My Silent Land – Life Is War

Life Is War appare peculiare perché fresco, frutto dell’istinto compositivo di chi è piuttosto al di fuori dei circuiti musicali canonici e che, quindi, compone musica per il solo piacere di farlo senza particolari calcoli.

Ecco arrivare, agli ultimi sgoccioli di un 2016 dimenticabile per molti motivi (in campo musicale principalmente per la moria delle icone del rock/metal e non certo per la qualità delle uscite), un lavoro in grado di emozionare e far pensare, semplicemente tramutando in note, senza ricorrere a trucchi od effetti speciali, il sentire del proprio autore, Silvio Spina da Cossoine (Sassari).

Il suo progetto My Silent Land può essere definibile homemade nel senso più reale del termine, e questo rischia di rivelarsi fuorviante, facendo pensare nell’immediato ad un qualcosa di casereccio e poco curato: l’ascolto di Life Is War, prima uscita in cd della one man band dopo un demo risalente a qualche anno fa, ci mette di fronte all’opera di un musicista con le idee chiare sia dal punto di vista compositivo che lirico.
L’album, infatti, è incentrato su un tema spinoso e forse abusato come la guerra, vista però (fortunatamente) per quello che è, ovvero un tragedia per chi ne viene coinvolto in prima persona e, sovente, anche in maniera indiretta, senza scivolare nelle forme di pericolosa fascinazione che l’argomento esercita in diversi ambienti del metal; musicalmente Silvio si muove su territori ambient-folk-post rock, potendo ricordare di tanto in tanto qualche nome noto, come Antimatter nella fase iniziale di The Battle o gli ultimi Anathema in Dark & Light, ma si tratta solo di lampi, di riflessi incondizionati non tanto dell’autore ma più dell’ascoltatore, specie se ha immagazzinato molti anni di musica nella propria memoria.
La verità è che Life Is War appare peculiare perché fresco, frutto dell’istinto compositivo di chi è piuttosto al di fuori dei circuiti musicali canonici (anche se va annotata la partecipazione come bassista, in The Departure, del conterraneo Bloody Hansen, artefice dell’intrigante progetto The Providence) e che, quindi, compone musica per il solo piacere di farlo senza particolari calcoli e senza perdersi nell’attenzione ai particolari sacrificando la sostanza.
Non c’è un solo minuto sprecato in questo bellissimo lavoro, che ci fa immergere in atmosfere più malinconiche che tragiche, nonostante ciò possa apparire stano per un concept imperniato sulla guerra, qui intesa sia dal punto di vista bellico vero e proprio, sia in senso metaforico volendone creare un parallelismo con la vita quotidiana di ognuno di noi.
E’ piacevole perdersi in questa quarantina di minuti condotti per lo più dalla chitarra acustica e dalla voce, a tratti incerta e in tal senso in linea con le tendenze attuali del neofolk, ma sempre capace di trasmettere con efficacia il pensiero dell’autore, all’insegna di una linearità compositiva che va in direzione ostinata e contraria, per risultato e per intenti, rispetto all’esibizione cervellotica di contorsioni musicali atte a nascondere, il più delle volte, degli enormi vuoti di ispirazione.
Semplicità che, ci tengo a ribadire, non deve essere scambiata per banalità: My Silent Land si rivela un progetto comunque curato, nel quale non mancano riferimenti colti alla cinematografia o alla storia moderna, tramite l’ausilio di campionamenti come quelli tratti da Salvate il Soldato Ryan (The Battle) o il discorso di Kennedy sul New World Order (Dark & Light).
New World Order è, appunto, il brano che chiude il lavoro, una bonus track che rappresenta la versione demo di una traccia che confluirà sul prossimo lavoro targato My Silent Land: un assaggio che, visto l’esito oltremodo positivo di Life Is War, eleva non poco le aspettative nei confronti delle future mosse dell’ottimo musicista sardo.

Tracklist:
1. Feel The War
2. The Departure (feat. Bloody Hansen)
3. Marching Over The Silent Land
4. The Battle
5. Collateral Murders
6. Dark & Light
7. Winter’s Night
8. The Last Letter
9. After The War
10. New World Order (Demo Version)

Line-up:
Silvio “Viossy” Spina – voce, chitarre, basso, drum machine, tastiere, synth

MY SILENT LAND – Facebook

Niterain – Vendetta

Prendete un pizzico di polvere da sparo, Motley Crue, Ratt, L.A Guns, Faster Pussycat, Gunners e tutti i protagonisti della scena ottantiana, agitate ed otterrete una bomba rock’n’roll pronta ad esplodere e quando succederà saranno dolori

Oslo come Los Angeles ?
A sentire la musica dei Niterain si direbbe che musicalmente la capitale norvegese si sia rifatta il trucco, abbia abbandonato il face painting da truce blackster satanista, si sia cotonata i capelli, abbia indossato gli spandex e via su e giù per il Sunset Boulevard finchè la luce dell’alba non rischiara gli angoli dove bottiglie vuote e preservativi sono gli unici testimoni di notti all’insegna del life style rock ‘n’ roll.

Il giovane quartetto entra prepotentemente in quella cerchia di gruppi che, negli ultimi tempi, hanno dato nuovo lustro allo sfavillante sound ottantiano, e licenzia il suo secondo album, firmando un contratto di promozione con la nostra Volcano Records e apprestandosi a conquistare l’Europa.
Di battaglie sui palchi, in giro per il vecchio e nuovo continente, la band ne ha già vinte parecchie, aprendo per Steel Panther, 69 Eyes, Sebastian Bach ed L.A. Guns e presentandosi con tutta la sua carica hard rock ‘n’ roll in diversi festival, mentre Vendetta prendeva forma ed ora è pronto per far innamorare i rockers sparsi per il globo.
Un sound che chiamare esplosivo è un eufemismo, una raccolta di canzoni in pieno stile ottantiano ma perfettamente in grado di tenere il passo in questo nuovo millennio, dove la voglia di divertirsi a colpi di metallico rock ‘n’ roll sembra tornata finalmente a rendere meno grigio questo vivere quotidiano targato 2016.
Vendetta è una fialetta di nitroglicerina infilata nei bassifondi di chi sostiene che il rock è morto, un bombardamento a tappeto di puro sleazy metal statunitense, un greatest hits del meglio della scena che faceva mettere in fila gli spettatori davanti al Whisky a Go Go ( a proposito i ragazzi ci hanno suonato non tanto tempo fa), quando non pochi dei musicisti, diventati in seguito delle star, arrivavano a Los Angeles con la valigia piena di speranze ed un passaggio su scalcinati bus partiti dalla provincia.
Dal primo riff dell’opener Lost And Wasted verrete scaraventati virtualmente nella bolgia di quel locale, sotto le sferzate dell’inno Come Out, della devastante No More Time, di Something ain’t right, per arrivare in fondo ai quasi quaranta minuti di durata in pieno shock da metal party.
Prendete un pizzico di polvere da sparo, Motley Crue, Ratt, L.A Guns, Faster Pussycat, Gunners e tutti i protagonisti della scena ottantiana, agitate ed otterrete una bomba rock’n’roll pronta ad esplodere e quando succederà saranno dolori.

TRACKLIST
01. Lost And Wasted
02. Come Out
03. The Threat
04. Rock N’ Roll
05. Romeo
06. One More Time
07. Something Ain’t Right
08. Don’t Fade Away
09. #1 Bad Boy
10. Electric
11. Vendetta

LINE-UP
Sebastian Tvedtnæs – vocals
Adrian Persen – guitar
Frank Karlsen – bass
Morten Garberg – drums

NITERAIN – Facebook

Southern Drinkstruction – Vultures Of The Black River

I Southern Drinkstruction sono uno dei migliori gruppi nel loro genere e danno alle stampe un disco clamoroso, tanto semplice quanto difficile, ma questi ragazzi di classe ne hanno da vendere.

Dal 2007 questi ragazzi romani allietano le nostre orecchie con diversi massacri sonori, e questo disco è il modo migliore per festeggiare, un po’ in anticipo, dieci anni di sbronza attività.

Bisogna dire subito che questo è il loro disco migliore, in mezzo a prove già ottime, come tutti i loro lavori precedenti. Rispetto a questi ultimi i Southern Drinkstruction si sono ulteriormente induriti, e sono diventati più veloci, senza perdere un grammo della loro potenza, anzi accrescendola. Si è anche ampliato e di molto il loro spettro sonoro, rendendo ancora più efficace la capacità di far del male all’ascoltatore. Cosa ancora più importante, questo disco non vi farà stare fermi, con un’intensità degna delle sparatorie di Tex Willer e dei suoi pards. Non si scende mai da questo cavallo lanciato in corsa contro il mondo. Il gruppo è cresciuto molto e Vultures Of The Black River è un disco molto bello e pesante, con forti influenze southern, davvero un metal ben registrato e all’altezza o anche sopra a tanti nomi ben più blasonati. Questi romani hanno una potenza impressionante e soprattutto una capacità di dare sempre il massimo, dote in possesso di pochi. In questi ultimi tempi pochi dischi si fanno ascoltare più e più volte come questo, e ad ogni curva si vede un paesaggio nuovo, una nuova porzione di sangue e sabbia. I Southern Drinkstruction sono uno dei migliori gruppi nel loro genere e danno alle stampe un disco clamoroso, tanto semplice quanto difficile, ma questi ragazzi di classe ne hanno da vendere. Attenti alle vostre birre quando sono nei paraggi. Southern metal style.

TRACKLIST
1.Appetite For Drinkstruction
2.Elvis In Chains
3.Vultures Of The Black River
4.Ass Parking Bitch
5.Goatboy
6.Back To Kill You
7.Say My Name
8.Out For Blood
9.Bloody Stone
10.THUV

LINE-UP
Francesco Basthard – Vocals
Pinuccio Ordnal – Guitars
Carlo Zorro – Bass
Andrea Vagenius – Drums

SOUTHERN DRINSTRUCTION – Facebook

Sandness – Higher & Higher

Higher & Higher è un lavoro riuscito che, nutrendosi di metal e hard rock, soddisferà sicuramente una larga fetta di appassionati delle sonorità attualmente denominate old school.

La label greca Sleaszy Rider non manca di regalarci delle belle sorprese in campo hard & heavy, anche provenienti dal nostro paese, così dopo avervi parlato degli street rockers Roxin’ Palace, tocca al trio dei Sandness, band proveniente dal freddo Trentino ma dal caldo sound che amalgama hard/street rock ed heavy metal in un dinamitardo e trascinante esempio di rock old school.

Il gruppo arriva al secondo lavoro sulla lunga distanza, dopo due ep autoprodotti ed il primo full length uscito nel 2013, sempre per Sleaszy Rider, ed Higher & Higher non delude chi aveva apprezzato il gruppo nel recente passato, con una raccolta di brani che, appunto, spaziano tra il sound americano degli anni ottanta e l’heavy metal tradizionale.
Brani più diretti e dallo spirito rock ‘n’ roll si alternano con tracce hard rock, nelle quali il trio non manca di affilare gli artigli: le ispirazioni dei Sandness sono ben presenti, come la voglia di suonare rock senza preoccuparsi di essere originali, ma confezionando (questo sì) una raccolta di buone canzoni, tutta grinta e melodie, chorus come prevede la bibbia del genere e tanta attitudine.
Sono anche bravi i tre musicisti con gli strumenti, così che le parti dove i solos si fanno tradizionalmente metallici appaiono quale marcia in più per fare di brani come Street Animals e il singolo Perfect Machine delle piccole gemme hard & heavy.
Higher & Higher è un lavoro riuscito che, nutrendosi di metal e hard rock, soddisferà sicuramente una larga fetta di appassionati delle sonorità attualmente denominate old school.

TRACKLIST
01 – You Gotta Lose
02 – Street Animals
03 – Hollywood
04 – Promises
05 – Sunny Again
06 – One Life
07 – Light In The Dark
08 – Heat
09 – Perfect Machine
10 – Monster Inside Me.
11 – Play With Fire
12 – Will You Ever

LINE-UP
Mark Denkley – Bass guitar, lead and backing vocals
Metyou ToMeatyou – Drums and backing vocals
Robby Luckets – Rhythmic, lead and acoustic guitars, lead and backing vocals

SANDNESS – Facebook

SVIET MARGOT

Il video di Gold Sparkles, tratto dall’album Glance To Infinity.

Il video di Gold Sparkles, tratto dall’album Glance To Infinity.

La band indie/rock SVIET MARGOT ha pubblicato “Gold Sparkles”, secondo singolo + video estratto dal loro ultimo album “Glance To Infinity” prodotto da Agoge Records.
Di questo brano è uscita poche settimane fa anche la versione in italiano, intitolata “Scintille Sulle Labbra”.
La band ha appena concluso un tour in Europa e in Italia.

SVIET MARGOT

AGOGE RECORDS

Sentient Horror – Ungodly Forms

Ungodly Forms è un’entità estrema che va gustata dall’inizio alla fine senza cercare troppo il momento migliore, qui siamo nella perfezione assoluta

Si avvicina la fine dell’anno e si cerca di tirare le somme di quello che il 2016 ha regalato in campo metallico.

Le classifiche sono sempre affascinanti ma nel sottoscritto incutono il timore di dimenticare opere che meriterebbero un posto tra le migliori, specialmente se il numero di album citati si riduce a non più di una decina dopo che per tutto l’anno si è sguazzato tra i vari generi e fortunatamente in un numero abbondante di ottimi lavori.
Quando più o meno ero riuscito a farmi un’idea approssimativa dell’elenco finale, ecco che a stravolgere il tutto arriva questa bomba sonora targata Sentient Horror, band del New Jersey capitanata dall’ex Dark Empire Matt Moliti al primo, fenomenale, lavoro.
Dan Swanö , uomo di poche parole si è esposto sul gruppo con questa affermazione: uno dei migliori progetti Swedish Death che ho incontrato negli ultimi 20 anni, la miscela perfetta di tutti i punti salienti della scena svedese dall’ 89 al 91, davvero impressionante.
Intanto il mitico musicista e produttore ci ha messo lo zampino masterizzando Ungodly Forms dalle sue parti (Unisound Studios, ovviamente) e l’album se ne giova, esplodendo in tutta la sua carica estrema e quella brutalità melodica (se mi passate il termine) tipica dello storico sound scandinavo.
Ungodly Forms, un album talmente travolgente che spedisce direttamente all’inferno alle prime note dell’opener e vi tiene giù, anche se cercherete di scappare da una serie di inni al death metal che impressionano per carica distruttiva, songwriting ed un impatto che chiamare devastante è puro eufemismo.
Tutto è perfetto e magico in questa opera, si torna infatti a respirare l’aria putrida di cimiteri e tombe marcite dalla neve quasi perenne dei lunghi inverni scandinavi; perizia tecnica, talento melodico sopra le righe, un lotto di brani che non concede speranza se non quella di arrivare distrutti alla fine, per ricominciare a correre prima che le sei corde di Moliti e Jon Lopez taglino le nostre carni e che la sezione ritmica scopra il cuore ancora pulsante (Ian Jordan al basso e Ryan Cardoza alle pelli) e la diano in pasto al growl di Moliti (ancora lui), protagonista assoluto di questo monumento al death metal old school.
Una guardia destra che combatte come una guardia sinistra, raccontava il cronista di uno degli incontri di Sylvester Stallone nella famosa saga di Rocky, mentre qui abbiamo un gruppo americano che suona come Edge Of Sanity, Entombed, Grave, Dismember e Unleashed, il meglio del death scandinavo a cavallo dei due decenni a mio avviso più importanti per lo sviluppo del metal estremo.
Non biasimatemi se non vi cito qualche brano, Ungodly Forms è un’entità estrema che va gustata dall’inizio alla fine senza cercare troppo il momento migliore, qui siamo nella perfezione assoluta.

TRACKLIST
1. Into the Abyss
2. Abyssal Ways
3. Die Decay Devour
4. Blood Rot
5. Splinter The Cross
6. Beyond The Curse Of Death
7. Ungodly Forms
8. Suffer To The Grave
9. A Host Of Worms
10. Of Filth And Flesh
11. Mourning (Instrumental)
12. Celestial Carnage

LINE-UP
Matt Moliti – Vocals, Lead Guitar
Ian Jordan – Bass
Ryan Cardoza – Drums
Jon Lopez – Guitar

SENTIENT HORROR – Facebook

Gopota – Music For Primitive

Un gran lavoro, in grado di inquietare facendo intuire l’orrore piuttosto che esibendolo esplicitamente

Usciamo ancora una volta dai più consueti e, per certi versi, rassicuranti confini metallici, per addentrarci negli strati più profondi della musica intesa come flusso emotivo e ed elemento di disturbo per coscienze appiattite dalla quotidianità.

Music For Primitive è il secondo album dei Gopota, duo italo-russo che non lascia soverchie speranze di redenzione con il proprio sound per il quale, volendogli per forza trovare un termine di paragone, è naturale l’associazione alle sonorità che, negli ani novanta, vennero proposte dai musicisti operanti nella seminale etichetta svedese Cold Meat Industry, in primis quei Brighter Death Now dello stesso Roger Karmanik, ideatore di quella stimolante realtà discografica arenatasi purtroppo da qualche anno.
Inquadrati in qualche modo i Gopota, non resta che ascoltarne l’operato sotto forma di un ora circa di interferenze uditive, capaci di sovrapporsi con il proprio substrato sonoro a a quel costante rumore di fondo fatto di messaggi, spot, suonerie telefoniche e voci bercianti banalità, un subdolo attentato cacofonico che la nostra mente ha derubricato, sbagliando, ad innocua ed accettabile normalità.
Ognuno può trovare nelle cinque tracce di Music For Primitive i significati che più gli aggrada o gli conviene, ma di certo l’ambient qui contenuta non rappresenta un sottofondo cullante o gradevole: il senso di disfacimento e di degrado, fisico e psichico, che per esempio il funeral doom esplicita accentuandone l’impatto emotivo, nell’operato di Antonio Airoldi e Vitaly Maklakov rimane represso, quasi fosse incapace di fuoriuscire con tutta la sua virulenza.
Alla stregua di un organismo vivente che lotta per incrinare uno spesso involucro che lo imprigiona, il death industrial dei Gopota lancia pesanti segnali verso l’esterno, sia che il tutto vada ad inserirsi nell’ingannevole pace e solennità dei canti gregoriani (Summa Liturgica), sia quando si palesa come un insistente ronzio che riporta l’immaginazione a ciò che avviene nei pressi di sostanze organiche in progressivo disfacimento (Meaningless, Empty Eye)
Un gran lavoro, in grado di inquietare facendo intuire l’orrore piuttosto che esibendolo esplicitamente: volendo fare un accostamento neppure troppo audace, questa era la prerogativa, in campo letterario, di un certo H.P. Lovecraft.

Tracklist:
1.Intro
2.Meaningless
3.Summa Liturgica
4.Attitude
5.Empty Eye

Line-up:
Antonio Airoldi
Vitaly Maklakov

Grausig – Di Belakang Garis Musuh

Se volete ascoltare del death che non sia proveniente dai soliti nomi e paesi, vi consiglio di non perdervi questo album.

Nati addirittura sul finire degli anni ottanta, i Grausig sono un’istituzione del metal estremo indonesiano.

La band di Jakarta, magari poco conosciuta in occidente se non ai fans accaniti del death metal e del brutal, può vantare una discografia di tutto rispetto, con una manciata di ep e due precedenti lavori sulla lunga distanza usciti a cavallo del nuovo millennio (Abandoned, Forgotten, & Rotting Alone del 1999 e Tiga Dimensi del 2003).
Dunque sono passati tredici anni ed il quintetto estremo si ripresenta sul mercato con Di Belakang Garis Musuh, una bomba brutale che in mezz’ora secca mette tutti d’accordo e torna a far parlare dei Grausig, almeno nell’ambiente estremo underground.
Una furia estrema questo lavoro, un vento atomico causato da uno tsunami di blast beat, solos intricati ma perfettamente inseriti nel sound e tanto impatto brutale, con il growl efferato di Phuput a stagliarsi su una tempesta di suoni direttamente dall’inferno.
Ci sanno fare eccome i deathsters indonesiani, all’ascolto dell’album ci si trova al cospetto di una band tripallica che senza indugi travolge con il suo death metal brutale e senza compromessi.
La durata medio corta permette di arrivare al traguardo senza accusare fiatone, anche se è indubbio che con brani devastanti come Doktrinasi Cacat TemporerInfeksi Kanibal Utopia si corra a velocità illegali.
Praticamente tutte le tracce portano i titoli in lingua madre, presumo quindi che la lingua usata sia il loro idioma, mentre per il sound rivolgete lo sguardo agli States e ai Suffocation in primis.
Se volete ascoltare del death che non sia proveniente dai soliti nomi e paesi, vi consiglio di non perdervi questo album.

TRACKLIST
1.Di Belakang Garis Musuh
2.Teokrasi Biru
3.Pralaya Hipokrit
4.Doktrinasi Cacat Temporer
5.Sampah Moralitas Dimensi
6.Infeksi Kanibal Utopia
7.God’s Replicated
8.Prelude One
9.Doomsday

LINE-UP
Phuput – Vocals
Ipay – Guitar
Mame – Guitar & Backing Vocals
Ewin – Bass & Backing Vocals
Denny – Drums

GRAUSIG – Facebook

VV.AA. – Mister Folk Compilation Volume IV

La qualità delle prime tre era alta, ma questo quarto episodio è fantastico, dal livello altissimo.

Arriva uno dei più bei regali, non parliamo di Natale, che non esiste, ma come regalo in assoluto. Arriva la quarta raccolta in download gratuito di folk e viking metal del sito Mister Folk, semplicemente il migliore portale italiano e non solo riguardante il genere.

Dopo una breve pausa dovuta ai suoi mille impegni, Fabrizio Giosuè, la mente e il braccio di Mister Folk, ha ripreso alla grande il sito, che è migliorato, diventando più ricco e con molte recensioni sulle migliori produzioni del campo.Oltre ad essere un gran bel sito, Mister Folk ogni tanto rilascia delle bellissime raccolte di folk viking metal da tutto il mondo, sempre in free download. La qualità delle prime tre era alta, ma questo quarto episodio è fantastico, dal livello altissimo. Ci sono gruppi da tutto il mondo e la raccolta fotografa in maniera molto dettagliata e precisa la scena mondiale underground, quella migliore insomma. Il genere, negli ultimi anni, ha conosciuto una certa ribalta mondiale, soprattutto nei paesi scandinavi e in Russia, ma lo si può trovare nelle nazioni più disparate, anche dove te lo aspetteresti di meno come la Spagna e il Cile, invece il folk metal è un linguaggio comune a molti musicisti. Il livello delle produzioni folk metal non è sempre buono, anche perché è facile cadere nel ridicolo in questo genere, ma se seguirete i consigli di Mister Folk riuscirete sempre ad ascoltare il meglio, come in questa raccolta. In questo episodio vi sono anche gruppi italiani molto validi, come Scuorn, M.a.i.m. o Gotland, e ciò conferma l’ottima situazione della scena italiana, che a mio avviso ha un taglio molto particolare. La quarta raccolta di Mister Folk testimonia inoltre anche un cambiamento nella composizione del genere, che a mio avviso sta trovando una fantastica sintesi tra folk e metal, anche grazie ad una maggiore melodia, questo almeno nelle produzioni migliori. Insomma, questa raccolta è veramente valida, fatta con passione e competenza, le qualità che hanno portato Fabrizio a pubblicare anche la bibbia del genere, Folk Metal – Dalle Origini al Ragnarok – per la Crac Edizioni, e anche il bellissimo Tolkien Rocks – Viaggio Musicale nella Terra di Mezzo, vero e proprio duplice atto di amore per la musica metal e per Tolkien. Nello zip della raccolta vi sono due estratti dei libri.
Impreziosisce il tutto la fantastica copertina e booklet interno ad opera della disegnatrice Elisa Urbinati, andate sul suo sito www.elisaurbinati.it, ne vale davvero la visione.
Chiude idealmente il tutto una cover del vate caro agli dei, Quorthon, in arte Bathory, perché senza di lui tutto questo non sarebbe stato possibile.

TRACKLIST
1) Skyforger – Rāmava
2) SIG:AR:TYR – Northen
3) ODR – Fuochi Nelle Valli
4) Grimtotem – Kütral
5) An Theos – Chemarea Străbunilor
6) Scuorn – Fra Ciel’ E Terr’
7) Song Of Chu – Yu Ren
8) Storm Seeker – Jack
9) Æxylium – The Blind Crow
10) Heather Wasteland – The Sverd
11) Gotland – Traitor Or Savior
12) Goblin Hovel – The Menace
13) Helroth – To Forgotten Gods
14) Illdåd – Moder Natur
15) Ulfsark – Flames Of War
16) Harmasar – Porcu
17) Tears of Styrbjørn – Years Of Victory
18) Yomi – Fires Of War
19) M.A.I.M. – Freedom Tank
20) Boisson Divine – Sent Pencard
21) Bloodshed Walhalla – Drangon’s Breath (Bathory cover)

MISTER FOLK – Facebook

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Devastation Inc – No Way for Salvation

Mentre continuano le infinite discussioni su quanto sia opportuno o meno un altro disco dei Metallica, sotto la Lanterna si suona thrash metal, quello vero!

Genova non è così piccola ma, sicuramente, stretta tra i monti e il mare offre una strana sensazione di soffocamento, come se, in piedi sul picco di uno dei suoi tanti rilievi, arrivare dove la schiuma del mare fa da linea di confine tra la terra e l’acqua fosse un attimo.

In poche settimane, dopo che per un po’ di tempo sembrava che la scena metallica della Superba si cullasse in un sonno profondo, arriva un altro gioiellino estremo, questa volta dalle sonorità old school di matrice thrash metal, un concentrato di pura adrenalina marchiato Devastation Inc.
La band genovese nasce nel 2013 per volere dell’intraprendente Alessio Gaglia, chitarrista, cantante e guerriero senza paura nel suonare metal in una città chiusa a riccio nei suoi patemi alternativi o, al massimo, nostalgico progressivi.
Tanto di cappello dunque al musicista, raggiunto dalla sei corde di Samuele della Valle, dal basso di Giorgio Vianson e dalle bacchette fumanti del batterista Nicolò Parisi.
Archiviato il demo uscito un paio di anni fa , il gruppo licenzia il suo primo full length, uscito per la Earthquake Terror Noise, via Punishment 18 Records, questo gran bel pugno nelle gengive dal titolo No Way For Salvation, ottimo e abbondante esmpio di thrash metal old school di matrice statunitense, potente e veloce come un bolide sparato nei lunghi rettilinei delle route americane, ma orgogliosamente italiano.
Veloci come il vento, i Devastation Inc. scagliano una tempesta di ritmiche al fulmicotone, impreziosite da un gran lavoro delle sei corde, devastanti ed a tratti esaltanti nel saper correre veloci senza perdere il filo di un discorso musicale che ha nell’urgenza e nell’approccio diretto e senza soluzione di continuità le sue massime virtù.
E la band ligure il suo sporco lavoro lo sa fare alla grande, mentre tra i solchi di piccole bombe sonore come One World Destroy! o l’irresistibile Justice Pattern (pezzo da novanta di No Way For Salvation), passano uno dietro l’altro gli spiriti indomabili di Exodus e Death Angel, e poi via una dietro l’altra una bella fetta del meglio del thrash metal della Bay Area.
Sono di parte, non solo perché la band proviene dalla mia città, ma soprattutto perché non si fa prendere la mano da facili tentazioni, avvicinandosi invece sorniona al petto del genere e estraendone il cuore ancora pulsante a mani nude, grazia ad almeno altri due brani sopra la media: la diretta Troops From Hell e la conclusiva Between Nightmare And Dream.
Mentre continuano le infinite discussioni su quanto sia opportuno o meno un altro disco dei Metallica, sotto la Lanterna si suona thrash metal, quello vero!

TRACKLIST
1.One Word: Destroy!
2.Payback
3.Justice Pattern
4.Behind the Riverside
5.Fast as a Fuckin’ Bullet
6.Troops from Hell
7.For the Liberty I Kill
8.Between Nightmare and Dream

LINE-UP
Nicolò Parisi – Drums
Alessio “Dave” Gaglia – Vocals, Guitars
Giorgio Vianson – Bass
Samuele Della Valle – Guitars

DEVASTATION INC. – Facebook

Bethlehem – Bethlehem‬

L’ottava fatica su lunga distanza dei Bethlehem è sicuramente un qualcosa che non deve essere trascurato, anche per il tentativo, spesso riuscito, di scandagliare l’oscurità in musica in tutti i suoi meandri, specialmente quelli più inaccessibili e ripugnanti: resta il fatto che, per il mio gusto personale, manca sempre il canonico centesimo per fare l’euro.

Ho sentito più di una persona attendere con una certa fiducia questo nuovo album dei Bethlehem, alla luce di una storia che colloca la band tedesca tra quelle fondamentali per la crescita e lo sviluppo di un certo modo di interpretare la materia estrema.

Allo stesso modo, da parte mia, c’erano diversi dubbi legati al precedente Hexakosioihexekontahexaphobia, album che non mi aveva lasciato ricordi indelebili, e questa nuova fatica autointitolata ne dissipa alcuni ma ne fa crescere altri.
Sicuramente la creatura che, ormai da molti anni, viene guidata dal solo Bartsch , non produce musica che possa lasciare indifferenti e, nonostante la matrice black sia sempre bene in vista, il risultato finale non può essere mai scontato.
D’altra parte, però, pur non volendo togliere ai Bethlehem il titolo di band seminale e imprescindibile per quella che sarebbe diventata poi la scena black metal tedesca, resta il fatto che la loro produzione è sicuramente di buon livello, considerando anche che il leader si e circondato di musicisti di spessore (tra tutti il notevole batterista Stefan Wolz) ma senza raggiungere picchi corrispondenti allo status acquisito.
Anche questo nuovo lavoro, quindi, non sposta il mio giudizio pur se, rispetto al suo predecessore, si rivela leggermente più diretto e meglio focalizzato su un’indole black doom che offre più di un passaggio avvincente e ben memorizzabile.
Un altro aspetto che potrebbe fungere da spartiacque per più di un ascoltatore è l’interpretazione fornita dalla vocalist polacca Onielar, improntata su un registro isterico, a tratti anche molto teatrale, comunque più adatto a un disco di natura totalmente depressive piuttosto che ad un contesto simile, e che a mio avviso, oltre che stucchevole alla lunga, si rivela decisamente inferiore e meno versatile rispetto alla prova fornita da Guido Meyer su Hexakosioihexekontahexaphobia.
In definitiva, l’album dei Bethlehem mostra diversi sprazzi di genialità, ma i passaggi che si ricordano più volentieri sono quelli strumentali afferenti alla matrice doom e non quelli che, invece di stupire, finiscono solo per compromettere la fluidità di certe tracce.
Così è la diretta opener Fickselbomber Panzerplauze a convincere, così come i brani più meditati e melodicamente lineari quali Kynokephale Freuden im Sumpfleben e Arg tot frohlockt kein Kind, nelle quali trova spazio in maniera più concreta il qualitativo lavoro chitarristico di Karzov, mentre tra le tracce più anomale spicca Verderbnisheilung in sterbend’ Mahr, oscillante tra riff plumbei e minacciosi e liquide pulsioni dark wave .
Bartsch si conferma compositore di vaglia e senz’altro una delle migliori menti musicali in circolazione, ma sono troppe le scelte che personalmente ritengo cervellotiche e non del tutto funzionali al risultato finale, incluso il rutto che accoglie l’ascoltatore all’inizio del lavoro e che fa solo venire voglia di restituirlo al mittente …
Detto questo, l’ottava fatica su lunga distanza dei Bethlehem è sicuramente un qualcosa che non deve essere trascurato, anche per il tentativo, spesso riuscito, di scandagliare l’oscurità in musica in tutti i suoi meandri, specialmente quelli più inaccessibili e ripugnanti: resta il fatto che, per il mio gusto personale, manca sempre il canonico centesimo per fare l’euro.

Tracklist:
1. Fickselbomber Panzerplauze
2. Kalt’ Ritt in leicht faltiger Leere
3. Kynokephale Freuden im Sumpfleben
4. Die Dunkelheit darbt
5. Gängel Gängel Gang
6. Arg tot frohlockt kein Kind
7. Verderbnisheilung in sterbend’ Mahr
8. Wahn schmiedet Sarg
9. Verdammnis straft gezügeltes Aas
10. Kein Mampf mit Kutzenzangen

Line-up:
Bartsch – Bass, Keyboards
Wolz – Drums
Karzov – Guitars, Keyboards
Onielar – Vocals

BETHLEHEM – Facebook

AC Angry – Appetite For Erection

Un album ottimo per lasciare la patente al poliziotto munito di autovelox su un’autostrada che se, non porta all’inferno, sicuramente vi farà raggiungere qualche luogo piuttosto simile.

Che la Germania sia una delle terre più prolifiche per il metal/rock, non solo europeo è un fatto, poi se i suoni si fanno hard rock allora la terra tedesca diventa di un’importanza esponenziale nella storia della musica del diavolo.

Che sia hard rock classico, melodico o, come in questo caso, rock’n’roll per scaldarsi nei lunghi inverni del nord Europa niente e più adatto che un buon disco di esplosivo rock, da sentire in compagnia di fiumi di birra.
Il quartetto degli AC Angry dopo il primo album licenziato nel 2013 (Black Denim) firma con SPV/Steamhammer e ci sbatte sul muso mezzora abbondante di hard rock’n’roll come se piovesse elettricità dal regno dei cieli.
Un sound diretto che si avvale di un supporto a stelle e strisce ben inglobato nel sound che però non manca di rimarcare la sua provenienza, strutturandolo su ritmiche hard rock come da tradizione.
Ne esce un album ben congegnato con una buona fetta di brani adrenalinici ed un paio di ballad per sciogliere le ultime resistenze della vostra gentil donzella, mentre riprendete le forze per catapultarvi nel pogo sotto all’ennesimo palco.
L’America fa capolino nell’opener I Hate AC Angry, brano hard rock dove un’irriverente armonica ci porta dai locali persi nel buio delle città tedesche alle luci delle metropoli U.S.A,, con la città degli Angeli come capitale.
Ci si snoda piacevolmente tra solos affilati come rasoi, chorus da urlare in pieno deliro alcoolico e ritmiche dannatamente coinvolgenti, mentre l’acustica-bluesy No Way To Go But Down ci riporta dove il sole fa esplodere teste e la gola si riempie di polvere.
Siamo al cospetto di un gruppo che, fottendosene di mode e trend, ci accompagna per il mondo sguaiato e malinconico del rock, senza perdere quella vena metallica che è fondamentale per la riuscita di brani come la title track, The Balls Are Back In Town, che anche dal titolo ricorda i Thin Lizzy, e la conclusiva Testosterone.
Un album ottimo per lasciare la patente al poliziotto munito di autovelox su un’autostrada che se, non porta all’inferno, sicuramente vi farà raggiungere qualche luogo piuttosto simile.

TRACKLIST
01. I Hate AC Angry
02. 4TW
03. No Way To Go But Down
04. I Wanna Hurt Somebody
05. Appetite For Erection
06. Son Of A Motherfucker’s Son
07. The Balls Are Back In Town
08. Take You Shake You Break You
09. Cry Idiot Cry
10. Testosterone

LINE-UP
Dennis Kirsch – Bass
Sascha Waack – Drums
Stefan Kuhn – Guitar
Alan Costa – Vocals, Guitar

AC ANGRY – Facebook

Unison Theory – Arctos

Ci sono molti gruppi che sono simili agli Unison Theroy ma molto pochi hanno la loro capacità compositiva e quell’impronta sonora che hanno solamente i grandi gruppi

Potenza e tecnica per questo debutto sulla lunga distanza degli Unison Theory, un gruppo davvero molto interessante.

La loro proposta sonora è un groove metal potente ed al di sopra delle maggioranza delle produzioni attuali. Il suono di Arctos è un possente monolite che al suo interno nasconde una miriade di stanze e cunicoli, dove gli Unison Thoery ci conducono per farci sentire il gelido soffio della potenza del loro suono. Il progetto Unison Theory ha subito diversi stop, dovuti ai purtroppo frequenti problemi di line up, ma Arctos è la migliore risposta a tutto ciò. Ci sono molti gruppi che sono simili ma pochi possiedono la loro capacità compositiva e quell’impronta sonora che hanno solamente i migliori. Ascoltando Arctos si comprende subito che siamo di fronte ad una band molto particolare e peculiare, che ha dalla sua davvero tanti pregi: nella loro musica si sente la vera passione per il metal e una continua ricerca sonora in questo ambito, che sta dando molti frutti. Un debutto davvero azzeccato e molto ma molto potente. Gli Unison Theory sono un gruppo che sta andando in una direzione ben precisa e che farà la gioia di molti.

TRACKLIST
1. DeepEye
2. Omega feat. Rafael Trujillo (Obscura)
3. Arrigetch: The Devil’s Passage
4. Project Shockwave feat. Tommaso Riccardi (Fleshgod Apocalypse)
5. Grendel
6. Level IV
7. Polar Sentinel
8. The Price Of Eternity

LINE-UP
Alexander Startsev – screams
Omar Mohamed – guitars
Simone Tempesta – drums

Marco Mastrobuono – bass guest

UNISON THEORY – Facebook

Lurking Fear – Grim Tales in the Dead of Night

Chitarra, basso e batteria, le armi più semplici ma le più letali per suonare hard’n’heavy, basta saperlo fare come i Lurking Fear.

Inutile ribadire come negli ultimi tempi le sonorità old school stiano imperversando nella scena hard rock/metal, passati gli anni del crossover e dell’originalità spicciola a tutti i cost.

Non sembra affatto anacronistico, quindi, un album come l’esordio dei Lurking Fear, trio toscano di musicisti esperti e competenti quanto basta per confezionare un piccolo gioiellino hard’n’heavy come Grim Tales In Dead Of Night, caratterizzato da un  sound che più vintage di così non si può, ma che sa essere molto affascinante, pescando tanto dall’hard rock settantiano quanto dalla new wave of british heavy metal, forte di un’attitudine quasi commovente da parte dei tre musicisti e di un songwriting maturo.
Quelli che furono i primi passi della scena heavy metal che si affacciava sul mercato mondiale in quegli anni, prendendo la parte più oscura dell’hard rock e portandolo verso strade estreme che poi verranno in seguito sviluppate dalle prime orde thrash/death, sono valorizzate dai Luking Fear con questa raccolta di brani che alternano ritmiche sassoni, lenti passaggi sabbathiani, un’atmosfera horror che ricorda King Diamond con qualche passaggio in linea con le primissime gemme firmate dagli Iroin Maiden, il tutto reso sufficientemente macabro dai testi ispirati alla letteratura horror dei primi del ‘900 (The Lurking Fear, infatti, è un racconto di H. P. Lovecraft).
Dal primo riff dell’opener Watching Eye si viaggia dunque tra racconti macabri e grotteschi con la colonna sonora del gruppo, puro metallo ottantiano, ancora legato con il cordone ombelicale all’hard rock, ma già pregno di soluzioni che diventeranno in seguito la Bibbia (o se preferite, il Necronomicon) della nostra musica preferita.
Chitarra, basso e batteria, le armi più semplici ma le più letali per suonare hard & heavy, basta saperlo fare come i Lurking Fear 

TRACKLIST
1.Watching Eye
2.Lady of Usher
3.The Strain
4.I Am
5.Flesh and Soul

LINE-UP
Stefano Pizzichi – Drums
Mirko “Coscia” Pancrazzi – Guitars, Vocals (backing)
Fabiano Fabbrucci – Vocals, Bass

LURKING FEAR – Facebook

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