The Obsessed – The Obsessed

Grandiosa ristampa rimasterizzata del primo disco omonimo dei The Obesessed, uno dei gruppi più influenti nel campo del doom metal e non solo.

Grandiosa ristampa rimasterizzata del primo disco omonimo dei The Obsessed, uno dei gruppi più influenti nel campo del doom metal e non solo.

Il disco era fuori catalogo da vent’anni circa e la Relapse Records ne fa una ristampa di lusso in diversi formati, ma la vera chicca è la presenza del demo mai pubblicato Concrete Cancer, fondamentale per comprendere la genesi e gli sviluppi futuri del gruppo. Fondati dal dio del doom metal Scott Wino Wenirich nel 1975, gli Obsessed sono stati molto di più di un gruppo pionieristico del doom metal, poiché hanno aperto molte porte per diversi stili musicali, che poi in fondo sono una diversa declinazione del rock pesante e del blues, e lo si può capire ascoltando questo fondamentale disco. Gli Obsessed proseguono un discorso iniziato dai Black Sabbath e lo portano ad un altro livello, fondendo la tradizione americana con un suono pesante e lugubre che più tardi prenderà il nome di doom metal. Chitarre ribassate, riff potenti e sezione ritmica “ossessiva”, ma non è tutto così scontato, poiché il gruppo originario del Maryland ha molte frecce al suo arco e le tira fuori tutti. Ci sono accelerazioni improvvise, momenti nei quali la voce di Wino si erge al di sopra di tutto, e anche cavalcate impetuose, come pure momenti di glacialità assoluta, quasi un moto immoto. The Obsessed è un disco che mostra la strada per fare un metal diverso, certamente influenzato dai suoni dell’epoca, ma ci sono moltissimi elementi rock ed un sottobosco blues non indifferente. Il demo Concrete Cancer ci mostra la genesi di questo suono, è un documento preziosissimo testimoniando quanto questi ragazzi avessero le idee chiare fin dall’inizio. Questo disco farà impazzire chi ama un certo metal, in particolare il doom, mentre chi non conosce questo genere, qui troverà un tesoro da scoprire. Sentire questo capolavoro a distanza di anni rende ancora più manifesta la grandezza di un gruppo che ha aperto e asfaltato la strada per molte band che sarebbero venute dopo, pur mantenendo la continuità con la tradizione precedente. The Obsessed ha una forza incredibile, è come un sabba in una dimensione sconosciuta, è minimale, come sarà minimale l’altra creatura di Wino, i Saint Vitus, ma è ricchissimo ed è davvero una pietra miliare. Presente inoltre un Live At The Bayou molto valido e con una qualità audio al di sopra della media, per capire cosa fosse questa band in concerto.

Tracklist
1 Tombstone Highway
2 The Way She Fly
3 Forever Midnight
4 Ground Out
5 Fear Child
6 Freedom
7 Red Disaster
8 Inner Turmoil
9 River of Soul
10 Concrete Cancer (1984 unreleased Concrete Cancer demo cassette)
11 Feelingz (1984 unreleased Concrete Cancer demo cassette)
12 Mental Kingdom (1984 unreleased Concrete Cancer demo cassette)
13 Hiding Masque (1984 unreleased Concrete Cancer demo cassette)
14 Ground Out – Feelingz (live at The Bayou 4-15-1985)
15 Concrete Cancer (live at The Bayou 4-15-1985)
16 No Blame (live at The Bayou 4-15-1985)
17 Mental Kingdom (live at The Bayou 4-15-1985)
18 Tombstone Highway (live at The Bayou 4-15-1985)
19 Iron and Stone (live at The Bayou 4-15-1985)
20 Rivers of Soul (live at The Bayou 4-15-1985)
21 Sittin on a Grave (live at The Bayou 4-15-1985)
22 Freedom (live at The Bayou 4-15-1985)

Lineup:
Scott “Wino” Weinrich – Guitars, Vocals
Mark Laue – Bass
Ed Gulli – Drums

THE OBSESSED – Facebook

Soyuz Bear – Black Phlegm

Black Phlegm è un album che magari non brillerà per la sua varietà ma esibisce un impatto oggettivamente devastante in più di un frangente.

Sludge doom di nortevole impatto per l’esordio su lunga distanza dei francesi Soyuz Bear.

Black Phlegm prende le mosse dalle migliori band del settore (oltre alle dichiarate influenze di Eyehategod e Iron Witch, vanno aggiunti anche gli imprescindibili Dopethrone) e, fin dalle prime note della title track, si capisce che il quartetto di Tolosa non ha nessuna intenzione di indulgere in passaggi che non siano contrassegnati da un riffing di pesantezza non comune.
In poco più di mezz’ora i Soyuz Bear vanno avanti senza tentennamenti con il loro incedere pachidermico ma sempre abbastanza diretto, fatta eccezione per il breve episodio rumoristico intitolato S.W.T.V.M. e per la violenta accelerazione impressa a Scrub.
Per il resto, questo nero monolite si abbatte con violenza sull’ascoltatore senza lasciargli scampo: nei brani più rallentati (Swollen in primis) ogni riff è una martellata che inchioda il malcapitato al suolo, ribadendo che Black Phlegm è un album che forse non brilla per la sua varietà, ma esibisce in compenso un impatto oggettivamente devastante in più di un frangente.

Tracklist:
1. Black Phlegm
2. Human Vanity
3. Dying People
4. Scrub
5. S.W.T.V.M.
6. Swollen

Line-up:
Val – Bass
Pierrick – Drums
Yoann – Vocals
Bast – Guitars

SOYUZ BEAR – Facebook

Spectrale – ▲

L’ascolto di quest’album dovrebbe essere obbligato per tutti quelli che sostengono di amare la musica, ma sicuramente rimarrà ad esclusiva di pochi, noi comunque ci godiamo questo primo bellissimo rituale acustico donato dagli Spectrale.

Seguendo le varie scene underground, in tutti questi anni abbiamo avuto la fortuna di conoscere non solo band fuori dal comune, ma soprattutto etichette che fanno del portare a conoscenza di più persone possibili grande musica di qualsiasi genere si tratti.

Una di queste è sicuramente la label transalpina Les Acteurs de L’ombre Productions, che si cura di molte realtà estreme della scena del proprio paese con passione ed ottimo fiuto.
E’ così che le opere che l’etichetta ci propone all’attenzione hanno tutte un qualcosa per cui vale la pena soffermarsi all’ascolto, fuori dai soliti cliché e tutte valorizzate da enorme personalità.
Avevamo fatto la conoscenza degli Spectrale, band dal sound prevalentemente acustico, in occasione del bellissimo split in compagnia di altre due realtà dell famiglia Les Acteurs De L’ombre, gli In Cauda Venenum e gli Heir.
Giunge così anche per la creatura di Jeff Grimal il momento di licenziare il primo full length, questo , dal titolo che rispecchia il concept esoterico ed ipnotico della musica del chitarrista francese, misteriosa ed a suo modo estrema.
Credo che non ci sia assolutamente dubbi sulla natura estrema dei brani contenuti sull’album, ovviamente non si parla di sfuriate black o death metal, ma di ricami acustici che si muovono sinuosi tra le corde delle chitarre, creati dalla mente e dalle dita di questi straordinari musicisti che come maghi ci ipnotizzano e portandoci in mondi paralleli, lontano dagli isterismi di una società sempre più malata e vicino il più possibile a quello che ognuno di noi chiama Dio.
Quarantacinque minuti di musica estrema perché va aldilà dei soliti ascolti, ci invita a fermarci e per un po’ viaggiare al di sopra del mero mondo materiale sulle note delle stupende Attraction, la meravigliosa e pink floydiana Magellan e le due parti di Monocerotis suggestivi attimi musicali di questa splendida ed originale opera.
Gli Spectrale vanno oltre, l’ascolto di ▲ dovrebbe essere obbligato a tutti quelli che sostengono di amare la musica, ma sicuramente rimarrà ad esclusiva di pochi, noi comunque ci godiamo questo primo bellissimo rituale acustico donato da Jeff Grimal e soci.

Tracklist
1.Andromede
2.Contract
3.Attraction
4.Landing
5.Magellan
6.Monocerotis Part1
7.Monocerotis Part2
8.▲
9.Retour Sur Terre

Line-up
Jeff Grimal – Guitar
Léo Isnard – Drums,guitar
Xabi Godart – Guitar,noise
Raphael Verguin – Cello

SPECTRALE – Facebook

Major Parkinson – Blackbox

Valorizzato da atmosfere teatrali ed in alcuni casi pomposamente cinematografiche, Blackbox risulta un ascolto maturo, conseguenza di un approccio esemplare per quanto riguarda le interpretazioni vocali e soluzioni musicali fuori da schemi prestabiliti.

La tradizione scandinava per i suoni progressivi continua a donarci band e lavori che rientrano in quell’aura cult riservata alla musica d’eccellenza e che, inevitabilmente, rimane ad esclusiva o quasi degli appassionati che non si sono fermati al 1975 o giù di li, ma ai quali piace andare oltre l’ovvio.

I Major Parkinson sono una band norvegese attiva da anni e con una già buona discografia alle spalle (questo è il quarto full length), ed una formazione che si rinnova quasi ad ogni album.
Gli otto musicisti sono impegnati in Blackbox, album che unisce varie sfumature della musica progressiva, passando con disinvoltura da note rock tradizionale all’uso dell’elettronica, a dire il vero abbondante tra i brani che escono dalla scatola nera, con intrecci di musica a 360° che abbraccia al suo interno una moltitudine di suoni, creando un sound originale ed affascinate, tra strumenti classici, elettricità rock e tappeti di chiara ispirazione ottantiana.
Esaltato dalla prova dello straordinario Jon Ivar Kollbotn al microfono (non solo un vocalist, ma un interprete a tutto tondo), l’album si dipana tra magiche soluzioni progressive, teatrali e moderne, con un’aura oscura che permea il sound con soluzioni e sorprese nel songwriting, che vanno da citazioni più o meno famose (passando da Bowie agli Ultravox) ad atmosfere cinematografiche ed originali come in Night Hitcher o Madeleine Crumbles.
Blackbox ha bisogno di qualche ascolto in più e tanta apertura mentale nel saper cogliere le varie e suggestive ispirazioni che la band unisce ad un indubbio talento nel saper scrivere musica fuori dai soliti schemi progressivi odierni, che siano legati alla tradizione o che guardino a soluzioni intimiste e moderne care ai gruppi odierni.
Valorizzato da atmosfere teatrali ed in alcuni casi pomposamente cinematografiche, Blackbox risulta un ascolto maturo, conseguenza di un approccio esemplare per quanto riguarda le interpretazioni vocali e soluzioni musicali fuori da schemi prestabiliti.

Tracklist
1.Lover, Lower Me Down!
2.Night Hitcher
3.Before the Helmets
4.Isabel -­ A Report to an Academy
5.Scenes from Edison’s Black Maria
6.Madeleine Crumbles
7.Baseball
8.Strawberry Suicide
9.Blackbox

Line-up
Jon Ivar Kollbotn – lead vocals
Eivind Gammersvik – bass, backing vocals
Lars Christian Bjørknes – piano, synth, organs, programming, notation, backing vocals
Sondre Sagstad Veland – drums, percussion, backing vocals
Sondre Rafoss Skollevoll – guitar, backing vocals
Øystein Bech-Eriksen – guitar
Claudia Cox – violin, backing vocals
Linn Frøkedal – guest vocals

MAJOR PARKINSON – Facebook

Red Ring – Dark Light

Melodia, groove rock, grinta metallica e qualche atmosfera dark, ecco la ricetta per un album esplosivo, seguendo a tratti (con l’opener Drowning) la strada tracciata dagli ultimi Lacuna Coil, per poi deviare al primo incrocio e trovare la propria via.

Da anni l’Italia sfoggia una scena rock alternative molto interessante, proponendo da nord a sud ottime realtà che vanno dall’hard rock moderno e groovy al rock alternativo dall’impatto melodico e pregno di umori diversi ma ben assemblati in album che, guardando spesso aldilà dell’Atlantico, regalano ottima musica rock.

Melodia, groove rock, grinta metallica e qualche atmosfera dark, ecco la ricetta per un album esplosivo, seguendo a tratti (con l’opener Drowning) la strada tracciata dagli ultimi Lacuna Coil, per poi deviare al primo incrocio e trovare la propria via..
Questo in poche righe è quello che troverete in Dark Light, secondo album dei marchigiani Red Ring, licenziato in questo scorcio d’autunno dalla Volcano Records.
Attiva dal 2007 con il nome di Last Minute, cambiato in quello attuale nel 2013 e con un debutto (Knock Out) uscito due anni fa, la band si ripresenta sul mercato con questo buon lavoro, alternativo ed altamente melodico, non solo per la splendida voce della singer Elisa Goffi, ma anche per l’approccio radiofonico, che non fa sicuramente mancare la giusta grinta ma si concede refrain e chorus dall’ottimo appeal, sempre in bilico tra forza e delicata armonia.
Ne esce un lavoro che tocca da subito le corde giuste di chi riempie le sue giornate musicali con la musica delle radio rock nazionali, affascinante e duro il giusto specialmente nelle ritmiche dal buon groove (Best Wishes) e tenendo sempre la tensione ad un livello consono per sorprendere con brani dal piglio drammaticamente metallico (Escape).
La produzione, che va di pari passo con la musica, esplode potente e cristallina, valorizzando non poco i brani presenti, ed un songwriting che non ha cadute, mantenendo alto il livello dei brani per poco più di mezzora (scelta giusta) di rock davvero ben eseguito, sono le virtù principali di un lavoro che piace fino all’ultima nota della bellissima e conclusiva Is There Still Time?.
Dark Light, se spinto a dovere, potrà regalare molte soddisfazioni al gruppo marchigiano, rivolgendosi senza dubbio ai rockers del nuovo millennio ai quali va il consiglio di non farselo sfuggire.

Tracklist
1. Drowning
2. In your veins
3. If you didn’t exist
4. Is this life?
5. No regret
6. Best whishes
7. Escape
8. You are here
9. Is there still time?

Line-up
Elisa Goffi – Voice,
Edoardo Sdruccioli – Bass Guitar
Juri Cucchi- Drums
Davide Landi – Rhythm Guitar
Giacomo Lanari – Lead Guitar

RED RING – Facebook

Satan’s Children – Spiritual Abuse

Spiritual Abuse è una prova breve ma apprezzabile, soprattutto se si è amanti del doom classico ammantato da una consistente vena lisergica: la perfezione formale e compositiva risiede altrove, ma la mezz’ora scarsa dedicata all’ascolto di questo disco è tutt’altro che sprecata.

Doom metal psichedelico per i canadesi Satan’s Children, con il loro terzo atto intitolato Spiritual Abuse.

Ovviamente il nome della band non lascia adito a dubbi sul tipo di approccio da parte di questi musicisti di Vancouver, i quali offrono un’interpretazione del genere quanto mai vintage e genuina, nonché dal potenziale effetto dopante, a partire dalla stessa copertina.
Una voce leggermente stridula di osbourniana memoria guida brani sufficientemente coinvolgenti nella loro lisergica sporcizia, anche se le cose vanno meglio, paradossalmente, quando i ritmi vengono leggermente incrementati come nell’opener Cozmika.
I quattro brani successivi sono sghembi ma efficaci esempi di doom a tratti minimale, con suoni, produzione ed approccio molto naif ma, a modo loro, coinvolgenti, anche se gran parte dei riff appaiono già abbondantemente sentiti (in Melancholy Walls fanno capolino anche i nostri Doomraiser).
Dopo una serie di canzoni piacevoli ma nella media, i Satans’ Children segnano il classico gol di tacco all’ultimo minuto inventandosi un brano perfetto come Devil’s Breed, nel quale imbroccano un magnifico tema conduttore che si alterna ad una robusta e micidiale accelerazione psichedelica.
Spiritual Abuse è una prova breve ma apprezzabile, soprattutto se si è amanti del doom classico ammantato da una consistente vena lisergica: la perfezione formale e compositiva risiede altrove, ma la mezz’ora scarsa dedicata all’ascolto di questo disco è tutt’altro che sprecata.

Tracklist:
01. Cozmika
02. Voodoo Warrior
03. Melancholy Walls
04. Coffin Fever
05. Witches Fury
06. Devils Bread

Arkhon Infaustus – Passing The Nekromanteion

Death metal e black si uniscono per portare morte e distruzione, con un sound assolutamente estremo e senza compromessi: d’altronde le ispirazioni degli Arkhon Infaustus sono satanismo, perversione, oscenità e droghe, mentre il monumento al male che costruiscono avanza tra le macerie create da questi quattro terribili brani.

Tornano dopo dieci anni esatti dall’ultimo full length gli Arkhon Infaustus, band storica della scena estrema transalpina, con questo ep di quattro tracce dal titolo Passing The Nekromanteion.

Si ripresentano oggi come duo, composto da Deviant (voci, basso e chitarra) e Skvm (batteria), schiacciando gli ascoltatori con  la mole di questa cattedrale estrema ottimamente raffigurata in copertina, un’arma apocalittica che prende forza direttamente dall’inferno e distrugge senza pietà.
Death metal e black si uniscono per portare morte e distruzione, con un sound assolutamente estremo e senza compromessi: d’altronde le ispirazioni degli Arkhon Infaustus sono satanismo, perversione, oscenità e droghe, mentre il monumento al male che costruiscono avanza tra le macerie create da questi quattro terribili brani.
Il sound non è mai velocissimo e a tratti si fa marziale, ma in queste lunghe tracce è il caos a regnare, portato dalla terribile e drastica missione di morte ordita dalle truppe demoniache comandate dagli Arkhon Infaustus, in una guerra totale che Amphessatamine Nexion e, soprattutto, la conclusiva e malata Corruped Epignosis raccontano al meglio.
Un buon ritorno questo ep, che al giorno d’oggi si può certamente considerare come un full length, e che segna il ritorno di una band scomoda, consigliata con cautela agli amanti delle dissonanze black death.

Tracklist
1.Amphessatamine Nexion
2.The Precipice Where Souls Slither
3.Yesh Le-El Yadi
4.Corrupted Épignosis

Line-up
Deviant – All vocals, guitars and bass
Skvm – Drums

ARKHON INFAUSTUS – Facebook

The Adicts – And It Was So !

Non si può resistere a questa melodia, a questa bellezza che permea da sempre le note suonate dai questo gruppo inglese: arrendersi ai The Adicts è sempre dolce, quando senti quei giri di chitarra, quei cori da urlare sotto al palco o in una serata balorda al pub.

Quando un gruppo punk rock torna dopo cinque anni dall’ultimo disco, è in giro dal 1975 e ha pubblicato il primo bellissimo disco nel 1981, hai il fondato timore che ascoltando il nuovo disco nulla sia come prima, o che la band in questione stenti.

Invece, quando comincia la musica, entra la voce di Monkey, tornano quelle antiche e belle sensazioni che hai sempre avuto quando ascoltavi i The Adicts, uno dei maggiori gruppi punk di sempre, ma soprattutto l’unico ad avere quel particolare impasto sonoro tra voce e strumenti, quella melodia unica. La magia è tornata, i The Adicts sono nuovamente fra noi in forma smagliante, e ciò lo si ascolta chiaramente nelle tracce di questo disco, sempre particolare come sono tutti quelli di questo gruppo di Ipswich che molti considerano questo troppo sconosciuto rispetto al suo valore e alla bellezza degli album, ma bisogna anche dire che si tratta di un qualcosa di non facile comprensione per il fan medio del punk rock inglese. Questi ragazzi del Suffolk hanno sempre fatto di testa loro, introducendo anche strumenti estranei fino a quel momento all’estetica punk, come i bonghi, le fisarmoniche ed altro, e poi hanno sempre portato avanti un discorso musicale che pone al di sopra di tutto la melodia e un certo surrealismo sia visivo che musicale. I drughi hanno colpito ancora una volta il bersaglio grosso, pubblicando un disco molto bello e vario, con una grande libertà e gioia di composizione. I The Adicts si sono divertiti a scrivere e a registrare And It Was So !  e tutto ciò viene fuori durante l’ascolto, che è molto piacevole. Molto forte la loro carica surreale fin dalla prima traccia Picture The Scene, dove dicono spesso che nulla è reale, e questo è un loro credo convinto. Con questo gruppo non vi è mai nulla di definito o di incontrovertibile, ci si diverte e il punk rock viene usato per raccontare storie, anche politiche, ma senza la pesantezza e la mancanza di ironia di certe band. Inoltre il disco consente molti soddisfacenti ascolti, perché ha parecchi elementi di diversità tra una traccia e l’altra. Non si può resistere a questa melodia, a questa bellezza che permea da sempre le note suonate dai questo gruppo inglese. Arrendersi ai The Adicts è sempre dolce, quando senti quei giri di chitarra, quei cori da urlare sotto al palco o in una serata balorda al pub. Sempre immensamente drughi.

Tracklist
1. PICTURE THE SCENE
2. FUCKED UP WORLD
3. TALKING SHIT
4. IF YOU WANT IT
5. GOSPEL ACCORDING TO ME
6. GIMME SOMETHING TO DO
7. LOVE SICK BABY
8. AND IT WAS SO
9. DEJA VU
10. I OWE YOU
11. WANNA BE
12. YOU’LL BE THE DEATH OF ME

Line-up
Monkey – Vocals & Chop Sticks
Pete Dee – Lead Guitar
Kid Dee – Drums
Little Dave – Bass

THE ADICTS – Facebook

Mz.412 / Trepaneringsritualen – X Post Industriale / Rituals 2015 e.v.

Il disco cattura dal vivo i rituali al X Post Industriale, perché di concerto non si può proprio parlare, di questi due gruppi che eseguono un qualcosa che va oltre la musica.

Split live tra due fra le maggiori realtà attuali dell’industrial dark ambient rituale svedese, gli Mz.412 ed i Trepaneringsritualen.

Il disco è stato registrato a Bologna al Club Kindergarten nell’ottobre, in occasione dell’evento X Post Industriale organizzato dalla storica etichetta Old Europa Cafe. Il disco cattura dal vivo i rituali, perché di concerto non si può proprio parlare, di questi due gruppi che eseguono un qualcosa che va oltre la musica. Le tracce dello split sono quattro, due per ogni gruppo e sono di lunga durata, e sono dei veri e propri rituali per espandere la nostra coscienza. Questa musica, come si diceva prima, va ben oltre il canonico scambio di emozioni fra ascoltatore e musicista, e punta a creare porte per arrivare in altre dimensioni, cambiando di significato al rumore e alla musica stessa. Le due esperienze sonore che sono opera degli Mz.412 sono maggiormente cariche di rumori ed interferenze, infatti questo è sempre stato un prodotto industriale fatto con attitudine black metal, molto improntato a far scaturire reazioni nell’ascoltatore, e con un forte tocco di marzialità. Rumori, feedback e altro ancora disturbano l’ascoltatore, proiettandolo in una dimensione di assenza e morte, in un limbo dove la vita non possiede le inutili maschere che le diamo e si rivela per quello che è, una fastidiosa frequenza di fondo. In queste due tracce il rituale serve a rivelare ciò che non vediamo, svelando una terribile verità. Gli altri due pezzi di Trepaneringsritualen sono diversi rispetto ai precedenti, perché qui ci addentriamo maggiormente nel dark ambient, le atmosfere si fanno più rarefatte, al contempo sono venefiche e riescono a penetrare la nostra scatola cranica, arrivando dritte nel cervello. Ci sono mondi ed esseri di altre dimensioni che vengono fuori richiamati da questi suoni, che sono davvero profondi e continuano la grande tradizione della dark ambient legata all’industrial, che racchiude molte cose. Questo split dal vivo è un documento incredibile e forse irripetibile, nel senso che catturare in tempo reale queste due entità è cosa davvero notevole, che riporta al massimo la forza di questi rituali, un qualcosa che è legato al nostro ancestrale e che risveglia forze sopite. Un assaggio e una documentazione imperitura di ciò che è stato il X Post Industriale.

Tracklist
01 SIDE A Akt I
02 SIDE B Akt II
03 SIDE C Akt I
04 SIDE D Akt II

ANNAPURNA – Facebook

Savage Annihilation – Quand s’abaisse la croix du blasphème

Maligno come non mai, l’album si sviluppa in una mezzora abbondante tra torture ritmiche, chitarre profonde e growl abissale: nessuna sorpresa, tutto perfettamente ordinario, ma anche assolutamente senza compromessi.

Progetto death metal molto vicino al brutal ed assolutamente old school quello del trio transalpino dei Savage Annihilation, gruppo con quindici anni di primavere sulle spalle ed una discografia che, fino ad oggi, era ferma al primo lavoro sulla lunga distanza licenziato cinque anni fa (Cannibalisme, hérésie et autres sauvageries) ed altre tre uscite tra demo, split ed ep.

Quand s’abaisse la croix du blasphème risulta quindi il secondo full length a partire dal lontano 2002, anno di nascita di questo mostro estremo, oscuro e profondamente legato alla scena statunitense.
Influenze ben in evidenza (Morbid Angel, Immolation) e tanta violenza in musica fanno di questo nuovo album dai testi in lingua madre un buon lavoro, specialmente per chi ama profondamente il death metal old school.
Maligno come non mai, l’album si sviluppa in una mezzora abbondante tra torture ritmiche, chitarre profonde e growl abissale: nessuna sorpresa, tutto perfettamente ordinario, ma anche assolutamente senza compromessi.
Dopo tanti ascolti di opere con un sound impegnato a dimostrare solo la bravura dei musicisti a livello tecnico, finalmente una sana bordata death metal che non lascia assolutamente la tecnica in secondo piano, ma la mette al servizio di un songwriting che punta sull’impatto e le atmosfere catacombali tanto care al vecchio death metal.
Quand s’abaisse la croix du blasphème risulta così una tranvata niente male, pesante e malata il giusto per non deludere i fans del genere, imprigionati nei più profondi abissi infernali, con le devastanti note di Par-delà les dunes de cadavres e la title track a fungere da mortali catene.

Tracklist
1. Dévorante dégénérescence anthropophage
2. Par-delà les dunes de cadavres
3. Quand s’abaisse la croix du blasphème
4. Organe après organe
5. Hyrreit
6. Le tombeau de l’atrocité

Line-up
Dave – Guitar & Vocals
Benoît – Bass
Mike – Drums

SAVAGE ANNIHILATION – Facebook

Beast In Black – Berserker

Produzione al top, suoni che esplodono dalle casse come fuochi d’artificio in una festa patronale, flavour epico e chorus scolpiti nell’acciaio, il tutto reso sfavillante da chitarre che, se ricordano non poco i Judas Priest, sono accompagnate da ritmiche power di chiara matrice power metal.

Da Battle Beast a Beast In Black il passo è breve, almeno lo è stato per il chitarrista finlandese Anton Kabanen, che, lasciata la band da lui fondata non ha perso tempo e si è buttato a capofitto in questa nuova avventura metallica.

Anche il sound non si discosta troppo da quello della sua precedente band, se non per un maggiore uso di synth e tasti d’avorio che rendono catchy e a tratti pomposo l’heavy/power metal di cui è composto Berserker, debutto ispirato dai manga giapponesi: produzione al top, suoni che esplodono dalle casse come fuochi d’artificio in una festa patronale, flavour epico e chorus scolpiti nell’acciaio, il tutto reso sfavillante da chitarre che, se ricordano non poco i Judas Priest, sono accompagnate da ritmiche power di chiara matrice power metal.
Berserker ha il suo asso nella manica nella prestazione del singer di origine greca Yannis Papadopoulos, un’animale metallico, davvero una figura mitologica metà uomo metà leone, come rappresentato nella copertina che più epica e battagliera di così non si può.
Per chi ama il genere l’album è una goduria metallica dall’inizio alla fine: grandi melodie, grinta heavy e cavalcate power fanno della title track, come di Blind And Frozen o Born Again, brani coinvolgenti e trascinanti e l’impressione di essere al cospetto di un album che, aldilà di frettolosi giudizi e pregiudizi è destinato a fare il botto, si fa sempre più forte all’ascolto della tracklist.
Papadopoulos, da grande singer, alterna urla metalliche a parti melodiche dal grande appeal e i brani si susseguono strappando a tratti applausi, specialmente nelle parti in cui le tastiere fanno il buono ed il cattivo tempo (The Fifth Angel, Crazy Mad Insane).
Si potrebbe parlare di heavy/power metal tra Judas Priest e Firewind, valorizzati da un flavour melodico e sinfonico tra l’hard rock dei Brother Firetribe ed il symphonic metal dei primi Nightwish, così da avere un quadro il più completo possibile di quello che troverete tra lo spartito di Berserker, e direi che non è poco.
Kabanen è ripartito e, da quanto ascoltato, si direbbe piuttosto bene, quindi se amate i generi classici e non disdegnate nel metal l’uso abbondante di melodie, l’album è assolutamente consigliato.

Tracklist
1. Beast In Black
2. Blind And Frozen
3. Blood Of A Lion
4. Born Again
5. Zodd The Immortal
6. The Fifth Angel
7. Crazy, Mad, Insane
8. Eternal Fire
9. End Of The World
10. Ghost In The Rain

Line-up
Yannis Papadopoulos – vocals
Mate Molnar – bass
Sami Hänninen – drums
Kasperi Heikkinen – guitars
Anton Kabanen – guitars, vocals

BEAST IN BLACK – Facebook

Svarthart – Emptiness Filling the Void

Una proposta come questa al giorno d’oggi non può essere minimamente competitiva, men che meno in un settore già di per sé di nicchia come quello del doom metal.

Emptiness Filling the Void è il disco d’esordio per questo duo di Anversa dedito a un death doom davvero minimale.

L’album è uscito nel 2016 ma viene riproposto ora dalla Sepulchral Silence, anche se sinceramente non vedo quale spazio possa trovare anche nell’ambito degli appassionati più accaniti del genere.
L’operato degli Svarthart è poco più che amatoriale: suoni scarni, produzione approssimativa e una coesione strumentale che pare essere tenuta assieme da colla scadente, senza che si abbia mai l’impressione di essere al cospetto di una costruzione musicale organica.
L’idea di death doom ci sarebbe pure, ma manca pressoché del tutto una trasposizione esecutiva all’altezza: il sound si trascina penosamente lungo le sette tracce, con le due chitarre che se ne vanno ognuna per proprio conto accompagnando un rantolo privo della minima espressività.
Spiace doverlo scrivere, perché comunque chi si dedica a questo genere riscuote la mia simpatia a prescindere, ma una proposta come questa al giorno d’oggi non può essere minimamente competitiva, men che meno in un settore già di per sé di nicchia come quello del doom metal.

Tracklist:
1 The Void
2 A Fading Image
3 Dark Visions From The Past
4 Almost Alive
5 Inside This Darkness
6 Deep Within
7 Disappearance
8 The Awakening

Line-up:
Zeromus – (Tom M) – All instruments
Svartr – (Dieter M)

SVARTHART – Facebook

Malphas – Incantation

Il pregio dei Malphas è quello di lasciar sfogare senza troppe remore una vena piuttosto orecchiabile, il che rende l’ascolto di Incantation molto fluido pur non risultano mai banale: un primo passo davvero incoraggiante per l’ottima band elvetica.

Anche se la Svizzera ha dato i natali ai Celtic Frost e, in subordine, ai Samael, non si può certo dire che sia una terra prolifica in quanto a band dedite al black metal.

Provano ad invertire questa tendenza i Malphas, gruppo di Losanna che esordisce su lunga distanza con Incantation: dopo in inizio un po’ farraginoso l’album prende decisamente quota con il procedere dei brani, grazie alla chitarre che iniziano a tessere con grande continuità melodie ben definite che fanno capo alla scuola scandinava, propendente a quella svedese, con gli Arckanum a fungere spesso quale potenziale termine di paragone. Ne deriva così un lavoro decisamente ispirato, con il quale i nostri esibiscono non solo grande padronanza del genere ma anche, a tratti, una sorprendente sensibilità melodica, inanellando uno dopo l’altro brani che avvolgono e avvincono sfuggendo tutto sommato anche al rischio della ripetitività.
Gli aspetti migliori dell’album vengono incarnati da una catchy title track, anche se il meglio i Malphas lo offrono nella magnifica e lunga Nahash Corruption, quasi nove minuti di black metal che si fa di volta in volta melodico, corrosivo ed evocativo nella sua parte conclusiva.
Il pregio dei Malphas è quello di lasciar sfogare senza troppe remore una vena piuttosto orecchiabile, il che rende l’ascolto di Incantation molto fluido pur non risultano mai banale: un primo passo davvero incoraggiante per l’ottima band elvetica.

Tracklist:
1. Contributor of the Light
2. Leviathan
3. Macabre Symphony Of Divine
4. Incantation
5. Nahash Corruption
6. Rebirth Of The Reign
7. Awaking Excelsi Lucifer

Line up:
Barbarian Whore – Bass
Machette – Drums
Xezbeth – Guitars
Raven – Guitars
Balaam Astaroth – Vocals

MALPHAS – Facebook

Voltumna – Dodecapoli

Per tutto Dodecapoli aleggia uno spirito antico che ha trovato il modo di esprimersi con una musica violenta e catartica, che ci mostra la magia e la forza di un popolo unico nella storia.

Nuovo e sempre più estremo assalto sonoro dei Voltumna, una delle band di punta del panorama black metal italiano.

Il gruppo viterbese usa il black death metal come linguaggio per raccontarci la storia di un popolo misterioso ai nostri occhi moderni ma molto più dentro di noi ai misteri che ci circondano. I Voltumna con Dodecapoli toccano, come dicono loro stessi, il punto più estremo della loro discografia, ma ne è sicuramente anche  la vetta più alta. Il disco possiede una bellissima furia black/death metal, spazza via tutto e accentra su di sé l’attenzione. Il percorso di questo gruppo non è mai stato comune o normale, con la musica e i testi ha sempre suscitato qualcosa di diverso: questa volta ci fa avventurare nella storia della federazione sacra delle dodici città etrusche, narrandoci avvenimenti ormai dimenticati di un’epoca che meriterebbe ben altra considerazione, perché gli Etruschi possedevano una sapienza che abbiamo perso, e questo è tra le cose all’origine della frattura fra noi e la nostra anima. La Dodecapoli etrusca è una storia davvero interessante e, narrata con la passione e la musica dei Voltumna, assume un significato ancora maggiore. Il disco è incredibile per intensità e forza di un black che si congiunge perfettamente con il death, e viceversa. Ci sono momenti di epicità notevoli, specialmente quando entrano in campo musiche tipiche del popolo etrusco, e il vortice dei Voltumna diventa un groviglio di magia antica. Per tutto Dodecapoli aleggia uno spirito antico che ha trovato il modo di esprimersi con una musica violenta e catartica che ci mostra la magia e la forza di un popolo unico nella storia. Semplicemente uno dei nostri migliori gruppi metal.

Tracklist
1.The Lion, The Goat, The Serpent
2.Itinere Inferi
3.Reading The Flames
4.In Principium Tarquinii
5.Criterion Of The Groma
6.Fanum Voltumnae
7.Lars Porsenna
8.Perdidit Veii
9.Cyclopean Walls
10.War Of Supremacy
11.Vessels Of Rasna
12.The Path To Our Twilight

Line-up
Zilath Meklhum – Vocal
Haruspex – Guitar
Augur Veii – Drums
Fulgurator – Bass

VOLTUMNA Facebook

Harmdaud – Blinda Dödens Barn

Con il monicker Harmdaud, Stenlund offre una buona prova all’insegna di un black death atmosferico che riporta senz’altro dalle parti degli Amon Amarth, ma se l’originalità non è la caratteristica principale di questo esordio, è innegabile che il suo ascolto si riveli alquanto gradevole e a tratti molto coinvolgente.

Blinda Dödens Barn è la prima testimonianza discografica di questo progetto solista del musicista svedese Andreas Stenlund.

Con il monicker Harmdaud, Stenlund offre una buona prova all’insegna di un black death atmosferico che riporta senz’altro dalle parti degli Amon Amarth, ma se l’originalità non è la caratteristica principale di questo esordio, è innegabile che il suo ascolto si riveli alquanto gradevole e a tratti molto coinvolgente.
Del resto, benché non ne risulti una particolare attività negli ultimi anni, il nostro è personaggio abbastanza conosciuto nell’ambiente estremo svedese, essendo membro di diverse band ed avendo ricoperto per un certo periodo il ruolo di chitarrista dal vivo per Vintersorg, e proprio il magnifico vocalist, famoso anche per la sua militanza nei Borknagar, si è occupato della produzione di Blinda Dödens Barn.
E’ un sentore epico, quindi, quello che aleggia all’interno di questi otto brani tra i quali spiccano i primi due, Vägens Slut e Själens Vanmakt e, soprattutto, il più evocativo Andetag, ma nel complesso l’album si rivela piuttosto uniforme per valore e, pur non toccando vette epocali, si rivela senza dubbio un ascolto ideale per chi ama questo tipo di sonorità.

Tracklist:
1. Vägens slut
2. Själens Vanmakt
3. Blinda Dödens Barn
4. Slagregn
5. Andetag
6. Till Glömskan
7. Vemodet
8. Memento Mori

Line-up:
Andreas Stenlund – Guitars, vocals, bass, programming, synthesizers

HARMDAUD – Facebook

Decryption – Gods Fallen

Dalla scena thrash siciliana nasce questa creatura metallica chiamata Decryption, al debutto con Gods Fallen, ep di cinque brani davvero belli che confermano quanto di buono arriva dalle assolate terre della Trinacria.

Dalla scena thrash siciliana nasce questa creatura metallica chiamata Decryption, al debutto con Gods Fallen, ep di cinque brani davvero belli che confermano quanto di buono arriva dalle assolate terre della Trinacria.

La band è formata da vecchie volpi della scena come Angelo Bissanti (Thrash Bombz e Bloodevil) e Carmelo Scozzari (Ancestral) ai quali si sono uniti il bassista Giulio Natalello ed il batterista Mauro Patti.
Gods Fallen, frutto di numerose jam, è stato mixato e masterizzato da Bissanti, chitarrista ma soprattutto cantante di razza alle prese con un thrash metal che, pur mantenendo una leggera impronta classica, viene valorizzato dalle ritmiche groove metal dal piglio più moderno e da chitarre che tanto sanno di death metal melodico.
Ne escono cinque bombe sonore notevoli, con il growl dal piglio death di Bissanti a troneggiare su un pesante metallo estremo che lascia il caldo territorio siciliano e si concede un viaggetto in Scandinavia.
Per semplificarvi la vita, voi che amate le etichette, pensate ad un buon mix tra death metal melodico (Arch Enemy) thrash statunitense (Exodus) e groove metal a dare quell’impronta moderna e personale a brani trascinati e nati per far male in sede live come la title track , che apre l’ep come meglio non potrebbe, The Eye Upon Us sorretta da un riff dannatamente coinvolgente e da un chorus melodico.
Bellissima è anche Set The Evil Free, fulgido esempio di ciò di cui sono capaci i Decryption tra riff mastodontici, solos che sanguinano melodia e la continua ricerca del chorus perfetto.
Ancora i due minuti acustici di Drowning In Fear fanno da preludio alla conclusiva Dust To Dust, primo brano scritto dal quartetto, con un sound che si concede quasi per intero al thrash metal e che mette fine a questi ventitré minuti di metallo incandescente; la band è già al lavoro su nuove composizioni, quindi aspettiamoci a breve di ritrovarci una nuova raccolta di brani battenti bandiera Decryption.

Tracklist
1.Gods Fallen
2.The Eye upon Us
3.Set the Evil Free
4.Drowning in Fear
5.Dust to Dust

Line-up
Angelo Bissanti – Guitars, Vocals
Carmelo Scozzari – Guitars
Mauro patti – Drums
Giulio Natalello – Bass

DECRYPTION – Facebook

Destruction – Thrash Anthems II

Per i vecchi fans Thrash Anthems II è un nuovo modo di ascoltare i vecchi Destruction, per i più giovani invece una raccolta di brani storici ed imperdibili ai quali la band ha dato una nuova veste e che risulta quindi molto appetibile.

E’ indubbio che un’operazione da molti considerata inutile e nostalgica come una raccolta, acquisti un diverso valore se viene valorizzata dall’inserimento di nuovi brani o dal restyling delle tracce più datate, come ormai è di moda in questi ultimi tempi.

C’è da dire che le opere delle icone del metal estremo nati negli anni ottanta, come i Destruction, si portano dietro produzioni deficitarie che ne fanno album ormai inascoltabili, magari pezzi pregiati per collezionisti o intoccabili reliquie per gli amanti dell’old school a prescindere dalla resa sonora.
I Destruction tornano dunque con la seconda parte di Thrash Anthems, dopo i fasti del bellissimo Under Attack licenziato lo scorso anno e la parentesi Panzer, progetto del leader Schmier tornato ultimamente con la bomba metallica Fatal Command.
Questione di punti di vista dunque, ma ascoltare le vecchie registrazioni con un nuovo look sonoro fatto di una sezione ritmica presente ed un suono pieno e cristallino, non può che far gioire gli amanti dell’estetica sonora, a mio avviso importantissima anche nel metal ed ancor di più in quello estremo come il thrash metal teutonico.
E se è vero che gallina vecchia fa buon brodo, con una ripulita ed una messa a punto, questi undici storici brani del gruppo, più la cover di Holiday In Cambogia dei Dead Kennedys, tornano a far male, confermando il momento d’oro del leader Schmier che ultimamente trasforma in oro qualsiasi cosa tocchi.
Ovviamente i fans accaniti del gruppo e del lato più acerbo, ruvido e selvaggio del thrash old school, non dovranno fare altro che ignorare l’uscita e riascoltare le versioni originali pubblicate tra il 1984 ed il 1986 sui vari Sentence Of Death, Infernal Overkill ed Eternal Devastation, anche se a mio avviso si perderebbero un’opera riuscita che onora il primo periodo del gruppo, nobilitando brani devastanti e cattivissimi come Confused Mind, Dissatisfied Existence, Black Death e The Antichrist.
Per i vecchi fans Thrash Anthems II è un nuovo modo di ascoltare i vecchi Destruction, per i più giovani invece una raccolta di brani storici ed imperdibili ai quali la band ha dato una nuova veste e che risulta quindi molto appetibile per tutti.

Tracklist
1.Confused Mind
2.Black Mass
3.Front Beast
4.Dissatisfied Existence
5.United By Hatred
6.The Ritual
7.Black Death
8.The Antichrist
9.Confound Games
10.Rippin’ You Off Blind
11.Satan’s Vengeance

Line-up
Schmier – vocals, bass
Mike – guitar
Vaaver – drums

DESTRUCTION – Facebook

Binary Creed – A Battle Won

A Battle Won è un ottimo esempio di power metal scandinavo dalle venature progressive con cui i Binary Creed costruiscono un muro di metallo, valorizzato da ottime e possenti ritmiche, da una chitarra dallo spirito neoclassico nei solos e da un vocalist che sa come far risplendere le trame create dai suoi compagni.

Chi di musica vive da qualche decennio sa come, anche nel metal e nelle sue ramificazioni, le mode dettino legge così che una band che fino a pochi anni fa risultava cool e di conseguenza meritevole d’attenzione e di recensioni positive, diventa inutile e criticata nel momento in cui il genere suonato non attira più le attenzioni della massa di ascoltatori soggiogati dai media di turno.

E’ successo con il metal classico o per esempio con il grunge, genere che nel periodo di massimo splendore vedeva le recensioni positive di gruppi al primo ed unico album fare bella mostra di sé, per poi finire nell’animato appena poco tempo dopo, tacciate come band obsolete.
Per il power metal sta succedendo la stessa cosa, essendo stato in questi anni surclassato dalle sinfonie gotiche e metalliche e, a parte i grossi nomi non ,valorizzato come una quindicina d’anni fa.
Eppure di album meritevoli se ne continuano ad incontrare girovagando virtualmente per l’underground, come questo a mio avviso bellissimo A Battle Won, secondo lavoro sulla lunga distanza degli svedesi Binary Creed, quintetto che con il power metal scandinavo dalle venature progressive costruisce un muro di metallo valorizzato da ottime e possenti ritmiche, da una chitarra dallo spirito neoclassico nei solos e da un vocalist che sa come far risplendere le trame create dai suoi compagni.
A Battle Won non si può considerare un capolavoro, ma semmai un gradito ritorno al sound che tanto ha fatto impazzire i fans del genere nella seconda metà degli anni novanta, avendo tutte le virtù richieste, come tenere l’ascoltatore legato alla poltrona con assoli tempestosi ma raffinati, buone melodie e cavalcate che si trasformano in bellissimi mid tempo epici e suggestivi di scuola Dio (A Better Man).
Il resto è un susseguirsi di riff e refrain sicuramente già sentiti ma piacevoli, tra Stratovarius, Pyramaze e quel tocco oscuro tipico del filone power progressivo scandinavo alla Morgana Lefay.
Questo è un album che, se fosse uscito sul finire del secolo scorso. avrebbe detto la sua: purtroppo non sono più quei tempi, ma noi di MetalEyes non ne facciamo un problema, buon ascolto.

Tracklist
01. Servants
02. Lurking in the Shadows
03. In a Time to Come
04. The Fallen King
05. The Ones to Bleed
06. Safer Than Now
07. A Better Man
08. Black Storm
09. These Hands
10. Journey Without End

Line-up
Robert Rasmussen Ahlenius – bass
Peter Widding – drums
Stefan Rådlund – guitars
Peo Olofsson – keyboards
Andreas Stoltz – vocals

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