Slikk Wikked – Savage

Una bella mazzata heavy thrash classicamente old school, ma con tutte le carte in regola per piacere agli amanti del genere.

Suonare thrash metal e provenire da Tampa (Florida) è un po’ come giocare a calcio e sul passaporto avere il timbro brasiliano, una garanzia molte volte supportata dai fatti.

Gli Slikk Wikked confermano questa regola e danno alle stampe il loro primo lavoro autoprodotto, una bella mazzata heavy thrash classicamente old school, ma con tutte le carte in regola per piacere agli amanti del genere.
Un gruppo relativamente giovane, i quattro leoni statunitensi, a costituire un branco di felini famelici da solo cinque anni e con un ep alle spalle dello scorso anno, quanto basta per tornare in pista con Savage e cominciare la caccia grossa ai thrashers sparsi per il mondo, con questa dimostrazione di forza che, dalla title track in poi non trova ostacoli.
Le canzoni infatti non lasciano spazio all’immaginazione, sono pugni in pieno volto fatti di accelerazioni, mid tempo, un’attitudine thrash made in Bay Area che colpisce al bersaglio grosso e regala ottima musica metal come si faceva a cavallo tra il decennio ottantiano e quello successivo.
Piazzo lì tre nomi : Metallica, Exodus e Testament: alla band piace vincere facile, così che le sonorità espresse in brani devastanti come Death Never Rests, In My Blood, Like In Addiction (con quel basso che pompa sangue metallico) e On The Rocks non potranno che fare proseliti tra i fans dei gruppi in questione.
Prodotto adeguatamente per valorizzare il lavoro dei musicisti, Savage risulta un gran bel debutto, forte di una raccolta di brani che non cede di un passo, d’altronde la scuola frequentata dagli Slikk Wikked è la migliore in circolazione e, come un centravanti arrivato nella vostra squadra del cuore, saprà esaltarvi a dovere.

TRACKLIST
1. Equinox
2. Savage
3. Death Never Rests
4. In My Blood
5. Smokin’ with El Diablo
6. Ascent to Madness
7. Dead in My Eyes
8. Use Your Head
9. On the Rocks
10. Until the End
11. Don’t Push Your Luck
12. Like an Addiction
13. When Angels Cry
14. Solstice

LINE-UP
Zakk Thrash – Vocals, Guitars
Nasty Pat – Bass, Vocals
Handsome Kris – Drums
Kyle Fuckin Smith – Guitars

SLIKK WIKKED – Facebook

Krypts – Remnants of Expansion

La quintessenza della malignità che si fa musica e autentica colonna sonora delle più terrorizzanti evocazioni lovecraftiane

Ecco, quando qualcuno, incuriosito dalle nostre strambe (per lui …) preferenze musicali, ci chiedesse di fargli ascoltare qualcosa, per esempio, definibile come death doom, questo nuovo album dei Krypts sarebbe perfetto.

Lontano dall’indole malinconica e consolatoria della sua frangia melodica, il genere interpretato dal gruppo finlandese diviene la quintessenza della malignità che si fa musica e autentica colonna sonora delle più terrorizzanti evocazioni lovecraftiane, tanto che il nostro ipotetico interlocutore ne resterà forse irrimediabilmente attratto oppure, molto più probabilmente, dal giorno dopo ci eviterà come la peste …
Una magnifica Arrow Of Entropy apre un lavoro che, fin dalle prime note, fa capire che non deluderà, attirandoci fatalmente nei propri abissi in cui funesto vate si rivela Antti Kotiranta (anche al basso), con il suo growl impietoso; i suoi degni compari Otso Ukkonen (batteria), Ville Snicker e Jukka Aho (chitarre) lo assecondano con il loro maelstrom sonoro che miscela Morbid Angel, Incantation e Asphyx da una parte, ed Evoken, Thergothon e Colosseum dall’altra.
Il risultato è un monolite dai tratti spaventosi il cui nome è comunque Krypts, al di là di ogni possibile riferimento passato e presente; a differenza di tanti tentativi, lodevoli ma spesso fallaci, di riportare a galla queste sonorità che trovarono linfa nei ’90 soprattutto, i quattro finnici non si limitano certo a sbraitare in un microfono su un tappeto sonoro ruvido, essenziale e spesso prodotto alla bell’e meglio: Remnants of Expansion è lo stato dell’arte del death doom ed ha un solo difetto, quello di durare appena mezz’ora, anche se per la sua veemenza in realtà appare molto più lungo.
I nostri non sono affatto solo dei biechi macinatori di riff assassini, ma sanno infatti creare atmosfere sospese ma disturbanti né più né meno di quando, con grande sapienza, erigono muraglie sonore di rara densità.
Come detto, in poco più di mezz’ora Remnants of Expansion compie il proprio annichilente percorso di morte, lasciando storditi per un intensità che va ben oltre la mera potenza esecutiva: non c’è una sola nota superflua in questa opera mefitica, ma ritengo Entrailed To The Breaking Wheel uno dei migliori brani che il genere ci ha offerto nel nuovo secolo, esibendo in poco più di cinque minuti il contenuto virtuale di un’ora di musica.
Nient’altro da dire, resta solo da calarsi con i Kyrpts in putridi meandri che la loro musica rende tangibili come il solitario di Providence riusciva a fare, circa un secolo fa, grazie alla sua tormentata penna …

Tracklist:
1. Arrow Of Entropy
2. The Withering Titan
3. Remnants Of Expansion
4. Entrailed To The Breaking Wheel
5. Transfixed

Line-up:
Otso Ukkonen – Drums
Ville Snicker – Guitars
Antti Kotiranta – Vocals, Bass
Jukka Aho – Guitars

KRYPTS – Facebook

Alter Bridge – The Last Hero

Gli Alter Bridge sono candidati ad essere LA grande band Hard Rock / Heavy Metal del futuro che molti stavano aspettando.

Giunti al loro quinto lavoro gli Alter Bridge hanno dato vita a uno dei migliori album degli ultimi tempi, innalzando ulteriormente la già grande qualità dimostrata nei lavori precedenti.

Un monumentale e intenso assolo di Mark Tremonti introduce questo The Last Hero, e si comincia a viaggiare alla grande con Show Me a Leader, primo azzeccatissimo singolo. Introdotta da un ritmo militaresco The Writing on the Wall si abbatte sul mio apparato uditivo con tutta la sua pesantezza, e il muro di suono prodotto è deliziosamente devastante. La schiacciasassi The Other Side non dà tregua, la sezione ritmica tritura con gusto e grande perizia, il piacere e l’adrenalina si mantengono altissimi. Ascoltate il passaggio prima del finale, impressionante, cupo e… a questo punto sono già estaticamente frantumato. My Champion emoziona con l’interpretazione molto sentita, ed è semplicemente fantastica la modernissima Poison In Your Veins, che potrebbe far storcere il naso ai puristi, ma groove e melodia sono irresistibili. Un Tremonti killer e inesorabile sulle parti soliste, eseguite con estrema naturalezza, elettrizza questo rullo compressore accompagnato da una prestazione corale spaziale. Cradle to the Grave è una song un po’ tenebrosa, trasmette (sempre energicamente!) una sconsolata malinconia come a sottolineare la sensazione che il tempo a nostra disposizione stia trascorrendo invano. Losing Patience strizza l’occhio al Djent e come un mare possente scuote anima e corpo. This Side of Fate, 6 minuti e 47 secondi nei quali il mix oculatissimo di efficaci e melodici arpeggi intervallati alla parte centrale heavy-post-math. Una grande qualità degli AB è che sanno essere straripanti grazie a composizioni d’insieme, mai esasperando le comunque forti individualità. You Will Be Remembered mostra il lato più melodico e riflessivo del magico quartetto, poi ci travolge la valanga d’acciaio di Crows on a Wire con un Myles stellare che raggiunge vette incredibili, da vero acrobata delle corde vocali. I fraseggi chitarristici in Twilight hanno un taglio meno compatto, ma ancora un altro pezzo di ottima fattura. Il riff di apertura Island Of Fools è heavy-carneficina. The Last Hero si alterna tra la bellissima melodia portante e riff/solo cazzuti, e Myles che urla “Tell me, where are the heroes?”. Un altro gioiello incastonato nella storia della band statunitense.
Quest’album è un ulteriore passo in avanti, e personalmente ritengo che siano proprio gli AB gli ultimi (nostri) eroi giunti felicemente sulla scena. Disco orecchiabile, ma sempre heavy, moderno, dinamico, dove tecnica e feeling raggiungono vette altissime.
Sono stati definiti hard rock, prog metal, post-grunge, ecc… chi se ne fotte. Abbiamo a che fare con una delle più importanti band degli anni 2000 e credo fermamente che gli AB siano candidati ad essere LA grande band hardr ock / heavy metal del futuro che molti stavano aspettando. Goduria.

TRACKLIST
1. Show Me A Leader
2. The Writing on the Wall
3. The Other Side
4. My Champion
5. Poison In Your Veins
6. Cradle To The Grave
7. Losing Patience
8. This Side of Fate
9. You Will Be Remembered
10. Crows On A Wire
11. Twilight
12. Island of Fools
13. The Last Hero
14. Last of Our Kind (Bonus Track)

LINE-UP
Myles Kennedy – Lead Vocals / Guitar
Mark Tremonti – Lead Guitar / Back-up Vocals
Mark Kelly – Keyboards
Brian Marshall – Bass Guitar
Scott Phillips – Drums

ALTER BRIDGE – Facebook

Stryctnyne – Unfinished Business

Unfinished Business continua fino all’ultima canzone ad alternare metal e hard rock

Strana storia quella degli Stryctnyne, band statunitense fondata dal bassista Samson James e dal chitarrista Grandma Cyco addirittura nel bel mezzo degli anni ottanta, con due demo all’attivo tra il 1990 e l’anno successivo e poi un lungo letargo che porta al risveglio nel 2013 con una compilation e a questo primo lavoro sulla lunga distanza che esce su per giù a distanza di trent’anni dall’inizio delle ostilità.

Unfinished Business quindi si può considerare in toto come un ritorno del gruppo newyorkese, finalmente sul mercato con il suo hard & heavy che se a tratti si può considerare scolastico, non manca di farsi apprezzare per il buon lavoro in fase di creazione, un’attitudine che rivolge lo sguardo tanto al metal classico (Accept) quanto all’hard rock nato nella terra dei canguri (Ac/Dc) e legato ad un certo modo di fare rock’n’roll maschio, ignorante e senza compromessi.
La voce rude, da polveroso motociclista appena sceso dal suo cavallo d’acciaio di ritorno da un giro per la Route 66, di Siren Scac ci porta nell’America on the road, sempre in bilico tra l’heavy metal e l’hard rock, la chitarra sputa saliva impolverata dalla sabbia del deserto, mentre Blasphemer risulta un’opener atipica per l’album, interpretata dal singer con toni vicini al growl, dalle ritmiche sabbathiane e dai solos che sono filmini metallici all’orizzonte.
Ottima apertura, non fosse che dalla seconda traccia l’album cambia registri, gli umori si fanno rock, ruvidi, pesanti, ma pur sempre devoti al rock, e bisogna arrivare al brano numero sette (Satan’s Ride) per ritornare alle sonorità classic doom metal dell’inizio.
Bellissima Thunder Godz che, a dispetto di un titolo super metallico, risulta un rock’n’roll intriso di southern rock, trascinante e splendidamente U.S.A.
Unfinished Business continua fino all’ultima canzone ad alternare metal e hard rock, risultando vario, mentre col tempo le tracce intrise di spirito ribelle hanno la meglio su quelle più orientate al metal tout court.
In generale un buon ritorno per il gruppo di Long Island, che si fa ascoltare e diverte, onesto nel portare avanti una proposta old school fregandosene altamente di mode e music biz, promossi.

TRACKLIST
1. Blasphemer
2. Last Rite
3. Kill or Be Killed
4. Line Them Up
5. Hammer Down
6. Reality
7. Satan’s Ride
8. Thunder Godz
9. Turn the Power On
10. Witches Hunt
11. The Power and the Glory
12. Keeper’s of the Secret

LINE-UP
Samson James – Bass
Jack Hammer – Drums
Grandma Cyco – Guitars
Siren Scac – Vocals

STRYCTNYNE . Facebook

Verberis – Vexamen

Dieci canzoni che ci riportano all’essenza del death metal, e ci fanno conoscere un gruppo notevole.

Continua dagli antipodi una rumorosa invasione metallica.

Questa volta è il turno dei Verberis, gruppo dedito ad un death metal grezzo e potente che vi perseguiterà senza tregua. Nel 2014 hanno esordito su Iron Bonehaed con il demo Vastitas, che era già pieno delle loro intenzioni,m ovvero, quella di fare un death metal semplice e classico, potente senza avere sovra produzioni. Le loro canzoni sono dinamiche come un vortice di anime perdute, con momenti mid tempo che rendono migliore il tutto. Oltre a seguire i dettami del death metal classico i neozelandesi sono molto bravi sopratutto nel creare un atmosfera che raramente si può ascoltare nei dischi attuali. Con poco i Verberis riescono a fare moltissimo, producendo un album notevole, sia per intensità che per resa. Si sente molto nitidamente che i Verberis hanno fra loro una grande alchimia, che li porta a fare un ottimo death metal. Quest’ultimo è un genere che ha già visto quasi tutto, e che piace così come è, e i Verberis dimostrano che ci sono gruppi validi, che portano avanti il discorso. Il death metal inoltre è un genere che non conoscendo mode, si auto riproduce continuando a fare rumore col passare degli anni. Dieci canzoni che ci riportano all’essenza del death metal, e ci fanno conoscere un gruppo notevole.

TRACKLIST
1.Thanatosia”
2.The Primordial Rift”
3.Vexamen”
4.Protogonos”
5.Charnel Vibrations”
6.Flagellum de Igne”
7.The Gaping Hollow Of Divinity”
8.Fangs Of Pazuzu”
9.Vereri”
10. Voidwards”

VERBERIS – Facebook

Sue’s Idol – Six Sick Senses

Six Sick Senses è un lavoro dai richiami old school che meritava senz’altro una migliore produzione

Eccoci con il classico album che un lavoro su produzione e mastering di un altro livello avrebbe reso eccellente, mentre ci si deve accontentare di un ottimo songwriting e buone idee poco valorizzate da un suono non all’altezza.

Voliamo virtualmente negli Stati Uniti e precisamente in Nevada dove, nella città capitale mondiale del gioco d’azzardo (Las Vegas), incontriamo i Sue’s Idol, heavy metal band al secondo full length , successore di Hypocrites and Mad Prophets, debutto licenziato un paio di anni fa.
Il loro nuovo album intitolato Six Sick Senses è un bell’esempio di heavy metal statunitense, cantato ottimamente ed ispirato alle opere oscure di Metal Church, primi Savatage ed Helstar, con i Black Sabbath a fare da collante al sound e bellissime orchestrazioni che conducono l’opera verso un mood epico davvero trascinante.
Si destreggia tra le trame del disco il bravovocalist Shane Wacaster, anche batterista e fondatore del gruppo insieme al chitarrista Dan Dombovy, i richiami alle band elencate come ispiratrici dei musicisti sono chiare e cristalline come l’acqua di un torrente montano, poco male se siete amanti del genere, anzi la band fa funzionare il tutto a dovere e le varie Kill Or Be Killed, aperta da sontuose orchestrazioni dal mood cinematografico, il doom metal richiamato all’inizio della monumentale Gears Of War o la cavalcata epico oscura Lady Painted Death risultano dei brani splendidi di U.S. metal old school.
Peccato perché il gran lavoro del gruppo in fase di scrittura non viene supportato da quello in consolle, i brani escono ovattati, le tastiere e la batteria sono lasciate in secondo piano, mentre la voce a tratti perde la sua forza, travolta dal suono delle chitarre.
Six Sick Senses è un lavoro dai richiami old school che meritava senz’altro più attenzione, un peccato mortale per il gruppo non curare certi dettagli in sala d’incisione, perché le potenzialità ci sono tutte.

TRACKLIST
1. Six Sick Senses
2. DMO
3. Halls of Mourning
4. Scion Pariah
5. Kill or Be Killed
6. Luna Sees
7. Metal Octane
8. Gears of War
9. Taste This Evil
10. A Minor Requiem
11. Lady Painted Death

LINE-UP
Shane Wacaster – Drums, Vocals
Dan Dombovy – Guitars
Steve Habeck – Bass
Toby Knapp – Guitars (lead)
Mitch Dematoff – Keyboards, Piano

SUE’S IDOL – Facebook

Rudra – Enemy Of Duality

Un lavoro dallo spessore qualitativo monumentale che dovrebbe indurre ogni appassionato a guardare con occhio molto più attento, e sicuramente meno scettico, verso il metal proveniente dai paesi del sudest asiatico.

Grazie al lavoro dell’instancabile Kunal Choksi e della sua Transcending Obscurity, in questi ultimi anni si è squarciato il velo che teneva in qualche modo nascosto il movimento metal del sudest asiatico, rivelando al mondo l’esistenza di band che dimostrano un’urgenza compositiva ed una freschezza spesso sconosciuta a quelle provenienti dai continenti ove, tradizionalmente, il genere ha sempre avuto la sua dimora.

Quindi può capitare persino che una band come i singaporiani Rudra appaia come una sorta di novità quando, in realtà, la sua genesi risale a circa un ventennio fa e la sua discografia è costellata di una serie di album di livello eccezionale.
Enemy Of Duality è addirittura l’ottavo full length (ma il primo per la label indiana) del gruppo che prende il suo nome dal pantheon vedico: è curioso, ma non del tutto sorprendente, il fatto che nella stessa scuderia stia chi avversa la religione (soprattutto quella induista) in ogni sua forma (Heathen Beast) e chi, al contrario, erge il proprio Vedic Metal come vessillo (Rudra).
Ma in fondo, a ben vedere, trattasi solo di facce diverse della stessa medaglia, in quanto entrambe le band utilizzano una forma di metal estremo, resa in maniera entusiasmante e contaminata fortemente dalla musica tradizionale della loro area geografica, per veicolare la propria personale visione sociale e filosofica.
Parlando dei Rudra, si capisce subito d’essere al cospetto di un combo composto da musicisti esperti e dotati di una tecnica ben superiore alla media, il che consente loro di districarsi mirabilmente tra sfuriate di stampo black death e sonorità etniche, per lo più inserite all’interno delle intricate partiture estreme e non un corpo estraneo ad esse .
Un tentacolare Shiva alla batteria (sopraffino quando maneggia le percussioni etniche) è l’autentico motore che rende inarrestabile la marcia dei Rudra: otto brani in cui l’intensità pare non calare mai, anzi semmai la sensazione è quella di un costante crescendo visto che la traccia migliore, a mio avviso, è addirittura quella conclusiva, una Ancient Fourth che si rivela quale ideale chiave di lettura del modus operandi perseguito in Enemy Of Duality.
Un lavoro dallo spessore qualitativo monumentale che dovrebbe indurre ogni appassionato a guardare con occhio molto più attento, e sicuramente meno scettico, verso il metal proveniente dall’India e dai paesi del sudest asiatico.

Tracklist:
1. Abating the Firebrand
2. Slay the Demons of Duality
3. Perception Apparent
4. Acosmic Self
5. Root of Misapprehension
6. Seer of All
7. Hermit in Nididhyasana
8. Ancient Fourth

Line-up:
Shiva – Drums
Kathir – Vocals, Bass
Vinod – Guitars
Simon – Guitars

RUDRA – Facebook

Crimson Slaughter – Cycle of Decay

Se il thrash metal è ancora il vostro genere più amato, cercate Cycle Of Decay, non vi deluderà.

La nostra webzine, sempre attenta alle proposte che giungono da ogni angolo del globo in materia estrema, in questi anni non si è certo dimenticata del vecchio thrash e ha continuato a presentarvi nuove band o vecchie glorie tornate per ridurre in cenere i padiglioni auricolari degli appassionati.

Un altro giovane gruppo dedito al thrash old school si affaccia nel mondo dell’underground metallico; i Crimson Slaughter sono spagnoli, sono composti da ex membri di varie band gravitanti nella scena di Madrid e Cycle Of Decay è il loro debutto rigorosamente autoprodotto.
Il quartetto risulta una macchina thrash/speed devastante, il loro sound si arricchisce di elementi presi dalla scuola americana e li elabora all’europea: perciò buona tecnica e velocità supersonica estremizzate da una voce rude e ripartenze travolgenti.
Cycle Of Decay non lascia il tempo di prendere il respiro, l’attacco frontale conserva un’impatto devastante dall’opener Endless War fino alla conclusiva Punisher, le chitarre si scambiano la leadership nei solos taglienti e velocissimi, le ritmiche non lasciano tregua ed il sound porta con se quel tocco punk classico dei gruppi thrash più oltranzisti.
Quaranta minuti d’assalto frontale da spararsi senza preoccuparsi delle conseguenze sulle vostre povere ossa, martoriate dal furioso headbanging a cui verrete costretti dal sound dei Crimson Slaughter.
Detto che i ragazzi ci sanno davvero fare con gli strumenti, l’album mantiene per tutta la sua durata un approccio senza compromessi e, se il thrash è ancora il vostro genere più amato, cercate Cycle Of Decay, non vi deluderà.

TRACKLIST
1. Combat Formations
2. Endless War
3. Buried Beneath the State
4. Dead Walk Again
5. Bred to Obey
6. Wretch God
7. Battlefields
8. Kill of Be Killed
9. My Fist, Your Face
10. Punisher

LINE-UP
Víctor Sánchez – Bass, Vocals
Jorge “Joe” Homobono – Drums
Fran J. Rodríguez – Guitars
Daniel Zolyniak – Guitars

CRIMSON SLAUGHTER – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=NJlsSOjn4Gs

Icy Steel – Through The Ashes

Dopo due ascolti non potrete fare ameno di urlare verso il cielo, in un’atmosfera delirante di conquista e vittoria.

Lucidate le spade, calzate le armature e foderate gli scudi, gli Icy Steel sono tornati, ancora una volta tramite la label tedesca Pure Steel (dopo la parentesi My Graveyard Productions con il precedente Krònothor) e Through The Ashes risulta un esempio tangibile dell’enorme potenziale del gruppo sardo, almeno per quanto riguarda l’heavy metal dagli spunti epici e manowariani.

Per chi non conoscesse il gruppo proveniente da Sassari, ricordo che si sta parlando di una realtà attiva dal 2005 e con tre full length sul groppone, il primo omonimo album uscito nell’ormai lontano 2007, seguito da As the Gods Command del 2010 ed il precedente lavoro licenziato quattro anni fa.
Fondati da quell’animale metallico che è  Stefano Galeano (voce e chitarra) e con una storia comune a molte band, con cambiamenti di line up in corso d’opera, il grupposi assesta con il condottiero sardo a capitanare un manipolo di eroi composto da Pietro Bianco alla sei corde, Flavio Fancellu alle pelli e Carlo Serra al basso, fautori di un’opera epica sopra le righe, in formato doppio cd con il primo (Before) a rinverdire la tradizione metallica della band, ed il secondo (After) a coglierne l’anima introspettiva ed acustica.
Si parte nel migliore dei modi con il metallo epico e coinvolgente del primo cd, un ottimo esempio di come l’heavy metal classico ed epico conquisti ancora la palma di genere re della musica a sfondo guerresco.
Before è un’apoteosi di atmosfere battagliere, orgoglio metallico che sfiora la perfezione, prodotto benissimo e valorizzato da un lotto di brani che grondano fierezza.
Sarà anche la provenienza dei nostri (il popolo sardo, senza nulla togliere agli altri, è uno dei più fieri del Mediterraneo), sarà un songwriting in stato di grazia, ma il lotto di brani qui presentato sbaraglia la concorrenza nel genere: Galeano si dimostra singer di altra categoria e la sei corde con i suoi assoli è una spada affilata piantata nel costato dei nemici affrontati in battaglia.
Epicità alla massima potenza, con una serie di tracce (la forma canzone qui è alla massima potenza) che dopo due ascolti vi spingeranno ad urlare al cielo, in un’atmosfera delirante di conquista e vittoria.
The Day Became Night, Last Thing To Destroy, …And The Warrior Return, sono straordinarie interpretazioni del classico metallo epico che collegano la band a realtà importantissime della storia del genere come gli amatissimi Manowar, gli inarrivabili Warlord e i meno conosciuti Slough Feg.
Si cambia cd ed entriamo nel mondo più poetico e folk degli Icy Steel con cinque brani acustici, cinque atmosferiche tracce che ci presentano il lato più riflessivo del combo.
La battaglia è giunta al termine e i guerrieri intorno al fuoco ringraziano gli dei per essere sopravvissuti ancora una volta e per poter tornare al più presto a combattere: le sei corde ricamano armonie acustiche dall’alto della tecnica dei protagonisti, con sfumature progressive che lasciano senza fiato, assolutamente non banali e piacevolmente strumentali come Inside The Glass Place e la conclusiva Shaman’s Death.
Album bellissimo ed emozionante, un affresco di metallo epico e classico che non si può ignorare, pena la morte a fil di spada …

TRACKLIST
CD1 – Before
1 Last Man On The Earth
2 Fire And Flames
3 The Day that Became Night
4 Ritual Of The Wizard
5 Last Thing To Destroy
6 …And The Warriors Return
7 Today The Rain Cries
8 The Earth After Man

CD2 – After (unplugged)
1 Bard’s Dreams In The Silent Woodland
2 Ashes Of Glory
3 Inside The Glass Place
4 Shaman’s Death
5 The Weight of Signs

LINE-UP
Stefano “Icy Warrior” Galeano – Guitars and Vocals
Pietro Bianco – Guitars
Flavio “Athanor F.D.H.” Fancellu – Drums
Carlo Serra – Bass

ICY STEEL – Facebook

Styxian Industries – Zero.Void.Nullified {Of Apathy and Armageddon}

Zero.Void.Nullified è un lavoro valido, ma il potenziale della band sembra superiore al risultato ottenuto sul campo: una serie di riff azzeccati uniti ad una prestazione tecnicamente valida non valgono per ora qualcosa in più di un’abbondante sufficienza.

L’esordio su lunga distanza per gli olandesi Styxian Industries arriva finalmente sotto l’egida della tentacolare Satanath Records, dopo diversi anni ed una serie di lavori di minutaggio ridotto.

Zero.Void.Nullified è un’opera devota al black di matrice industrial, una materia che viene trattata in maniera piuttosto efficace dal trio dei Paesi Bassi, anche se la tendenza oscilla tra un’adesione alle sfuriate canoniche del genere e l’approdo a ritmiche elettroniche, senza che si vada quasi mai a sconfinare nella danzabilità dei primi The Kovenant.
Il disco si dipana in maniera interessante, anche se talvolta affiora nei nostri un’indole un po’ troppo ondivaga, poiché nel complesso viene a mancare per continuità sia la martellante pesantezza dell’industrial sia la ferocia nichilista del black: il risultato è un compromesso tra queste due componenti che offre buoni risultati, come la notevole We Took the World, la cangiante Zero Void Nullified e la parossistica Salvation (con clean vocals rivedibili, però) accompagnati ad una serie di brani che, alla lunga, lasciano un po’ di stanchezza, essendo ricchi di potenziale corrosivo ma poveri di riff e spunti capaci di imprimersi a lungo nella mente.
L’operato dei Styxian Industries è tutt’altro che riprovevole, ma la sensazione è che, allo scopo di mantenere un certo equilibrio tra le due componenti, si scelga una via di mezzo che frena uno sviluppo più deciso, e probabilmente costruttivo, in un senso o nell’altro.
Zero.Void.Nullified è un lavoro valido, ma il potenziale della band orange mi sembra superiore al risultato ottenuto sul campo: l’impalcatura è solida, ma i contenuti sono senz’altro migliorabili, e una serie di riff azzeccati uniti ad una prestazione tecnicamente valida non valgono per ora qualcosa in più di un’abbondante sufficienza.

Tracklist:
1. Feed Us
2. You
3. Salvation
4. Revelation
5. Whiskey Vodka Blood
6. Zero Void Nullified
7. Bastard God
8. Wasted World
9. We Took the World
10. Execute Planet Earth

Line-up:
Ms. M – Guitars
Mr F. – Percussion, Drums
Ir T. – Vocals

STYXIAN INDUSTRIES – Facebook

Pentarium – Schwarzmaler

Un album che non lascia dubbi sul valore del gruppo tedesco, un ascolto piacevole per i fans del death metal più melodico

Con i tedeschi Pentarium ci aggiriamo nei meandri del death metal melodico, dalle buone melodie melanconiche che rendono l’atmosfera del sound gotica e dai rimandi dark.

Il gruppo non manca di irrobustire la propria proposta con sfuriate dal mood black e tanto melodic death metal che richiama la tradizione scandinava.
La band nasce una decina di anni fa, alle spalle ha un ep uscito nel 2009, ed un primo full length (Blood For Blood) targato 2012 ed uscito come autoproduzione.
Quest’anno tocca a Schwarzmaler, licenziato dalla Boersma Records, un album che troverà terreno fertile tra gli amanti del death più melodico ed atmosferico.
Il sound guidato dalle tastiere sempre in evidenza non manca di cavalcate estreme valorizzate da un ottimo lavoro delle sei corde, ma come espresso in precedenza sono i tasti d’avorio che hanno il maggior peso sul songwriting, elargendo orchestrazioni gothic e mantenendo il sound estremamente melodico.
Ottimo lo scream che a tratti si trasforma in un growl profondo, così che Schwarzmaler può essere considerato un lavoro riuscito.
Children Of Bodom, nelle veloci parti metalliche tecnicamente ben eseguite, un tocco di Dark Tranquillity ed In Flames e, con l’aggiunta di molta melodia dark/gotica, il gioco è fatto; Vanitas e l’ottima title track che sembra scritta in riva al famigerato lago finlandese, sono le tracce più convincenti di un lavoro discreto, buono in quanto ad appeal melodico, accompagnato da una verve estrema che riconduce senza indugi sui sentieri tracciati dalla band di Alexi Laiho.
Un album che non lascia dubbi sul valore del gruppo tedesco, un ascolto piacevole per i fans del death metal più melodico ed una buona uscita targata Boersma Records: di questi tempi ci si può senz’altro accontentare, consigliato.

TRACKLIST
1. Kronzeuge
2. Vanitas
3. Seelenheil
4. Auf schwarzen Schwingen
5. Nimmermehr
6. Totendämmerung
7. Macht durch Angst
8. Gevatter Tod
9. Am Waldesrand
10. Drachenstein
11. Weltenbrand
12. Schwarzmaler

LINE-UP
Carsten Linhs – Vocals
Hendrik Voss – Guitar
Florian Jahn – Guitar
Fabian Laurentzsch – Bass guitar
Philip Burkhard – Keyboards / Synthesizer
Max Peev – Drums

PENTARIUM – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=EiQuLsxCIW0

Endalok – Englaryk

Il black metal è soltanto il punto di partenza per questo gruppo, che fa un genere a se stante, con molti riverberi ed ombre, quasi da indurre nell’ascoltatore una vertigine.

Demo in cassetta per questo gruppo black provieniente dalla fertile Islanda, che ultimamente è molto incline al black metal, ed ovviamente, come tutte le cose che vengono da quell’isola è di ottima qualità.

Il black metal è soltanto il punto di partenza per questo gruppo, che fa un genere a sé stante, con molti riverberi ed ombre, quasi da indurre nell’ascoltatore una vertigine, come se si staccassero ombre dagli strumenti per invadere i nostri incubi. La loro musica sembra provenire da un ‘altra dimensione, la stessa nella quale stanno i demoni e coloro che sono morti invano. Gli strumenti sembrano ognuno andare per conto loro, ma in questa apparente dodecafonia il senso è chiaro: non c’è senso, e saremmo pazzi a cercarlo. Bisogna abbandonarsi a questo flusso di musica pesante ed ombre. Gli Endalok come detto prima, giocano in un campo tutto loro, con una proposta davvero particolare e molto interessante. Questa cassetta è soltanto la prima uscita per loro, poiché poi seguirà il disco su lunga distanza, sempre per la portoghese Signal Rex, che non sbaglia un gruppo. Questa è musica che funziona da porta dimensionale, si passa per andare oltre, seguendo il nostro destino. E’ davvero notevole il percorso che sta facendo il black metal, che grazie a dischi come questo entra in territori inesplorati e fertili, andando in mille direzioni con una velocità impressionante, in continua evoluzione.
Cassetta di un’altra dimensione.

TRACKLIST
1.Hræ Guðs Fargað
2.Óhugnaðurinn
3.Englaryk
4.Formlaust

ENDALOK – Facebook

Sacred Steel – Heavy Metal Sacrifice

Heavy Metal Sacrifice, con tutti i pregi e i difetti di un suono che non produce novità di sorta, è un buon lavoro anche per chi si imbattesse solo ora nei cinque guerrieri teutonici.

Tornano i Sacred Steel di Gerrit P. Mutz, dopo tre anni dall’ultimo The Bloodshed Summoning, con un nuovo capitolo di una discografia iniziata vent’anni fa e che li ha incoronati come una delle migliori band di musica heavy dai tratti epici, tra violenza metallica e ritmiche power/thrash.

Heavy Metal Sacrifice (titolo che risulta una dichiarazione di intenti), è il nono album della band, un buon risultato di questi tempi, anche se le luci della ribalta metallica si sono leggermente offuscate e i tempi d’oro di Wargods of Metal e Bloodlust sono ormai lontani.
Poco male, il nuovo album continua la tradizione del gruppo, il sound non concede compromessi di sorta e per i fans tutti i cliché di una proposta ormai collaudata sono presenti alla grande anche su questo lavoro.
Registrato presso i Music Factory Studio Kempten in Germania e prodotto da Christian Schmid e dagli stessi Sacred Steel, Heavy Metal Sacrifice dispensa fierezza metallica, colmo di anthem, chorus e solos che faranno la gioia dei true defenders.
Sempre sugli scudi la voce di Mutz, un concentrato di potenza ed orgoglio, perfetto come al solito nell’esaltare la parte più truce e guerriera che è in noi, con una prova da condottiero metallico, capitano di questa macchina da guerra dalle ritmiche che alternano come al solito mid tempo potentissimi ed accelerazioni al limite del thrash, con i Judas Priest a benedire ancora una volta i musicisti/guerrieri prima della battaglia e gli Slayer a proteggerli sul campo.
Il suono esce pieno e potente valorizzando gli undici brani qui presenti, la prova dei musicisti è indiscutibile (specialmente la sezione ritmica, vero motore inesauribile del gruppo) e l’heavy metal classico potenziato da massicce dosi di power/thrash, marchio di fabbrica dei nostri, non perde un’oncia dell’immancabile esaltazione che produce negli amanti di un suono forgiato negli anni.
Heavy Metal Sacrifice,con tutti i pregi e i difetti di un suono che non produce novità di sorta, senza arrivare al livello dei lavori storici del combo è comunque un buon lavoro, sicuramente gradito dai fans del gruppo ma soddisfacente anche per chi si imbattesse solo ora nei cinque guerrieri teutonici.

TRACKLIST
1. (Intro) Glory Ride
2. Heavy Metal Sacrifice
3. The Sign Of The Skull
4. Hail The Godz Of War
5. Vulture Priest
6. Children Of The Sky
7. Let There Be Steel
8. Chaos Unleashed
9. The Dead Walk The Earth
10. Beyond The Gates Of Nineveh
11. Iron Donkey

LINE-UP
Gerrit P. Mutz – vocals
Jonas Khali – guitars
Jens Sonnenberg – guitars
Kai Schindelar – bass
Mathias Straub – drums

SACRED STEEL – Facebook>/a>

Solitvdo – Hierarkhes

DM possiede la capacità di ammantare ogni brano di un’aura solenne e al contempo malinconica

Dopo l’ottimo esordio su lunga distanza con Immerso in Un Bosco di Querce, del 2014, il musicista sardo DM si ripresenta con un nuovo lavoro targato Solitvdo.

Hierarkhes, questo è il titolo, segna un ulteriore passo in avanti nel percorso musicale di questo progetto che prende le mosse dal black per contaminarlo con sonorità epiche e magniloquenti.
Rispetto al suo predecessore cambiano le tematiche trattate, sicché la poetica elegiaca di cui erano intrise le varie tracce di quel lavoro viene sacrificata a favore di testi inneggianti al valore e all’eroismo, con ampi riferimenti alla storia dell’antica Roma (anche se i testi, nonostante i titoli dei brani, sono integralmente in italiano).
Devo ammettere che per indole non sono un grande estimatore di questo tipo di scelte liriche, ma se il tutto viene inserito in un’opera dello spessore musicale di Hierarkhes, questo diviene un mero dettaglio: DM possiede la capacità di ammantare ogni brano di un’aura solenne e al contempo malinconica, senza far ricorso a particolari virtuosismi, ma lasciando che soprattutto le tastiere si assumano l’onere di condurre il suono laddove egli predilige.
E’ anche vero che le tematiche spesso corrispondono all’umore dei brani, per cui Hierarkhes, Aristokratia e la notevole Fides, Pietas, Gravitas, Virtus spiccano appunto per la lor solennità, mentre il lato più meditabondo ed introspettivo trova il suo naturale sfogo nello strumentale Devotio – Marco Curzio e nella conclusiva Il Silenzio, che riporta i testi su un piano più filosofico-esistenziale, del tutto in sintonia con l’afflato melodico di una traccia invero magnifica.
Hierarkhes consolida così lo status del nome Solitvdo quale ennesima espressione di una scena black atmosferica che nel nostro paese sta offrendo diversi frutti prelibati.
L’album è disponibile sia in cd (Naturmacht Productions) che in musicassetta (Eremita Produzioni).

Tracklist:
1. Hierarkhes
2. Aristokratia
3. Devotio – Marco Curzio
4. Fides, pietas, gravitas, virtus
5. Il silenzio

Line-up:
DM All instruments, Vocals

SOLITVDO – Facebook

Cancer Spreading – Ghastly Visions

Non adatto per i deboli di cuore e per chi cerca soluzioni melodiche anche nel metal estremo

Il death metal nell’underground nazionale è ben radicato, dalla Sicilia all’Alto Adige abominevoli creature estreme escono dalla putrida terra per portare il loro messaggio di nichilismo e morte: brutal, grind e death metal si nutrono di queste realtà dall’alto potenziale distruttivo ma non solo.

Negli ultimi anni la qualità delle proposte nel genere si è alzata notevolmente, a dispetto di un mercato inflazionato da decine di uscite discografiche, mantenendo alta l’attenzione degli addetti ai lavori.
Dal più profondo abisso dell’underground estremo tornano i modenesi Cancer Spreading con il loro nuovo lavoro licenziato in edizione limitata in vinile, secondo full length che segue The Age Of Desolation del 2011.
Un death metal terrificante, un assalto sonoro senza pietà ed un odio per il genere umano che si amplifica in queste dieci tracce nichiliste e pregne di violenza crust, un metal soffocante e atroce, un impatto sull’ascoltatore destabilizzante e senza soluzione di continuità.
Ghastly Visions si potrebbe definire un’opera old school, ed in effetti produzione e richiami più o meno espliciti a Obituary, Asphyx e compagnia di serial killer portano dritti verso il ritorno del sound classico, ma il gruppo non si ferma ad un recupero di queste sonorità e le estremizza con dosi di crust ed un impatto hardcore nascosto da una soffocante atmosfera mortifera.
Cavalcate spaventose sostenute da una sezione ritmica da tregenda, frenate dove le sei corde creano muri di suoni lenti e lavici, oscuri e pesanti, mentre un growl bestiale vomita disprezzo: un tuffo nel marcio e putrido mondo visto dalla parte dei Cancer Spreading, una macchina da guerra devastante che ha pochi rivali in impatto ed attitudine.
Non adatto per i deboli di cuore e per chi cerca soluzioni melodiche anche nel metal estremo, Ghastly Visions travolge come un vento atomico e di voi non rimarrà che l’ombra disegnata su un muro.

TRACKLIST
1. Blood-soaked Ocean of Isolation
2. Ghastly Visions
3. Oppressive Negativity
4. Putrid Angel
5. The Day I Dreamt a Nightmare
6. The Hanged Corpse
7. Fragments of Filth
8. Sinners Shall Weep
9. Psychosomatic Nausea
10. Cloaked In Nothingness

LINE-UP
Otta – Drums
Jacopo – Guitars
Merlo – Guitars
Gabri – Vocals
Matteino – Bass

CANCER SPREADING – Facebook

Excuse – Goddess Injustice

Goddess injustice è un ep rivolto a chi ama lo speed metal classico, ma sarà apprezzato dai thrashers.

Puro e furioso speed metal finlandese come avrebbero voluto farlo tanti gruppi negli anni ottanta, senza esito positivo perché non avevano la classe e la carogna di questi ragazzi.

Secondo episodio su supporto fonografico per questo gruppo che ha esordito nel 2013, e si è subito fatto breccia nel cuore di tanti metallari. Gli Excuse in realtà scuse non ne fanno e vanno velocissimi, con un impianto sonoro che ricorda sì come detto sopra lo speed metal anni ottanta, ma varia per alcuni elementi originali che ci sono, diciamo simili, ma molto meglio, rispetto a gruppi thrash recenti come i Municipal Waste. Dischi come questo fanno la gioia dei veri metallari e di tutti coloro che vogliono sentire un disco che diverte, anche grazie ad una grande potenza, perizia e velocità. Questi finlandesi sanno come far pogare la gente e con questo ep dovrebbero conquistare una più ampia fetta di pubblico, anche perché il loro genere di riferimento non è così inflazionato, ma soprattutto manca di gruppi validi come loro. Infatti per pubblicarli si sono unite due etichette come la Shadow King e la Hellsheadbangers che di metal vero ne sanno molto. Goddess Injustice è un ep rivolto a chi ama lo speed metal classico, ma sarà apprezzato dai thrashers.

TRACKLIST
1.Obsessed… With The Collapse Of Civilization
2.Breaking News (We Told You So!)
3.Invitation From Beyond
4.Baphomet

Blackgate – Ronin

Ronin è un buon lavoro che sicuramente non cambierà la storia della nostra musica preferita ma sprigiona molta energia e, sopratutto, risulta un sincero tributo all’heavy metal.

I Ronin, nella cultura del Sol Levante, sono una particolare frangia dei più famosi Samurai, quelli che hanno perso il legame con il proprio signore per la morte di quest’ultimo o per la perdita di fiducia nei loro confronti, diventando guerrieri erranti.

Sulla copertina del primo lavoro dei power thrashers americani Blackgate campeggia proprio uno di questi bellicosi guerrieri giapponesi, ai quali il titolo è dedicato, mentre sullo sfondo un paese è in preda ad un furioso incendio.
Fuoco e fiamme metalliche, che si alimentano con il power metal del quintetto del Michigan, potenziato da potenti ritmiche thrashy e solos di chiara ispirazione heavy.
Un album old school, per dirla come va di moda in questi anni, composto da quattordici brani che comprendono anche quelli del primo ep uscito un paio di anni fa, un po’ prolisso per l’ora abbondante di durata, che nel genere è veramente tanta, ma probabilmente il gruppo ha cercato di presentarsi all’appuntamento con il primo full length con tutta la musica a disposizione.
Power metal, speed e thrash si alleano per formare il sound di Ronin, le tracce mantengono un approccio metallico molto ottantiano, diretto quel tanto che basta per avvicinarsi al mood del thrash metal, senza dimenticare la lezione dei gruppi classici, più europei che americani a dire il vero, ma questo è un dettaglio.
Ronin incalza e i primi sette brani sono saette metalliche che squarciano il cielo notturno, mentre il paese brucia; alla velocità della luce le varie BPS, la titletrack, l’ottima The Soldier sparano mitragliate ritmiche, che si trasformano in cavalcate chitarristiche di buona fattura e supportate da una produzione sufficientemente in linea con i prodotti odierni.
La seconda parte del disco regala i brani migliori: le lunghe The Veil e Last Son guardano all’heavy metal dei classici Maiden e Priest, velocizzati e tributati dai riff e solos in uscita dalle due asce, mentre Iron Legion torna a solcare territori thrash, questa volta con il basso in grande evidenza.
Ronin è un buon lavoro che sicuramente non cambierà la storia della nostra musica preferita ma sprigiona molta energia e, sopratutto, risulta un sincero tributo all’heavy metal.

TRACKLIST
1. Bps
2. Ronin
3. Dying Age
4. Horizon’s Fall
5. Caesar
6. The Soldier
7. You Better Run
8. Beneath
9. The Veil
10. Last Son
11. I Am the Night
12. Iron Legion
13. Hollow Men
14. Bps (Reprise)

LINE-UP
Ryan Lunsford – Drums
Jeff Kollnot – Guitars
Matt Cremeans – Guitars
David Cuffman – Vocals
Zach Flora – Bass

BLACKGATE – Facebook

Khepra – Cosmology Divine

Cosmology Divine è un’opera da non perdersi per alcun motivo, specialmente se si apprezza il symphonic death con sfumature folk orientali

Esordiscono per Rain Without End i turchi Khepra, intrigante realtà in grado di fondere umori mediterranei e mediorientali con il death sinfonico.

In effetti, i nostri fino a qualche tempo fa si chiamavano Gürz ed erano dediti ad una più canonica forma di folk metal: il salto di qualità stilistico li porta oggi scendere su un ipotetico stesso terreno degli attuali Septicflesh, ma questa è un’indicazione di massima, visto che in Cosmology Divine vi sono anche altre nobili sfumature.
Indubbiamente il trio di Istanbul prende ispirazione dal sound proveniente dalle sponde opposte dell’Egeo (Septicflesh, come detto, e Rotting Christ) ma anche da quelle del Mediterraneo sudorientale (Orphaned Land), innestandovi mirabilmente la proprie radici folk: il risultato è convincente sia quando attinge in maniera piuttosto scoperta all’operato della band dei fratelli Antoniou (We Are Descending, Obsession of the Mad, l’elaborata Cosmology Divine) sia quando spingono maggiormente sul versante black death (Ara Hasis, la magnifica Enki, Evil Incarnate).
L’interpretazione vocale di Dou Kalender è efferata il giusto e viene accompagnata da una prova di grande qualità da parte di una band di indiscusso spessore; non deve sminuirne l’operato, d’altro canto, il fatto che la commistione tra metal estremo, pulsioni sinfoniche e folklore mediorientale sia già stata introdotta in precedenza da altri: il sound dei Khepra è sufficientemente personale e ricco di inventiva e, tutto sommato, sembra a tratti persino più ispirato rispetto alle ultime uscite delle citate band di riferimento.
In buona sostanza, Cosmology Divine è un’opera da non perdersi per alcun motivo, specialmente se si apprezzano di base queste particolari sonorità.

Tracklist:
1. Atra Hasis
2. Enki (Diaries of a Forgotten God)
3. Desolation
4. We are Descending
5. Obsession of the Mad
6. Steps of Immortality
7. Evil Incarnate
8. Into the Cosmic Disharmony
9. Cosmology Divine
10. Through the Cosmic Web of Voids

Line-up:
Kenan Turandar – Bass
Dou Kalender – Vocals, Guitars
Tolga Köker – Guitars
Erce Arslan – Drums

KHEPRA – Facebook

Moon – Render the Veils

Miasmi , vortici, uragani e vertigini possono sostenere a malapena un’isteria immaginifica in cui ottanta minuti vengono sostenuti a malapena.

Dopo la catastrofe rimane solo l’eco impronunciabile del dramma. Miasmyr Moon conferma il suo status, devoto al manifesto intitolato “Caduceus Chalice” firmato nel 2010 in Australia, terra nativa di credenze, rituali e fantasie bizzarre.

“Apparitions ” e “Blood”, in quanto ep, sono stati dei validi tentativi per creare le basi di un pavimento marcio e lercio, aggettivi che suonano bene come chiasmo per definire lo stile unico e riconoscibile !
Non ci sono paragoni che possano competere come esempi e per questo è ancora più godibile l’ascolto che ci riporta in un ossario, probabilmente, dopo un alluvione o uno smottamento. Render the Veils ha lo stesso schema del precedente disco,  unico nel suo genere e nella futura cronologia, ma con un’attenzione maggiore nel suono. A malapena si distingue cosa venga suonato (gli Abruptum nel 90 avevano suoni ben più definiti) e la lontananza sonora crea un effetto cosmico e interstellare riconducibile solo ad un viaggio catartico che l’anima compie al momento del decesso. Miasmi , vortici, uragani e vertigini possono sostenere a malapena un’isteria immaginifica in cui ottanta minuti vengono sostenuti a malapena. E non di certo perché sia mal suonato. Neptune Towers risulta addirittura più ostico, per cui i fan di Moon possono solo essere contenti del nuovo prodotto; i neofiti come me possono invece rimanere sbalorditi con una nuova scia da seguire per strade buie e desolate come pomeriggi soleggiati a 35° all’ombra. Undici tracce compatte, escatologiche e rinunciatarie possono fare da sottofondo per qualsiasi situazione, sembra cinico dire che in solitudine o in compagnia l’effetto è travolgente: non c’è bisogno di alcuna alterazione artificiale per sentire calare la notte o il giorno. Dipende da quale sia l’emisfero (o pianeta) in cui ci troviamo.

TRACKLIST
1. Immolation Euphoria
2. Modraniht
3. Oration as Vessel of the Void
4. Casting the Shadow
5. As Stars Merge with Ice
6. Souls Secreted in Transparent Cells
7. Tunnels of Lost Thoughts
8. Hanged at the Gates
9. Mirror of Black Souls
10. Corrosion Delirium
11. Cold Delusions

LINE-UP
Miasmyr Moon

MOON – Facebook