Dan Deagh Wealcan – Who Cares What Music Is Playing In My Headphones?

E’ un susseguirsi di sorprese questo nuovo lavoro dei Dan Deagh Wealcan, che in poco più di trenta minuti racchiudono un’enormità di generi, creando varie atmosfere che cambiano come il clima primaverile

La Metal Scrap non si fa mancare niente nel proprio rooster: le band su cui l’etichetta ha messo lo zampino sono ottime realtà appartenenti ai più svariati generi, dal metal classico all’estremo, fino all’alternative e, come nel caso dei Dan Deagh Wealcan, all’industrial, anche se manipolato e reso originalissimo da abbondanti dosi di alternative metal, maturo e progressivo.

Il duo con cittadinanza in una delle più belle capitali europee (Mosca) nasce nel 2012 ed è al secondo lavoro: Mikhail A. Repp e Eugene “Iowa” Zoidze-Mishchenk soprendono per l’elevata qualità della loro musica, strutturata su un sound che ha, come punto di riferimento, il sound pazzoide di Trent Reznor ed i suoi Nine Inch Nalis, reso originale da una serie di spunti che chiamare geniali è dir poco e che pescano dall’alternative così come dal prog moderno, dall’industrial al metal, in un’amalgama di suoni che spaziano senza lasciare mai la strada dell’originalità.
E’ un susseguirsi di sorprese questo nuovo lavoro dei Dan Deagh Wealcan, che in poco più di trenta minuti racchiudono un’enormità di generi, creando varie atmosfere che cambiano come il clima primaverile, tuoni e fulmini, quando la band decide di aggredire, ma all’improvviso un vento alternativo spazza il cielo e la musica torna su motivi più rock/wave, rabbuiandosi all’improvviso al ritorno di forti burrasche musicali.
Bellissime Dogs In A box ed, Easy Way Long Way (progressiva, oscura, colma di cambi di tempo e allucinanti digressioni alla Primus sopra un tappeto di elettronica); Neutral Moresnet è una song estrema, i maestri Ministry fanno capolino, la voce diventa un pazzoide urlo di dolore, mentre in What Was That sono i Primus a tornare in bella mostra nel songwriting del gruppo moscovita.
In un lavoro così folle poteva mancare Devin Townsend? Baseless Hatred spara accelerazioni thrash che stravolgono ancor di più il sound e l’idea che ci eravamo fatti sulla musica del duo, continuando poi ad alternare elettronica ad alternative rock, in un turbinio di cambi di tempo ed atmosfere.
Gran bel disco, a cui bisogna dedicare un po’ di tempo per far proprie tutte le sfumature che ad ogni ascolto escono dall’opera scritta da questi due geniali musicisti, ai quali ogni tipo di etichetta sta stretta e pare sempre forzata, tanto è originale la loro proposta.

Track List:

1. Anamorphic Widesound
2. Dogs in a Box
3. Easy Way – Long Way
4. No More Than Usual
5. Neutral Moresnet
6. What Was That?
7. Baseless Hatred
8. I Killed Everything That Was Good in Me
9. Endless Apathy 03:43 Total playing time:

Mikhail A. Repp – Sound.
Eugene “Iowa” Zoidze-Mishchenko – Voice

Originale sound che mischia industrial, alternative, prog e metal è quello che ci propongono i moscoviti Dan Deagh Wealcan.

https://www.facebook.com/DanDeaghWealcan

I Miss My Death – In Memories Presentation Show – Live In Kiev

I DVD celebrativi sarebbe bene lasciarli fare a chi ha alle spalle una carriera un po’ più lunga e con all’attivo come minimo 4-5 album di buona qualità.

I Miss My Death è l’ennesima band ucraina dedita al gothic doom con tanto di voce femminile: niente che così descritto possa far strabuzzare gli occhi per la sorpresa, senonché il gruppo di Kiev ha pensato di pubblicare in formato dvd il concerto tenuto nella capitale nel 2013, in occasione della presentazione dell’album In Memories, che sarebbe stato pubblicato l’anno successivo.

La curiosità non è solo cronologica, in quanto fa pensare sicuramente il fatto che una band pensi di filmare un concerto prima di dare alle stampe l’album d’esordio: grande fiducia nei propri mezzi, budget ricco grazie a qualche munifico benefattore o buoni agganci nell’ambiente ?
Ai posteri l’ardua sentenza, di sicuro i dati che saltano all’occhio sono sostanzialmente due:
1) gli I Miss My Death sono una band dal buon potenziale ma, per ora, nulla di più 2) registrare un concerto utilizzando le solite due o tre inquadrature, tra l’altro riprendendo una band statica sul palco come poche, è una scelta che francamente lascia più di una perplessità.
Fare il passo più lungo della gamba è un’operazione che, se da una parte denota quell’ambizione che è ingrediente irrinunciabile per chi vuole provare a sfondare, dall’altra rischia di bruciare irrimediabilmente una band agli occhi degli appassionati.
Ora, può darsi che In Memories abbia riscosso un buon successo commerciale per cui, sfruttandone la scia, i nostri siano stati spinti a ripescare le immagini di un concerto che, magari, faceva parte di un progetto a più lunga scadenza, fatto sta che continuo a restare pervicacemente sulle mie posizioni, ovvero: gli I Miss My Death dovrebbero pensare prima di tutto a rendere più peculiare un sound che è gradevole quanto derivativo, quindi a limitare quelle sbavature che, oltretutto, proprio dal vivo emergono maggiormente.
Perché, oggi come oggi, questi volenterosi ragazzi ucraini rappresentano solo una delle innumerevoli band che propongono sonorità decadenti seguendo lo schema compositivo (inclusa l’alternanza growl maschile/voce lirica femminile) di Draconian e seguaci, senza però riuscire ad avvicinare per intensità certi livelli.
Ergo, i dvd celebrativi sarebbe bene lasciarli fare a chi ha alle spalle una carriera un po’ più lunga e con all’attivo come minimo 4-5 album di buona qualità.

P.S: il voto è riferito al contenuto musicale che di per sé non è poi così deprecabile, mentre sulla ridondanza del dvd mi sono già abbondantemente espresso …

Tracklist:
1. At the Dark Garden of the Vampire
2. Thirteen Autumns of My Solitude
3. The One (feat. Tatiana)
4. Silence Cries
5. Earl Pale
6. Silent Existence
7. In Memories
8. Lacrimosa (W. A. Mozart)
9. While You Remember Me

Line-up:
Sergiy Kryvoyaz – Lyrics, Vocals, Guitars
Elena Kryvovyaz – Keyboards, Vocals (female)
Nikita Grom – Keyboards
Serge Riabtsev – Bass
Serge Novachenko – Drums

I MISS MY DEATH – Facebook

Mindful Of Pripyat – … And Deeper, I Drown In Doom …

Sparatevi senza indugi questa bomba grind/death lanciata dai nostrani Mindful Of Pripyat.

Nati lo scorso anno, i Mindful Of Pripyat sbaragliano il campo nel genere estremo che si rifà al grind/death, con un lavoro sorprendente per impatto e aggressività senza soluzione di continuità.

Forte di un sound che passa agevolmente dal grind tout court al death old school, il trio proveniente dall’area milanese rompe argini, spiana colline e provoca valanghe, una tempesta di metal estremo che si abbatte senza pietà, lasciando al suo passaggio solo distruzione.
I Mindful Of Pripyat iniziano da questo micidiale …and Deeper, I Drown in Doom… la loro avventura nell’underground estremo, e la loro abilità è confermata dalle esperienze passate di tutti e tre i musicisti: Gio, ex Corporal Raid, che devasta alla velocità della luce il drumkit, Giulia, ex Sign of Evil ed Exterminate, alle prese con basso e sei corde e Tya, voce e chitarra già con Antropofagus, Necromega.
Supergruppo? Beh dal curriculum lo si può anche affermare, del resto la conferma di essere al cospetto di una band con i fiocchi arriva dallo tsunami di note estreme che vengono riversate sull’ascoltatore, un massacro racchiuso in 16 brani di cui due sono le cover di Oblivion Descends (Unseen Terror, straordinaria), e Contagion (Defecation) che chiude alla grande il mini cd.
Nel mezzo la band deflagra tra ritmiche violentissime, accelerazioni sempre al limite ed un talento per confezionare il tutto in una forma canzone non molto comune nelle band dedite al genere.
Consigliato alla grande ai fans del grindcore, …and Deeper, I Drown in Doom… non cede un secondo sia per impatto sia per l’alta qualità del sound: in un attimo si arriva all’ultimo brano e la voglia di ricominciare a farci del male con le mazzate inferte dal combo è tanta.

Tracklist:
1. Containment
2. Liquidators
3. Chernobitch
4. Cleansed by Fallout
5. Lone in Town
6. Deterrence
7. Deep Water Coffin
8. Mindful of Pripyat
9. Oblivion Descends (Unseen Terror cover)
10. Rusty Skin
11. 40 Seconds
12. Maruta
13. Rabid
14. G.W.I.
15. Impressions of a Sick Mind
16. Contagion (Defecation cover)

Line-up:
Giovanni – Drums, Vocals
Giulia – Guitar, Bass, Vocals
Tya – Vocals, Noises

MINDFUL OF PRIPYAT – Facebook

Les Discrets – Live At Roadburn

Per chi sta scoprendo lo shoegaze e colpevolmente non conoscesse ancora i Les Discrets, Live At Roadburn potrebbe rappresentare il pretesto per colmare tale lacuna

La band di Fursy Teyssier dopo una lunga gavetta ha finalmente ottenuto la sua consacrazione: dopo aver vissuto per qualche anno nell’ombra degli Alcest dell’amjco Neige, il versatile artista francese ha visto i suoi Les Discrets ottenere la meritata attenzione verso una proposta che, tenendo fede al monicker, accarezza l’ascoltatore con i propri suoni tenui e sognanti.

Rispetto agli Alcest il sound appare meno emozionale, forse anche meno malinconico, probabilmente perché diverso è il tragitto musicale percorso dai due progetti, il cui approdo però, oggi, si può definire del tutto comune, visto che di post rock o shoegaze sempre si tratta,  pur con tutte le differenze del caso .
In occasione di questo Live At Roadburn, risalente al 2013, i due si ritrovano ancora fianco a fianco sul palco rendendosi protagonisti di una testimonianza audio di grande qualità, benché la dimensione live per band di questo tipo non è detto che sia sempre quella ottimale.
Lo spettacolo, anche a giudicare dalle reazioni di un pubblico molto composto,  sembra più affine ad una rappresentazione teatrale, il che forse fa perdere un po’ di calore alla resa finale del documento;  certo è che l’ascolto di brani meravigliosi come Le Mouvement Perpétuel e Song for Mountains riconcilia sempre e comunque con la musica e con il mondo circostante in senso lato.
Per chi sta scoprendo lo shoegaze e colpevolmente non conoscesse ancora i Les Discrets, Live At Roadburn potrebbe rappresentare il pretesto per colmare tale lacuna ascoltando in un colpo solo il meglio della produzione della band di Teyssier, in attesa di un nuovo lavoro che sta cominciando a farsi attendere un po’ troppo …

Tracklist:
1. Linceul d’hiver
2. L’Échappée
3. Les Feuilles de l’olivier
4. Au Creux de l’hiver
5. Le Mouvement perpétuel
6. La Nuit muette
7. Chanson d’automne
8. Song for Mountains

Line-up:
Fursy Teyssier – vocals guitar
Winterhalter – drums
Neige – bass
Zero – guitar, background vocals

LES DISCRETS – Facebook

Raging Dead – Born In Rage

Date un ascolto al debutto dei Raging Dead, ne vale la pena.

Esordio al fulmicotone per questa giovane band di Cremona, nata all’inizio dello scorso anno per volere del chitarrista e vocalist Cloud Shade, adocchiata dai ragazzi della Atomic Stuff che hanno masterizzato, mixato e registrato questo Ep nei loro studi di Isorella(Brescia) sotto la supervisione di Oscar Burato.

I Raging Dead sono protagonisti di un aggressivo metal dai riferimenti horror, colmo di attitudine punk/sleazy e alquanto moderno: i brani (cinque più intro) fanno dell’impatto e della grinta, tutta rock’n’roll, il punto di forza non allontanandosi troppo dalle influenze dichiarate e andando subito al sodo, senza troppi fronzoli, una dichiarazione di intenti che premia il gruppo , protagonista di brani assolutamente efficaci.
Awakening The Damned funge da atmosferica intro, a seguire one, two, three, e si parte per questo tuffo in un moderno rock’n’roll, punkizzato da ritmiche veloci e stradaiole, solos metallici ed un’aurea di irriverente attitudine alla Murderdolls, modernizzata da riferimenti al Rob Zombie meno industrial e al fantasma di Steve Sylvester che aleggia su ogni produzione del genere.
Da Scratch Me fino a Vengeance il gruppo non risparmia energie, le canzoni escono potenti e trascinanti (Anathema, Redemption e Nightstalker), facendo divertire l’ascoltatore che, di certo, non si annoia travolto da un sound che dal vivo deve risultare incisivo come pochi.
L’accento su questo lavoro sono i molti richiami allo street, che esce dai brani esplodendo nella conclusiva Vengeance, quello più cattivo e sporco di band come i primi L.A Guns e che aiuta non poco i brani a conquistare l’ascoltatore di turno.
Come al solito, quando di mezzo ci si mette l’Atomic Stuff , la qualità del prodotto è molto alta ed un ascolto è d’obbligo per gli amanti del genere.

Tracklist:
1. Awakening Of The Damned
2. Scratch Me
3. Anathema
4. Redemption
5. Nightstalker
6. Vengeance

Line-up:
Cloud Shade – Lead Vocals/Guitar
Matt Void – Lead Guitar
Tracii Decadence – Drums
Simon Nightmare – Bass

RAGING DEAD – Facebook

Celeb Car Crash – ¡Mucha Lucha!

Singolo apripista del nuovo album per i Celeb Car Crash.

Singolo apripista del futuro secondo album per l’alternative rock band nostrana Celeb Car Crash, segnalatasi nel 2013 con il debutto “Ambush!”, uscito nel 2013 e che molto bene fu accolto dagli addetti ai lavori.

Fresco di firma per la Sliptrick Records e reduce da un tour che li ha visti di spalla ai grandi Lacuna Coil, il quartetto sforna tre brani rock molto belli, che pescano tanto dal post grunge quanto dal rock alternativo di questi ultimi anni, rendendo così l’attesa per il nuovo parto ancora più interessante.
L’America è al centro del songwriting ed uno squisito gusto per ritmiche mai scontate porta il gruppo ad uscire prepotentemente dall’affollato mondo dell’underground rock grazie ad un sound ispirato, impreziosito dalla performance dell’ottimo cantante Nicola Briganti e ad un rock che graffia pur conservando un’eleganza di fondo.
Because I’m Sad è il singolo, una rock song che parte semiacustica per poi esplodere in elettricità , dall’ottimo appeal e costruita per piacere senza scendere nel patetico rock da classifica.
Segue Next Summer, trascinata da un riff hard rock e molto Alter Bridge nel refrain anche se la mia preferita resta ¡Adiós Talossa! (tututu) , ottima canzone aperta dal suono delle trombe, che si trasforma in un brano tra Nirvana e Foo Fighters, con le ritmiche e le atmosfere che cambiano tra elettricità ed una tristezza di fondo, solo stemperata dai cori ariosi e dall’ottimo ritornello.
Band interessante, i Celeb Car Crash mostrano un songwriting davvero ispirato, anche se tre tracce sono ancora poche per trarre conclusioni definitive;, non ci resta che aspettare l’arrivo del nuovo lavoro che, viste le premesse, non dovrebbe deludere gli appassionati dell’alternative rock.

Tracklist:
1.Because I’m sad
2.Next Summer
3.¡Adiós Talossa! (tututu)

Line-up:
Nicola Briganti – Voce, Chitarra
Carlo Alberto Morini – Chitarra
Simone Benati – Basso
Michelangelo Naldini – Batteria

CELEB CAR CRASH – Facebook

MARY BRAIN – Intervista

Proseguiamo con la serie delle interviste alle band che sono state incluse nella compilation UMA 2015: oggi è il turno dei modenesi Mary Brain.

Proseguiamo con la serie delle interviste alle band che sono state incluse nella compilation UMA 2015: oggi è il turno dei modenesi Mary Brain.

marybrain

iye Intanto congratulazioni per l’avvenuto accesso alla compilation: ci raccontate in breve la storia della band?

Grazie mille e grazie anche per averci offerto questo spazio! I Mary Brain nascono nel 2005 come cover band, ma iniziano presto a comporre pezzi propri. Nel 2009 registrano il primo promo-EP Pay for your sins presso i Morphing Studio di Cristiano Santini a Bologna. Il sound ancora grezzo è caratterizzato dalla fusione di metal classico e hard rock. Nel 2011 registrano il primo full-lenght Regression of human existence sempre presso i Morphing Studio, con Cristiano Santini anche nelle vesti di co-produttore. Il sound diventa più thrash e più prog al tempo stesso, senza rinunciare alla melodia. L’album che doveva originariamente uscire per un’etichetta italiana viene però rilasciato autoprodotto solo nel 2013 a causa di forti dissapori con la label. L’album viene recensito dalle maggiori riviste e web-zine del settore, diventano demo del mese su Metal Maniac di Aprile 2013.

iye Cosa vi ha spinto a partecipare al contest indetto dalla Underground Metal Alliance?

Ci ha spinto la volontà di trovare un canale serio e adeguato per farci conoscere maggiormente con una proposta ben fatta e curata, com’è la UMA compilation che ringraziamo per dedicare le proprie energie alla causa del metal underground italiano.

iye Oltre a quelli più immediati, legati alla partecipazione a questa iniziativa, quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati nell’immediato futuro?

Gli obiettivi del prossimo futuro sono di trovare possibilità per suonare live, che negli ultimi anni sono sempre più carenti, e trovare un’etichetta che sia disposta a pubblicare il nostro prossimo album, di cui stiamo completando la stesura dei brani, e che possa darci un supporto ed una promozione adeguati per poter far conoscere la nostra musica al più vasto pubblico possibile.

iye Quali sono per voi le band ed i musicisti di riferimento e per quali nomi, attualmente, varrebbe la pena oggi di fare un sacrificio per assistere ad un concerto?

Purtroppo ti devo dire che non vediamo band nuove per cui valga la pena rispetto ai nomi “storici”. Per noi i live migliori rimangono quelli di KISS, AC/DC, Iron Maiden, Black Sabbath, Metallica, Megadeth, Testament, ecc., almeno finché riusciranno a suonare! Finiti questi il prossimo live act da seguire saranno sicuramente i Mary Brain!!!

iye Suonare metal in Italia è un’impresa che porta con sé il suo bel coefficiente di difficoltà; tracciando un consuntivo di quanto fatto finora, siete soddisfatti dei riscontri ottenuti dalla band?

Noi suoniamo metal da quando abbiamo 16 anni (quindi ormai sono quasi 20 anni!) e l’abbiamo fatto sempre e solo per passione e per poter esprimere i nostri stati d’animo e le nostre emozioni. Abbiamo sempre continuato a registrare musica nostra perché troviamo soddisfazione nel farlo, costruendo un percorso musicale coerente con noi stessi e la nostra vita. Siamo quindi molto soddisfatti e andremo avanti così perché il metal è la nostra vita e senza non riusciremmo a sopravvivere, siamo più carichi adesso di quando abbiamo iniziato 10 anni fa!

iye Per quanto riguarda invece l’attività dal vivo, anche voi avete incontrato le stesse difficoltà nel trovare date e location disponibili che molti evidenziano? Ci sarà, comunque, la possibilità di vedervi all’opera su qualche palco nel corso dell’estate?

Certo, anche noi abbiamo trovato molte difficoltà soprattutto negli ultimi anni da quando abbiamo deciso di ridurre notevolmente il numero di cover e di proporre quasi esclusivamente pezzi nostri. Ormai i locali fanno riferimento solo alle agenzie di booking ed è sempre più difficile trovare gli spazi dove esibirsi. Purtroppo quest’estate non ci vedrete su nessun palco, speriamo di avere qualche possibilità nella stagione invernale.

iye Per finire, vi lasciamo lo spazio per fornire ai nostri lettori almeno un buon motivo per avvicinarsi alla vostra musica.

Il primo buon motivo è che ogni vero metallaro che si rispetti è sempre alla ricerca di nuove band e nuove proposte musicali e noi siamo una di queste.
Il secondo motivo è che pensiamo che la nostra musica sia un ottimo mix di tutto quello che il metal ha espresso negli anni: classic, hard rock, thrash, prog, tutto amalgamato con potenza e melodia. Datevi la possibilità di un ascolto, non ve ne pentirete! Horns up!!!

MARY BRAIN – Facebook

Orphans Of Dusk – Revenant

“Revenant”, pur nella sua veste di Ep, è già un lavoro del tutto appagante e di livello superiore alla media, ma è solleticante pensare che la band sia concretamente in grado di riprodurre la stessa qualità in una prova su lunga distanza.

Pochi giorni fa avevo benevolmente tirato le orecchie ai Luna, nella persona dell’unico musicista coinvolto, in quanto l’ultimo full length si mostrava eccessivamente derivativo, benché questo sia un aspetto, almeno in ambito doom, al quale normalmente attribuisco un peso del tutto relativo.

Gli Orphans Of Dusk, in tal senso, rappresentano un certo elemento di discontinuità in quanto, pur attingendo anch’essi in maniera signifcativa all’imprimatur di una band specifica, riescono a farlo fornendo al loro sound quell’impronta personale che nell’esempio appena citato latitava quasi del tutto.
Il duo oceanico, formato dal neozelandese James Quested agli strumenti e dall’australiano Chris G. alla voce, offre un’interpretazione efficace ed elegante del gothic doom omaggiando a più riprese i monumentali Type 0 Negative nella loro veste più oscura, ma senza dimenticare di inasprire il sound di venature più robuste, oltre che tradizionalmente devote al genere come nel drammatico incipit strumentale di August Price, grazie anche ad un buonissimo growl che va ad alternarsi con sapienza ad una timbrica profonda che richiama non poco quella dell’indimenticabile Peter Steele.
Revenant consta di quattro brani per una mezz’ora scarsa di musica in grado di riconciliare gli appassionati con il genere, finalmente, senza dover ricorrere a particolari artifici. È fuor di dubbio che Beneath the Cover of Night, ad esempio, paia a tratti un riuscitissimo outtake di “October Rust”, ma sono le doti compositive degli Orphans Of Dusk a fare la differenza, facendoli balzare agevolmente da un ipotetico status di opachi scopiazzatori a quello di continuatori legittimi ed ispirati del sound di una delle band più influenti degli ultimi vent’anni.
Sarà difficile non restare incantati dalle atmosfere soffuse, melodiche e pervase da un non comune gusto malinconico che gli Orphans Of Dusk riversano nelle proprie composizioni: Revenant, pur nella sua veste di Ep, è già un lavoro del tutto appagante e di livello superiore alla media, ma è solleticante pensare che la band sia concretamente in grado di riprodurre la stessa qualità in una prova su lunga distanza; intanto il duo oceanico è entrato nell’orbita di un’importante label di settore come la Solitude e questo è già un bel segnale.

Tracklist:
1. August Price
2. Starless
3. Nibelheim
4. Beneath the Cover of Night

Line-up:
Chris G. – Vocals
James Quested – Guitars, Synths & Bass
Dan Nahum – Session Drums

ORPHANS OF DUSK – Facebook

THE MAGIK WAY – CURVE STERNUM

A differenza di quanto accade sovente, in occasione di reunion che per motivi di marketing vengono contrabbandate come eventi epocali, per i The Magik Way si può invece tranquillamente affermare che di un ritorno di questa levatura se ne sentiva davvero il bisogno.

Il nome dei The Magik Way era balzato nuovamente alla ribalta dopo diversi anni di oblio, grazie alla riedizione delle due uniche testimonianze discografiche della loro prima parte di carriera.

Curve Sternum è il naturale passo che segue questo tipo di operazioni, propedeutiche a riportare l’attenzione su una band in procinto di tornare sulla scena dopo un lungo silenzio; decisamente meno prevedibile è, invece, il modo in cui Nequam e Azach si ripropongono al pubblico: il dark ambient dalla forte componente esoterica lascia spazio ad una sorta di neo folk dai contenuti orrorifico-rituali, esaltati da testi a volte disturbanti, altre volte grotteschi, recitati con voce da crooner dal primo dei due.
I Corpi Pesanti, in apertura di lavoro, è un brano che fatica a decollare in prima battuta a causa delle forzature metriche che contraddistinguono il comparto lirico, senza dimenticare un timbro vocale comunque poco convenzionale; ci vuole infatti un po’ di tempo e, quindi, diversi ascolti per venire a patti con un approccio musicale volto, più che ad attrarre, a disorientare prima e ad avvolgere poi l’ascoltatore con i suoi testi che rifuggono ogni banalità ed un sound solo apparentemente semplice e minimale.
Forse anche per questo, il disco si rivela come una delle uscite più originali degli ultimi tempi, rendendo credibile un accostamento audace, soprattutto per attitudine, alle opere di personaggi quali Mr.Doctor o Malleus.
Rispetto ai citati geni musicali qui troviamo indubbiamente un minore slancio melodico ed atmosferico e una maggiore voglia di sperimentare un suono che, talvolta, diviene quasi ossessivo nel suo per lo più lento incedere.
Curve Sternum è la perfetta espressione artistica esibita da un gruppo di musicisti che oltre vent’anni fa ritennero troppo angusti i confini espressivi del black metal, avviando senza alcuna fretta un percorso di ricerca musicale e filosofica privo di vincoli temporali ed espressivi: ne è testimonianza il cospicuo periodo di stand by al quale sono stati appunto soggetti i The Magik Way.
Con calma e consapevolezza, come creature sotterranee che si nutrono con pervicace regolarità di tutto ciò che proviene dalla superficie, nulla escluso, il duo alessandrino giunge ad offrire un album difficile e che necessita di molta pazienza ed altrettanta voglia di conoscenza da parte degli ascoltatori: superati questi ostacoli, sul piatto resta un lavoro forse per pochi ma sicuramente di gran pregio.
A differenza di quanto accade sovente, in occasione di reunion che per motivi di marketing vengono contrabbandate come eventi epocali, per i The Magik Way si può invece tranquillamente affermare che di un ritorno di questa levatura se ne sentiva davvero il bisogno.

Tracklist:
1.I corpi pesanti
2.La mano raccoglie
3.A curva di sterno
4.Yod-He-Vau-He
5.Nel tempo restare
6.L’orrore
7.Scuotiti, oh vita!
8.In alto come in basso

Line-up:
Nequam – vocals, acoustic guitars, programming
Azàch – drums and percussions, backing vocals

Maniac of Sacrifice – electric guitars
Old Necromancer – electric guitars
Tlalocàn – doublebass

THE MAGIK WAY – Facebook

Heavylution – Children Of Hate

Children Of Hate è un ascolto obbligato per ogni defender che si rispetti e alza l’asticella della qualità delle uscite nel campo del metal classico in questo incendiario 2015

Dall’underground più profondo del metal classico europeo, continuano a proporsi band dalle indubbie qualità: arrivano di soppiatto, dai più svariati paesi dall’estremo ovest all’est, da nord a sud, tutte con la loro musica forgiata nel metallo ottantiano, straordinari eredi di un genere entrato a dispetto di molti nelle storia della musica moderna.

Gli Heavylution sono una band transalpina nata quasi una decina di anni fa ormai, Children Of Hate è il primo full length, arrivato come un lampo nella notte dopo che la band aveva già licenziato un demo e l’ep “The Architect” nel 2011.
Quattro anni non sono passati invano, ed il gruppo di Saint-Etienne si presenta nel nuovo anno con quest’opera di fiero metallo, tra l’heavy metal tradizionale e il power, oscuro, dalle sfumature epiche e melodie a iosa.
Ritmiche power e crescendo metallici fanno da struttura ad una raccolta di brani, ben fatti, suonati bene e dall’ottima resa, non spiccatamente vintage, ma con una modernità di fondo data dall’ottimo lavoro, fatto in studio.
I brani escono così potenti e melodici, con due o tre perle (la title track, Spirit Never Die e The Exodus) in un lotto dalla buona qualità, richiamando più di una band storica tra metal ottantiano e power estrapolato dalla seconda metà del decennio successivo.
Nel genere le qualità del singer fanno mille, ed allora ecco che la band piazza Paul Eyssette dietro al microfono, aggressivo, sanguigno, accostabile all’ultimo Dickinson, anche alla sei corde in compagnia di Thibault Maurin e Olivier Dupont.
Tanto dispiego di asce non è un caso, Children Of Hate ha nel lavoro delle chitarre il suo punto di forza: melodiche, pungenti, graffianti e affiatate, sono il fiore all’occhiello di questo lavoro, senza nulla togliere alla buona sezione ritmica composta da Laurent Descours alle pelli e Nicolas Savoca al basso.
Iron Maiden,Judas Priest, Iced Earth, qualche sprazzo di power teutonico e tanta fierezza metallica, fanno di Children Of Hate un ascolto obbligato per ogni defender che si rispetti, alzando l’asticella della qualità delle uscite nel campo del metal classico in questo incendiario 2015: lunga vita all’underground.

Tracklist:
1.The Call
2.Children of Hate
3.Obsession
4.Spirit Never Dies
5.Burn Out
6.Mind Avulsion
7.The Eye Will Control
8.The Exodus
9.Balls of Steel
10.Future is on Your Side
11.Fight for Changes

Line-up:
Laurent Descours – Drums
Olivier Dupont – Guitars
Paul Eyssette – Vocals, Guitars
Nicolas Savoca – Bass
Thibault Maurin – Guitars

HEAVYLUTION – Facebook

Luna – On the Other Side of Life

Dopo aver sperimentato qualcosa di diverso in occasione del recente Epi, DeMort ripropone le sonorità dedite ad un funeral atmosferico devoto in maniera financo eccessiva agli Ea.

Secondo album per la one man band ucraina Luna, della quale abbiamo già parlato in occasione sia del full length d’esordio sia dell’Ep uscito non troppo tempo fa.

Dopo aver sperimentato qualcosa di diverso in quell’occasione con buoni risultati, DeMort è tornato in toto alle sonorità dedite ad un funeral atmosferico devoto in maniera financo eccessiva agli Ea.
Come in quel frangente, infatti, il nuovo lavoro vive delle stesse contraddizioni: atmosfere evocative guidate per lo più dalle tastiere che ricalcano in maniera fedele, pur se con la dovuta competenza, quel tipo di sound.
Due soli brani, interamente strumentali, per circa un’ora complessiva di durata, che costituiscono pur sempre un’esperienza gradevole per chi ama queste sonorità, lasciano in eredità, purtroppo, la sensazione d’avere ascoltato un buon surrogato di una delle band più particolari dell’intera scena doom, piaccia o meno.
Tutto ciò, quindi, mi costringe a replicare a grandi linee il giudizio fornito in occasione di “Ashes To Ashes” anche se, dal raffronto, emergono sensibili passi avanti sia sotto l’aspetto esecutivo sia per quanto riguarda quello compositivo, che appare decisamente meno essenziale.
Credo che DeMort, se vorrà provare a ritagliarsi uno spazio più importante, dovrà cercare di personalizzare ulteriormente il sound, magari provando ad inserire anche le parti vocali, altro elemento in grado di apportare a sua volta una certa varietà, quand’anche dovesse essere utilizzato con parsimonia.

Tracklist:
1. Grey Heaven Fall
2. On the Other Side of Life

Line-up:
DeMort – All Instruments

Feign – Into The Void

Secondo ep per la one man band statunitense Feign, a conferma del buon potenziale già espresso nel precedente lavoro.

Secondo ep per la one man band statunitense Feign, già trattata su queste pagine in occasione dell’esordio Lost to Eternity.

Il giovane Jacob Lizotte conferma agevolmente le buone impressioni destate in quell’occasione, proseguendo sulla strada di un black metal atmosferico piuttosto debitore di Agalloch e Wolves In The Throne Room.
La prima traccia si snoda attorno ad un tema portante dai toni epici sui quali la chitarra solista compie un buon lavoro elevandone il potenziale evocativo e, tutto sommato, la seconda ne ricalca in positivo l’andamento, mentre la terza è una breve chiusura di stampo ambient.
Come detto in fase di recensione del precedente demo, appare notevole il potenziale di questo musicista del Maine, ma potrà essere solo l’uscita di un più probante full length a definire in maniera compiuta il valore effettivo del progetto Feign.

Tracklist:
1. Deathwisher
2. Soulcrusher
3. Stargazer

Line-up:
Jacob Lizotte All instruments, Vocals

https://www.facebook.com/feignband

Norse – Pest

Un lavoro complesso ed irto di spine ma ugualmente ricco di una certa attrattiva.

Gli australiani Norse sono in circolazione da quasi un decennio nel corso del quale hanno dato alle stampe due full-length nel 2010 e nel 2012.

La band, che di fatto è sempre stata guidata dal drummer Forge, si cimenta in un black death che non lascia spazio alcuno ad ammiccamenti groove o melodici.
I Norse forse non spaventano ma sicuramente disturbano, con i loro brani all’insegna di una claustrofobica misantropia che si esplicita attraverso un sound capace di unire la vena più sperimentale del black con sfuriate talvolta al limite del grind, creando un impasto sonoro difficilmente digeribile ma ugualmente affascinante.
La repulsione iniziale dovuta all’insistenza di sonorità dissonanti lascia lentamente spazio, infatti, a un percezione che non può essere certamente definita empatia ma che è, quantomeno, una perniciosa attrazione verso questi suoni che Forge, coadiuvato dallo screaming di ADR, riversa senza misericordia alcuna sull’ascoltatore.
Solo la conclusiva Aimless concede spiragli di melodia nelle trame chitarristiche, quasi a voler ribadire che anche l’oscurità più assoluta conserva al suo interno infinitesimali barlumi di luce.
Il formato Ep di Pest, con la sua durata inferiore alla mezz’ora, favorisce indubbiamente l’assimilazione di questo lavoro complesso ed irto di spine ma ugualmente ricco di una certa attrattiva.

Tracklist:
1. Encoded Weakness
2. Disarmed. Toothless. Weak
3. Pest
4. Irradiator
5. True Insignifigance
6. Aimless

Line-up:
ADR – vocals, lyrics
Forge – All instruments

NORSE – Facebook

Putrid Offal – Premature Necropsy

Ottima iniziativa della Kaotoxin che raccoglie in una compilation i primi lavori dei grindsters francesi Putrid Offal.

Anno solare importante per i Putrid Offal, una delle band di punta della Kaotoxin: dopo l’ep “Suffering” di fine 2014, che di fatto sanciva il ritorno sulle scene della band estrema transalpina, ed il nuovo full length uscito lo scorso febbraio (“Mature Necropsy”), che confermava il gruppo come una delle migliori realtà nel panorama death/grind europeo, eccoci alla alla terza uscita in meno di un anno con Premature Necropsy, raccolta del materiale prodotto negli anni novanta, autentico ripasso della storia del gruppo, rimasto fermo per vent’anni e tornato a devastare come e più di prima.

Di tempo ne è passato tanto ma i brani raccolti in questa compilation non fanno che confermare la bravura del combo, nato in anni nei quali il genere era al massimo della popolarità, trascinato da band di relativo successo come Napalm Death, Carcass e, perchè no, Brutal Truth.
Oltre allo split con gli Exulceration da cui prende il titolo, Premature Necropsy raccoglie le prime opere della band rimasterizzate : dal primo demo “Unformed”, passando dallo split “At the Sight of the Foul Offal” in compagnia degli storici Agathocles, fino allo split “Obscurum Per Obscurius”, diciotto brani che non sono solo i primi vagiti di una band straordinaria, ma una panoramica su quello che offrì il genere negli anni di massimo splendore.
All’epoca la band, oltre a Franck Peiffer e Frédéric Houriez (oggi saccompagnati da Philippe Reinhalter alla chitarra e da Laye Louhenapessy alla batteria) si avvaleva alle pelli di Ludovic Loez prima ed in seguito di Boris Reisdorff.
Premature Necropsy è un acquisto consigliato per chi ha conosciuto il gruppo francese in questo ultimo periodo; i Putrid Offal non lasciano scampo e dimostrano che il loro death/grind anche all’epoca aveva qualcosa in più: terremotante, massacrante vario e suonato alla grande, seguiva la scia dei primi Carcass e General Surgery e costituiva di fatto la risposta transalpina alle devastazioni scandinave e soprattutto americane.
Completato da un booklet completo di biografia e poster nella sua versione limitata a cinquecento copie, questa compilation non può mancare nello scaffale di ogni grindster che si rispetti.

Tracklist:
1. Purulent Cold
2. Repulsive Corpse
3. Premature Necropsy
4. Rotten Flesh
5. Symptom
6. Garroting Way
7. Suffering
8. Mortuary Garlands
9. (outro)
10. Mortuary Garlands
11. From Plasma to Embalming
12. Gurgling Prey
13. Birth Remains
14. Organic Excavation
15. Gurgling Prey
16. Oscillococcinum
17. Purulent Cold
18. Rotten Flesh

Current line-up:
Franck Peiffer – guitars, vocals
Philippe Reinhalter – guitars
Frédéric Houriez – bass
Laye Louhenapessy – drums

Line-up on this compilation:
Franck Peiffer – guitars, vocals
Frédéric Houriez – bass
Boris Reisdorff – drums
Ludovic Loez – drums (tracks 15-18)

PUTRID OFFAL – Facebook

Doomed – Wrath Monolith

Continua il percorso sulle vie lastricate di dolore del death-doom da parte di Pierre Laube con il suo solo project Doomed.

Continua il percorso sulle vie lastricate di dolore del death-doom da parte di Pierre Laube con il suo solo project Doomed; questo Wrath Monolith è il quarto album in soli tre anni e conferma il costante progresso del musicista tedesco dal punto di vista compositivo.

L’interpretazione del genere da parte di Laube continua ad essere caratterizzata da un impatto aspro e talvolta dissonante, ma gli sprazzi melodici oggi appaiono meglio integrati e più funzionali alla resa complessiva.
Come sempre spicca un lavoro chitarristico dai tratti piuttosto personali che, in un brano come Euphoria’s End, va a lambire territori technical-death.
Wrath Monolith evoca, come gran parte dei dischi del genere, un doloroso disagio ma lo fa in maniera meno immediata ed evocativa rispetto ad altre band e questo finisce per essere un pregio, in quanto denota la volontà di Pierre di non adagiarsi su soluzioni scontate ma, d’altro canto, rende oltremodo complessa la memorizzazione dei singoli brani.
Se, per gusto personale, preferirei ovviamente una maggiore presenza di aperture melodiche, anche perché quando ciò avviene il sound ne beneficia in virtù di capacità compositive comunque ben superiori alla media, non posso fare a meno di constatare quanto ogni uscita targata Doomed sia ormai divenuta garanzia di qualità, accentuata proprio dai tratti piuttosto personali e riconoscibili, nonostante l’ancora relativamente breve vita artistica del progetto.
La stessa consolidata appartenenza al roster della Solitude ci suggerisce, in qualche modo, una certa affinità alla frangia meno accessibile della scena russa, costituita da band quali Abstract Spirit e Who Dies In Siberian Slush, tanto per citare due tra le più note, proprio per il suo ricorrere a sonorità che si concedono con parsimonia a facili soluzioni meloduche.
Ennesimo buonissimo disco, quindi, ma volendo fare per una volta la parte dell’incontentabile mi piacerebbe che Laube ricorresse con maggior frequenza a soluzioni come il malinconico assolo di Our Ruin Silhouette (a proposito, oltre alla copertina a sfondo verde, viene mantenuta anche l’abitudine di dare ad un brano lo stesso titolo dell’album precedente), visto che una simile forza evocativa non può e non deve restare un caso pressoché isolato all’interno di una singola traccia, piuttosto che di un intera tracklist.
Detto questo, chi ha apprezzato i precedenti lavori non resterà affatto deluso da questa ultima fatica dei Doomed, mentre io continuo ad attendere con fiducia il lavoro definitivo, quello capace di farne assurgere il nome ai massimi livelli, dai quali non siamo invero troppo lontani.

Tracklist:
1. Paradoxon
2. Our Ruin Silhouettes
3. Euphoria’s End
4. The Triumph – Spit
5. Looking Back
6. I’m Climbing

Line-up:
Pierre Laube – All instruments, Vocals

DOOMED – Facebook

Night Gaunt – Night Gaunt

I romani Night Gaunt esordiscono con questo disco omonimo andando a rimpinguare la schiera di buone band della capitale dedite ad un doom dai tratti piuttosto classici.

I romani Night Gaunt esordiscono con questo disco omonimo andando a rimpinguare la schiera di buone band della capitale dedite ad un doom dai tratti piuttosto classici.

L’album, originariamente uscito come autoproduzione nel 2014, ha catturato l’attenzione dell’attenta label genovese BloodRock Records che lo ha riproposto sul mercato questa primavera.
In ossequio ad un genere che si sviluppa, come è giusto che sia, nel solco della tradizione, appare quasi superfluo sottolineare come i nostri in queste sette tracce rinuncino in partenza all’inserimento di spunti innovativi: qui si fa, bene e con tutta la dedizione del caso, del sano doom intriso fino al midollo degli umori lisergici che hanno fatto la fortuna di nomi quali Saint Vitus, Pentagram, Candlemass ecc.
Un rito di una quarantina di minuti nel corso dei quali non vengono risparmiate distorsioni spasmodiche, riff avvolgenti, ritmi pachidermici alternati a repentine cavalcate e vocals evocative quanto basta, con una partenza leggermente in sordina ed un deciso cambio di passo a livello qualitativo ad iniziare da The Patient, passando per l’irresistibile traccia strumentale e manifesto delle band, Night Gaunt, fino ad arrivare alla conclusiva Acquiescent Grave, nella quale il quartetto romano pare aver voluto convogliare tutte le proprie influenze e la genuina passione per questo genere.
Un esordio che non è ancora sufficiente per collocare i Night Gaunt nelle prime file dello schieramento di partenza (dove risiedono stabilmente i concittadini e neo-compagni di etichetta Doomraiser), ma che si rivela lo stesso oltremodo soddisfacente, contribuendo a perpetuare quella tradizione doom che ormai nel nostro paese, e nella capitale in particolare, si sta consolidando in maniera convincente.
Il primo importante passo è stato compiuto nel migliore dei modi e il prossimo obiettivo, per la band romana, sarà quello di mostrare una cifra stilistica più personale pur senza dover necessariamente snaturare le proprie caratteristiche.

Tracklist:
1. Persecution
2. Breathless
3. The Church
4. The Patient
5. Night Gaunt
6. Black Velvet
7. Acquiescent Grave

Line-up:
Araas – Bass
Kelèvra – Drums
Zenn – Guitars
Gc – Guitars, Vocals

NIGHT GAUNT – Facebook

Chapter V:F10 – Syndrome

Ottimo lavoro da parte di Astaroth Merc (già conosciuto con i Raventale) che, sotto il monicker ChapterV:F10, ci consegna un album black metal di buon spessore.

Syndrome è il primo lavoro dei Chapter V:F10, creatura di Astaroth Merc, conosciuto per essere il membro unico degli ucraini Raventale, attivi da una decina d’anni e protagonisti della scena con ben sei album all’insegna di un black metal atmosferico.

Anche in questa occasione il nostro si cimenta con tutti gli strumenti ma è accompagnato nell’avventura dalla voce di Howler, già suo compagno nei Den Of Winter.
Syndrome è un buon lavoro di genere, glaciale e composto da ottime canzoni, ora strutturate su ritmiche cadenzate ora spazzate da sfuriate metalliche fredde come il vento del nord.
Il musicista di Kiev se la cava alla grande con gli strumenti, così come il suo partner si rivela dotato di un ottimo scream: le atmosfere, che si mantengono gelide e diaboliche e fanno da contorno al black metal che ha nella vecchia scuola la fonte a cui abbeverarsi, a tratti vengono lacerate da frustate di nero metallo, altre volte sono contornate invece da una vena epica ed evocativa che trasporta l’ascoltatore in paesaggi di deserto ghiacciato, lande ai confini del mondo dove l’inferno è ad un passo.
Sono proprio queste le parti in cui Syndrome offre il suo meglio, con note che si avvinghiano allo stomaco, atmosfericamente da applausi pur mantenendo una violenza di fondo che si libera quando gli elementi scatenano una danza infernale.
Le ritmiche tengono il passo, passando da mid tempo a veloci mitragliate, come nella superba Progression, che apre il lavoro e con la quale Chapter V:F10 sparano già le loro migliori cartucce.
Invero proprio la prima e l’ultima traccia sono quelle che più lasciano all’ascoltatore un ottimo ricordo, con Ending, posta in chiusura, bellissimo strumentale con digressioni che oserei definire, a tratti, progressive.
Nel mezzo il black metal tout court di Reclaim, Nectar e sopratutto Mercury convince donandoci ottimi esempi di metallo nero, assolutamente consigliato agli adepti del genere a cui va l’invito ad ascoltare questo gioiellino di metallo oscuro e maligno.

Tracklist:
1. Progression
2. Reclaim
3. Nectar
4. Hollow
5. Mercury
6. Ending

Line-up:
Astaroth Merc – All instruments
Howler – Vocals

Abysmal Grief / Runes Order – Hymn of the Afterlife / Snuff the Nun

Uno split album di qualità non comune grazie alla presenza di due realtà che non deludono mai, dall’alto delle capacità compositive e della personalità dei musicisti coinvolti.

Split album che vede all’opera due nomi pesanti, questo pubblicato dalla Italian Doom Metal Records.

In realtà solo uno di questi parrebbe compatibile con la ragione sociale della label, e parliamo dei genovesi Abysmal Grief, mentre i Runes Order appartengono, di fatto, al mondo degli sperimentatori elettro-ambient.
La band ligure, che apre il lavoro con Hymn of the Afterlife, conosciuta e venerata come formidabile interprete di un horror doom dai tratti unici, per l’occasione si avvicina alle sonorità degli altri ospiti di questo 12”, proponendosi in una veste dark ambient, già esibita qualche anno fa nell’ep “Foetor Funereus Mortuorum” .
Gli Abysmal Grief non evocano semplicemente il dolore lancinante della perdita ma sono essi stessi gli officianti del rito, i necrofori che si incaricano di portare la bara all’esterno della chiesa, coloro che scavano la fossa e che, infine, gettano le ultime manciate di terra sul feretro, prima che il suo dimorante venga inghiottito per sempre nell’oblio della morte.
Personalmente prediligo la band allorché Labes C. Necrothytus ringhia dall’alto della sua tastiera- pulpito su un tessuto musicale più canonico, anche se, pure in questa veste, l’effetto macabro è ugualmente garantito e di indubbia qualità.
Peraltro, come detto, tale scelta contribuisce a rendere la proposta non troppo dissimile, non solo negli intenti, rispetto a quella dei Runes Order di Claudio Dondo.
Il brano Snuff The Nun è una magistrale summa (suddivisa in cinque parti) del background musicale dell’artista: il dark ambient dell’avvio sfocia progressivamente nell’ipotetica soundtrack di un horror psicologico, prima con il contributo vocale di Alex De Siena, poi con il manifestarsi del retaggio elettronico di Dondo, naturale continuatore dei suoni provenienti dalla seminale scena teutonica degli anni ’70.
Inquietante e perfettamente complementare, nonostante le diverse basi di partenza delle due band, alla traccia degli Abysmal Grief, Snuff The Nun termina come come Hymn of the Afterlife era iniziata, ovvero con la recitazione di un Pater Noster qui del tutto spogliato da ogni suo paramento sacro.
Pubblicato in 500 copie, di cui 300 in vinile nero e 200 in grigio, lo split album si rivela di qualità non comune, grazie alla presenza di due realtà che non deludono mai, dall’alto delle capacità compositive e della personalità dei musicisti coinvolti.

Tracklist:
Side A
Abysmal Grief – Hymn Of The Afterlife
Side B
Runes Order – Snuff The Nun

Line-up:
Abysmal Grief
Lord Alastair – Bass
Fog – Drums
Regen Graves – Guitars, Synths
Labes C. Necrothytus – Keyboards, Vocals

Runes Order
Claudio Dondo – All instruments
Alex De Siena – Vocals

ABYSMAL GRIEF – Official Website

RUNES ORDER – Facebook

Jussipussi – Greatest Tits

Dall’underground italiano stanno venendo fuori molti dischi di musica pesante davvero interessanti, ed è al piccolo cabotaggio che dobbiamo rivolgerci se si vuole ascoltare buona musica.

Questi giovani terroni trapiantati a Milano ci regalano stoner metallico veloce e di ottima fattura.

Il disco è stato una vera sorpresa: seppure loro non siano insieme da tanto, in sette prove vengono fuori questi cinque pezzi.
Il pianeta si chiama Queens of the Stone Age, ma i Jussipussi annettono nuovi territori mischiando la sacra materia con i Red Fang e i Clutch più corrosivi.
Il loro nome deriva da un tipo di pane finlandese, che pare non abbia assolutamente nulla da vedere con la pussy. I Jussipussi si presentano in maniera fortunatamente poco seria, poi li ascolti e ti impressionano veramente poiché possiedono un groove davvero notevole, un passo molto superiore.
I brani scorrono bene, ascoltandoli non si pensa al genere, ma si viene trascinati da questo misto di melodia e cartavetro, ora seguendo un’impennata, ora planando placidi su delle spogliarelliste.
I Jussipussi vi faranno divertire con canzoni come Vultures che sono vere chicche, canzoni che qualcuno oltre oceano vorrebbe scrivere ma non ce la fa.
I ragazzi prendono tutto con molta ironia ma hanno le carte in regola per diventare un gruppo importante, hanno talento e musicalità da vendere, in più non si prendono troppo sul serio e ciò non guasta mai.
Dall’underground italiano stanno venendo fuori molti dischi di musica pesante davvero interessanti, ed è al piccolo cabotaggio che dobbiamo rivolgerci se si vuole ascoltare buona musica.
Un bel disco, una gradita sorpresa da Taxi Driver Records.

Tracklist:
1 The Bliss of a New Black Dawn
2 Warning Sign
3 Vultures
4 Explant ( Feat.Giacomo Boeddu from Isaak )
5 Bury You Deep

Line up:
Francesco Borrelli : Batteria
Michele Cigna : Chitarra
Marco Giarratana : Voce
Antonio Petrotta : Basso

JUSSIPUSSI – Facebook

Austerymn – Sepulcrum Viventium

L’album non concede tregua, con atmosfere oscure, velocità e rallentamenti come il genere insegna

L’underground estremo è la culla del death metal old school, relegato purtroppo ai margini della scena attuale e risvegliato solo in parte dalle uscite delle band storiche: recensione, intervista e nello spazio di un mese tutto torna nel dimenticatoio, ignorando quasi completamente le interessanti novità che arrivano da ogni parte del mondo.

Sepulcrum Viventium, esordio sulla lunga distanza dei britannici Austerymn, per esempio, si rivela una gran bella mazzata, roba che negli anni d’oro avrebbe fatto gridare al miracolo più di un addetto ai lavori.
Rik Simpson e Steven Critchley, d’altronde, è dal 1990 che scorribandano per la scena, prima come Perpetual Infestation, poi Godless Truth: diventati Austerymn nel 2007 spostano il tiro dal doom/death a questa massacrante prova di death metal classico, spaventosamente vecchia scuola e per questo, ancora più affascinante.
L’album non concede tregua, con atmosfere oscure, velocità e rallentamenti come il genere insegna, senza compromessi e dall’impatto marcissimo e guerresco, ed offre ai fan un lavoro sopra le righe e con tutti i crismi per ritagliarsi uno spazio nel panorama estremo.
Una sezione ritmica devastante, riffoni da bombardamento a tappeto e un growl rabbioso e profondo sono gli elementi distintivi di una serie di canzoni che prendono per il collo l’ascoltatore, torturandolo e annichilendolo con un assalto sonoro che richiama le scene regine del death metal, quella americana (Death, Massacre) e quella scandinava (Entombed, Dimember, Grave), con l’aggiunta di un’atmosfera oscura e guerrafondaia, dai richiami ai grandi Bolt Thrower.
Written in the Scars, Darkness Burns Forever, la conclusiva e monolitica Riven sono i brani di spicco, ma è tutto l’album che gira a mille, non facendo prigionieri e risultando imperdibile per tutti i fan dei suoni estremi old school.

Tracklist:
1. Intro
2. Feeding the Grotesque
3. Written in the Scars
4. Bleeding Reality
5. Excarnation
6. Darkness Burns Forever
7. The Living Grave
8. In Death… We Speak
9. Necrolation
10. Buried Alive
11. Dead
12. Riven

Line-up:
Rik Simpson – Guitars, Bass, Drums, Keys, Piano, Synth, Vocals
Steven Critchley – Vocals, Bass
Stuart Makin – Guitars (lead)
Nikk Perros – Drums

https://www.facebook.com/pages/Austerymn/447715821937969

www.youtube.com/watch?v=M0Hy8ZQcA0o