Hidden Lapse – Redemption

Un album affascinante, suonato, cantato e prodotto professionalmente, drammatico e duro, ma raffinato ed elegante, insomma un’opera completa che non mancherà di soddisfare gli amanti della musica metallica e progressiva.

Che la scena italiana stupisca sia quanto mai viva ormai non è una novità: che si tratti di metal estremo, hard rock o, come in questo caso, di metal melodico tecnicamente sopra la media e dalle squisite trame progressive, la qualità raggiunta nel nostro paese è davvero molto alta.

E noi non possiamo che godere di questo stato di grazia che ci porta a fare la conoscenza degli Hidden Lapse, trio formato dal chitarrista Marco Ricco, dalla bassista Romina Pantanetti e dalla bravissima cantante Alessia Marchigiani.
Partiamo proprio da quest’ultima per introdurci nel mondo degli Hidden Lapse: la sua splendida voce, personale, delicata ma allo stesso tempo interpretativa e forte, si muove sinuosa tra i cambi di tempo e gli intrecci melodici che portano ad un sound complicato nella sua semplicità.
Sembra un paradosso, ma la musica racchiusa in Redemption, pur vivendo di intricate parti metal progressive con un buon uso dell’elettronica, è semplice ed elegante, raffinata nel suo pur difficile spartito che ci ricorda più di una band senza esserne troppo devota.
I riferimenti sono tutti per i gruppi di genere, anche se l’uso della voce femminile è un punto a favore del gruppo e dei brani composti per questo bellissimo debutto, partendo da Silence Sacrifice, l’inizio della sofferenza di questa donna condannata a morte e del suo rivivere la propria vita, mentre brani dall’effetto di un tornado come Drop, Pure e Compassion ci accompagnano in questo viaggio nella vita della sfortunata protagonista.
Un album affascinante, suonato, cantato e prodotto professionalmente, drammatico e duro, ma raffinato ed elegante, insomma un’opera completa che non mancherà di soddisfare gli amanti della musica metallica e progressiva.

Tracklist
01. Prologue – Dead Woman Walking
02. Silent Sacrifice
03. Interlude – The Right To Remain Silent
04. Drop
05. Lucid Nightmare
06. Pure
07. Redemption
08. Interlude – The Last Meal
09. Compassion
10. Awareness
11. Epilogue – Mercy Upon Your Soul

Line-up
Alessia Marchigiani – voce
Marco Ricco – chitarra
Romina Pantanetti – basso

HIDDEN LAPSE . Facebook

Creeping Fear – Onward To Apocalypse

Morbid Angel, Suffocation, furia nordica alla At The Gates: con questi ingredienti Onward to Apocalypse può strapazzare anche i cuori più duri e spessi dei deathsters vecchia scuola.

Che lo vogliate chiamare old school o classico, il death metal dalle reminiscenze tradizionali è tornato a far danni sul mercato mondiale.

Il ritorno in forma smagliante dei gruppi storici, affiancati dall’alta qualità delle nuove leve, ha dato nuova linfa al genere estremo per antonomasia, un bene per tutta la scena metallica.
Stati Uniti e Nord Europa, terre dove il genere ha trovato le culle perfette per crescere e svilupparsi, ora sono affiancate da altri nidi musicali come le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo, dalle calde coste del sud alle cime imbiancate delle Alpi.
In Francia si crea ottima musica estrema, dal black metal ed i suoi derivati al death di stampo classico, specialmente se parliamo dei Creeping Fear, quartetto in arrivo da Ile-de-france con il suo carico di brutale death metal old school.
Il gruppo transalpino attivo da pochi anni e con il classico demo a saggiare il terreno prima dell’ep World Execution, torna dopo tre anni con il primo lavoro sulla lunga distanza, una devastante prova di forza che dal death metal e delle sue mutevoli forme prende attitudine ed impatto regalando un album devastante, che accomuna il genere nella sua versione americana con quella europea, risultando vario e piacevole nel suo  estremismo sonoro.
E’ così che tra le note di Swallowed By Death, Spreading Disease o la title track non troverete che death puro, classico e old school (diciamolo) magari con quel pizzico di già sentito che per molti risulta un punto in meno, ma che fa tanto devozione ed attaccamento ad un concetto di metal estremo che ha fatto storia.
Morbid Angel, Suffocation, furia nordica alla At The Gates: con questi ingredienti Onward to Apocalypse può strapazzare anche i cuori più duri e spessi dei deathsters vecchia scuola.

TRACKLIST
01. Life Denied
02. Divine Casualities
03. Swallowed By Death
04. Trenches Of Desolation
05. Onward To Apocalypse
06. Spreading Disease
07. As Vultures Fly, Battlefield Bleeds
08. Soiled, Tainted And Merciless
09. Disposable Existence

LINE-UP
Clément – Vocals, Guitars
Gabriel – Guitars
Jérémy – Bass
Gabriel – Drums

CREEPING FEAR – Facebook

Ex Trim – Novum Genus Mali

Novum Gens Mali è un disco cento per cento nu metal, nello svolgimento e nello spirito, congiungendo la parola di morte con un suono vivo, dinamico e lavico

Fare musica intelligente non è facile, scrivete testi che abbiano senso ed una consecutio logica non è affatto comune in Italia.

Ma la cosa ancora più difficile è scegliere un codice musicale che ti dia la possibilità di poter esprimere meglio ciò che vuoi dire. Molto spesso il genere scelto diventa la sovrastruttura che comanda tutto e che guida le scelte musicali. Gli Ex Trim plasmano il nu metal più distorto ed aggressivo per diventare ancora più inquietanti di quello che sono. Gli Ex Trim sono la voce che ti sussurra le verità che non vorresti sapere, ma che sai essere quelle più vere. La musica non è solo spensieratezza, ma anche violenza mentale, immagini disturbate e distopiche. Il nu metal è nato apposta per questo, vedi i Korn e tanti altri, per disturbare mischiando frammenti di incubi diversi per gridare assieme nella notte, e gli Ex Trim fanno un ottimo nu metal, disturbato e potente. Il cantato in italiano è adattissimo a queste situazioni di spinte e tensioni, di attacchi e di rotolamenti nel fango, anche se non manca la melodia. Il concept di questo album autoprodotto sull’industria musicale odierna, dove è ormai chiaro che sia diventata territorio di caccia per i cani che vogliono controllare le nostre menti, mentre bisogna sanguinare per capire. Vampiri in ogni dove, larve che succhiano le nostre vibrazione che provengono dalla musica. Il ritmo è incalzante, i punti di vista sono quelli dei dannati che non arriveranno a domani, e che nel frattempo bruciano. C’è anche un livello più profondo di lettura di questo disco, ovvero trovare nei testi la denuncia di ciò che è diventata la nostra amata musica, della plastica che ci propinano, mentre gli Ex Trim sono nati per fare male, trasudano cattiveria, sia dal suono psycho, sia dai testi che non lasciamo molto spazio all’amore e alla bellezza. Novum Gens Mali è un disco cento per cento nu metal, nello svolgimento e nello spirito, congiungendo la parola di morte con un suono vivo, dinamico e lavico. Meraviglia vera per chi ama le viscere del nu metal, dove c’è sola carne morta in questo buco nero. Autoproduzione come vera via per esprimere se stessi e la propria musica.
Moriremo tutti e male.

Tracklist
01. Index
02. Prologo Finale
03. Necrosogni
04. Zombie
05. Valgo Zero
06. Novum Genus
07. NGM
08. Insonnia
09. Hellfie
10. #Corvocapra
11. Dovete Estinguervi
12. 13.04.16.2.54
13. Disilluso
14. Cassandra
15. Senza Lidi

Line-up
Omega – Voce
Beta – Basso
Alfa – Chitarra
Gamma – Batteria
Delta -Percussioni Synth

EX TRIM – Facebook

Wintersun – The Forest Seasons

Anche se i fans aspettavano il nuovo Time II, saranno sicuramente soddisfatti da questa nuova ed interlocutoria fatica targata Wintersun, un gruppo ormai divenuto di culto nell’universo della musica estrema.

La natura, il cambio delle stagioni nella foresta come metafora della vita, benvenuti nel nuovo monumentale lavoro di casa Wintersun, tornati dopo i fasti di Time, opera magna licenziata ormai cinque anni fa.

Per Time II si dovrà ancora aspettare, dopo la raccolta di fondi ed il raggiungimento di quasi cinquantamila euro sulla piattaforma Indiegogo a cui verranno aggiunti i proventi di questo lavoro, molto bello anche se non raggiunge il livello assoluto del suo predecessore.
Non mi si fraintenda, comunque anche The Forest Seasons vale tutti i soldi spesi, continuando la tradizione del gruppo finlandese e del verbo musicale del suo leader Jari Mäenpää, epic folk metal nobilitato da sinfonie e parti estreme death/black, con quattro mini suite per quasi un’ora immersi nelle foreste nordiche, protagonisti del passaggio e del cambiamento che avviene da una stagione all’altra.
L’ album parte alla grande con le due parti di Awaken From The Dark Slumber (Spring), ma è l’estate con il suo caldo abbraccio a regalare le prime vere emozioni: The Forest That Weeps è uno spettacolare affresco folk epico, che il gruppo colora con note estreme e sinfonie ariose, mentre l’autunno si avvicina, si fanno spazio le zone d’ombra e il black metal è il miglior modo per iniziare a descrivere i colori che si oscurano come il manto di foglie che fa da tappeto a tutta la foresta.
La neve comincia a cadere e tutto si trasforma in una distesa bianca come i capelli di un uomo in prossimità della vecchiaia.
Eternal Darkness (Autumn), si nutre di black metal e swedish death, ma l’arrivo dell’inverno porta una vena ancor più melanconica e suggestiva, mentre il bianco mantello poggiato sul mondo si ghiaccia e avvolge tutto in un silenzio ovattato.
Loneliness (Winter) ritorna all’epico incedere sinfonico di marca Wintersun che accompagna la natura e l’uomo verso quella che sarebbe una nuova rinascita, in un ciclo ininterrotto nel tempo.
Anche se i fans aspettavano il nuovo Time II, saranno sicuramente soddisfatti da questa nuova ed interlocutoria fatica targata Wintersun, un gruppo ormai divenuto di culto nell’universo della musica estrema.
Per chi non conoscesse ancora il sound proposto dal gruppo finlandese, preparatevi ad un vulcano metallico che vomita Children Of Bodom, Dimmu Borgir, Dissection ed Ensiferum in una sola devastante lava.

Tracklist
01. Awaken From The Dark Slumber (Spring) – Part I The Dark Slumber – Part II The Awakening
02. The Forest That Weeps (Summer)
03. Eternal Darkness (Autumn) – Part I Haunting Darkness – Part II The Call of the Dark Dream – Part III Beyond the Infinite Universe – Part IV Death
04. Loneliness (Winter)

Line-up
Jari Mäenpää – Vocals, Guitars, Keyboards, Bass
Kai Hahto – Drums
Teemu Mäntysaari – Guitars, Vocals
Jukka Koskinen – Bass, Vocals
Asim Searah – Guitars, Vocals

WINTERSUN – Facebook

Obscurity – Streitmacht

Il disco è un bagno di sangue dall’inizio alla fine, un assalto metallico e pieno di pathos che porta ad un gran disco, di un’intensità non comune, duro eppure capace di regalare ottime melodie.

Gli Obscurity sono un gruppo decisamente sopra la media, che ha sempre intrapreso una sua propria strada, e forse per questi motivi, non ha avuto un grande successo come avrebbero meritato.

Tutto ciò importa ben poco, perché quando ascolti il suo ultimo disco capisci la portata di questo gruppo, giunto a festeggiare il ventesimo anno di attività, e anno dopo anno migliorato ulteriormente. Il percorso musicale deve molto al folk metal, non tanto per l’uso di alcuni strumenti o la composizione delle canzoni, poiché non troverete arcaiche melodie, ma questo è un disco che avrebbero composto dei guerrieri tedeschi del medioevo, poiché gli Obscurity combattono una loro lotta grazie al metal di spada e sangue che colpisce durissimo, arrivando ai confini del death metal, ma mantenendo decisamente un groove folk. Il cantato in tedesco rende molto ed è un valore aggiunto, poiché gli Obscurity non potrebbero che cantare con la lingua madre. Il disco è un bagno di sangue dall’inizio alla fine, un assalto metallico e pieno di pathos che porta ad un gran disco, di un’intensità non comune, duro eppure capace di regalare ottime melodie. Si combatte senza quartiere e le truppe degli Obscurity hanno la meglio su tutti, non facendo prigionieri. Un disco metal al cento per cento, composto e suonato molto bene, ben sapendo cosa desiderano le teste di metallo là fuori. Forse, come detto sopra, il gruppo tedesco ha raccolto meno di quanto seminato, ma la sua tenacia e la loro capacità di fare metal è davvero di primo piano. Un ottimo disco, che renderà molto bene dal vivo.

Tracklist
1. 793
2. Meine Vergeltung
3. Streitmacht Bergisch Land
4. Non Serviam
5. Hinrichtung
6. Todesengel
7. Endzeit
8. Herbstfeldzüge
9. Ehre den Gefallenen
10. Was uns bleibt

Line-up
Agalaz – Vox
Cortez – Guitars
Dornaz – Guitars
Ziu – Bass
Draugr – Drums

OBSCURITY – Facebook

Mega Colussus – HyperGlaive

Fans dell’heavy metal classico fatevi avanti, HyperGlaive nel suo essere un album di onesto metallo old school sa come inorgoglire chi del genere ne ha fatto da almeno trent’anni una religione.

Negli Stati Uniti non si vive di solo metal moderno, ma oltre ai generi estremi che da quelle parti hanno fatto storia (death e thrash) la tradizione metallica classica è viva e vegeta, magari nell’underground e fuori dai grandi carrozzoni che ogni anno portano in giro i soliti dinosauri hard rock.

Il metal classico non è solo U.S. power metal, ma i gruppi che pescano dalla tradizione britannica sono tanti e molti risultano interessanti, un po’ come questi Mega Colussus, un monicker bruttino in verità ma dal sound buono, specialmente per chi ama l’heavy metal duro e puro.
Licenziato dalla Killer Metal, HyperGlaive è un riuscito esempio di heavy metal, dal buon tiro, cantato bene, suonato discretamente, a tratti epico, colmo di chorus ed azzeccate melodie che si stagliano su ritmiche heavy di scuola europea.
Il quintetto proveniente dal Nord Carolina gioca con l’heavy metal old school a suo piacimento, molte volte riuscendo ad avere la meglio sulla voglia di modernizzare leggermente un sound che è storia.
Iron Maiden, e Judas Priest sono le influenze maggiori dei Mega Colussus e l’album vive di tutti gli elementi che hanno fatto grandi gli album dei primi anni ottanta di questi due monumenti del metal mondiale.
Le chitarre che tagliano l’aria, le cavalcate in crescendo e refrain dal buon appeal metallico fanno di brani forgiati nel vecchio continente come Gods And Demons, Betta Master e la conclusiva Star Wranglers un tributo ai gruppi citati ed a tutto un genere.
Fans dell’heavy metal classico fatevi avanti, HyperGlaive nel suo essere un album di onesto metallo old school sa come inorgoglire chi dell’heavy metal ne ha fatto da almeno trent’anni una religione.

TRACKLIST
1.Sunsword
2.Sea of Stars
3.Gods and Demons
4.The Judge
5.Betta Master
6.Behold the Worm
7.You Died
8.Star Wranglers

LINE-UP
Bill Fischer – Guitar/Vocals
Stephen Cline – Guitar/Vocals
Ry Eshelman – Mean Bass
Doza Cowbell – Drums
Sean Buchanan – Lead Vocals

MEGA COLOSSUS – Facebook

Bereft of Light – Hoinar

Quella marchiata Bereft Of Light è musica dal grande impatto emotivo, che non può lasciare indifferenti per la sua aura tragica stemperata dalle frequenti rarefazioni acustiche.

Quello di Daniel Neagoe è un nome caro a tutti gli appassionati del funeral/death doom più atmosferico e melodico, genere che ha contribuito a spingere verso vette qualitative difficilmente superabili con gli Eye Of Solitude prima, e con i Clouds più recentemente.

Il musicista rumeno è, però, un artista nel senso più autentico del termine e la sua ispirazione pare attingere ad un pozzo senza fondo, anche quando il genere non è quello che gli ha dato la maggiore visibilità.
Del resto il nostro non è nuovo ad incursioni nel black metal, prima con i Sidious assieme ad altri suoi compagni negli Eye Of SOlitude, poi nei Vaer assieme al suo storico sodale Déhà e, infine, in un precedente progetto solista denominato Colosus, che però, probabilmente è stato soppiantato da questo nuovo denominato Bereft Of Light.
In Hoinar, Daniel prende dichiaratamente le mosse dalla corrente cascadiana che è stato uno degli sviluppi recenti più efficaci e segnanti in ambito black, rendendo peculiare e ben riconoscibile il sound in gran parte della scena nordamericana: ovviamente il tutto viene eseguito da uno che ha scritto un album di rara drammaticità come Canto III e l’umore del lavoro non può non risentirne, portandosi appresso ben delineato il proprio marchio stilistico e conferendogli più d’una sfumatura depressive, a partire dalla scelta di uno screaming disperato che solo nella meravigliosa Freamăt trova un suo contraltare nelle clean vocals.
L’opera consta fondamentalmente di tre brani portanti (Legamânt, Freamăt e Tarziu), oltre a due tracce strumentali di ambient atmosferico (Uitare e Pustiu), esibendo anche un giusto senso della misura ed evitando di saturare l’ascoltatore con una durata eccessiva.
Del resto, quella marchiata Bereft Of Light è musica dal grande impatto emotivo, che non può lasciare indifferenti per la sua aura tragica stemperata dalle frequenti rarefazioni acustiche, eseguite in maniera limpida quanto lineare e propedeutiche ai tipici crescendo che sono parte integrante dello stile di Neagoe, resi ancor più evocativi dall’utilizzo compatto e all’unisono di tutta la strumentazione assieme alla voce. Detto di Freamăt , resa più meoldica e relativamente accessibile proprio dalle parti di cantato pulito, Legamânt e Tarziu sono brani intrisi di una drammaticità a tratti parossistica, nei quali il dolore tracima da un songwritibng sempre ad altissimo livello.
Del resto il doom ed il depressive black sono solo due maniere leggermente diverse per esprimere la propria sensibilità artistica da parte di un musicista come Daniel Neagoe che, davvero, oggi può essere considerato uno dei due (l’altro è Déhà, ma che ve lo dico a fare …) più influenti ed attivi in un settore musicale che sarà pure di nicchia (sicuramente lo è in Italia, purtroppo) ma che resta ugualmente uno degli strumenti di elezione per raccontare le paure, le sofferenze e le miserie dell’umana esistenza.

Tracklist:
I – Uitare
II – Legamânt
III – Pustiu
IV – Freamăt
V – Târziu

Line-up:
Daniel Neagoe – everything

BEREFT OF LIGHT – Facebook

Anticlockwise – Raise Your Head

Raise Your Head è un album a tratti esaltante, un ascolto imperdibile per chi ama il metal, lasciando da parte noiose sfumature e dibattiti su generi e sottogeneri.

Ecco una band che non si nasconde dietro un dito, ma ti sbatte in faccia la sua influenza primaria, poi la manipola, la personalizza e se ne esce con un album inattaccabile.

Gli Anticlockwise arrivano da Bergamo mossi da una passione per i Nevermore, quella magnifica creatura con la quale Warrel Dane, uno dei cantanti più sottovalutati dell’intero panorama metal, elargiva interpretazioni canore d’alta scuola dopo aver stupito tutti con gli altrettanto imperdibili Sanctuary.
Ma si parlava del quartetto nostrano, ed allora incominciamo col dire che questo bellissimo terzo album esce per la Revalve, ormai un marchio di qualità all’interno di una scena italiana che, a discapito di un’altissima qualità, fa fatica ad uscire da un anonimato che comincia davvero ad essere fastidioso.
Raise Your Head è dunque il terzo album di una discografia che si completa con Non Linear Dynamical Systems, licenziato nel 2009, ed il precedente Carry The Fire uscito tre anni fa.
Il gruppo torna quindi con una nuova raccolta di brani che dal thrash metal prendono forza ed aggressività ma, come faceva appunto la band statunitense, lo nobilita parti con intricate, atmosfere drammatiche ed oscure prese dall’US Metal (si parlava di Sanctuary), suggestive ma possenti sfumature progressive, ed un cantato che, come il miglior Dan,e fa il bello e cattivo tempo, ed artisticamente parlando risulta sfaccettato in tutte le sue sfumature che assecondano la musica composta.
Attenzione però, gli Anticlockwise non sono semplicemente dei bravissimi cloni, il loro sound si sposta, quando il concept (ispirato ai meccanismi di comunicazione e ad internet) lo richiede su lidi thrash metal classici, sempre di matrice statunitense, o si invola sulle ali del progressive metal.
Prodotto da Simone Mularoni, Raise Your Head è un album riuscito, a tratti esaltante, che non manca certo di rivestirsi dei fasti del gruppo americano, ma lo fa con la personalità dei grandi, risultando un ascolto imperdibile per chi ama il metal, lasciando perdere noiose sfumature e dibattiti su generi e sotto generi.
Into The R.A.M., varia, devastante e spettacolare nelle sue mille sfaccettature, The Blue Screen Of Death e The Broken Mirror, violente e progressive come l’urgenza thrash/power/prog metal di The Gutenberg Plague sono le perle nere di questo bellissimo esempio di metallo forgiato nella nostra bistrattata penisola.
Gli Anticlockwise sono autori di un album da portare ad esempio quando i soliti esterofili da bar fanno spallucce al solo nominare il metal nazionale, mai come oggi al di sopra delle più rosee aspettative.

Tracklist
01. Slave
02. Raise Your Head
03. The Gutenberg Plague
04. Mothertongue
05. The Wire
06. The Broken Mirror
07. The Blue Screen of Death
08. Into the R.A.M.
09. Dystopia MMXVI

Line-up
Claudio Brembati – vocals
Pietro “Pacio” Baggi – guitars
Michele Locatelli – bass
Daniele “Bubu” Gotti – drums

ANTICLOCKWISE – Facebook

Neve – Tales From The Unknown

Prima uscita discografica per i napoletani Neve, autori di un black atmosferico e melodico dalle buone prospettive ma ancora da rifinire e limare in più di un aspetto.

Prima uscita discografica per i napoletani Neve, autori di un black atmosferico e melodico dalle buone prospettive ma ancora da rifinire e limare in più di un aspetto.

Clouds of melancholy ci accoglie riportandoci di peso alle sonorità dei primi Old Man’s Child, band di quel Galder che poi diverrà membro stabile dei ben più famosi Dimmu Borgir, però già a metà del brano si coglie la volontà dei ragazzi partenopei di non accodarsi ad un modello precostituito, provando ad inserire qualche variazione sul tema, rarefacendo il sound e preparando il terreno alla successiva traccia This Ancient Cliff, episodio dai tratti sognanti e contraddistinto da un bell’impatto melodico.
Indubbiamente è proprio questo il punto di forza sul quale i Neve dovrebbero sviluppare poi tutto il resto della loro idea compositiva, perché il potenziale evocativo che si riesce a cogliere in diversi passaggi, disseminati nei vari brani, viene talvolta affossato da un’esecuzione ancora perfettibile e da una produzione che va di pari passo.
Interessante, in Tales From The Unknown, si rivela peraltro l’utilizzo del basso, molto più in evidenza rispetto ai normali parametri del genere, assieme ad un approccio volto a ricercare soluzioni tutt’altro che scontate (emblematica in tal senso la componente acustica evidenziata in Perpetual Nightmare).
In sintesi, questo primo passo dei Neve, al netto delle screpolature evidenziate, mostra più di un dato incoraggiante, in particolare perché in questo caso quello che deve essere rifinito non è tanto lo sviluppo compositivo quanto la sua messa in pratica, un aspetto destinato a progredire naturalmente con il passare del tempo e l’acquisizione di ulteriore esperienza.

Tracklist:
1.Clouds Of Melancholy
2.This Ancient Cliff
3.The Night
4.So Many Times
5.Perpetual Nightmare
6.Pure

Line-up:
Raffaele Ferrara – Vocals, lyrics, keyboard, drum programming
Emanuele Landri – Guitars
Alessandro Stasio – Bass

Extremity – Extremely Fucking Dead

L’atmosfera soffocante e catacombale si scontra con un’attitudine battagliera, ricordando i Bolt Thrower in più occasioni, tra veloci ripartenze e secche frenate.

Dalle catacombe marcite di un cimitero nascosto tra i palazzi di Oakland, escono per nutrirsi nascosti nell’ombra della notte gli Extremity, death metal band formata da ex membri di Vastum, Necrosic e Cretin.

Death metal pregno di macabro ed insano impatto old school, con uno sguardo alla tradizione europea ed una personalità da gruppo navigato, sono le prime impressione lasciate dal quartetto californiano.
Extremely Fucking Dead è il primo lavoro per questa nuova realtà estrema, i sei brani che compongono l’ep sono un prefetto esempio di death metal senza compromessi, dal songwriting ottimo, curato in ogni dettaglio, con tulle le caratteristiche al loro posto pur risultando diretto e senza compromessi.
L’atmosfera soffocante e catacombale si scontra con un’attitudine battagliera, ricordando i Bolt Thrower in più occasioni, tra veloci ripartenze e secche frenate.
Il sole della California è oscurato da una cupe e grigiastra coltre di nebbia, mentre una pioggia acida attraversa la pelle e uccide a colpi di riff scolpiti sulle lapidi distrutte di un cimitero, che si trasforma in un locale putrido dove il rito estremo si consuma sulle note di Crepuscolar Crescendo, Chalice of Pus e la title track.
Ben divisa tra uomini e donne, la line up degli Extremity è composta da Erika Osterhout (basso), Aesop Dekker (batteria), Marissa Martinez-Hoadley (chitarra e voce) e Shelby Lermo (chitarre e voce).
Prendete nota perché di questo gruppo ne sentiremo parlare, interessanti e consigliati senza remore.

TRACKLIST
1. Intro (Mortuus est Valde)
2. Crepuscular Crescendo
3. Bestial Destiny
4. Chalice of Pus
5. Fatal Immortality
6. Extremely Fucking Dead

LINE-UP
Erika Osterhout – Bass
Aesop Dekker – Drums
Marissa Martinez-Hoadley – Guitars, Vocals
Shelby Lermo – Guitars, Vocals

EXTREMITY – Facebook

Mercic – 3

Quello di Mercic è un lavoro che non dispiace affatto, lasciando però nel contempo un senso di incompiutezza che neppure le buone sensazioni derivanti dai ripetuti ascolti riescono del tutto a scacciare.

Mercic è un progetto solista di provenienza portoghese ma con propaggini anche negli States: 3, come è facile da intuire, è il terzo album che arriva con cadenza annuale dall’esordio datato 2015.

Il genere musicale che troviamo qui è un industrial in quota Nine Inch Nails, nel senso che assieme a parti più robuste e disturbanti troviamo anche diversi passaggi melodici di tipica ispirazione reznoriana; detto questo, il nostro non si accontenta di fare un’operazione di copia incolla ma prova a inserire diverse variazioni sul tema sia a livelli di rarefazione del suono, con l’inserimento di una componente elettronica molto dinamica, sia irrobustendo il tutto con qualche sfuriata metallica con tanto di growl (Turn The Page).
Il lavoro è sicuramente interessante, ma forse gli viene meno una certa continuità ritmica, il che comporta una frequente rottura della tensione sprigionata dalle pulsioni più estreme, con l’inserimento di partiture melodiche che prestano il fianco, anche a causa di una prestazione piuttosto piatta quando il nostro è alle prese con le clean vocals.
A Mercic non fanno difetto le idee, che vengono immesse senza particolari remore in un lavoro che mostra, in effetti, più di un episodio brillante (l’acustico-elettronica The Damned Shelter è una traccia strana quanto notevole), ma del quale è talvolta difficile seguire il filo logico, se pensiamo che a chiudere il disco, seguendo la traccia appena citata, troviamo una sfuriata industrial grind intitolata Fuck You.
3 è apprezzabile per la voglia di sperimentare, esplorando diversi meandri dell’industrial da parte del suo autore, ma nel contempo paga la mancanza di un vero brano trainante e la stessa breve durata delle dieci tracce finisce per conferire all’insieme un che di schizofrenico.
In definitiva, quello di Mercic è un lavoro che non dispiace affatto, lasciando però nel contempo un senso di incompiutezza che neppure le buone sensazioni derivanti dai ripetuti ascolti riescono del tutto a scacciare.

Tracklist:
11- THERE`S NOTHING LEFT FROM YOU
12- ARE YOU WHAT YOU THINK ?
13- BLIND OBEYING
14- BE NOTHING
15- YOU`RE GONE
16- SO CLOSE, SO NEAR
17- TURN THE PAGE
18- WHERE ARE YOU NOW?
19- THE DAMNED SHELTER
20- FUCK YOU!!!

MERCIC – Facebook

Insania.11 – Di Sangue E Di Luce

Cinque brani da maneggiare con cura, spiazzati da questa mezzora di musica glaciale e dall’animo intriso di una male freddo, siderale, vero.

Una proposta affascinante come solo la musica fuori dai soliti schemi sa essere, ed un sound che potrà piacere a molti e magari non essere digerito da altri, anche abituali ascoltatori di metal estremo, ma che indubbiamente tiene incollati alle cuffie come un film o un libro dei quali si aspetta con curiosità il loro evolversi verso la soluzione finale.

Questo gioiellino estremo dal titolo Di Sangue e Di Luce è opera degli Insania.11, gruppo che ha i suoi natali addirittura alla fine degli anni ottanta, ma che con il monicker Insania risulta attivo dal 2008 come studio project di musicisti appartenenti ai Res (heavy/speed) e agli Incubo (hardcore grind).
Una line up che negli anni ha visto più di un accorgimento, specialmente per quanto riguarda la batteria, prima suonata da Max, ora in forza agli heavy epic metallers Holy Shir,e ed in seguito con Luca Sigfrido Percich.
Di Sangue E Di Luce vede i soli Ethrum (chitarra) e Samaang (voce e chitarra) alle prese con un death/thrash campionato nella fase ritmica, ovviamente improntato sulle chitarre, progressivo e violento, originale ed insolito.
Partendo da una struttura che può ricordare le cose più violente di Devin Townsend, il duo spara mitragliate di thrash moderno alla Meshuggah, in un’atmosfera industriale, asettica e fredda come l’acciaio al contatto della pelle, mentre si  viene torturati dal growl cattivissimo che si trasforma in un cantato schizoide ed aggressivo, in due parole, inumano.
Una proposta estrema ma curatissima, dalla copertina al booklet fino alla produzione, perfettamente in linea con quanto proposto dagli Insania.11.
Cinque brani, dall’opener Uroboros alla conclusiva B Naural (I Figli Del Quinto Sole), da maneggiare con cura, spiazzati da questa mezzora di musica glaciale e dall’animo intriso di una male freddo, siderale, vero.

Tracklist
01. Uroboros
02. Metamorfosi
03. Nosferat (Aspettando L’Alba)
04. I Morti
05. B Naural (I Figli Del Quinto Sole)

Line-up
Samaang – Vocals, Guitars
Ethrum – Guitars

INSANIA.11 – Facebook

Dwoom – Pale Mare – Demo MMXVII

I Dwoom hanno lanciato un sasso piuttosto pesante nelle acque talvolta stagnanti del classic doom e, tenendo conto che questo è un demo, con tutte le limitazioni del caso, l’ipotesi che un prossimo ed auspicabile full length possa avere effetti dirompenti all’interno della scena è tutt’altro che peregrina.

Gli svedesi Dwoom risultano attivi fin dal 2010 ma, di fatto, questo demo è la loro prima tangibile testimonianza musicale.

La band è composta da tre quarti dei deathsters Feral, rispetto ai quali cambia solo il cantante che, in questo caso, risponde al nome di Gustav Lund, dotato di voce stentorea come l’epic doom richiede.
Infatti, il monicker non inganna: quello che il quartetto scandinavo propone è doom vecchia scuola che prende le mosse dagli imprescindibili Candlemass per poi irrobustirsi con il background estremo dei musicisti coinvolti, dando vita così ad un’interpretazione che fonde con buona fluidità la tradizione del genere con la pesantezza del death.
I tre brani proposti viaggiano su una media di sei minuti ciascuno e sono, tutto sommato, abbastanza distinguibili tra loro: mentre l’opener Fallen Again è figlia legittima del songwriting di Leif Edling, la successiva Pale Mare sposta decisamente la barra verso sonorità più ruvide, erigendo un muro sonoro sul quale si staglia con notevole efficacia il bravo Lund, il quale appare tutt’altro che un clone dei Marcolin o Lowe, optando sovente per una timbrica più aggressiva.
Empty Temples chiude i giochi con ritmiche sostenute e, come nel brano precedente, affiora tra i riff possenti un hammond che con una produzione leggermente più raffinata potrebbe risultare ancor più efficace nei suoi interventi.
Ci avranno messo il loro tempo, ma i Dwoom hanno lanciato un sasso piuttosto pesante nelle acque talvolta stagnanti del classic doom e, tenendo conto che questo è un demo, con tutte le limitazioni del caso, l’ipotesi che un prossimo ed auspicabile full length possa avere effetti dirompenti all’interno della scena è tutt’altro che peregrina.
Una band da segnare con il circoletto tosso.

Tracklist:
1. Fallen Again
2. Pale Mare
3. Empty Temples

Line-up:
Gustav Lund – Vocals
Viktor Klingstedt – Bass
Markus Lindahl – Lead guitar
David Nilsson – Rhythm guitar

DWOOM – Facebook

No Limited Spiral – Into The Marinesnow

Ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere che troveranno di che divertirsi tra la tempesta musicale scaturita da questa bassa pressione in arrivo dalle terre del Sol Levante.

Giappone, terra di terremotante tradizione metallica, un riparo, un accogliente nido per i suoni classici in tempi di magra in Europa ed America, ora isola di Tortuga anche per i suoni estremi.

Senza farsi troppe paranoie su quello che è più o meno cool, la terra del Sol Levante continua ad essere un paradiso per il metal ed il rock e la Wormholedeath, che la sa lunga, sull’isola ha poggiato i suoi artigli da un po’ di anni, non solo proponendo i suoi prodotti ma cercando di pescare ottime realtà da proporre sul mercato metallico internazionale.
Esempio notevole dell’orecchio finissimo dell’etichetta nostrana sono i No Limited Spiral, quintetto di Osaka che ci prende per il colletto e ci sbatte sulla macchina del tempo, riportandoci nell’ultimo decennio del secolo scorso, quando dalla penisola scandinava scendevano verso l’Europa le truppe d’assalto che battevano bandiera melodic death.
Melodic death metal, Gothenburg sound, swedish death, chiamatelo come vi pare, rimane il fatto che il genere più amato negli anni che ci accompagnarono nel nuovo millennio vive ancora, rigenerato nell’underground internazionale, dallo stivale alle terre d’oriente, ancora perfettamente in grado di entusiasmare proprio come ai tempi dei capolavori di In Flames e Dark Tranquillity.
In verità la band nipponica ha molto a che fare con i cugini finlandesi che campeggiavano sul lago di Bodom, non solo per l’uso delle tastiere di estrazione power e per lo scream di Kxsxk, ma soprattutto per un approccio furioso e tempestoso.
Attivo da quasi dieci anni e con alle spalle un ep ed un full length, per il gruppo arriva dunque il momento di alzare l’asticella con l’uscita di questo ottimo album intitolato Into Marinesnow.
Una quarantina di minuti scarsi sull’ottovolante del melodic death metal, su e giù tra gli In Flames e i Children Of Bodom, armati di una buona tecnica ed un ancor migliore songwriting, tanto basta per creare un album piacevole, dove chitarre, basso e batteria incendieranno il vostro lettore, con le sei corde taglienti come katane di indomabili Samurai, e i tasti d’avorio che ricamano melodie con la sezione ritmica in modello treno in corsa a devastare padiglioni auricolari.
Non cercate originalità perché non ne troverete, Into The Marinesnow , dall’opener Nyx in poi vi travolgerà sotto tuoni e fulmini di melodic death metal con una serie di brani su cui spiccano le notevoli Kalra the Everlasting Red, Dissolved In The Color Of Ocean e la conclusiva Clockwork Serenade.
Ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere che troveranno di che divertirsi tra la tempesta musicale scaturita da questa bassa pressione in arrivo dalle terre del Sol Levante.

Tracklist
1.In Reminiscence
2.Nyx
3.The Witch of Dusk
4.Gestalt-Eve
5.Kalra the Everlasting Red
6.Daffodil
7.The Rusted Dream and My Sweet Nightmare
8.Dissolved in the Color of Ocean
9.Cherished, Frozen and Faded
10.Clockwork Serenade

Line-up
Nene – Bass
Ren – Guitars, Vocals
Pon – Guitars
Ruri – Keyboards
Kegoi – Drums

NO LIMITED SPIRAL – Facebook

Affäire – Neon Gods

Gli Affäire riescono a farsi apprezzare già dal primo brano anche da chi non conosce la loro musica, ottenendo un ottimo compromesso tra atmosfere anni ’80 e l’aggiunta di qualche elemento moderno.

Dopo il full-length di debutto del 2015 At First Sight, gli Affäire tornano con un nuovo EP contenente anche una versione coverizzata del brano dei Beatles I Saw Her Standing There.

L’album inizia con la title track Neon Gods, introdotta da un riff di chitarra un po’ anticato, di stampo quasi country/blues, che si trasforma subito dopo in un aggressivo e rude sleaze. Degno di nota il brano All Messed Up, con il quale entriamo nel “Party Mood” in stile Crashdiet: ritornello orecchiabile e cori che accompagnano senza prevaricare la voce principale, sicuramente un brano che resterà nella testa dell’ascoltatore. Nonostante sia tratti di un EP di soli 5 pezzi, gli Affäire riescono a farsi apprezzare fin dal primo brano anche da chi non conosce la loro musica, ottenendo un ottimo compromesso tra atmosfere anni ’80 e l’aggiunta di qualche elemento moderno; insomma una band con un piede nel passato ed uno nel futuro, uno sleaze/glam rivolto non solo ai nostalgici ma anche alle nuove generazioni. Molto rilevante la cover del brano I Saw Her Standing There dei Beatles, un rock’n roll molto divertente in chiave originale e moderna, ma senza voler strafare rendendola una “brutta copia”. Il frontman Dizzy Dice Mike riesce a trasportare l’ascoltatore direttamente nelle atmosfere di ottantiana memoria, con la sua voce un po’ roca e rude tipica del glam e dello sleaze di quegli anni, splendidamente accompagnato dai cori nelle parti più significative dei brani. Le chitarre sono nel contempo “rozze” e cariche, senza mai debordare ma risaltando e spiccando nei giusti momenti, quasi a sottolineare la loro presenza. Il basso si fa sentire in tutte le canzoni, a volte prepotente, con uno spazio dedicato ad un piccolo assolo nell’introduzione del brano Shotgun Marriage, mentre la batteria rude e forte fa da accompagnamento in modo sapiente. Nel complesso Neon Gods è un EP molto interessante, che fa crescere l’attesa per un nuovo full-length e che, sicuramente, piacerà tanto agli affezionati del genere quanto ai nuovi ascoltatori che cercano qualcosa di vecchio stampo, ma allo stesso tempo con elementi che attingono dal moderno.

Tracklist
01. Neon Gods
02. All Messed Up
03. Shotgun Marriage
04. The Hitcher
05. I Saw Her Standing There

Line-up
J.P. Costanza – Drums, Backing Vocals
Rick Rivotti – Guitars, Backing Vocals
Dizzy Dice Mike – Vocals
Tawny Rawk – Bass, Backing Vocals

AFFAIRE – Facebook

Mother Nature – Double Deal

un lavoro piacevole, vario e scorrevole, duro ma con un occhio particolare verso melodie che catturano ed imprigionano, legati al filo del blues e della musica nera.

Operazioni dal retrogusto vintage o meno, è un fatto che l’hard rock sia tornato a fare la voce grossa sul mercato del metal/rock a tutti i livelli, dalle reunion live di gruppi storici alle proposte di un mondo musicale alternativo che non ha mai smesso di crederci, anche quando solo al pronunciare le due magiche parole (hard rock) si veniva tacciati e additati come immobili conservatori, amanti di un modo d’espressione ormai obsoleto.

Ma come sempre è successo in questo meraviglioso mondo, in questi ultimi anni, d’incanto, tutto è tornato al suo posto e l’hard rock nelle sue molte sfaccettature è tornato a far ruggire i leoni lungo criniti sui palchi di tutti il mondo.
E la nostrana Andromeda Relix non è certo stata a guardare mettendo sotto contratto vari gruppi impegnati nel rock duro come i Mother Nature, dal 1993 in giro a suonare hard rock zeppeliniano, dai rimandi al blues e in quota Bad Company.
Si parte da qui per descrivere il sound del gruppo pugliese, come detto da una vita ormai in sella, anche se non sono mancati problemi e stop forzati: un album uscito nel 1998 (Skin), un paio di demo precedenti che piacquero non poco alla stampa dell’epoca ed una predisposizione per tutto quel che riguarda il rock del delta, lasciato tre le mani di rockers che, con personalità e gusto, affrontano la materia seguendo le strade tracciate dai dinosauri settantiani, tra il Regno Unito e l’America(Aerosmith)
Ne esce un lavoro piacevole, vario e scorrevole, duro ma con un occhio particolare verso melodie che catturano ed imprigionano, legati al filo del blues e della musica nera (funky e soul fanno sicuramente parte del bagaglio musicale dei nostri).
Un album arioso, che parte come meglio non potrebbe con il riff dell’opener Spit My Soul, e mentre il sole scalda gli strumenti il ritmo prende il sopravento con l’irresistibile Magnet Girl.
L’inizio non poteva essere più promettente e adrenalinico, ed a confermare che non si tratta di un fuoco di paglia, Haze ci travolge, ipnotica e dal chorus melodico di una bellezza imbarazzante, mentre accenni alle nuove sfumature desertiche fanno capolino tra il groove ritmico di questo stesso brano e di Does It Suit You.
Gli Aerosmith a braccetto con gli Zep canticchiano Everything Will Follow, mentre gioiosi si incamminano verso il delta con il southern rock blues della splendida New Way: il gruppo qui si diverte e fa divertire come non succedeva da ormai vent’anni circa ed il sound esplode dagli altoparlanti, sanguigno e pieno come deve essere un disco del genere.
Un album che non lascia scampo e si fa amare, come un ragazza portata in un fienile nel tramonto di una sera d’estate, perdendosi tra le note mentre fuori, in un attimo, è già l’alba … magie del rock ‘n’ roll.

Tracklist
1.Spit My Soul
2.Magnet Girl
3.Haze
4.Pearl v3
5.Everything Will Follow
6.Ask Yourself
7.Double Deal
8.New Way
9.Does It Suit You
10.Boy, We Gotta Handle This

Line-up
Wlady Rizzi – vocals, guitars & harmonica
Luca Nappo – guitars & vocals
Francesco Candelli – bass & vocals
Francesco Amati – drums

MOTHER NATURE – Facebook

The Reptilian Session – The Reptilian Session

Il lavoro è ricco di spunti interessanti, a partire dalla volontà di proporre un black metal sicuramente contaminato da altre pulsioni di carattere estremo ma, nel contempo, ben radicato nel suo alveo tradizionale

Questa uscita omonima dei The Reptilian Session è la riedizione in formato cd dell’ep pubblicato già in cassetta nel 2015.

La band romana è autrice di un black metal piuttosto tradizionale, diretto e con qualche spunto prossimo al punk. Ne scaturisce così un sound ruvido, anche a livello di produzione, ma abbastanza ficcante e spontaneo per meritare la giusta attenzione. Indubbiamente il fulcro dell’opera è la notevole Cosmic Glorification of Evil,una canzone meno immediata delle altre per impatto, sviluppandosi inizialmente su un mid tempo: la lunga traccia, impreziosita dal contributo vocale di Fabban degli Aborym, cambia più volte registro nel suo incedere mantenendo comunque il proprio approccio privo di ammorbidimenti di sorta.
Nelle varie edizioni che si sono succedute, il lavoro si è arricchito prima della versione edit di The Dungeon Before the Void, brano incisivo che nella nuova veste viene letteralmente stravolto da una rielaborazione industrial ambient quanto mai sperimentale, e poi della cover di Double Dare dei Bauhaus, che anche in questo caso viene interpretata con un approccio tutt’altro che fedele dell’originale, venendo restituita in maniera molto personale ma comunque riconoscibile.
Il lavoro è ricco di spunti interessanti, a partire dalla volontà di proporre un black metal sicuramente contaminato da altre pulsioni di carattere estremo ma, nel contempo, ben radicato nel suo alveo tradizionale; alla luce di queste buone premesse non resta che attendere l’uscita di nuovo materiale che dovrebbe dire qualcosa di più sull’effettivo potenziale dei The Reptilian Session.

Tracklist:
1. Dark Matter of Anti-Universe
2. The Feast of the Reptiles
3. The Dungeon Before the Void
4. Cosmic Glorification of Evil
5. The Dungeon Before the Void (Sirio Gry J ‘March To Hell’ Edit)
6. Double Dare

Line-up:
M. Puliani – Bass
C. Usai – Drums
T. Aurizzi – Guitars

THE REPTILIAN SESSION – Facebook

In A Testube – Immigration Anthems

Un album che si fa ascoltare, perfetto da inserire nel supporto mp3 della vostra automobile, melodico e non troppo metallico per essere gradito anche da chi il rock lo ascolta ogni tanto.

Non solo in America e nel Regno Unito si suona rock alternativo di una certa qualità: in ogni paese e specialmente in Europa il genere è suonato e seguito e nell’underground nascono tutti i giorni gruppi dediti ai suoni alternativi.

In Italia, per esempio, il genere può vantare una scena florida cresciuta negli ultimi anni, ma anche in Grecia non si scherza e gli In A Testube dimostrano i buoni propositi dell’underground di quel paese che ancora lotta per riprendersi da una devastante crisi economica.
Il gruppo proveniente da Salonicco, con Immigration Anthems cerca di uscire da quei  confini supportato dalla Dream Records con quest’ora di rock moderno, dall’ottimo appeal e con una manciata di brani che in altri tempi e, forse con altri natali da parte della band, avrebbero potuto fare il botto.
Auguriamo il meglio al quartetto di rocker che ha forse l’unico difetto di allungare un po’ troppo la vita di un album che, con una ventina di minuti in meno, sarebbe stato perfetto per sfondare tra gli amanti di un genere facile da assorbire ma altrettanto da dimenticare e per questo, perfetto quando risulta il più diretto possibile.
Tra i brani si segnalano il singolo C.I.C.O, la darkwave Limitless, Lucky Thirteen e la finalmente dura e grintosa Flying Away, canzoni ricche di sfumature elettroniche a delineare molto del sound di questo Immigration Anthems e la voce che rimane sempre al giusto livello di guardia, con appeale quel pizzico di ruffianeria obbligatoria se si vuole sfondare.
Dunque dimenticate Korn, Nine Inch Nails e System Of A Down, come scritto nella biografia del gruppo, e concentrate le vostre attenzioni si un sound più vicino ai Linkin Park e alla seconda generazione dei gruppi alternativi d’oltreoceano.
Un album che si fa ascoltare, perfetto da inserire nel supporto mp3 della vostra automobile, melodico e non troppo metallico per essere gradito anche da chi il rock lo ascolta ogni tanto.

TRACKLIST
1.Believe
2.In The End
3.C.I.C.O
4.Hey Lilly
5.CLOC
6.Limitless
7.Together As Two
8.Lucky Thirteen
9.Many Things
10.Flying Away
11.Digital Eyes
12.Slipping Away
13.Mythu

LINE-UP
Dennis Konstantinidis
Petros Kabanis
Panos Papadopoulos
Konstantinos Mentesidis

IN A TESTUBE – Facebook

Woodscream – Octastorium

Octastorium si fa sentire con molto piacere e trasporto dall’inizio alla fine, ad opera di una delle migliori band folk metal della scena russa e non solo.

Ristampa su Adulruna del primo disco su lunga distranza della band russa folk metal Woodscream, originariamente uscito nel 2014 mediante autoproduzione e autodistribuzione.

Grazie a questo disco e ai loro concerti i Woodscream si sono fatti conoscere nella nutrita scena folk metal. Questo genere in Italia non viene apprezzato per ciò che vale, anche se abbiamo gruppi notevoli, tra i tanti citiamo Furor Gallico e Blodga Skald, mentre nelle terre russe è un genere che va fortissimo e che vede molti gruppi sgomitare per la ribalta. I Woodscream, come potrete verificare ascoltando Octastorium, sono ben più di una spanna sopra la media. Innanzitutto assaltano l’ascoltatore con un chitarre metal e una parte folk davvero ben costruita , che si sposa alla perfezione con il resto dell’ambiente. Il cantato in russo non è assolutamente un limite, anzi diventa un punto di forza. I Woodscream avanzano come antichi guerrieri slavi sul campo di battaglia senza lasciare sopravvissuti o prigionieri alle loro spalle. Il disco funziona benissimo e la splendida voce della vocalist Valentina è un valore aggiunto al tutto. Fare folk metal di qualità non è affatto facile, poiché è un genere che in mani senza talento può facilmente deragliare in una pantomima senza molto senso, invece qui è un gran spettacolo. I ritornelli sono incalzanti e sono di grande effetto nei concerti, e la band possiede una notevole presenza scenica. Octastorium si fa sentire con molto piacere e trasporto dall’inizio alla fine, ad opera di una delle migliori band folk metal della scena russa e non solo. Una riproposizione meritevole e da ascoltare senza indugio.

Tracklist
1.Алан
2.Топь
3.Лесной царь
4.An Dro
5.Коваль
6.Ворон
7.Зов
8.Witnesses of J

Line-up
Valentina Tsyganova – vocal & recorder
Alexander Klimov – guitar & scream
Ivan Budkin – bass & growl
Pavel Malyshev – drums

WOODSCREAM – Facebook