ALCHIMIA

Il video di “Waltz Of The Sea”, dall’album “Musa”.

Il video di “Waltz Of The Sea”, dall’album “Musa”.

I Mediterranean Atmospheric Post Metallers ALCHIMIA rivelano il videoclip ufficiale del brano “Waltz Of The Sea”, estratto dal loro full-length di debutto “Musa”.

Il video è stato prodotto da Sanda Movies (Novembre, Shores Of Null, Adimiron) ed è stato girato tra Roma e Napoli.

Il mastermind di Alchimia, Emanuele Tito ha commentato : “Lavorare con Sanda Movie ed il suo team di professionisti è stata un bella esperienza, cosi come magnifica è stata la location scelta, il fiordo di Crapolla a Napoli. Devo dire che recitare è stato molto divertente, e penso che il personaggio interpretato in un certo senso mi assomigli : affronta un percorso difficile durante il processo di scrittura della sua composizione. La sua musa ispiratrice lo guida durante un percorso sofferto e molto personale, che lo porta ad un finale inaspettato, guardate il video e capirete di cosa parlo …”

Lost Moon – Through The Gates Of Light

La band sforna un lavoro intenso ed originale, perché le influenze ben presenti vengono rimodellate dal trio creando una gettata hard rock/stoner a tratti pesantissima.

A dispetto dei detrattori e dei metallari duri e puri che hanno visto gli anni novanta come la morte dei suoni classici in favore di approcci più moderni e cool, questo decennio rimane il più importante per lo sviluppo della musica rock insieme agli anni settanta, un periodo di rinascita che ha portato all’attenzione degli ascoltatori una manciata di scene diventate, con il tempo, ispirazioni primarie per i gruppi del nuovo millennio.

Dall’hard rock al metal estremo, passando per il grunge, lo stoner ed il metal moderno, l’ultimo decennio del ‘900 per chi ha avuto la fortuna di viverlo musicalmente rimarrà il fulcro di quello che, in seguito, si è sviluppato.
I Lost Moon sono nati verso il finire di quel periodo e da lì hanno sviluppato il loro sound per mezzo di tre album (Lost Moon del 2001, King Of Dogs del 2007 e Tales Form The Sun licenziato tre anni fa) e ora tornano con questo nuovo lavoro, Through The Gates Of Light ottimo esempio di hard stoner rock che da quel prende lo spirito e qualche ispirazione e, grazie ad un songwriting vario, ci regalano trentacinque minuti di musica di grande livello.
I due fratelli Paolucci (Stefano – chitarra e voce – e Pierluigi – batteria),  con il fido Adolfo Calandro (basso), prendono in ostaggio lo stoner rock e lo lasciano tra le mani dell’hard rock settantiano, la psichedelia ed il southern rock e, con la guida dell’alternative metal, lo torturano fino trasformarlo in un’entità anomala ed impossibile da descrivere in senso assoluto.
La band sforna un lavoro intenso ed originale, perché le influenze ben presenti vengono rimodellate dal trio creando una gettata hard rock/stoner a tratti pesantissima.
Si passa così dalle digressioni tooliane della strumentale Through The Gates Of Light, ai Black Label Society e Kyuss della successiva Dawn, dalle sferzate metalliche di Prayer a Pilgrimage, brano che rispecchia il credo musicale dei Lost Moon esibendo una panoramica esaustiva su tutte le sfumature della loro musica.
Sempre Black Label Society ed Alice In Chains li ritroviamo in I Got A Drink e in Light Inside, mentre un sitar beatlesiano apre la conclusiva Visions, canzone che ricorda le armonie acustiche degli Zeppelin.
Album davvero bello, Through The Gates Of Light è l’imperdibile ultimo sussulto dell’anno per quanto riguarda il genere.

Tracklist
1.Through the Gates of Light
2.Dawn
3.Prayer
4.Pilgrimage
5.I Got Drunk Again
6.Light Inside
7.The Day we Broke the Spell
8.Visions

Line-up
Stefano Paolucci – Guitars .Vocals
Pierluigi Paolucci – Drums
Adolfo Calandro – Bass

LODT MOON – Facebook

Modern Day Outlaw – Day Of Reckoning

Sorprende che un gruppo del genere non sia ancora stato catturato da una label, ma poco importa, questi sono dei veri adepti del southern metal, quindi assolutamente da supportare.

Il southern metal è quella esplosiva che sta facendo, a discapito dei detrattori, la storia del rock in questo inizio di millennio.

Insomma, chiamatelo come volete, ma il sound di questi fenomenali Modern Day Outlaw è quanto di più perfetto il fan dell’ hard rock moderno possa chiedere alla sua band preferita: Southern State Of Mind è il loro primo full length (assolutamente da recuperare) uscito cinque anni fa, a cui fa seguito questo ep che, spero faccia da apripista ad un eventuale lavoro su lunga distanza, visti i risultati che ne scaturiscono, ovvero quattro bombe southern metal, più la cover di The Ride del grande Mysterious Rhinestone Cowboy alias David Allan Coe, un’icona country southern blues, che gli amanti del genere conoscono bene e che collaborò con i tre quarti dei Pantera all’album Rebel Meets Rebel.
Sparatevi senza ritegno queste cinque adrenaliniche tracce e per quasi venti minuti sarete rivoltati come calzini dalla forza dirompente dei Modern Day Outlaw e delle loro Revved Up! (Alter Bridge meets Black Label Society), Good Day Too Die ( i Lynyrd Skynyrd metallici di God & Guns), Headwake e Movin’ On che portano le atmosfere nella grigia Seattle violentata dai Pantera e spettacolarizzata dal meglio di Soundgarden ed Alice In Chains.
Sorprende che un gruppo del genere non sia ancora stato catturato da una label, ma poco importa, questi sono dei veri adepti del southern metal, quindi assolutamente da supportare.

Tracklist
1.Reved Up!
2.Good Day to Die
3.Headwake
4.Movin’ On
5.The Ride

Line-up
Kirk Sarmento – Drums
Jake Nicholson – Guitars
Sergio Cesario – Guitars
Ron Brown – Vocals
Rob Palladino – Bass

MODERN DAY OUTLAW – Facebook

Fister & Chrch – Split

La Crown and Throne Ltd pubblica questo notevole split album a tutto sludge, che vede quali protagoniste due band statunitensi, i Fister ed i Chrch.

La Crown and Throne Ltd, label di Denver, pubblica questo notevole split album a tutto sludge, che vede quali protagoniste due band statunitensi, i Fister ed i Chrch.

I Fister sono in circolazione già da diverso tempo ed hanno una discografia molto ricca con all’attivo tre full length ed almeno una decina di uscite più brevi; in questo brano intitolato The Ditch, il trio di St.Louis inizia senza fare sconti sparando un primo terzo piuttosto feroce ed ossessivo, per poi aprirsi leggermente e placarsi ulteriormente indulgendo in rarefatti arpeggi: la combinazione appare efficace, nonostante lo schema sia ripetuto nell’arco della durata della traccia (venti minuti) con una certa puntualità, in virtù di un’intensità che, specialmente nei momenti più robusti, appare in grado di fare la differenza.
I Chrch (non ci siamo dimenticati una u, ma è la band che ha deciso di eliminarla dal proprio monicker da un paio d’anni) arrivano da Sacramento e rispetto ai compagni di split sono decisamente meno prolifici ma anche autori di uno sludge che propende molto più verso il funeral, riuscendo a colpire in virtù di un sound maggiormente elaborato ed impattante emotivamente; i sedici minuti di un brano come Temples costituiscono una prova di forza notevole ed il suo incedere a tratti dolente, a volte colmo di cupa e rabbiosa disperazione, punteggiato da uno screaming femminile lacerante, ci offre la sensazione d’essere al cospetto di una realtà di livello potenzialmente superiore alla media e, a tale proposito, questo occasione si rivela un buon pretesto per recuperare quanto prima il full length Unanswered Hymns, uscito nel 2015.
Lo split album in questione assolve alla perfezione al proprio compito, quello di portare alla luce gruppi di sicuro spessore ma che, a causa dell’affollamento che ormai è comune ad ogni genere, anche quelli dai connotati maggiormente underground, faticano a mettersi in evidenza al di fuori di delle aree geografiche d’appartenenza.

Tracklist:
1. Chrch – Temples
2. Fister – The Ditch

Line-up:
Fister
Kirk Gatterer – Drums
Marcus Newstead – Vocals (additional), Guitars
Kenny Snarzyk – Vocals (lead), Bass

Chrch
Ben – Bass
Shann – Guitars
Chris – Guitars, Vocals (backing)
Eva – Vocals
Adam – Drums

FISTER – Facebook

CHRCH – Facebook

Defeated Sanity – Prelude To The Tragedy

I brani di Prelude To The Tragedy sono delle mazzate notevoli, a tratti valorizzate da intricate parti tecniche, per poi perdere il filo quando i musicisti tedeschi elaborano intricate e cervellotiche parti tecniche su un tappeto estremo da fine del mondo.

Ristampa in vinile curata dalla Xenokorp di Prelude To The Tragedy, devastante lavoro brutal death metal uscito nel 2004 dalle menti dei tedeschi Defeated Sanity.

Band, quella berlinese, che all’assalto brutale aggiunge una tecnica invidiabile, e l’album si inserisce di prepotenza tra le opere di genere che molti avvicinano al death metal progressivo ma che poco hanno a che spartire con il genere.
I Defeated Sanity sono attivi già dai primi anni novanta ed hanno una discografia di tutto rispetto, con cinque album pubblicati tra cui questo Prelude To The Tragedy, un buon numero di lavori minori e l’ultimo Disposal of the Dead/Dharmata uscito lo scorso anno.
L’album è il primo full length del gruppo, ben accolto dalla scena underground estrema per il suo martellamento senza soluzione di continuità, tecnicamente di alto livello anche se, come quasi sempre in queste opere, la voglia di strafare finisce per condizionare un songwriting che sarebbe già stato notevole.
Prelude To The Tragedy infatti è un massacro sonoro niente male, la band svolge il suo compito in modo feroce e brutale e i brani sono delle mazzate notevoli, a tratti valorizzate da intricate parti tecniche, per poi perdere il filo quando i musicisti tedeschi elaborano intricate e cervellotiche parti tecniche su un tappeto estremo da fine del mondo.
Origin e Cryptopsy, un briciolo di Suffocation e l’album parte e non si ferma più, tra infernali blast beat, arzigogolate trame chitarristiche e growl bestiale: in questa versione troviamo, come contenuti extra, il brano Expectoration Of Fear, Drifting Further nella versione demo del 2002 e Apocalypse Of Filth/Collapsing Human Failures, traccia tratta dallo split del 2003 con gli Imperious Malevolence.
Se siete amanti del brutal tecnico e vi siete persi l’uscita originale, questa versione in vinile potrebbe farvi gola, la tecnica c’è, la violenza pure.

Tracklist
1.Liquifying Cerebral Hemispheres
2.Drifting Further
3.The Parasite
4.Horrid Decomposition
5.Tortured Existence
6.Apocalypse Of Filth Collapsing Human Failures
7.Remnants Of The Dead
8.Prelude To The Tragedy
9.Expectoration Of Fear (bonus)
10.Drifting Further (bonus)
11.Apocalypse Of Filth/Collapsing Human Failures (bonus)

Line-up
Lille Gruber – Drums
Jacob Schmidt – Bass
Christian Kühn – Guitar
Josh Welshman – Vocals

DEFEATED SANITY – Facebook

Virgil & Steve Howe – Nexus

Nexus è un album carezzevole, dolcemente triste per gli avvenimenti che lo hanno preceduto, ma meritevole di essere apprezzato per quello che è, ovvero un bellissimo quadro musicale dai tenui colori.

Quello che doveva essere il primo frutto di unacollaborazione in famiglia, a lungo attesa, si è purtroppo trasformato in un album postumo.

Il figlio di Steve Howe (chitarrista degli storici Yes), Virgil, è mancato subito dopo la fine delle registrazioni di Nexus, album strumentale che il padre ha voluto comunque licenziare in accordo con la InsideOut; a due mesi dalla morte del polistrumentista e figlio d’arte, Nexus vede la luce e si porta con sé tutte le emozioni scaturite da questo tragico evento.
Virgil Howe, che ha lasciato questo mondo nel mese di settembre, ultimamente era impegnato come batterista nei Little Barrie: l’album, interamente strumentale, è un elegante viaggio nel mondo musicale di Virgil, anche valido tastierista e bassista nonché brillante compositore, aiutato dal genio chitarristico del padre, splendido interprete nel ruolo di una delle più grandi band che il mondo del rock abbia regalato ai suoi fedeli ascoltatori.
Nexus si anima di un arcobaleno di suoni delicati (progressive, space rock, digressioni jazz) nati con l’ausilio di piano e tastiere, protagonisti in tutto il suo svolgimento e valorizzato dagli interventi di Steve (Hight Hawk in questo senso è il picco del lavoro).
Ovviamente non mancano attimi in cui rivivono le sognanti trame progressive dello storico gruppo britannico, ma la personalità compositiva di Virgil porta il sound ad avvicinarsi maggiormente alla psichedelia , viaggiando delicata su nuvole composte da note di raffinato rock strumentale dove la bravura tecnica dei due Howe è al servizio delle emozioni.
Nexus è un album carezzevole, dolcemente triste per gli avvenimenti che lo hanno preceduto, ma meritevole di essere apprezzato per quello che è, ovvero un bellissimo quadro musicale dai tenui colori.

Tracklist
1. Nexus
2. Hidden Planet
3. Leaving Aurura
4. Nick’s Star
5. Night Hawk
6. Moon Rising
7. Passing Titan
8. Dawn Mission
9. Astral Plane
10. Infinite Space
11. Freefall

Line-up
Virgil – Keyboards, piano, synths, bass & drums
Steve – Acoustic, electric, & steel guitars

STEVE HOWE – Facebook

ALICE COOPER

Il video di The Sound Of A.

Il video di The Sound Of A.

Da oggi è disponibile il video di “The Sound Of A”, il nuovo singolo del re dello shock rock ALICE COOPER. Il brano è estratto dall’ultimo album “Paranormal”, pubblicato la scorsa estate su earMUSIC.

Il brano ha una storia particolare, fu scritto dall’artista nel 1967, messo da parte e dimenticato per poi essere rispolverato da Dennis Dunaway, il bassista della Alice Cooper Band. Lo stesso Dennis l’ha riproposto al cantante chiedendo di tenerlo in considerazione per il nuovo album.

“The Sound Of A” sarà pubblicato il 23 febbraio 2018 su earMUSIC, pochi giorni prima del compleanno di Alice Cooper. Oltre al nuovo singolo saranno presenti quattro tracce live registrate durante lo show di Columbus del 6 maggio.

Morphosys – The Saw Is Family

La band convince nei mid tempo pesanti come carri armati, alzando un muro estremo invalicabile e così The Saw Is Family può così allietare le serate tutte sangue e violenza dei deathsters duri e puri.

La Witches Brew licenzia questo monolite di death metal brutale ed assolutamente old school intitolato The Saw Is Family, ultimo massacro sonoro dei serial killers tedeschi Morphosys, quartetto attivo dal 2002, con due precedenti full length già editi ed un ep.

Al limite del brutal nel sound, The Saw Is Family entra di diritto nel genere almeno per quanto riguarda attitudine e testi che vanno da deliri gore a violenza tout court.
I Morphosys sono la classica band outsider, gente che martella i padiglioni auricolari con il loro oscuro e pesantissimo metal estremo che varia leggermente tra mastodontici mid tempo ed improvvise e devastanti accelerate, creando il classico muro sonoro senza compromessi ma nulla più.
Non mi si fraintenda: The Saw Is Family risulta un sufficiente album di genere, potente, asfissiante ed oppressivo, tra Morbid Angel, Morgoth e in parte Bolt Thrower, quindi aperture melodiche non registrate, tensione a mille, un’atmosfera che non si scosta da un clima da inferno sulla Terra e buoni spunti nei solos che, in qualche circostanza, riprendono le sfumature classiche con l’azzeccata scelta di alternare mid tempo e velocità parossistiche per non annoiare troppo l’ascoltatore.
La band convince nei mid tempo pesanti come carri armati (The Walking Dead, Fleischeslust), alzando un muro estremo invalicabile e così The Saw Is Family può così allietare le serate tutte sangue e violenza dei deathsters duri e puri.

Tracklist
1. Carniwar
2. The Saw Is Family
3. Torture Chamber
4. The Walking Dead
5. Storm Of Blood
6. Memory Of The Insane
7. Fleischeslust
8. You Shall Bleed
9. Todesengel
10. Corpse Grinder

Line-up
Chris – Vocals/Chainsaw
Marko – Guitar
Jazz – Bass
Alex – Drums

MORPHOSYS – Facebook

Wasted Theory – Defenders Of The Riff 2017 Edition

I Wasted Theory sono semplicemente uno dei gruppi più divertenti e rumorosi che potrete trovare in giro, e Defenders Of The Riff è un disco completo e da sentire dall’inizio alla fine, possibilmente consumando droghe ed alcool.

Ristampa con bonus tracks del secondo disco dei Wasted Theory, ad opera dell’italiana Argonauta Records.

Wasted Theory sono semplicemente uno dei gruppi più divertenti e rumorosi che potrete trovare in giro, e Defenders Of The Riff è un disco completo e da sentire dall’inizio alla fine, possibilmente consumando droghe ed alcool. Il rumore ci salverà, ed in particolare quello di questi americani del Delaware è davvero bello pieno e invita ad un ascolto ripetitivo. Le radici del loro suono sono da ricercare all’indietro nei Kiss e in gruppi come in Thin Lizzy, ovvero rock and roll bastardo, per poi ridiscendere fino a band come High On Fire ed altri, però più duri. I Wasted Theory hanno un suono sudista, che unito ad una fortissima ironia rende molto bello il tutto. Nel loro suono si può adirittura rintracciare qualcosa di blues, ma più che altro nella loro maniera di porsi ed in alcuni giri di chitarra. Il titolo rende benissimo ciò che ascolterete, dato che i riff qui sono tutti validissimi e raggiungono pienamente il loro scopo. Ci sono momenti più veloci, altri più lenti e pesanti, ma ciò che non manca mai è quella sensazione di divertimento e di ascolto di un gruppo che è totalmente in controllo, e che si diverte talmente che straripando lo trasmette al suo pubblico. Certe ripartenze sono degne dei migliori Karma To Burn, ma i Wasted Theory sono di maggior coinvolgimento e comprensione. Southern rock e metal, hard rock, stoner, desert ed un pizzico di heavy metal classico sono solo alcuni degli ingredienti di questo buonissimo moonshine potente ed inebriante. Nel 2016 molti addetti ai lavori hanno incluso questo disco nella loro list di migliori uscite dell’anno, ed in questa ristampa potrete gustare due killer cover di un brano degli Alabama Thunderpussy ed uno dei Nazareth. Lunga vita ai difensori del riff.

Tracklist
1.Get Loud or Get Fucked
2.Black Witch Blues
3.Atomic Bikiniwax
4.AmpliFIRE!
5.Gospel of Infinity
6.Belly Fulla Whiskey
7.Under The Hoof
8….And The Devil Makes Three
9.Throttlecock
10.Odyssey Of The Electric Warlock
11.Rockin’ is Ma Business (ALABAMA THUNDERPUSSY)
12.Changin’ Times (NAZARETH

Line-up
Brendan Burns,
Larry Jackson Jr.
Andrew Petkovic
Rob Michael

WASTED THEORY – Facebook

In Lights – This is How We Exist

This is How We Exist è lo splendido esordio su lunga distanza di una band che, in un futuro, prossimo, potrebbe collocarsi stabilmente ai piani più altri del post rock strumentale.

Gli In Lights sono un gruppo californiano a forte trazione asiatica, viste le origini di 4/5 dei musicisti coinvolti,
e di questo risente anche il post rock che la band propone essendo intriso di una spiritualità più spiccata rispetto a quella tipica delle culture occidentali.

A livello stilistico i canoni del genere non vengono stravolti e quello che viene offerto dagli In Lights è un sound lieve, melodico e interamente strumentale, il cui elemento di peculiarità è costituito dal violino (suonato da Tianyang Wei ) che qui riveste un ruolo molto importante assieme al lavoro chitarristico di Li He e Bosen Li.
Non ho mai lesinato critiche alla scelta praticata da molte (troppe?) band nell’offrire musica interamente strumentale, ma va detto che ciò spesso coincide con l’esibizione di un sound magari valido ma incapace di reggersi da solo senza l’ausilio delle parti cantate: questo non avviene con gli In Lights, capaci di avvolgere ma anche di colpire con improvvisi affondi melodici anche l’ascoltatore più scettico.
L’opener Forward è una perla musicale che spalanca una strada luminosa lungo la quale questi ragazzi di stanza a San Josè regalano emozioni a profusione, grazie a sonorità cristalline, curat20e e, soprattutto, frutto di un sentire profondo e non di uno sterile manierismo.
Come suggerisce il monicker, la musica degli In Lights è luminosa ma non è certamente scevra di una certa malinconia, espressa particolarmente in un altro gioiello come quello intitolato Memory, che viene poi replicato da Dream, dai toni però ancor più pacati e rarefatti; d’altro canto l’incedere dei singoli brani corrisponde in maniera piuttosto calzante ai rispettivi titoli, il che diviene ancor più un valore aggiunto per un’opera di natura strumentale.
Il mantra Om Namah Shivaya chiude nel migliore dei modi This is How We Exist, splendido esordio su lunga distanza di una band che, pur facendo proprio il vissuto di una cospicua lista di nomi che vanno dai Sigur Ros ai God Is An Astronaut, passando per i per Collapse Under The Empire, esibisce una cifra stilistica sicuramente personale e di qualità inattaccabile: pertanto non ci sarebbe da stupirsi se, in un futuro, prossimo il nome degli In Lights dovesse assurgere stabilmente ai piani più altri del post rock strumentale.

Tracklist:
1.Forward
2.Search
3.Before
4.Memory
5.Dream
6.Spring
7.Om Namah Shivaya

Line-up
Li He – Guitar
Bosen Li – Guitar
Long Jin – Drums
Ted Pederson – Bass
Tianyang Wei – Violin

IN LIGHTS – Facebook

Hellish God – The Evil Emanations

The Evil Emanations è un armageddon sonoro che si snoda senza soluzione di continuità, nel suo essere estremo ma perfettamente godibile anche grazie al corto minutaggio, all’ottima produzione che valorizza l’ascolto e ovviamente la buona vena compositiva del gruppo.

Nell’underground nazionale vive un mostro demoniaco che avvelena le menti, si contorce ammaliando come un serpente e porta con se il male che i musicisti posseduti dopo il contatto trasformano in satanico e putrido metal estremo.

Non sono poche le realtà estreme che nel genere offrono una qualità molto alta, protagoniste di opere dannate che pur rifacendosi ovviamente al passato godono di una personalità da gruppi di primo piano a livello mondiale: ottimi artisti e musicisti che, da un po’ di anni cominciano a collaborare tra di loro, sorprendendo e lasciando a noi fedeli consumatori di metallo estremo una serie di opere davvero interessanti.
Gli Hellish God, per esempio, sono la creatura diabolica nata dalle menti di due musicisti della scena nostrana come il chitarrista e bassista Michele Di Ioia (tra gli altri, componente dei Burst Bowel), il batterista Luigi Contenti, il vocalist Tya (ex-Antropofagus, Mindful of Pripyat) ed il bassista Stefano Malgaretti.
The Evil Emanations è il loro secondo lavoro, il primo sulla lunga distanza dopo Impure Spiritual Forces licenziato due anni fa, che si presenta come una mezzora di devastante death metal old school di scuola fine millennio.
Troverete di che farvi torturare dal sound proposto in questo album da un gruppo che non ne vuol sapere di melodie o soluzioni più vicine al trend odierno, ma che scarica dieci tremende bordate senza compromessi di puro male in musica.
Il growl di Tya, assistito dalle tremende urla in scream dei suoi compagni, incontra una serie di sferzate estreme, una tempesta di note dal taglio death che si abbatte sulla Terra, mentre i venti che soffiano dall’inferno portano morte e distruzione, a partire dall’intro Kelim Shattering Illumination alla marzialità della conclusiva e terrificante Marching With The Accuser.
In mezzo c’è un armageddon sonoro che si snoda senza soluzione di continuità, nel suo essere estremo ma perfettamente godibile anche grazie al corto minutaggio, all’ottima produzione che valorizza l’ascolto e ovviamente la buona vena compositiva del gruppo.

Tracklist
1. Kelim Shattering Illumination
2. Qlipoth
3. Anti-Cosmic Decree
4. The Hindering Ones
5. Tagimron Is Summoned
6. Burning the Infidel
7. Choronzonic Hellfire
8. Agitator Shall Be Triumphant!
9. I Am Belial
10. Marching with the Accuser

Line-up
Tya – Vocals
Michele Di Ioia – Guitars, Vocals
Luigi Contenti – Drums, Vocals
Stefano Malgaretti – Bass

HELLISH GOD – Facebook

Blaze Of Perdition – Conscious Darkness

Il quarto full length dei Blaze Of Perdition è un qualcosa che va oltre il concetto puramente estetico di black metal: qui si percepisce in maniera quasi tattile il turbinio di sensazioni che stanno alla base di un lavoro compositivo e lirico stupefacente, per qualità e profondità.

La storia dei Blaze Of Perdition è stata indubbiamente segnata dal tragico incidente stradale che vide coinvolta la band sulle strade austriache nel 2013, causando la morte del bassista Ikaroz e gravi conseguenze al vocalist Sonneillon ed al batterista Vizun.

Dopo simili eventi la vita non può essere più la stessa, nel bene e nel male: diciamo che, musicalmente parlando, il gruppo polacco pare aver acquisito una maggiore consapevolezza e, se questo era già stato palesato nel precedente album, ancor più tale aspetto emerge in questo contesto.
La scelta stessa di proporre un album strutturato su quattro lunghi brani la dice lunga: i Blaze Of Perdition hanno sentito evidentemente la necessità di prendersi maggiore tempo e spazio per sviluppare la propria idea di black metal; questo consente ad un brano magistrale come Ashes Remain di oscillare senza rischi tra le sfuriate in blast beat e passaggi più rarefatti ed oscuri che ricordano, in alcuni momenti, addirittura i Fields of the Nephilim, grazie anche alla profonda timbrica recitativa di Sonneillon.
Se questo episodio è a suo modo emblematico dello spessore odierno della band di Lublino, tutto il resto del lavoro si mantiene su livelli eccelsi per merito di una approccio che è senz’altro conforme ai dettami di base della consolidata scena estrema polacca e che, quale valore aggiunto, vede una naturale propensione melodica pur se racchiusa all’interno di un’atmosfera per lo più plumbea.
L’opener A Glimpse of God apre come meglio non potrebbe le ostilità, facendo intuire fin dalla prima nota di quale spessore sia il livello artistico di questa band, che non spreca un solo secondo in passaggi interlocutori o in altri artifici riempitivi: diciamo solo che Weight of the Shadow è forse il brano che presenta la maggiori dissonanze, le quali restano del tutto funzionali al mantenimento della tensione al suo massimo livello, cosa che viene puntualmente confermata dalla magnifica e conclusiva Detachment Brings Serenity, il cui finale sigla un approccio musicale privo di vincoli ma, nel contempo, anche di divagazioni fine a a sé stesse
Il quarto full length dei  Blaze Of Perdition è un qualcosa che va oltre il concetto puramente estetico di black metal: qui si percepisce in maniera quasi tattile il turbinio di sensazioni che stanno alla base di un lavoro compositivo e lirico stupefacente, per qualità e profondità.
Volendolo incasellare comunque alla voce black metal, Conscious Darkness è con ogni probabilità uno dei candidati al titolo di album dell’anno in questo settore, anche se le trame oscure ed incalzanti che ne pervadono i brani sono del tutto indicate per l’ascolto anche da parte degli appassionati di doom o dark metal.

Tracklist:
1. A Glimpse of God
2. Ashes Remain
3. Weight of the Shadow
4. Detachment Brings Serenity

Line-up
XCIII – Guitars
Sonneillon – Vocals
Vizun – Drums

BLAZE OF PERDITION – Facebook

Spirit Adrift – Curse Of Conception

Non mancano buoni spunti che fanno dell’album un ascolto da consigliare agli amanti del doom metal tradizionale, che verranno ipnotizzati dal piglio evocativo della voce, un classico nel genere.

Nati due anni fa come one man band del polistrumentista Nate Garret, poi raggiunto da altri tre musicisti (Jeff Owens, Chase Mason, Marcus Bryant), gli statunitensi Spirit Adrift licenziano il loro secondo lavoro sulla lunga distanza e completano una discografia che vedono la band protagonista anche di un ep ed uno split in appena due anni.

Tanta carne al fuoco non inficia una sufficiente qualità e Curse Of Conception si rivela un altro album di doom metal tradizionale ispirato in parti uguali agli anni settanta come ai sacerdoti metallici emersi nei successivi decenni.
Quindi, oltre ad un’aura a tratti epica, troverete ottimi solos heavy, ritmiche grasse e un andamento mai troppo lento, pesante ma regolato su mid tempo alla Cathedral di Carnival Bizarre.
I Black Sabbath sono assolutamente la fonte di ispirazione del sound del gruppo, così come appunto la band di Lee Dorrian e quelle americane con a capo il duo Pentagram/Trouble, questo in poche parole è quello che ci offre il polistrumentista di Phoenix.
Piuttosto derivativo, dunque, anche se non mancano buoni spunti che fanno dell’album un ascolto da consigliare agli amanti del doom metal tradizionale, che verranno ipnotizzati dal piglio evocativo della voce, un classico nel genere.
L’opener Earthbound e la title track sono le tracce rappresentative di questo album che, con il passare del tempo, perde un po’ d’interesse per una certa ripetitività, forse il difetto più grande che si porta dietro.
Un album di genere per gli amanti del genere niente di più, niente di meno.

Tracklist
1. Earthbound
2. Curse Of Conception
3. To Fly On Broken Wings
4. Starless Age (Enshrined)
5. Graveside Invocation
6. Spectral Savior
7. Wakien
8. Onward, Inward

Line-up
Nate Garrett
Jeff Owens
Chase Mason
Marcus Bryant

SPIRIT ADRIFT – Facebook

Battlesword – Banners Of Destructions

Banners Of Destruction risulta una gradita sorpresa, tenendo incollati alle cuffie gli ascoltatori dalla prima all’ultima nota senza stancare, meritando la giusta attenzione di chi ama queste sonorità.

Arrivano con po’ di ritardo all’attenzione di MetalEyes i guerrieri tedeschi Battlesword, band di stanza a Viersen attiva da quasi vent’anni ma poco prolifica.

Questo ottimo lavoro risale appunto a qualche tempo fa, ma merita sicuramente l’attenzione delle epiche truppe di nuovi defenders pronti alla battaglia  a colpi di power/death metal epico e guerresco, un riuscito mix tra il death metal melodico degli Amon Amarth e il power/heavy metal dei gruppi storici della scena classica.
Si diceva della poca prolificità dei Battlesword ed infatti la discografia del gruppo si completa con un paio di demo ed il primo full length, Failing In Triumph, licenziato nell’ormai lontano 2003, poi un silenzio discografico durato quattordici anni, con il solo demo del 2008 a mantenere viva la fiamma per arrivare ad un anno fa e all’uscita di Banners Of Destructions.
Il quintetto tedesco rompe il silenzio Spirit To The Flesh, un mid tempo epicissimo dove il growl è padrone assoluto del campo di battaglia dove il sangue scorre a fiumi: le ritmiche che alternano accelerazioni power a potentissime cavalcate in tempi medi, un gran lavoro delle due asce, imponenti ma dai solos melodici e dal taglio heavy, sono le caratteristiche principali del sound del gruppo, che non fa prigionieri e risulta più che mai diretto.
La title track, Tongues Of Hatred e la devastante Bloodlust Symphony fanno tremare la terra, possenti spallate metalliche e fiere portatrici della bandiera dei Battlesword sul campo, diventato un cimitero al passaggio dei musicisti tedeschi.
Inutile girarci intorno, sono gli Amon Amarth il gruppo che più si avvicina alla proposta dei Battlesword, anche se la band tedesca è più improntata alll’heavy power epico rispetto al death metal melodico dei guerrieri sevedesi.
Banners Of Destruction risulta una gradita sorpresa, tenendo incollati alle cuffie gli ascoltatori dalla prima all’ultima nota senza stancare e meritando la giusta attenzione di chi ama queste sonorità.

Tracklist
1.Spirit to the Flesh
2.The Unnamed Magic
3.Banners of Destruction
4.Grave New World
5.The Silence of Victory
6.Tongues of Hatred
7.Circle of Witches
8.Bloodlust Symphony
9.Left for the Vultures
10.There Will Be Blood
11.Where Demons Awake
12.Enemy Divine

Line-up
Axel Müller – Vocals
Andreas Klingen – Drums
Björn Kunze – Guitars
Ben Bays – Bass
Jürgen Lousberg – Guitars

BATTLESWORD – Facebook

Devlsy – Private Suite

Ascoltando Private Suite si capisce che è un disco di caratura superiore, che unisce vari linguaggi musicali in una miscela di qualità superiore.

Nella continua ed inarrestabile avanzata e crescita del black metal arriva questa seconda opera dei lituani Devlsy , fautori di un post black metal molto interessante.

In realtà si può parlare di opera black metal tout court, anche se l’impostazione è sicuramente diversa rispetto a quella classica. Le chitarre molto ribassate ed un ritmica pulsante ci portano in giro per mondi distorti, dove menti lontane nello spazio hanno rinchiuso le nostre anime, e non è prevista la salvezza. I Devlsy sono un gruppo dalla grande fantasia sonora, ed infatti i signori dell’ATMF, etichetta triestina con un catalogo di gran valore, non hanno perso l’occasione per pubblicare questo disco. Lo scopo di Private Suite è di creare un labirinto sonoro che ci metta in contatto con dimensioni che sono oltre la nostra comprensione, perché dischi come questo non sono mera musica, ma rituali per andare da qualche altra parte. Ancora una volta il black metal è un contenitore incredibile, sorgente che fa scaturire molteplici codici diversissimi fra loro, in grado di far ragionare le menti che lo vogliano. Il distorto universo sonoro dei Devlsy è un qualcosa che va esplorato, sono moltissimi gli angoli molto notevoli, e su tutto aleggia un disegno superiore. Ascoltando Private Suite si capisce che è un disco di caratura superiore, che unisce vari linguaggi musicali in una miscela di alta qualità. Questi lituani fanno piangere e sognare, abbeverandoci alla fonte del nostro eterno dolore, là dove si può solo lenire con la fuga, senza mai curare. Il disegno sonoro dei Devlsy è di gran valore e traccia una traiettoria che crescerà ancora, e già questo è un disco assai notevole. Nella traccia sonora Bring MyWord canta anche un certo Dave Ed dei Neurosis, che non necessitano certo di presentazione.

Tracklist
1.Corridors
2.Hatching Tomb
3.Bring My Word
4.Patient #6
5.Porta Formica
6.Horizon Attached

DEVLSY – Facebook

Sorrowful Land – Where The Sullen Waters Flow

Un ep che conferma il nome Sorrowful Land come un qualcosa che va ben oltre lo status di progetto futuribile, trattandosi di una realtà alla quale si chiede solo di continuare su questa strada anche in futuro.

A distanza di circa un anno Max Molodtsov torna a farsi sentire con il suo progetto solista Sorrowful Land.

Avevo già parlato più che bene del full length d’esordio Of Ruins …, che metteva in mostra qualità sopraffine sia dal punto di vista compositivo che esecutivo, andando anche oltre a quanto di buono già fatto con la sua band principale, i gotici Edenian.
In occasione del lavoro su lunga distanza avevo fatto notare una devozione piuttosto marcata nei confronti degli When Noting Remains (con tanto di imprimatur derivante dalla partecipazione come ospite di Peter Laustsen) e tutto sommato con questo lungo ep intitolato Where The Sullen Waters Flow non sembra che le coordinate siano variate più di tanto e, ci tengo a ribadirlo, questo non è assolutamente da considerare un punto negativo.
Infatti, nei tre lunghi brani che si avvicinano complessivamente alla mezz’ora di durata, il polistrumentista ucraino conferma lo spessore del proprio talento naturale per la composizione di musica struggente e colma di melodia mai stucchevole, grazie ad un lavoro chitarristico elegante e sobrio allo stesso stesso tempo.
Niente da eccepire quindi su questo gradito ritorno in tempi relativamente brevi (per le abitudini in uso nel genere) con un trittico di brani di grande efficacia tra i quali, a mio avviso, spicca l’ultimo, The Night Is Darkening Around Me, nel quale avviene un parziale spostamento verso un sound ancor più legato al suono della chitarra solista, questa volta con Saturnus e Doom Vs. nel mirino.
Ripeto che la citazione dei vari riferimenti non deve essere intesa come un’accusa di derivatività, bensì quale tentativo di fornire un’idea di cosa attendersi a chi si avvicina all’ascolto di questo lavoro, con la certezza che chi ama questo genere musicale l’ultimo dei problemi che si pone è proprio quello dell’originalità, specialmente quando il pathos e l’intensità si mantengono sempre al livello offerto da Where The Sullen Waters Flow.
Un ep che conferma il nome Sorrowful Land come un qualcosa che va ben oltre lo status di progetto futuribile, trattandosi di una realtà alla quale si chiede solo di continuare su questa strada anche in futuro.

Tracklist:
1.As I Behold Them Once Again
2.Where The Sullen Waters Flow
3.The Night Is Darkening Around Me

Line-up
Maks Molodtsov

SORROWFUL LAND – Facebook

Terror Empire – Obscurity Rising

Una quarantina di minuti scarsi bastano al gruppo portoghese per ribadire la propria forza, ringraziando Sepultura e Machine Head, così come i primi Metallica, in qualche passaggio chitarristico, ma il sound è tutto farina del sacco dei Terror Empire e non potrebbe essere altrimenti.

Prima o poi tutti tornano, chi deludendo le aspettative, chi cambiando registro musicale e chi confermando le buone impressioni suscitate dal precedente lavoro, come per esempio i thrashers portoghesi Terror Empire, di nuovo in pista con il successore dell’ottimo The Empire Strikes Black.

Obscurity Rising comincia il suo inevitabile massacro da dove aveva lasciato il suo predecessore, quindi per chi conosce la band poco o nulla è cambiato: ottima produzione, grande impatto, potenza e velocità al servizio di un thrash metal debordante tra tradizione e sfumature moderne.
L’album non delude, pur nella sua staticità compositiva rispetto al primo lavoro, ma i Terror Empire questo sanno suonare e lo fanno maledettamente bene, quindi, perché cambiare?
Non vale la pena di perdersi in troppi sofismi in questo senso ed è meglio allora lasciarsi travolgere dalla disarmante potenza delle varie Burn The Flags, Holy Greed e le due bombe atomiche Death Wish e Feast Of The Wretched.
Una quarantina di minuti scarsi bastano al gruppo portoghese per ribadire la propria forza, ringraziando Sepultura e Machine Head, così come i primi Metallica, in qualche passaggio chitarristico, ma il sound è tutto farina del sacco dei Terror Empire e non potrebbe essere altrimenti.

Tracklist
1.Obscurity Rising
2.You’ll Never See Us Coming
3.Burn the Flags
4.Times of War
5.Meaning in Darkness
6.Holy Greed
7.Lust
8.Death Wish
9.Feast of the Wretched
10.Soldiers of Nothing
11.New Dictators

Line-up
Ricardo Martins – vocals
Rui Alexandre – guitar
Nuno Oliveira – guitar
João Dourado – drums
Rui Puga – bass

TERROR EMPIRE – Facebook

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