melodico, accompagnato da una verve estrema che riconduce senza indugi sui sentieri tracciati dalla band di Alexi Laiho.
Un album che non lascia dubbi sul valore del gruppo tedesco, un ascolto piacevole per i fans del death metal più melodico ed una buona uscita targata Boersma Records: di questi tempi ci si può senz’altro accontentare, consigliato.

TRACKLIST
1. Kronzeuge
2. Vanitas
3. Seelenheil
4. Auf schwarzen Schwingen
5. Nimmermehr
6. Totendämmerung
7. Macht durch Angst
8. Gevatter Tod
9. Am Waldesrand
10. Drachenstein
11. Weltenbrand
12. Schwarzmaler

LINE-UP
Carsten Linhs – Vocals
Hendrik Voss – Guitar
Florian Jahn – Guitar
Fabian Laurentzsch – Bass guitar
Philip Burkhard – Keyboards / Synthesizer
Max Peev – Drums

PENTARIUM – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=EiQuLsxCIW0

Endalok – Englaryk

Il black metal è soltanto il punto di partenza per questo gruppo, che fa un genere a se stante, con molti riverberi ed ombre, quasi da indurre nell’ascoltatore una vertigine.

Demo in cassetta per questo gruppo black provieniente dalla fertile Islanda, che ultimamente è molto incline al black metal, ed ovviamente, come tutte le cose che vengono da quell’isola è di ottima qualità.

Il black metal è soltanto il punto di partenza per questo gruppo, che fa un genere a sé stante, con molti riverberi ed ombre, quasi da indurre nell’ascoltatore una vertigine, come se si staccassero ombre dagli strumenti per invadere i nostri incubi. La loro musica sembra provenire da un ‘altra dimensione, la stessa nella quale stanno i demoni e coloro che sono morti invano. Gli strumenti sembrano ognuno andare per conto loro, ma in questa apparente dodecafonia il senso è chiaro: non c’è senso, e saremmo pazzi a cercarlo. Bisogna abbandonarsi a questo flusso di musica pesante ed ombre. Gli Endalok come detto prima, giocano in un campo tutto loro, con una proposta davvero particolare e molto interessante. Questa cassetta è soltanto la prima uscita per loro, poiché poi seguirà il disco su lunga distanza, sempre per la portoghese Signal Rex, che non sbaglia un gruppo. Questa è musica che funziona da porta dimensionale, si passa per andare oltre, seguendo il nostro destino. E’ davvero notevole il percorso che sta facendo il black metal, che grazie a dischi come questo entra in territori inesplorati e fertili, andando in mille direzioni con una velocità impressionante, in continua evoluzione.
Cassetta di un’altra dimensione.

TRACKLIST
1.Hræ Guðs Fargað
2.Óhugnaðurinn
3.Englaryk
4.Formlaust

ENDALOK – Facebook

Sacred Steel – Heavy Metal Sacrifice

Heavy Metal Sacrifice, con tutti i pregi e i difetti di un suono che non produce novità di sorta, è un buon lavoro anche per chi si imbattesse solo ora nei cinque guerrieri teutonici.

Tornano i Sacred Steel di Gerrit P. Mutz, dopo tre anni dall’ultimo The Bloodshed Summoning, con un nuovo capitolo di una discografia iniziata vent’anni fa e che li ha incoronati come una delle migliori band di musica heavy dai tratti epici, tra violenza metallica e ritmiche power/thrash.

Heavy Metal Sacrifice (titolo che risulta una dichiarazione di intenti), è il nono album della band, un buon risultato di questi tempi, anche se le luci della ribalta metallica si sono leggermente offuscate e i tempi d’oro di Wargods of Metal e Bloodlust sono ormai lontani.
Poco male, il nuovo album continua la tradizione del gruppo, il sound non concede compromessi di sorta e per i fans tutti i cliché di una proposta ormai collaudata sono presenti alla grande anche su questo lavoro.
Registrato presso i Music Factory Studio Kempten in Germania e prodotto da Christian Schmid e dagli stessi Sacred Steel, Heavy Metal Sacrifice dispensa fierezza metallica, colmo di anthem, chorus e solos che faranno la gioia dei true defenders.
Sempre sugli scudi la voce di Mutz, un concentrato di potenza ed orgoglio, perfetto come al solito nell’esaltare la parte più truce e guerriera che è in noi, con una prova da condottiero metallico, capitano di questa macchina da guerra dalle ritmiche che alternano come al solito mid tempo potentissimi ed accelerazioni al limite del thrash, con i Judas Priest a benedire ancora una volta i musicisti/guerrieri prima della battaglia e gli Slayer a proteggerli sul campo.
Il suono esce pieno e potente valorizzando gli undici brani qui presenti, la prova dei musicisti è indiscutibile (specialmente la sezione ritmica, vero motore inesauribile del gruppo) e l’heavy metal classico potenziato da massicce dosi di power/thrash, marchio di fabbrica dei nostri, non perde un’oncia dell’immancabile esaltazione che produce negli amanti di un suono forgiato negli anni.
Heavy Metal Sacrifice,con tutti i pregi e i difetti di un suono che non produce novità di sorta, senza arrivare al livello dei lavori storici del combo è comunque un buon lavoro, sicuramente gradito dai fans del gruppo ma soddisfacente anche per chi si imbattesse solo ora nei cinque guerrieri teutonici.

TRACKLIST
1. (Intro) Glory Ride
2. Heavy Metal Sacrifice
3. The Sign Of The Skull
4. Hail The Godz Of War
5. Vulture Priest
6. Children Of The Sky
7. Let There Be Steel
8. Chaos Unleashed
9. The Dead Walk The Earth
10. Beyond The Gates Of Nineveh
11. Iron Donkey

LINE-UP
Gerrit P. Mutz – vocals
Jonas Khali – guitars
Jens Sonnenberg – guitars
Kai Schindelar – bass
Mathias Straub – drums

SACRED STEEL – Facebook>/a>

Solitvdo – Hierarkhes

DM possiede la capacità di ammantare ogni brano di un’aura solenne e al contempo malinconica

Dopo l’ottimo esordio su lunga distanza con Immerso in Un Bosco di Querce, del 2014, il musicista sardo DM si ripresenta con un nuovo lavoro targato Solitvdo.

Hierarkhes, questo è il titolo, segna un ulteriore passo in avanti nel percorso musicale di questo progetto che prende le mosse dal black per contaminarlo con sonorità epiche e magniloquenti.
Rispetto al suo predecessore cambiano le tematiche trattate, sicché la poetica elegiaca di cui erano intrise le varie tracce di quel lavoro viene sacrificata a favore di testi inneggianti al valore e all’eroismo, con ampi riferimenti alla storia dell’antica Roma (anche se i testi, nonostante i titoli dei brani, sono integralmente in italiano).
Devo ammettere che per indole non sono un grande estimatore di questo tipo di scelte liriche, ma se il tutto viene inserito in un’opera dello spessore musicale di Hierarkhes, questo diviene un mero dettaglio: DM possiede la capacità di ammantare ogni brano di un’aura solenne e al contempo malinconica, senza far ricorso a particolari virtuosismi, ma lasciando che soprattutto le tastiere si assumano l’onere di condurre il suono laddove egli predilige.
E’ anche vero che le tematiche spesso corrispondono all’umore dei brani, per cui Hierarkhes, Aristokratia e la notevole Fides, Pietas, Gravitas, Virtus spiccano appunto per la lor solennità, mentre il lato più meditabondo ed introspettivo trova il suo naturale sfogo nello strumentale Devotio – Marco Curzio e nella conclusiva Il Silenzio, che riporta i testi su un piano più filosofico-esistenziale, del tutto in sintonia con l’afflato melodico di una traccia invero magnifica.
Hierarkhes consolida così lo status del nome Solitvdo quale ennesima espressione di una scena black atmosferica che nel nostro paese sta offrendo diversi frutti prelibati.
L’album è disponibile sia in cd (Naturmacht Productions) che in musicassetta (Eremita Produzioni).

Tracklist:
1. Hierarkhes
2. Aristokratia
3. Devotio – Marco Curzio
4. Fides, pietas, gravitas, virtus
5. Il silenzio

Line-up:
DM All instruments, Vocals

SOLITVDO – Facebook

Cancer Spreading – Ghastly Visions

Non adatto per i deboli di cuore e per chi cerca soluzioni melodiche anche nel metal estremo

Il death metal nell’underground nazionale è ben radicato, dalla Sicilia all’Alto Adige abominevoli creature estreme escono dalla putrida terra per portare il loro messaggio di nichilismo e morte: brutal, grind e death metal si nutrono di queste realtà dall’alto potenziale distruttivo ma non solo.

Negli ultimi anni la qualità delle proposte nel genere si è alzata notevolmente, a dispetto di un mercato inflazionato da decine di uscite discografiche, mantenendo alta l’attenzione degli addetti ai lavori.
Dal più profondo abisso dell’underground estremo tornano i modenesi Cancer Spreading con il loro nuovo lavoro licenziato in edizione limitata in vinile, secondo full length che segue The Age Of Desolation del 2011.
Un death metal terrificante, un assalto sonoro senza pietà ed un odio per il genere umano che si amplifica in queste dieci tracce nichiliste e pregne di violenza crust, un metal soffocante e atroce, un impatto sull’ascoltatore destabilizzante e senza soluzione di continuità.
Ghastly Visions si potrebbe definire un’opera old school, ed in effetti produzione e richiami più o meno espliciti a Obituary, Asphyx e compagnia di serial killer portano dritti verso il ritorno del sound classico, ma il gruppo non si ferma ad un recupero di queste sonorità e le estremizza con dosi di crust ed un impatto hardcore nascosto da una soffocante atmosfera mortifera.
Cavalcate spaventose sostenute da una sezione ritmica da tregenda, frenate dove le sei corde creano muri di suoni lenti e lavici, oscuri e pesanti, mentre un growl bestiale vomita disprezzo: un tuffo nel marcio e putrido mondo visto dalla parte dei Cancer Spreading, una macchina da guerra devastante che ha pochi rivali in impatto ed attitudine.
Non adatto per i deboli di cuore e per chi cerca soluzioni melodiche anche nel metal estremo, Ghastly Visions travolge come un vento atomico e di voi non rimarrà che l’ombra disegnata su un muro.

TRACKLIST
1. Blood-soaked Ocean of Isolation
2. Ghastly Visions
3. Oppressive Negativity
4. Putrid Angel
5. The Day I Dreamt a Nightmare
6. The Hanged Corpse
7. Fragments of Filth
8. Sinners Shall Weep
9. Psychosomatic Nausea
10. Cloaked In Nothingness

LINE-UP
Otta – Drums
Jacopo – Guitars
Merlo – Guitars
Gabri – Vocals
Matteino – Bass

CANCER SPREADING – Facebook

Excuse – Goddess Injustice

Goddess injustice è un ep rivolto a chi ama lo speed metal classico, ma sarà apprezzato dai thrashers.

Puro e furioso speed metal finlandese come avrebbero voluto farlo tanti gruppi negli anni ottanta, senza esito positivo perché non avevano la classe e la carogna di questi ragazzi.

Secondo episodio su supporto fonografico per questo gruppo che ha esordito nel 2013, e si è subito fatto breccia nel cuore di tanti metallari. Gli Excuse in realtà scuse non ne fanno e vanno velocissimi, con un impianto sonoro che ricorda sì come detto sopra lo speed metal anni ottanta, ma varia per alcuni elementi originali che ci sono, diciamo simili, ma molto meglio, rispetto a gruppi thrash recenti come i Municipal Waste. Dischi come questo fanno la gioia dei veri metallari e di tutti coloro che vogliono sentire un disco che diverte, anche grazie ad una grande potenza, perizia e velocità. Questi finlandesi sanno come far pogare la gente e con questo ep dovrebbero conquistare una più ampia fetta di pubblico, anche perché il loro genere di riferimento non è così inflazionato, ma soprattutto manca di gruppi validi come loro. Infatti per pubblicarli si sono unite due etichette come la Shadow King e la Hellsheadbangers che di metal vero ne sanno molto. Goddess Injustice è un ep rivolto a chi ama lo speed metal classico, ma sarà apprezzato dai thrashers.

TRACKLIST
1.Obsessed… With The Collapse Of Civilization
2.Breaking News (We Told You So!)
3.Invitation From Beyond
4.Baphomet

Blackgate – Ronin

Ronin è un buon lavoro che sicuramente non cambierà la storia della nostra musica preferita ma sprigiona molta energia e, sopratutto, risulta un sincero tributo all’heavy metal.

I Ronin, nella cultura del Sol Levante, sono una particolare frangia dei più famosi Samurai, quelli che hanno perso il legame con il proprio signore per la morte di quest’ultimo o per la perdita di fiducia nei loro confronti, diventando guerrieri erranti.

Sulla copertina del primo lavoro dei power thrashers americani Blackgate campeggia proprio uno di questi bellicosi guerrieri giapponesi, ai quali il titolo è dedicato, mentre sullo sfondo un paese è in preda ad un furioso incendio.
Fuoco e fiamme metalliche, che si alimentano con il power metal del quintetto del Michigan, potenziato da potenti ritmiche thrashy e solos di chiara ispirazione heavy.
Un album old school, per dirla come va di moda in questi anni, composto da quattordici brani che comprendono anche quelli del primo ep uscito un paio di anni fa, un po’ prolisso per l’ora abbondante di durata, che nel genere è veramente tanta, ma probabilmente il gruppo ha cercato di presentarsi all’appuntamento con il primo full length con tutta la musica a disposizione.
Power metal, speed e thrash si alleano per formare il sound di Ronin, le tracce mantengono un approccio metallico molto ottantiano, diretto quel tanto che basta per avvicinarsi al mood del thrash metal, senza dimenticare la lezione dei gruppi classici, più europei che americani a dire il vero, ma questo è un dettaglio.
Ronin incalza e i primi sette brani sono saette metalliche che squarciano il cielo notturno, mentre il paese brucia; alla velocità della luce le varie BPS, la titletrack, l’ottima The Soldier sparano mitragliate ritmiche, che si trasformano in cavalcate chitarristiche di buona fattura e supportate da una produzione sufficientemente in linea con i prodotti odierni.
La seconda parte del disco regala i brani migliori: le lunghe The Veil e Last Son guardano all’heavy metal dei classici Maiden e Priest, velocizzati e tributati dai riff e solos in uscita dalle due asce, mentre Iron Legion torna a solcare territori thrash, questa volta con il basso in grande evidenza.
Ronin è un buon lavoro che sicuramente non cambierà la storia della nostra musica preferita ma sprigiona molta energia e, sopratutto, risulta un sincero tributo all’heavy metal.

TRACKLIST
1. Bps
2. Ronin
3. Dying Age
4. Horizon’s Fall
5. Caesar
6. The Soldier
7. You Better Run
8. Beneath
9. The Veil
10. Last Son
11. I Am the Night
12. Iron Legion
13. Hollow Men
14. Bps (Reprise)

LINE-UP
Ryan Lunsford – Drums
Jeff Kollnot – Guitars
Matt Cremeans – Guitars
David Cuffman – Vocals
Zach Flora – Bass

BLACKGATE – Facebook

Khepra – Cosmology Divine

Cosmology Divine è un’opera da non perdersi per alcun motivo, specialmente se si apprezza il symphonic death con sfumature folk orientali

Esordiscono per Rain Without End i turchi Khepra, intrigante realtà in grado di fondere umori mediterranei e mediorientali con il death sinfonico.

In effetti, i nostri fino a qualche tempo fa si chiamavano Gürz ed erano dediti ad una più canonica forma di folk metal: il salto di qualità stilistico li porta oggi scendere su un ipotetico stesso terreno degli attuali Septicflesh, ma questa è un’indicazione di massima, visto che in Cosmology Divine vi sono anche altre nobili sfumature.
Indubbiamente il trio di Istanbul prende ispirazione dal sound proveniente dalle sponde opposte dell’Egeo (Septicflesh, come detto, e Rotting Christ) ma anche da quelle del Mediterraneo sudorientale (Orphaned Land), innestandovi mirabilmente la proprie radici folk: il risultato è convincente sia quando attinge in maniera piuttosto scoperta all’operato della band dei fratelli Antoniou (We Are Descending, Obsession of the Mad, l’elaborata Cosmology Divine) sia quando spingono maggiormente sul versante black death (Ara Hasis, la magnifica Enki, Evil Incarnate).
L’interpretazione vocale di Dou Kalender è efferata il giusto e viene accompagnata da una prova di grande qualità da parte di una band di indiscusso spessore; non deve sminuirne l’operato, d’altro canto, il fatto che la commistione tra metal estremo, pulsioni sinfoniche e folklore mediorientale sia già stata introdotta in precedenza da altri: il sound dei Khepra è sufficientemente personale e ricco di inventiva e, tutto sommato, sembra a tratti persino più ispirato rispetto alle ultime uscite delle citate band di riferimento.
In buona sostanza, Cosmology Divine è un’opera da non perdersi per alcun motivo, specialmente se si apprezzano di base queste particolari sonorità.

Tracklist:
1. Atra Hasis
2. Enki (Diaries of a Forgotten God)
3. Desolation
4. We are Descending
5. Obsession of the Mad
6. Steps of Immortality
7. Evil Incarnate
8. Into the Cosmic Disharmony
9. Cosmology Divine
10. Through the Cosmic Web of Voids

Line-up:
Kenan Turandar – Bass
Dou Kalender – Vocals, Guitars
Tolga Köker – Guitars
Erce Arslan – Drums

KHEPRA – Facebook

Moon – Render the Veils

Miasmi , vortici, uragani e vertigini possono sostenere a malapena un’isteria immaginifica in cui ottanta minuti vengono sostenuti a malapena.

Dopo la catastrofe rimane solo l’eco impronunciabile del dramma. Miasmyr Moon conferma il suo status, devoto al manifesto intitolato “Caduceus Chalice” firmato nel 2010 in Australia, terra nativa di credenze, rituali e fantasie bizzarre.

“Apparitions ” e “Blood”, in quanto ep, sono stati dei validi tentativi per creare le basi di un pavimento marcio e lercio, aggettivi che suonano bene come chiasmo per definire lo stile unico e riconoscibile !
Non ci sono paragoni che possano competere come esempi e per questo è ancora più godibile l’ascolto che ci riporta in un ossario, probabilmente, dopo un alluvione o uno smottamento. Render the Veils ha lo stesso schema del precedente disco,  unico nel suo genere e nella futura cronologia, ma con un’attenzione maggiore nel suono. A malapena si distingue cosa venga suonato (gli Abruptum nel 90 avevano suoni ben più definiti) e la lontananza sonora crea un effetto cosmico e interstellare riconducibile solo ad un viaggio catartico che l’anima compie al momento del decesso. Miasmi , vortici, uragani e vertigini possono sostenere a malapena un’isteria immaginifica in cui ottanta minuti vengono sostenuti a malapena. E non di certo perché sia mal suonato. Neptune Towers risulta addirittura più ostico, per cui i fan di Moon possono solo essere contenti del nuovo prodotto; i neofiti come me possono invece rimanere sbalorditi con una nuova scia da seguire per strade buie e desolate come pomeriggi soleggiati a 35° all’ombra. Undici tracce compatte, escatologiche e rinunciatarie possono fare da sottofondo per qualsiasi situazione, sembra cinico dire che in solitudine o in compagnia l’effetto è travolgente: non c’è bisogno di alcuna alterazione artificiale per sentire calare la notte o il giorno. Dipende da quale sia l’emisfero (o pianeta) in cui ci troviamo.

TRACKLIST
1. Immolation Euphoria
2. Modraniht
3. Oration as Vessel of the Void
4. Casting the Shadow
5. As Stars Merge with Ice
6. Souls Secreted in Transparent Cells
7. Tunnels of Lost Thoughts
8. Hanged at the Gates
9. Mirror of Black Souls
10. Corrosion Delirium
11. Cold Delusions

LINE-UP
Miasmyr Moon

MOON – Facebook

Ade – Carthago Delenda Est

Carthago Delenda Est è fin qui la migliore opera creata dal gruppo romano che, con l’aiuto della Xtreem, potrebbe ritagliarsi un suo spazio importante nella scena estrema europea.

Che la Xtreem sia ormai una garanzia di qualità per i fans del metal estremo legati a sonorità death non è una novità: la label spagnola sono anni che ci delizia con ottimi lavori partoriti in ogni parte del mondo e questa volta immette sul mercato l’ultimo lavoro di un gruppo made in Italy, i centurioni Ade.

La band capitolina arriva così al traguardo del terzo full length non prima di aver firmato con il sangue cartaginese il contratto che la lega alla label di Dave Rotten, un ottimo colpo visto il potenziale del quintetto romano.
Carthago Delenda Est continua la tradizione del gruppo, che al proprio metal estremo amalgama atmosfere epiche, guerresche, a tratti cinematografiche e concept basati sulla storia dell’antica civiltà romana, con quella ateniese la più influente ed importante del Mediterraneo.
Gli Ade questa volta ci portano alla conquista di Cartagine e lo fanno con il loro death metal a metà strada tra quello di ispirazione statunitense e quello proveniente dall’est europeo, molto ben eseguito a livello tecnico ed ispirato nelle soluzioni orchestrali.
Il sound non molla la presa ci ritroviamo al centro dello scontro, la carica devastante degli elefanti, le spade e gli scudi che scivolano dalle mani dei guerrieri feriti a morte, l’epicità che regna sovrana ad ogni passaggio, valorizzata da sfumature folkeggianti, sono sorrette da ritmiche tecnicissime e veloci, colme di cambi di tempo e monumentali riff che imprimono alla proposta del gruppo una marcia in più ed una brutalità che non mancherà di far proseliti anche tra gli amanti del death metal più estremo.
Le orchestrazioni non fanno che rendere ancora più epico e magniloquente il sound dei brani che, dalla title,track, opener dell’opera, ci scaraventa come una macchina del tempo in piene guerre puniche.
Grande il lavoro della sezione ritmica, un martello pneumatico impazzito, mentre le asce costruiscono riff su riff e solos che risultano squarci mortali procurate da daghe affilate come rasoi, il growl è brutale, e nasconde dietro l’elmo un mostruoso e crudele condottiero.
Carthago Delenda Est va ascoltato tutto di un fiato, così che vi sembrerà di rivivere le cruente gesta dei soldati romani: come in un kolossal cinematografico, i barriti degli elefanti, i chorus sospesi nel tempo in apertura di Annibalem, l’atmosfera pregna di epica carneficina ed orgogliosa conquista di Excidium, vi regaleranno cinquanta minuti di metal estremo, a tratti entusiasmante.
Carthago Delenda Est è fin qui la migliore opera creata dal gruppo romano che, con l’aiuto della Xtreem, potrebbe ritagliarsi un suo spazio importante nella scena estrema europea.

TRACKLIST
1. Carthago Delenda Est
2. Across the Wolf’s Blood
3. Annibalem
4. With Tooth and Nail
5. Dark Days of Rome
6. Scipio Indomitus Victor
7. Mare Nostrum
8. Zama: Where Tusks Are Buried
9. Excidium
10. Sowing Salt

LINE-UP
Traianvs – vocals
Fabivs – guitars
Caligvla – bass
Nero – guitars
Commodvs – drums

ADE – Facebook

Komatsu – Recipe For Murder One

Una forte struttura grunge, un grande cuore melodico e tante distorsioni.

Gli olandesi Komatsu sono la dimostrazione suonante che ci sono gruppi validissimi che non hanno ancora lo scenario che meritano.

Nati nel 2010, dopo un primo ep autoprodotto nel 201, nel febbraio del 2013 danno alle stampe Manu Armata il loro primo disco. Dopo di che hanno avuto un’intensa attività dal vivo, dato che hanno suonato di spalla a tutti i grandi nomi della scena, come i Queens Of The Stone Age, i Karma To Burn, i Clutch, gli High On Fire e tanti altri.
Ascoltando questo disco si vine colpiti da meraviglia, sopratutto quelli che hanno vissuto la breve ma gloriosa stagione del grunge, che a discapito di una durata non lunghissima ha prodotto cose eccelse, e ha lasciato un’impronta importantissima. Sin dalla prima Scavenger si respira un’aria davvero diversa in casa Komatsu, i giri di chitarra e le evoluzioni della sezione ritmica sono al servizio di un’idea ben precisa di musica, ovvero quello di creare un magma sonoro attivo e coinvolgente, dove tutto gira alla perfezione toccando generi diversi, dallo stoner ad un hard rock mutato. Questi olandesi riescono ad essere davvero coinvolgenti, e stupisce che non abbiano una fama commisurata alla bravura espressa in questo disco, ma forse proprio questa uscita li porterà dove devono stare. Il disco nella sua interezza è uno dei meglio strutturati che si possano sentire ultimamente, nel senso che la composizione è eccelsa, e che non si lascia una pagina bianca od un momento di vuoto temporaneo, perché come nel viaggio da oppiaceo la bolla è perfettamente tonda.
Ci si chiede perché non si possa sempre stare come quando si ascolta questo disco, perché non si possa vivere avvolti da una nube di Komatsu, con il loro groove davvero godibile. Ma come tutti sappiamo non si può vivere come si vuole, anche se questo cd migliora nettamente la nostra vita. Si viene trascinati sulla nave olandese da tanti uncini, ballando come non vi ricorderete da tempo, e la vostra dopamina vi chiederà di cercare questo disco e di metterlo nel lettore.
Ricapitolando, una forte struttura grunge, un grande cuore melodico e tante distorsioni.
Un gruppo davvero grande ed un disco che bisogna essere sordi per non poterlo apprezzare.

TRACKLIST
1 Scavenger
2 The Sea Is Calm Today
3 So How’s About Billy?
4 Lockdown (featuring NICK OLIVERI)
5 A Dish Best Served Cold
6 WTF?!
7 Recipe for Murder One
8 There Must Be SOmething in Your Water
9 The Long Way Home
10 Against All Odds
11 Breathe

LINE-UP
Mo Truijens: Guitar, Lead vocals
Mathijs Bodt: Guitar
Martijn Mansvelders: Bass
Joris Lindner: Drums

KOMATSU – Facebook

Cypecore – Identity

La musica dei Cypecore pesca dal melodic death metal scandinavo dal thrash/groove americano fusi con dosi letali di ritmi ed atmosfere industrial.

La label svedese Adulruna records licenzia il terzo parto di questa creatura nata in Germania che di nome fa Cypecore.

Una band che senza tanti fronzoli ha dato alla luce tre lavori sulla lunga distanza, serza perdersi con lavori minori, da quando nel 2008 uscì Innocent, seguito da Take the Consequence due anni dopo.
Sono passati dunque sei anni dall’ultimo lavoro e Identity conferma la buona proposta del gruppo, un death metal melodico violentato da ritmiche thrash, tanto groove ed una vena industriale che riempe di atmosfera apocalittica e moderna il sound.
Undici tracce comprese di intro ed outro più una bonus track finale, completano questo lavoro che risulta una mazzata niente male, non dimenticando l’importanza della melodia, inserita a valanga nell’uso della doppia voce e nei molti solos e che rendono i Cypecore un buon ascolto anche per gli amanti del classico death metal melodico.
Identity funziona, i colpi mortali e distruttivi inferti da brani come Saint Of Zion, My Confession, Drive e The Void non risparmiano nessuna delle vittime cadute sotto il bombardamento cyber/thrash che la band scatena, l’aura moderna ed estrema rimane intatta anche quando la voce pulita e le melodie chitarristiche smorzano l’effetto devastante che la band riesce ad emanare amalgamando le sue principali influenze concentrandosi, magari troppo, su ritmiche decisamente sostenute.
L’outro strumentale che rivendica l’anima cyber del gruppo, potrebbe essere l’inizio di una virata decisa verso l’industrial, magari sempre sostenuto dalle varie correnti musicali in seno della band; si sente ancora forte l’odore di Soilwork tra le trame di Identity, non un male, semmai un dettaglio, ma la propensione industrial è quella che a mio parere va assolutamente curata da parte del quintetto tedesco.
Identity comunque rimane un buon lavoro, l’impatto è terremotante, così come di livello la produzione, le idee non mancano ed il gruppo ne esce compatto ed estremo il giusto per non deludere gli amanti del metal più moderno.

TRACKLIST
1. Intro
2. Saint of Zion
3. Where the World Makes Sense
4. My Confession
5. Hollow Peace
6. Identity
7. Drive
8. A New Dawn
9. The Abyss
10. The Void
11. Outro
12. The Hills Have Eyes

LINE-UP
Christoph “Chris” Heckel – Bass
Tobias Derer – Drums
Nils “Nelson” Lesser – Guitars
Christoph “Greek” Rogdakis – Guitars, Keyboards
Dominic Christoph – Vocals

CYPECORE – Facebook

Ars Moriendi – Sepelitur Alleluia

Ars Moriendi è un black metal davvero differente, essendo il black solo un punto fermo di partenza, poiché qui dentro troviamo tantissimo, soprattutto una trama compositiva molto vicina al jazz.

Nel medioevo, non quello che stiamo vivendo ma l’altro, quello migliore, e fino al diciassettesimo secolo, la sera della Septuagesima, ovvero la settantesima sera prima della pasqua cristiana, il coro della chiesa seppelliva simbolicamente l’Alleluia durante un funerale simbolico.

Ciò perché l’Alleluia nella liturgia cristiana rappresenta la gioia, per cui il suo seppellimento indicava l’inizio di un duro periodo di meditazione e di pentimento, dove non vi era spazio per gioia e felicità, il tutto nel più pieno spirito medioevale.
Come si poteva esprimere questi sentimenti se non con del black metal, come quello di Arsonist, l’uomo dietro a Ars Moriendi? Questo disco è costruito intorno ad un accadimento liturgico, per espandersi come il ghiaccio nelle fredde notti d’inverno. Il seppellimento dell’Alleluia è il preteso per ricercare con un atmospheric black all’interno dell’animo medioevale la ragione per questa lunga penitenza, indagano un volta di più il nostro male oscuro, che è peggiorato da quando c’è il cristianesimo. Ars Moriendi è poi un black metal davvero differente, essendo il black solo un punto fermo di partenza, poiché qui dentro troviamo tantissimo, soprattutto una trama compositiva molto vicina al jazz. Grazie a tutti questi elementi il disco funziona benissimo, ed è un notevole documento sonoro, una dimostrazione che con il black si possono fare grandi cose, poiché riesce a descrivere benissimo alcuni stati d’animo che si legano chimicamente alle ombre, che sono dentro e fuori di noi. Il mondo di Ars Moriendi è perduto per la maggior parte degli umani, ma chi ascolterà questo disco con uno certo spirito, ritroverà molte cose importanti. Il metal viene percorso per gran parte, con alcuni riff che ci riportano al vero metal anni ottanta, per poi arrivare addirittura ad inserti trip hop. Varietà ma non confusione, ed una grande forza compositiva per un album molto bello, moderno ma antico nello stesso tempo.

TRACKLIST
01. Sepeliture
02. Ecce homo
03. A La Vermine
04. Je Vois Des Mortes
05. Fleau Francais

ARS MORIENDI – Facebook

Colemesis – Vivisección (re​-​release)

Il gruppo agitava le acque davanti alle coste del paese centroamericano con dosi massicce di growl profondi ed assassini, e la poca tecnica veniva sostituita dall’impatto e dalla voglia di far male.

Uscito originariamente in cassetta nel lontano 1992, viene ora ristampato dalla Symbol of Domination Prod. il primo demo dei costaricani Colemesis, band come detto attiva dai primi anni novanta e realtà della scena del loro paese.

Solo due full length per il gruppo centroamericano (Still Oppression Rules del 1995 e Hellritage uscito tre anni fa), una carriera interrotta più volte ed una serie di ep e singoli, troppo poco per considerarli una band storica del genere, anche se Vivisección ,considerato l’anno di uscita, mostra una sufficiente vena estrema dal classico stile sudamericano, pescando dal death metal Bay Area e infarcendolo di sonorità thrash con una predisposizione evil senza compromessi.
Il gruppo all’epoca agitava le acque davanti alle coste del paese che divide il continente americano con dosi massicce di growl profondi ed assassini, e la poca tecnica veniva sostituita dall’impatto e dalla voglia di far male; la produzione non è delle migliori ovviamente, ma in giro si sente di peggio, specialmente se consideriamo l’anno di uscita e i pochi mezzi a disposizione dei quattro deathsters costaricani.
Massiccio pezzo di metal estremo che più underground di così non si può, Vivisección aggiunge poco al genere ma promette di far conoscere una realtà estrema che vive ancora oggi, pur con tutte le difficoltà che la provenienza impone.
Siamo nel death metal old school di estrazione statunitense e i Colemesis richiamavano il sound delle migliori band dei primi anni novanta come Morbid Angel e Obituary: dunque, se siete fans accaniti del genere un ascolto potrebbe riservarvi il piacere nel conoscere vecchi adepti, magari sconosciuti ai più delle sonorità estreme di scuola death metal.

Tracklist:
1. Intro Otomicosis
2. Paralelismo Humano
3. Viviseccion
4. Hypergeo
5. Equilibrio Capital
6. Outro
7. Maldicion Malinche

Lineup:
Fabbian Bonilla: Vocals / Guitar
Gabriel Molares: Guitar
Michael Mory: Bass
Emilio Cortes: Drums

COLEMESIS – Facebook

Abske Fides – O Sol Fulmina a Terra

Gli Abske Fides si rendono autori di un lavoro che li porta di prepotenza alla ribalta della vivace scena doom brasiliana.

In occasione della recensione dell’omonimo full length d’esordio degli Abske Fides, esprimevo la sensazione che il lavoro costituisse ancora un momento i passaggio, alla luce delle diverse influenze che andavano ad intaccare la solida base doom.

Proprio questa apparenza ondivaga, unita ad un ricorso frequente a clean vocals quanto meno rivedibili, mi aveva lasciato leggermente perplesso e, quindi, non posso che esprimere la massima soddisfazione nel costatare che, con questo O Sol Fulmina a Terra, la musica del destino torna ad ammantare in toto il sound del gruppo brasiliano stendendovi sopra il suo velo luttuoso e la sua pesante ineluttabilità.
O Sol Fulmina a Terra, fin dal titolo, non lascia presagire nulla di buono per il futuro di un’umanità allo stremo e impotente di fronte all’inevitabile resa finale: la bravura del trio paulista, in questo caso, risiede nel riuscire a rendere in maniera magistrale questo senso di soffocamento e disperazione, senza rinunciare ad una costruzione melodica sempre efficace, questa volta abbinata ad un growl efficace che lascia spazi ridottissimi a vocalità pulite.
Anche se ogni tanto qualche scelta sonora non convince appieno, come certe dissonanze chitarristiche nella pur bellissima opener Na Planície Vermelha, gli Abske Fides si rendono così autori di un lavoro che li porta di prepotenza alla ribalta della vivace scena doom brasiliana: l’incedere sofferto di Árido Homem e della conclusiva Terra Vazia rappresenta in pieno la drammaticità di un death doom che non fa sconti, rendendo quasi visibile la disperazione di chi si aggira, ultimo superstite, su una Terra che il Sole, dopo aver cullato per eoni con il suo calore, ha deciso di annientare in maniera definitiva.
L’iniziale afflato melodico di Imóveis Ares è uno dei pochi momenti in cui è possibile collegare l’operato dei nostri a quello dei concittadini HellLight, tanto è differente l’approccio delle due band alla stessa materia, ma è solo un momento, appunto, visto che poi il brano riprende il suo dipanarsi plumbeo per poi rarefarsi nella parte finale e sfociare nell’inquietante strumentale Interregno.
Personalmente sono molto soddisfatto di questa prova, non solo per il suo valore intrinseco, ma soprattutto perché, nel momento in cui una doom band comincia a farsi attrarre da sonorità post metal o progressive, la considero quasi persa alla causa pur comprendendone il desiderio di evolversi verso altre forme musicali: gli Abske Fides dimostrano, con O Sol Fulmina a Terra, che fare un passo indietro talvolta equivale a farne tre avanti, e chi ama questo genere musicale unico non potrà che convenirne con me …

Tracklist:
1. Na Planície Vermelha
2. Árido Homem
3. Imóveis Ares
4. Interregno
5. Terra Vazia

Line-up:
K. – Drums, Bass, Vocals
Nihil – Guitars
N. – Guitars, Vocals

ABSKE FIDES – Facebook

MINDWARS – Sworn To Secrecy

Se amate i pionieri dello Speed-Thrash anni ’80 e quindi gli stilemi del genere non vi disturbano, il disco fa per voi.

Il nome della band evoca subito i grandissimi Holy Terror e, guarda caso, nella band italo-americana milita Mike Alvord, proprio un ex della band californiana fautrice dei capolavori “Terror and Submission” e, appunto, “Mind Wars”.

Mike e Roby Vitari (batterista già con i Jester Beast) nel 2013 decisero di ritornare a proporre questo tipo di sonorità (si erano conosciuti nel 1989 quando gli HOLY TERROR erano in tour in Europa) insieme al bassista Danny “Z” Pizzi. Dopo il trascurabile debutto “The Enemy Within” del 2014, ci propongono quello che un mio caro amico ha definito giocosamente “Vetust-Metal”. Putroppo in Sworn To Secrecy non c’è neanche l’ombra del “Sacro Terrore” che fu (sic!). L’album si apre con la title track e immediatamente ci troviamo catapultati in pieno Speed-Thrash ottantiano senza infamia né lode, riff diretti, ma che abbiamo ascoltato migliaia di volte. Cradle To Grave non cambia di molto, però il rallentamento e il sofferto assolo nel finale, prendono allo stomaco. Il concetto stilistico è ribadito in Lies e tutte le composizioni non escono quasi mai dai solchi di parti alternate tra tempi più veloci e altri maggiormente cadenzati. Il “tiro” non manca e, altro fattore che non aiuta a far decollare Sworn To Secrecy è la voce di Alvord, che si esprime senz’altro meglio sugli episodi meno concitati come in Prophecy. Unico a dare davvero una spinta decisiva per proseguire l’ascolto dell’album è il drumming preciso, energico e ben inserito nelle composizioni. L’album gode di suoni nitidi, l’energia non manca, anche se mi sfugge un po’ il senso di tale proposta nel nuovo millennio. Comprendo la voglia di suonare un genere al quale si è particolarmente affezionati, ma se si mette sul mercato un prodotto si deve possedere la capacità di coinvolgere l’ascoltatore dando il meglio di sé e provando a inserire qualcosa di “nuovo” (qui le virgolette sono d’obbligo). Se amate i pionieri del genere e quindi “il già sentito” non vi disturba, il disco fa per voi, anche perché, senza particolari guizzi, il disco si fa ascoltare. Inoltre il ricorso ad un vocalist più dotato potrebbe portare molti benefici alla band . Li attendiamo comunque fiduciosi alla prossima release.

TRACKLIST
1. Sworn to Secrecy
2. Cradle to Grave
3. Lies
4. Twisted
5. Helpless
6. Scalp Bounty
7. Rest Now (for Tomorrow Comes)
8. No Voice
9. Prophecy
10. Release Me
11. Transporting

LINE-UP
Danny “Z” Pizzi – Bass
Roby Vitari – Drums
Mike Alvord – Guitars, Vocals

MINDWARS – Facebook

Nox Formulae – The Hidden Paths to Black Ecstasy

The Hidden Paths to Black Ecstasy si snoda tra parti più riuscite ed atmosferiche ed altre in cui la parte black avrebbe bisogno di una spinta maggiore e di un lavoro più certosino in sala d’incisione.

The Hidden Paths To Black Ecstasy è il debutto dei Nox Formulae, black metal band greca dal concept esoterico e magico.

Il nome del gruppo si ispira d una formula di magia nera, il gruppo si presenta come una setta esoterica dalle connotazioni luciferine e la musica proposta richiama non poco un’aura messianica, una lunga liturgia satanica pregna di atmosfere oscure e diaboliche.
Il quintetto proveniente da Atene si poggia su una base estrema dalle connotazioni black ispirate alla scena mediterranea: atmosfere magiche ed evocative, il sound non si spinge mai verso l’estremismo musicale del genere, anche se le ritmiche mantengono a tratti una relativa velocità, ma punta tutto su sfumature dark metal, impregnando il sound di un’oscurantismo sonoro black/doom.
Tre voci, tra cui lo scream ed un recitato messianico, ci conducono davanti all’altare ricoperto da un drappo nero dove si consuma la cerimonia in nome di Lucifero; il black metal atmosferico del combo riesce a tratti a coinvolgere, ma sono le parti metalliche che fanno perdere punti all’opera, specialmente quelle più estreme mal supportate da una produzione scadente.
I Nox Formulae danno il meglio quando rallentano le operazioni per convogliare la propria musica in una terrificante lode al maligno, così che l’album può regalare attimi di raggelante musica nera e d evocativa.
Hidden Clan NXN, divisa in due parti, risulta il brano più coinvolgente, valorizzato da un riff ripetuto e drammatico, una cavalcata oscura che mantiene alta la tensione e su cui il recitato diabolico ha una presa pazzesca sull’ascoltatore.
Luci ed ombre per questo esordio, The Hidden Paths to Black Ecstasy si snoda tra parti più riuscite ed atmosferiche ed altre in cui la parte black avrebbe bisogno di una spinta maggiore e di un lavoro più certosino in sala d’incisione.
Non manca certo la convinzione e la band risulta credibile, specialmente nel concept che si porta dietro, perciò se siete affascinati dal mondo oscuro ed esoterico della musica estrema, l’album potrebbe essere di vostro gradimento.

TRACKLIST
1. NOXON
2. The Shadow Smoke
3. Nahemoth Death Plane
4. Voudon Lwa Legba
5. The Dark Brother
6. Yezidic NOX Formula
7. O.D. Dominion
8. Hidden Clan NXN – Pt a. Eleven Rays of Sorat, Pt b. Black Magic Assault
9. XONOX

LINE-UP
Wolfsbane 1.1: Guitars
Monkshood 333: Voice
Nightshade: Voice
Kurgasiaz: Voice
Mezkal: Drums

NOX FORMULAE – Facebook