Golden Rusk – What Will Become Of Us?

Molti cambi di tempo e di atmosfere sonore rendono questo disco una piccola perla da scoprire canzone dopo canzone, addentrandosi nei territori sconosciuti che Maher ha approntato per noi.

La musica ha moltissime facce, tante quante le infinite sfaccettature dell’animo e del cervello umano.

Può essere una fuga, o un ristabilire pienamente ciò che siamo per davvero. Per Maher, musicista siracusano potrebbe essere entrambe le cose. Come molti di noi, non moltissimi vista l’attuale livello di disoccupazione, Maher lavora in un ufficio, spendendo ore per qualcun altro, ma poi con la musica riesce ad esprimere quello che porta dentro: Golden Rusk è un progetto death metal in cui lui compone e suona tutto. In verità definirlo death metal è alquanto riduttivo, poiché si va ben oltre, con ritmiche ed atmosfere industrial e sfuriate black metal.
Molti cambi di tempo e di atmosfere sonore rendono questo disco una piccola perla da scoprire canzone dopo canzone, addentrandosi nei territori sconosciuti che Maher ha approntato per noi: pensate ad un sound in cui il death metal degli Obituary incontra la pazzia industrial dei Ministry e la ferocia black dei Mayhem, ed avrete più o meno un’idea di cosà possano contenere brani come No Blame No Gain, As It Should Be e Life No More.
Dietro e dentro questo esordio vi è un gran lavoro, una fortissima passione ed una non comune capacità di fare musica che offre quale risultato un album dalla natura estrema, vario e perfettamente in grado di soddisfare più palati. Il metal underground si conferma ancora una volta una scoperta continua di musicisti incredibili e molto dotati, e soprattutto di metal al cento per cento.

TRACKLIST
1. Grave of Dawn
2. What Will Become of Us?
3. No Blame No Gain
4. Painful Demise
5. As It Should Be
6. Show Me Your Hate
7. Black Aura
8. Life No More
9. Take off the Mask (Alternative Mix)
10. No Blame No Gain (Demo Version)

LINE-UP
Maher – All instruments, vocals and sampling

GOLDEN RUSK – Facebook

No Remorse – Wolves

Un bellissimo lavoro, e se la band voleva sondare il terreno per un successivo full length, la missione è compiuta nel migliore dei modi.

Quando il branco di Lupi accerchia la donna, gli ululati si fanno intensi, rituali e con famelica aggressione comincia lo scempio del corpo tra le grida dell’incolpevole vittima, le prime note metalliche di Wolves sprigionano scintille di puro acciaio, ed ancora una volta l’heavy metal trova una delle sue più convincenti espressioni.

Si continua a produrre grande musica metal su e giù per lo stivale, questa volta assolutamente classico, puro e caldo come il sangue che sgorga dalla giugulare dilaniata dalle fauci dei temibili fratelli della notte.
No Remorse, musicisti con qualche pelo in più sullo stomaco e neanche pochi capelli bianchi, provengono dalla fusione di due band toscane avvenuta nel 1999 e hanno dato alle stampe un album omonimo nel 2004 ed il full length Sons Of Rock ormai sei anni fa.
Era tempo di tornare e il gruppo lo ha fatto con questo mini cd di cinque brani intitolato Wolves, un concentrato di heavy metal perfettamente in linea con la tradizione, che si traduce in ritmiche potenti (Franco Birelli al basso e Massimiliano Becagli alla batteria), assoli affilati come gli artigli di un lupo affamato (Sandro Paoli e Aldo Tesi alle chitarre) e i suoi ululati alla luna, grazie alla voce del portentoso Maurizio Muratori.
Dimenticatevi qualsiasi sound che non sia puro acciaio metallico, il gruppo quello suona e lo sa fare al meglio, con un riff maideniano che mette in fuga le bestie e presenta la folgorante title track.
Un chorus da cantare ai bordi di un palco incendiato dalla carica del quintetto e via con Titanium, devastante metal song che ricorda non poco i Primal Fear, prima che Metal Queen lasci spazio all’anima hard rock dei No Remorse e ci spiazzi con un assolo meno aggressivo ma molto più elegante, in poche parole un brano sopra la media.
La ballad d’ordinanza ha le note di The Time To Say Goodbye, mentre con la conclusiva Steelage si fanno quattro passi nella new wave of british heavy metal, grazie al brano più maideniano di quella piccola raccolta di perle che è Wolves.
Un bellissimo lavoro, e se la band voleva sondare il terreno per un successivo full length, la missione è compiuta nel migliore dei modi.

TRACKLIST

1. Wolves
2. Titanium
3. Metal Queen
4. The Time to Say Goodbye
5. SteelAge

LINE-UP
Maurizio Muratori – Vocals
Sandro Paoli – Guitars
Aldo Tesi – Guitars
Franco Birelli – Bass
Massimiliano Becagli – Drums

http://www.facebook.com/NOREMORSEsince1999/?fref=ts

URL YouTube, Soundcloud, Bandcamp

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO
Un bellissimo lavoro, certo che se la band voleva sondare il terreno per un eventuale full lenght, la missione è compiuta alla grande, il sottoscritto si è già messo in attesa e dopo l’ascolto di Wolves lo farete anche voi.

IL 2016 di METALEYES

E venne il momento delle famigerate classifiche di fine anno …

E venne il momento delle famigerate classifiche di fine anno …

C’è chi le adora, chi le schifa e chi le ritiene un male necessario: diciamo senza pudore che la Triade alla guida di MetalEyes rappresenta democraticamente ognuna di queste posizioni per cui, visto che come sempre la verità sta nel mezzo, divulgheremo quanto scaturito in quest’annata, senza la pretesa che il tutto venga visto come una verità rivelata bensì, semplicemente, un aiuto ad orientarsi nelle scelte nei confronti di chi ritenesse d’essersi perso qualche uscita importante.
Non nascondiamo neppure che tutti gli album che verranno citati sono stati recensiti da MetalEyes, e ciò non è dovuto solo ad un truffaldino stratagemma per ottenere qualche clic in più sui singoli articoli ma, soprattutto, al fatto che non abbiamo davvero il tempo di ascoltare altro che poi non venga tramutato in contenuti per la nostra webzine.
Abbiamo pensato di creare cinque categorie, per ognuna delle quali indicheremo i migliori cinque dischi, oltre ad altri quindici che verranno classificati sesti a pari merito: una generale, una dedicata ai dischi italiani, ed altre tre riferite a macro generi denominati, rispettivamente, metal estremo (black/death/trhash), materia oscura (doom, gothic, post metal, dark, ma anche ambient e neo folk) e hard’n’heavy (e qui ogni specifica è superflua).
Tra gli otto mesi trascorsi ancora all’interno di In Your Eyes ed i quattro successivi al distacco ed alla relativa nascita di MetalEyes, abbiamo recensito ben oltre 1000 album, gran parte dei quali di buon fattura e che non hanno trovato spazio in questa selezione per questioni marginali; ma questo è un esercizio che è quasi un gioco e, come tale, ha delle regole alle quali si deve sottostare se si vuole partecipare.
Cliccando su ogni disco che troverete nelle classifica verrete indirizzati alla recensione dove, se proprio non vorrete leggere i nostri sproloqui, avrete comunque la possibilità di ascoltare un estratto dei lavori in questione.
Quindi, buona lettura o buon ascolto, e auguri per un 2017 altrettanto foriero di ottimi dischi e soprattutto meno luttuoso, anche in campo musicale.

GENERALE

1.EPICA – THE HOLOGRAPHIC PRINCIPLE
2.CLOUDS – DEPARTE
3.WITHERSCAPE – THE NORTHERN SANCTUARY
4.THE DEAD DAISIES – MAKE SOME NOISE
5.ATARAXIA – DEEP BLUE FIRMAMENT

6.ex aequo
ABYSSIC – A WINTER’S TALE
DARKEND – THE CANTICLE OF SHADOWS
ESPEROZA – AUM CORRUPTED
EYE OF SOLITUDE – CENOTAPH
FLESHGOD APOCALYPSE – KING
HANGARVAIN – FREAKS
KLIMT 1918 – SENTIMENTALE JUGEND
MECHINA – PROGENITOR
MYRATH – LEGACY
NOVERIA – FORSAKEN
PSYCHOPRISM – CREATION
THE FORESHADOWING – SEVEN HEADS TEN HORNS
THROES OF DAWN – OUR VOICES SHALL REMAIN
TREES OF ETERNITY – HOUR OF THE NIGHTINGALE
VAREGO – EPOCH

ITALIANI

1.ATARAXIA – DEEP BLUE FIRMAMENT
2.THE FORESHADOWING – SEVEN HEADS TEN HORNS
3.KLIMT 1918 – SENTIMENTALE JUGEND
4.HANGARVAIN – FREAKS
5.FLESHGOD APOCALYPSE – KING

6.ex aequo
(ECHO) – HEAD FIRST INTO SHADOW
ANGELA MARTYR – THE NOVEMBER HARVEST
DARK LUNACY – THE RAIN AFTER THE SNOW
DARKEND – THE CANTICLE OF SHADOWS
ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY – CAPE YAWN
HELL IN THE CLUB – SHADOW OF THE MONSTER
MORGENGRUSS – MORGENGRUSS
NOVERIA – FORSAKEN
PATH OF SORROW – FEARYTALES
PLATEAU SIGMA – RITUALS
SOUL SELLER – MATTER OF FAITH
SOUTHERN DRINKSTRUCTION – VULTURES OF THE BLACK RIVER
TENEBRAE – MY NEXT DAWN
VAREGO – EPOCH
WITCHES OF DOOM – DEADLIGHTS

METAL ESTREMO

1.MECHINA – PROGENITOR
2.FLESHGOD APOCALYPSE – KING
3.DARKEND – THE CANTICLE OF SHADOWS
4.ESPEROZA – AUM CORRUPTED
5.WINTERHORDE – Maestro

6.ex aequo
ADX – NON SERVIAM
CENTINEX – DOOMSDAY RITUALS
CIRCLE OF INDIFFERENCE – WELCOME TO WAR
DARK LUNACY – THE RAIN AFTER THE SNOW
DARK OATH – WHEN FIRE ENGULFS THE EARTH
DESTRUCTION – UNDER ATTACK
DRAUGSÓL – VOLAÐA LAND
FYRNASK – FÓRN
HARM – OCTOBER FIRE
NERODIA – VANITY UNFAIR
PATH OF SORROW – FEARYTALES
RAGNAROK – PSYCHOPATHOLOGY
RUDRA – ENEMY OF DUALITY
SEKTEMTUM – PANACEA
SENTIENT HORROR – UNGODLY FORMS

MATERIA OSCURA

1.CLOUDS – DEPARTE
2.ATARAXIA – DEEP BLUE FIRMAMENT
3.EYE OF SOLITUDE – CENOTAPH
4.THROES OF DAWN – OUR VOICES SHALL REMAIN
5.TREES OF ETERNITY – HOUR OF THE NIGHTINGALE

6.ex aequo
ABYSSIC – A WINTER’S TALE
ANGELA MARTYR – THE NOVEMBER HARVEST
ARKHÈ – Λ
DREARINESS – FRAGMENTS
HARAKIRI FOR THE SKY – III TRAUMA
KLIMT 1918 – SENTIMENTALE JUGEND
MONOLITHE – ZETA RETICULI
MORGENGRUSS – MORGENGRUSS
MOURNING SUN – ÚLTIMO EXHALARIO
OBSCURE SPHINX – EPITAPHS
SEPVLCRVM – VOX IN RAMA
SURYA – APOCALYPSE A.D.
TENEBRAE – MY NEXT DAWN
THE FORESHADOWING – SEVEN HEADS TEN HORNS
WÖLJAGER – VAN’T LIEWEN UN STIÄWEN

HARD’N’HEAVY

1.EPICA – THE HOLOGRAPHIC PRINCIPLE
2.WITHERSCAPE – THE NORTHERN SANCTUARY
3.THE DEAD DAISIES – MAKE SOME NOISE
4.PSYCHOPRISM – CREATION
5.MYRATH – LEGACY

6.ex aequo
ART X – THE REDEMPTION OF CAIN
BUFFALO SUMMER – SECOND SUN
ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY – CAPE YAWN
HANGARVAIN – FREAKS
HELL IN THE CLUB – SHADOW OF THE MONSTER
HOLLOW LEG – CROWN
KOMATSU – RECIPE FOR MURDER ONE
NOVERIA – FORSAKEN
SIXX A.M. – PRAYERS FOR THE DAMNED VOL. 1
SOUL SELLER – MATTER OF FAITH
SOUTHERN DRINKSTRUCTION – VULTURES OF THE BLACK RIVER
THE ERKONAUTS – I DID SOMETHING BAD
TOMBSTONED – II
TUSMØRKE – FORT BAK LYSET
VAREGO – EPOCH

Church of Disgust – Veneration of Filth

Il sound sprigiona horror e malignità da tutti i pori, e i testi incentrati per lo più sulle opere di H.P. Lovecraft fanno il resto.

Dal caldo opprimente di un Texas trasformato nell’inferno sulla terra, arrivano i deathsters Church Of Disgust con il loro nuovo e secondo lavoro.

Partito come un duo nel 2010 ( Dustin James, voce e chitarra, e Joshua Bokemeyer alla batteria) e con il primo album uscito due anni fa (Unworldly Summoning), il gruppo si è trasformato ora in un quartetto con una sezione ritmica nuova di zecca (Travis Andrews al basso e Dwane Allen a sfondare drumkit, con Bokemeyer passato alle seconda chitarra).
Il nuovo lavoro non si discosta più di tanto dal recente passato della band texana e Veneration of Filth continua il martellamento a suon di death metal old school, ovviamente di scuola statunitense, tra accelerazioni paurose e rallentamenti richiamanti i Morbid Angel.
Il sound sprigiona horror e malignità da tutti i pori, e i testi incentrati per lo più sulle opere di H.P. Lovecraft fanno il resto in un album in linea con le produzioni estreme dal taglio classico.
Sound oscuro e profondo come l’abisso infernale da cui scaturiscono i demoni che, impossessatisi dell’anima di James, gli conferiscono un growl profondo e sinistro; un chitarrismo efficace, anche se a volte leggermente macchinoso, e un drumming possente, portano Veneration Of Filth ad un livello ottimale, strutturato su dieci capitoli urlanti dolore e sofferenza che hanno il loro fulcro nelle trame morbose di Plague of Punishment, Supine in the Face of Total Death e nella conclusiva e monolitica Sunken Altan Of Dagon il loro sunto, tra parti di morboso doom/death e accelerazioni estreme dal devastante incedere.
Un buon album di genere, perciò con i suoi pregi e difetti, ma ascolto raccomandato per chi è amante del death metal americano.

TRACKLIST
1.Wrath of the Thirteen
2.Ripping Decay
3.Corpses of Dead Worlds
4.Abhorrent Cruelty
5.Plague of Punishment
6.Temple of Sonance (Interlude)
7.Supine in the Face of Total Death
8.To Seek Congress with the Realms Beyond
9.Veneration of Filth
10.Sunken Altar of Dagon

LINE-UP
Dustin James – Guitars (rhythm), Vocals
Joshua Bokemeyer – Guitars (lead)
Travis Andrews – Bass
Dwane Allen – Drums

CHURCH OF DISGUST – Facebook

Ill Neglect / Lambs – Trisma

Due maniere diverse, ma ugualmente efficaci, di maneggiare una materia incandescente come quella del metal che, sposandosi all’hardcore, ne porta alle estreme conseguenze l’impatto virulento.

Edito da un pool di etichette transazionale, questo split mette in mostra un connubio potenzialmente esplosivo tra i tedeschi Ill Neglect e gli italiani Lambs.

Trisma, in poco meno di dieci minuti, scarica la rabbia repressa covata in una vita intera, e ciò avviene con gli Ill Neglect tramite un grind dalle sfumature sludge che a tratti può ricordare, per attitudine e per riferimenti non casuali i seminali Brutal Truth (il monicker ne riprende il titolo di uno dei brani più noti), e con i Lambs attraverso un metal estremo che sovente disorienta con repentini cambi di scenario, sempre all’insegna di sonorità comunque disturbanti e facenti capo sempre allo sludge, almeno a livello di orientamento generale.
Troviamo, quindi, due maniere diverse, ma ugualmente efficaci, di maneggiare una materia incandescente come quella del metal che, sposandosi all’hardcore, ne porta alle estreme conseguenze l’impatto virulento.
Per entrambe le band un significativo biglietto da visita da esibire in occasione dei rispettivi, ed auspicabilmente prossimi, esordi su lunga distanza.

Tracklist:
1.Cold Turkey (Ill Neglect)
2.Permanent Euphoria (Ill Neglect)
3.You, the Drawback (Lambs)
4.Unfeeling (Lambs)

Line-up:
ILL NEGLECT
Daniel Powell – vocals
Jan T-Beat – drums
Thomas Conrad – guitar
André Beyer – bass

LAMBS
Cristian Franchini – vocals
Mattia Bagnolini – drums
Gianmaria Mustillo – guitar
Steven Teverini – bass

ILL NEGLECT – Facebook

LAMBS – Facebook

Pighead – Until All Flesh Decays

Per gli amanti del metal estremo di matrice brutal che amano Suffocation, Dying Fetus e compagnia omicida, l’album è assolutamente consigliato.

Giovani e dannatamente brutali, i Pighead licenziano il nuovo devastante e marcissimo album in questo tramonto dell’anno di grazia 2016.

Il trio tedesco (il bassista Clemens figura come ospite), al terzo lavoro sulla lunga distanza è protagonista di un brutal death metal molto ben strutturato, tra lo slamming ed il technical death.
Terzo lavoro si diceva, con i primi due album usciti rispettivamente nel 2010 (Cadaver Desecrator) e nel 2012 (Rotten Body Reanimation), quindi il gruppo berlinese si è preso quattro anni per dare alle stampe questo notevole pezzo di brutalità in musica, prodotto bene e dal songwriting che in alcuni casi risplende di cattiveria e malignità, ma che sa esaltare con soluzioni ritmiche molto ben congegnate (Revengeful Strife).
Il genere non promette originalità ovviamente, influenze ed ispirazioni sono uguali a tante giovani band in giro per il mondo, ma i Pighead hanno qualcosa in più, le canzoni.
Infatti, nella loro brutalità, i brani di Until All Flesh Decays non mancano di mantenere una loro forma canzone, e l’album ne giova risultando ostico, violento, terremotante ma a tratti pregno di morboso appeal.
Per gli amanti del metal estremo di matrice brutal che amano Suffocation, Dying Fetus e compagnia omicida, l’album è assolutamente consigliato.

TRACKLIST
1.Transcend the Unknown
2.Twitching Xenomorphic Shades
3.Eliminate Alien Elements
4.State of Absolute Misery
5.Corrupted
6.Indoctrinate
7.Revengeful Strife
8.Until All Flesh Decays
9.A Swamp of Dark Crimson Sludge
10.Siamese Spawn
11.Exterminating the Unworthy
12.The Piggrinder

LINE-UP
PHIL – Vocals
CONOR – Drums
DENNY – Guitar
CLEMENS – Sessionbass

PIGHEAD – Facebook

Beneath A Godless Sky – Beneath A Godless Sky

Provenienti dalla banlieue nord est di Parigi, questi ragazzi al debutto propongono un più che convincente metal fatto di metalcore, prog e djent, con una forte base tecnica e buona capacita compositiva.

Provenienti dalla banlieue nord est di Parigi, questi ragazzi al debutto propongono un più che convincente metal fatto di metalcore, prog e djent, con una forte base tecnica e buona capacita compositiva.

Attualmente molti gruppi cercano di inserirsi nel giro prog metal djent che conta, o nel metalcore più tecnico, ma pochi ne hanno le capacità per appartenervi. I Beneath A Godless Sky, a partire dal bellissimo nome, riescono subito a colpire l’ascoltatore con la loro potenza, ma trovano sempre anche grandi melodie che bilanciano la forza delle loro composizioni. Un gusto moderno per il metal, ma anche un tecnica all’altezza della loro ricerca musicale. Non ci sono ansie e tentativi di raggiungere campi proibiti, ma tutto viene ricondotto alle proprie capacità, in questo caso assai notevoli. Questo ep omonimo è il risultato di anni e anni di gavetta in varie salette musicali, e rispecchia il retroterra di ciascun musicista. L’ep è molto godibile e forte, ed è caldamente consigliato a chi vuole ascoltare metal moderno fatto bene.

TRACKLIST
1.Intro
2.The wall
3.Divided
4.Broken streets
5.Fake smile
6.Faith + one

BENEATH A GODLESS SKY – Facebook

Damned Pilots – Overgalaxy

Overgalaxy non mancherà di fare proseliti tra gli amanti dei suoni americani di fine millennio, con cui la band gioca immettendo dosi letali di doom e rock che, andando a ritroso, non si ferma agli anni settanta, ma si spinge agli ultimi anni del decennio precedente, con riferimenti geniali a Beatles e Mark Bolan.

Siete pronti per una nuova avventura spaziale insieme ai Damned Pilots?

Allora salite con loro sul furgoncino spaziale direttamente dagli anni settanta e volate su e giù per la galassia, scontrandovi con Gorguss, nemico di una vita.
La band post nuclear metal nostrana ha fatto le cose in grande per questo nuovo lavoro, prodotto da Ron Goudie (Gwar, Death Angel, Poison), mixato e masterizzato dal leggendario Bill Metoyer, (W.A.S.P., Trouble e Slayer) e l’album ne esce come un prodotto dal taglio internazionale, che amalgama con sagacia hard & heavy del decennio novantiano, metal estremo ed hard rock moderno e psichedelico, un caleidoscopio di sonorità tra sfumature vintage e bordate di groove metal dal buon appeal.
Un viaggio nello spazio, dunque, anche se le atmosfere alternano fughe nella galassia psichedelica e lunghe passeggiate in quel deserto americano dove i personaggi dei primi film di Rob Zombie compivano le loro malefatte a colpi di groove metal in La Sexorcisto style, quindi tanto flower power drogato di stoner e hard rock.
Non mancano accenni al doom, sempre con l’anima stonerizzata, ma è indubbio l’amore che il gruppo ha per il metal nato tra le pietre e la calda sabbia del deserto.
Overgalaxy non mancherà di fare proseliti tra gli amanti dei suoni americani di fine millennio, con cui la band gioca immettendo dosi letali di doom e rock che, andando a ritroso, non si ferma agli anni settanta, ma si spinge agli ultimi anni del decennio precedente, con riferimenti geniali a Beatles e Mark Bolan.
Poi quando lo scontro con Gorguss si fa più violento (Gorguss, il brano canzone) il doom metal prende il sopravvento per un risultato davvero riuscito, accompagnato da uno spirito hippy che spoglia il sound dalla durezza scarna del doom classico per donargli un’atmosfera da tragico e melanconico trip.
Un gran bel lavoro, che al sottoscritto ha ricordato a più riprese una via di mezzo tra il già citato La Sexorcisto, capolavoro degli White Zombie, Manic Frustration, l’album più hard rock della discografia dei doomster Trouble, e l’hard rock stonerizzato dei Monster Magnet, il tutto suonato tra gli anni sessanta ed il nuovo millennio.
Non ci sono riempitivi e l’ascolto se ne giova che è un piacere, dunque lasciate a casa lo scooter e guardate verso il cielo, potrebbe fare la sua comparsa il furgoncino spaziale dei Damned Pilots, e salirci, anche se pericoloso, è assolutamente consigliato.

TRACKLIST
01. Intro
02. Damned Pilots
03. Season Of The Ending
04. Desert Europa
05. Just Another Day
06. Gorguss
07. Hell Is Cold
08. People Don’t Die
09. Sylvanic
10. Mos

LINE-UP
Don Nutz
Sgt Ote
Willer Hz
Erik Space

DAMNED PILOTS – Facebook

Uktena – Our Path to Trouble

Il tema del lavoro degli Uktena verte su quel senso di libertà e di simbiosi con la natura che ha sempre costituito il modus vivendi degli indiani d’America, prima d’essere oppressi e confinati nelle riserve dall’invasore “pallido”.

Esordio molto interessante per questa band del North Carolina denominata Uktena.

Portatori di un sound decisamente molto psichedelico ma nel contempo anche robusto, questi americani puntano per il loro passo d’avvio su un unico brano di venti minuti, esattamente ciò che serve per rendere poco appetibile il tutto ad ascoltatori pigri o disattenti …
Meglio così, del resto, in tal modo solo i più meritevoli potranno godersi le sonorità di Our Path to Trouble, un lavoro che, alla fine, non è neppure così facile da catalogare, tra sfumature lisergiche, ritmiche prossime al doom e una voce dal taglio quasi punk, anche se i suoi interventi non sono particolarmente frequenti.
L’opera acquista un peso ancor maggiore per la presenza, in diverse parti del lungo brano, di samples riferiti a John Trudell, cantautore, poeta ed attivista che è stato, fino alla sua morte avvenuta circa un anno fa, una vera spina nel fianco nei confronti di intendeva mettere a tacere per sempre la voce dei nativi americani.
Il tema del lavoro degli Uktena, le cui redini sono nelle mani di Nate Hall, verte proprio su quel senso di libertà e di simbiosi con la natura che ha sempre costituito il modus vivendi degli indiani d’America, prima d’essere oppressi e confinati nelle riserve dall’invasore “pallido”.
Our Path to Trouble, così, si snoda in maniera genuina e nemmeno troppo prevedibile, con un mood psichedelico quasi d’altri tempi che, nella parte finale, lascia spazio ad umori folk, il tutto eseguito con un certo slancio dalla band. Peccato per la durata piuttosto limitata, perché ho trovato davvero moto valida questa nuova formazione ed il suo operato, sia dal punto di vista strettamente musicale che concettuale. In attesa di sviluppi futuri, non resta che supportare per ora gli Uktena, il cui esordio peraltro è avvenuto sotto l’egida di un’etichetta italiana, la Hypershape Records.

Tracklist:
1. Our Path to Trouble

Line-up:
Nate Hall – voce, chitarra, mandolino elettrico;
Joe Anderson – basso;
Scott Thomas – batteria;
Ben Brower – chitarra

UKTENA – Facebook

Avulsed – Deathgeneration

A chi ha familiarità con il gruppo rimane solo da segnalare l’ottima scelta dei brani da parte del leader mentre, per chi non conoscesse la band, Deathgeneration è un’opera essenziale per ogni appassionato.

Venticinque anni di attività nel mondo della musica non è cosa da poco, figuriamoci nel metal estremo, se poi la ricorrenza riguarda una band seminale come gli spagnoli Avulsed, il traguardo va sicuramente festeggiato nel migliore dei modi.

E Dave Rotten, storico vocalist del gruppo e responsabile artistico della Xtreem, ha fatto le cose in grande per festeggiare al meglio la sua band, con una raccolta di brani racchiusi in un doppio cd reinterpretati per l’occasione con una serie di ospiti di grido.
Deathgeneration vede, infatti, la partecipazione di nomi altisonanti del metal estremo, molti di questi importantissimi per lo sviluppo di queste sonorità, con l’aggiunta di un secondo cd contenente le versione originali dei brani.
Una compilation che risulta davvero un monumento al death metal old school, non solo per la qualità altissima della musica del gruppo madrileno, ma in questo caso anche per il suddetto contributo di artisti i cui nomi non hanno bisogno di presentazioni.
Chris Reifert (Autopsy), Will Rahmer (Mortician), Rogga Johansson (non abbiamo spazio a sufficienza per scrivere tutte le band che lo vedono coinvolto …), Mike Van Mastrigt (ex-Sinister), Piotr Wiwczarek (Vader), Mark “Barney” Greenway (Napalm Death), Tomas Lindberg (At The Gates), sono solo alcuni dei graditi ospiti che il buon Rotten ha voluto su questo tripudio alla sua creatura più importante e i ragazzi non si sono certo tirati indietro, rendendo questo disco un imperdibile gioiellino estremo.
Si parla, del resto, di uno dei gruppi più influenti a livello underground della scena europea, dal 1991 a dispensare death metal di morte in giro per il continente, dunque si tratta di un’operazione più che mai giustificata dall’importanza della nome in ballo.
A chi ha familiarità con il gruppo rimane solo da segnalare l’ottima scelta dei brani da parte del leader mentre, per chi non conoscesse la band, Deathgeneration è un’opera essenziale per ogni appassionato.

TRACKLIST
1.Amidst The Macabre (instr.)
2.Stabwound Orgasm
3.Breaking Hymens – guest: Per Boder (God Macabre/Mordbrand)
4.Sweet Lobotomy – guest: Chris Reifert (Autopsy)
5.Burnt But Not Carbonized – guest: Antti Boman (Demilich)
6.Daddy Stew – guest: Snencho (Aborted)
7.Addicted To Carrion – guest: Will Rahmer (Mortician)
8.Dead Flesh Awakened – guest: Rogga Johansson (Paganizer)
9.Powdered Flesh – guest: Ludo Loez (Supuration/S.U.P)
10.Gorespattered Suicide – guest: Mike Van Mastrigt (ex-Sinister/Neocaesar)
11.Nullo (The Pleasure Of Self-mutilation) – guest: Johan Jansson (Interment/Moondark)
12.Exorcismo Vaginal – guest: Paul Zavaleta (Deteriorot)
13.Carnivoracity – guest: Anton Reisenegger (Pentagram Chile/Criminal)
14.Sick Sick Sex – guest: Ville Koskela (Purtenance)
15.Devourer Of The Dead – guest: Tomas Lindberg (At The Gates)
16.Horrified By Repulsion – guest: Kam Lee (ex-Massacre)
17.Blessed By Gore – guest: Bongo (Necrophiliac)
18.Red Viscera Serology – guest: John McEntee (Incantation)

LINE-UP
Dave Rotten – Vocals
Jose “Cabra” – Guitars
Juancar – Guitars
Tana – Bass
Arjan van der Wijst – Drums

AVULSED – Facebook

TENEBRAE

Abbiamo sottoposto colui che dei Tenebrae è fondatore ed anima musicale, Marco “May” Arizzi, ad una serie di quesiti che, mi auguro, dovrebbero consentire di saperne di più su una band per molti ancora da scoprire.

I Tenebrae li ho scoperti per davvero al momento dell’uscita del loro secondo album, lo splendido Il Fuoco Segreto, venendo folgorato dalla loro originalità derivante da un sound di non semplice collocazione, reso ancor più affascinante dal ricorso a liriche poetiche, profonde e, all’epoca, rigorosamente in italiano.
Da allora ho sempre seguito la band ed ho avuto la possibilità di conoscere anche in maniera più approfondita alcuni suoi membri (nello specifico Marco Arizzi e Paolo Ferrarese), favorito dal fatto di vivere nella stessa città (Genova).
L’uscita recente di un altro pesante tassello nella carriera dei Tenebrae, come My Next Dawn, album che potrebbe/dovrebbe consacrare definitivamente la band ligure, mi offre lo spunto di fare un’intervista cercando di andare oltre alla schematica sequenza di domande e risposte all’apparenza preconfezionate.
Ho sottoposto, così, colui che dei Tenebrae è fondatore ed anima musicale, Marco “May” Arizzi, ad una serie di quesiti che, mi auguro, dovrebbero consentire di saperne di più su una band per molti ancora da scoprire.

ME Ciao Marco. Non posso negare che ritrovarvi a questi livelli dopo tutte le vicissitudini seguite all’uscita di Il Fuoco Segreto, sotto forma di stravolgimenti di line-up e assenza del supporto di una label, è stata davvero una piacevole sorpresa. Penso che ti sia venuta voglia di mandare tutto al diavolo più di una volta, eppure i Tenebrae sono ancora qui, con il loro miglior lavoro di sempre: dove hai trovato l’energia per andare avanti e conseguire questo risultato?

Ciao Stefano, grazie mille innanzitutto per l’opportunità che tu e la redazione di MetalEyes mi state dando.
Allora, è proprio come hai detto tu, ci sono stati momenti molto difficili, alcuni addirittura critici, ma alla fine, soprattutto negli ultimi mesi, si è trovato il modo di remare tutti nella stessa direzione ed insieme ai miei compagni di viaggio, componente sempre indispensabile per la realizzazione di ogni cosa, intendo ovviamente tra questi anche Antonella Bruzzone (autrice di tutti i testi) e Sara Aneto (che si è occupata della grafica facendo il solito lavorone), siamo riusciti ad arrivare alla fine del tunnel, rinforzati nello spirito e come band.

ME My Next Dawn ha avuto una gestazione lunga, oltre che problematica, come detto. Quand’è che hai cominciato ad avere la sensazione che finalmente tutti i tasselli fossero andati al loro posto?

La realizzazione del disco in sé è stata abbastanza lineare come tempistiche, e con un po’ di fatica e l’aiuto di Rossano Villa in studio, siamo riuscito a realizzare il tipo di disco che avevamo in mente: devo dire che, nonostante qualche difficoltà fisiologica, visto che per alcune persone si trattava della prima volta in studio, sono stati tutti molto disponibili e pronti a voler arrivare a fine percorso.
Massimiliano (Zerega, batteria) e Fulvio (Parisi, tastiere)sono stati molto bravi a prendere quello che avevano fatto i loro predecessori, personalizzarlo e completarlo con il loro punto di vista, poi ovviamente tante parti sono state completamente ripensate e rifatte da loro, ed hanno svolto entrambi un lavoro impeccabile.

ME La prima volta che ho ascoltato Careless, in versione demo, ho pensato subito che ne stesse per venire fuori un gran bel disco ma, nel contempo, ho temuto che avreste finito per snaturarvi, perdendo il vostro particolare tratto stilistico: i fatti per fortuna hanno dissipato questa sensazione, però in te non sono mai balenati dubbi dello stesso genere mentre l’album prendeva vita?

Ti ringrazio per la stima che hai sempre avuto nei nostri confronti.
Diciamo che la Stella Polare con cui ci approcciamo al disco è sempre la storia che vogliamo raccontare, non è mai un insieme di riff una nostra canzone ma un tentativo di comunicare le sensazioni che in quel momento proviamo a descrivere, non ci siamo mai posti un vero problema di genere, di poter piacere o meno o di appartenere a un filone piuttosto che ad un altro.
Gli unici dubbi che per settimane ci hanno tormentato fino alla decisione finale, e da lì in poi siamo andati dritti, era se proseguire con l’italiano o tentare con l’inglese, e il risultato lo avete tutti sotto gli occhi …

ME Rispetto ai precedenti album, My Next Dawn non presenta appunto solo la novità del ricorso integrale alla lingua inglese, ma anche un deciso cambio di rotta che vi ha visti approdare a sonorità più cupe, per certi versi vicine al doom, ma difficilmente classificabili in maniera netta. Prima definivi la musica dei Tenebrae come “art-rock”, ed oggi?

La lingua per me è sempre stato qualcosa di importante, perché mi permette di entrare in simbiosi e di “vivere” quello che si sta provando a suonare, anche per questo il lavoro inestimabile di Antonella su brani e storia ci vedeva un po’ tutti lavorare gomito a gomito: non c’è un solo passaggio in cui noi ci si chieda: ma qui cosa stiamo dicendo, e cosa vogliamo comunicare?
Ad essere sincero non saprei come classificare la nostra musica: a mio parere, se guardo indietro, tutti e tre i lavori non li vedo così diversi, forse raccontano cose diverse e lo fanno persone diverse, ma con lo stesso identico approccio, e ognuno con il proprio stile, cuore e mezzi.
Poi, se proprio mi chiedi in che scaffale mi cercherei, proverei a dirti gothic metal, doom metal … Oppure meglio ancora sotto la lettera T …

ME Ma quale è in effetti il tuo background musicale? Tanto per capirlo meglio, quali sono i chitarristi che più ti hanno ispirato e spinto prendere in mano lo strumento?

Non ho mai amato di per sé la chitarra come strumento musicale, è sempre stato il mio mezzo per poter dire qualcosa, e ovviamente ho sempre tentato di avere la capacità tecnica di essere in grado di poterlo fare, difatti non so suonare una cover che sia una perché non avrei voglia di mettermi a tirarla giù, sono pigro, nerd e testone.
Ho sempre ascoltato di tutto, dalla musica più commerciale al death metal e, se proprio devo trovare dei chitarristi che mi hanno emozionato sarebbero veramente troppi, ma metto su un mio personale podio emotivo David Gilmour, Yngwie Malmsteen, Andres Segovia ma, ripeto, in realtà sono solo alcuni di un elenco interminabile.
A livello di gruppi ho amato da morire i Pink Floyd, i Radiohead, qualche lavoro degli Smashing Pumkins e Gianmaria Testa, cantautore piemontese scomparso quest’anno; nel metal i Megadeth di Countdown To Extinction e Rust In Peace, i Sepultura e, più di tutti, i miei amatissimi Pain of Salvation fino a Remedy Lane, poi un po’ meno amatissimi ma grandi lo stesso (stessa mia valutazione sui P.O.S., peraltro … ndr)
Ascolto tantissima musica underground e molti gruppi underground mi hanno emozionato tanto quanto i “professionisti”.

ME Tutto sommato le novità a livello musicale coincidono anche con l’approdo ad un diverso immaginario lirico, che trova una sua corrispondenza in sonorità più cupe. Le vostre passate produzioni brillavano anche per testi poetici e profondi , un aspetto che non viene meno neppure stavolta, nonostante i temi trattati siano tutt’altro che intrisi di romanticismo. Sempre a proposito dell’idioma usato nel corso del disco, quanto è risultato complesso questo adattamento, sia per Antonella Bruzzone, nella stesura dei testi, sia per Paolo Ferrarese per quanto riguarda le linee vocali?

Questa è una domanda che mi sarebbe piaciuto poter girare ad Antonella e Paolo, ma posso dire con sicurezza che loro due sono, oltre che una bellissima coppia, una simbiosi molto rara dal punto di vista creativo, quindi trovata una strana alchimia per andare avanti con il resto del gruppo, interfacciarsi ed essere produttivi non diventa complicato.
Antonella ha fatto un lavoro inestimabile, penso, appoggiandosi anche a Ilaria Testa (precedente tastierista dei Tenebrae, ndr) e talvolta a Vanessa Christillin (ex House Of Ashes, label per la quale uscì Il Fuoco Segreto, ndr) , per fare in modo che i testi risultassero perfetti.
Per quanto riguarda invece la vocalità, le sessioni di studio sono state seguite in maniera spietata sempre da Antonella che, con un bastone da fare invidia a Lucille di Negan in The Walking Dead, serviva a motivare adeguatamente il nostro cantante …
Invece, scherzi a parte e ad onor del vero, hanno fatto entrambi un lavoro veramente buono e di livello, al meglio delle loro possibilità, cosa che abbiamo fatto tutti noi del resto.

ME Ho sempre avuto la sensazione che i Tenebrae, nonostante il loro valore oggettivo, pagassero in passato un equivoco di fondo: quello di far parte dell’ambiente metal pur suonando un genere che, per la sua peculiarità, finiva più per avvicinarsi al sentire dei fruitori del progressive, ancor meno propensi dei metallari, però, ad aprirsi alle proposte attuali, preferendo continuare a consumare i loro vecchi vinili degli anni ’70 o a vedere per la millesima volta la stessa cover band dei Genesis … My Next Dawn dovrebbe risolvere la questione, risultando a tutti gli effetti un lavoro più radicato nel metal, pur con tutte le distinzioni del caso. Ti ritrovi in questa chiave di lettura?

Secondo me, e lo dico senza falsa modestia, siamo dove abbiamo meritato di essere, alla fine, cioè un gruppo underground che si è tolto qualche bella soddisfazione: se fossimo stati qualcosa di meglio, come gentilmente sostieni, penso che in qualche modo avremmo raccolto o girato di più su questo “gnucco” minerale chiamato Terra.
A mio parere la “colpa” non è mai di chi ascolta, ma sta a chi suona dover coinvolgere in qualche modo, con quello che fa, l’ascoltatore e se non ci riesce, se il suo obiettivo è quello di arrivare al grande pubblico, beh deve cambiare qualcosa.
Poi capitano casi eccezionali e rari in cui talento e mercato si incontrano, ma non è stato mai il nostro 😉
Abbiamo sempre provato a divertirci nel suonare e raccontare storie, al meglio delle nostre possibilità, ad alcuni siamo piaciuti e hanno gridato al miracolo, altri se ne sono andati annoiati, è giusto che sia così..
Comunque My Next Dawn è un disco che non classificherei ancora del tutto metal, anche se ci sono degli evidenti spunti rispetto al passato, ma un disco dei Tenebrae in cui trovi un po’ di tutto, mescolato ad un anima decisamente più cupa rispetto agli altri due.

ME Volendo considerare comunque My Next Dawn uno spartiacque nella vostra storia, quale altri consuntivi puoi tracciare riguardo al percorso che avete seguito fino ad oggi?

In tanti anni , più di dieci di Tenebrae, posso dire d’esserci tolti delle belle soddisfazioni, per quanto commisurate alla realtà di un piccolo gruppo underground.
Abbiamo diviso il palco e siamo in ottimi rapporti con musicisti come Terence Holler, Rudy Ginanneschi, e tanti tanti altri … la musica mi ha permesso di stringere amicizie con persone dal talento enorme e conoscerne altrettante, ed ottenere quasi sempre, come band, un certo apprezzamento.
Ma la cosa migliore è che, guardandomi alle spalle e stringendo tra le mani i tre dischi fatti fino adesso, mi tornano alla mente tutti gli sforzi fatti con i compagni di viaggio dell’epoca, le litigate le speranze, e le emozioni dello stare sul palco assieme, e aver conosciuto persone che sono ancora oggi parte della mia vita e che non potrei sostituire in nessun modo.
Avere una band è ancora, oggi, una delle poche cose vere, che può far ritenere fortunata una persona.
Come gruppo, invece, non saprei dirti cosa ci aspetta, il futuro è sempre più complicato e dispendioso.
Sicuramente proveremo a trovare qualche data per poter portare in giro il nostro disco, tra mille difficoltà lavorative, di situazione e di opportunità.
Ogni sceltà sarà ben ponderata e la prenderemo insieme, come avviene quasi sempre …

ME Per quanto riguarda l’annoso problema del reperimento di una label, alla fine ha prevalso la soluzione più logica, ovvero quella di affidarsi a qualcuno che si conosce bene da molto tempo, come Daniele Pascali e la sua Black Tears …

Daniele è un caro amico ed una persona affidabile, e siamo subito entrati in sintonia su quello che si potrà fare insieme: speriamo che la nostra collaborazione possa durare nel corso degli anni, visto che segue con grande professionalità le band con cui collabora.
Si è sempre dimostrato una persona di cuore e con una passione infinita per la musica, ed essendo anch’io un accanito fan di band underground, è una delle poche persone che si incontrano in tutti i contesti, sia come spettatore che come titolare della Black Tears.

ME Cosa ne pensi, spassionatamente, della scena musicale rock e metal a Genova e in Italia ?

Genova è una piazza dove le persone sono molto dotate e difficili, e i gruppi validi e con tante cose da dire.
Il mugugno impera, infatti quando a Genova qualcosa va bene ci si lamenta perché poteva andare meglio e assicuro che i luoghi comuni sui genovesi e la loro ospitalità, beh,  sono tutti veri …
Purtroppo non si può parlare di scena vera e propria, perché manca una coesione tra i gruppi (a parte rarissimi casi) e mancano i locali in cui proporla: ad oggi è sopravvissuto solamente l’Angelo Azzurro, e il sindaco purtroppo, con una ordinanza senza senso, ha impedito di fatto al 261, altro locale di Genova che manteneva viva la linfa della musica rock e metal in città, di continuare l’attività.
Ho visto tanto tanto amore per la musica, invece, soprattutto da parte di chi non suona, partecipando con sorriso e affetto alle serate e divertendosi senza farsi troppi problemi.
Le esperienze che ho avuto con i gruppi da fuori Liguria sono state sicuramente molto buone e ricordo con grande piacere Lenore’s Fingers e Shores of Null, con i quali abbiamo condiviso tre splendide date.

ME A proposito, ritengo che un disco come My Next Dawn renda anche più semplice e meno forzata la vostra convivenza sul palco con altre band di natura più estrema: penso che oggi, tanto per restare a Genova, non sfigurereste se vi trovaste a suonare con i Desecrate piuttosto che con gli Abysmal Grief. A tale riguardo, avete già avuto qualche abboccamento per portare l’album dal vivo anche fuori dai confini cittadini e regionali?

Penso che tu abbia ragione: da questo punto di vista My Next Dawn ci rende più accostabili anche ai gruppi da te sopra citati, che peraltro sono carissimi amici e con i quali condivideremmo stra-volentieri qualche data o tour.
Saremo comunque onoratissimi ospiti dei Tethra, per la loro data di presentazione del nuovo album a Cassano D’Adda l’11 febbraio (una data da non perdere visto che ci sarà anche un’altra magnifica band ligure, i Plateau Sigma, ndr)  dopo di che chissà, per adesso viviamo alla giornata …

ME Concludendo questa chiacchierata ti faccio una domanda difficile: ritieni che questa line-up possa considerarsi finalmente stabile, consentendo così una pianificazione dell’attività dei Tenebrae a lungo termine ?

Hai ragione è una domanda difficile, ma alla quale non posso che rispondere … beh speriamo, me lo auguro di cuore!
Ormai elementi come Paolo e Fabrizio (Garofalo, basso) sono parte storica della band: entrambi hanno due dischi alle spalle fatti come Tenebrae e penso abbiano a cuore il progetto tanto quanto me, e anche Massimiliano e Fulvio, soprattutto ultimamente, penso che stiano facendo bene.
Credo che da subito proveremo in saletta a metterci subito al lavoro per cercare di scrollarci di dosso mesi e mesi di My Next Dawn che, per voi che ascoltate sarà anche una novità, per noi che abbiamo sviscerato ogni secondo del disco (e visto che mi conosci sai proprio che è così che è andata) molto meno, quindi ci metteremo subito con le pance ancora piene dalle festività recenti a tirar giù qualche idea.
Cambieremo di nuovo faccia, o rimarremo su questa falsariga?
Sinceramente non ne ho la minima idea.
Ma sicuramente racconteremo un’altra storia e in base a quella imbracceremo gli strumenti e cercheremo di emozionarci ed emozionarvi al meglio delle nostre possibilità.
Finché esisteranno questi presupposti, in qualche modo si riuscirà ad andare avanti, tutti insieme.
Grazie mille Stefano per questa bella chiacchierata.

Delirium X Tremens – Troi

Metal estremo atmosfericamente sopra la media, un tuffo nella tradizione popolare di uno dei territori più belli, misteriosi e ricchi di leggende della nostra penisola,

Sono ormai anni che il monicker Delirium X Tremens gira nella scena estrema underground, almeno da quando Cyberhuman, debutto in mini cd, fece conoscere la band bellunese ai fans del metallo estremo.

Il gruppo, duro e pesante come uno dei passi dolomitici affrontati in bicicletta, arriva tramite la Punishment 18 Records al terzo full length della sua ormai lunga carriera, successore di CreHated from No_Thing del 2007 e Belo Dunum, Echoes from the Past, licenziato cinque anni fa: Troi è un concept che racconta il viaggio di un ragazzo guidato da un gufo posseduto dall’anima di un alpino, verso la casa dove è custodito un importante album di fotografie.
Veniamo quindi trasportati nell’immaginario montano delle Dolomiti, tra orgoglio nordico, spunti folk popolari di quelle terre e metal estremo, a tratti epico, devastante ed originale nel saper mantenere con sagacia l’equilibrio tra death metal old school e spunti musicali che vanno dal folk al rock, dalla musica popolare a mood alternativi che, all’apparenza, con il metal estremo c’entrano poco ma fondamentali nel sound del quartetto bellunese.
I Delirium X Tremens sono un gruppo originale, su questo non c’è il minimo dubbio, e anche per questo il nuovo lavoro ha bisogno di qualche giro in più nel laser ottico per essere pienamente assimilato, ma l’atmosfera malinconicamente epica di brani che sprizzano tradizione nordica (finalmente italiana, aggiungo), come Col Di Lana/Mount Of Blood, The Voice Of The Holy River e la tragicità di eventi drammatici e storici come Spettri nella Steppa, fanno di Troi un lavoro sicuramente affascinante.
Un’opera di metal estremo atmosfericamente sopra la media, un tuffo nella tradizione popolare di uno dei territori più misteriosi e ricchi di leggende della nostra penisola, tra il freddo, la solitudine e la magica bellezza delle Dolomiti.

TRACKLIST
01. Ancient Wings
02. Col Di Lana, Mount Of Blood
03. The Dead Of Stone
04. The Voice Of The Holy River
05. Owl
06. Spettri Nella Steppa
07. Song To Hall Up High (Bathory Cover)
08. When The Mountain Call The Storm
09. The Picture

LINE-UP
Ciardo – Vocals
Med – Guitars
Thomas – Drums
Pondro – Bass

DELIRIUM X TREMENS – Facebook

Klimt 1918 – Sentimentale Jugend

Il lungo silenzio discografico dei Klimt 1918 viene ampiamente compensato dalla pubblicazione di un lavoro di livello eccelso.

Un periodo lungo sei anni può apparire molto breve o pressoché eterno, dipende tutto dal contesto e dall’importanza che riveste per ciascuno il concetto di tempo.

Fatto sta che i Klimt 1918 si palesano nuovamente all’attenzione dei musicofili alla costante ricerca di sonorità nelle quali malinconia e melodia si rincorrono, senza mai ammiccare ad una facile fruibilità.
Del resto, solo l’idea di ripresentarsi al pubblico con quasi due ore di musica non sembra proprio indicare una scelta biecamente commerciale, in tempi di ascolti usa e getta portati alle estreme conseguenze; tra l’altro, la musica della band romana non è certo un qualcosa che possa essere affrontata con noncuranza, nonostante una sua levità del tutto apparente: il pop rock dei Klimt 1918, ora screziato di oscurità, ora sognante all’insegna del migliore shoegaze, gode di una profondità che lo rende peculiare, scoraggiando chiunque provi a cercare termini di paragone comodi quanto fuorvianti.
Sentimentale Jugend è un album che ha avuto una lunga gestazione, e quello che sorprende di più è l’apprendere, dalle parole di presentazione dello stesso Marco Soellner, quanto il tutto si manifesti ad un tale livello di perfezione malgrado uno sviluppo in tempi così dilatati e le naturali interferenze che la vita quotidiana piazza sulla strada di musicisti impossibilitati, purtroppo, a campare delle propria arte. Anche per questo, quando ci viene fornita la possibilità di ascoltare opere di un certo spessore, dovremmo provare ad immedesimarci nelle difficoltà che affrontano le nostre band rispetto, per esempio, a quelle del Nord Europa, agevolate da organizzazioni statali che sicuramente favoriscono chi voglia trovare uno sbocco alla propria indole artistica.
Fatte le dovute premesse, non resta che tuffarsi in questo vasto oceano di note che, fin dal titolo, riporta ad una Berlino crepuscolare e ad un afflato poetico che, pur ispirandosi negli intenti alla scena settantiana della capitale tedesca, trae linfa dalla Città Eterna e dall’esplorazione dei suoi meandri più oscuri, cosa che è stata fatta con successo in epoca recente, pur utilizzando differenti coordinate sonore, da altre band capitoline come Riti Occulti, Rome in Monochrome o Raspail (questi ultimi collegati ai Klimt 1918  per la presenza in line-up di elementi comuni).
Montecristo, Comandante e La Notte è il trittico d’apertura del CD Sentimentale, che da solo basterebbe a nobilitare l’intera carriera di centinaia di gruppi: tre maniere diverse, ma ugualmente convincenti, di interpretare la materia, con il mio personale picco di gradimento per La Notte, brano cantato in italiano contraddistinto da un fremente crescendo; la prima delle due parti dell’opera vede ancora Belvedere e la title track quali ulteriori vertici qualitativi, senza dimenticare la splendida cover di Take My Breath Away, canzone composta per i Berlin esattamente trent’anni fa dal più “berlinese” dei musicisti italiani, Giorgio Moroder.
Il secondo CD, Jugend, non differisce più di tanto dal precedente dal punto di vista stilistico, a parte forse un piglio leggermente più nervoso, ben esplicitato dai ritmi sostenuti di Sant’Angelo (The Sound & The Fury), preceduta però dalle ariose aperture melodiche di Ciudad Lineal; qui altri picchi sono The Hunger Strike, canzone che gode di una seconda parte in cui i fiati vanno a sovrapporsi ad una progressione sognante, e la poesia musicata di Stupenda e Misera Città.
In questa lunga traccia, la voce del noto doppiatore Max Alto interpreta la prima parte del poemetto pasoliniano “Il pianto della scavatrice” sopra un tessuto sonoro che ne enfatizza l’impatto evocativo: l’omaggio ad un grande poeta si rivela l’ideale chiusura di un opera che, proprio nella poesia, trova il suo aspetto più caratterizzante, pur se veicolato dai suoni per lo più liquidi e morbidi dello shoegaze d’autore.
La scelta di una produzione volutamente non troppo “leccata” aumenta il potenziale oscuro di un lavoro la cui lunghezza, se da una parte ne rende più laboriosa l’assimilazione, dall’altra consente di godere di un robusto fatturato di musica emozionante, senza momenti deboli salvo, forse, la canzone più sbilanciata verso il pop britannico, Nostalghia, ma che probabilmente mi appare tale più per gusto personale che non per oggettivi demeriti dei Klimt 1918.
Per concludere, una nota di servizio utile ai molti che (si spera) decideranno di fare proprio Sentimentale Jugend: l’opera è disponibile nel formato integrale in doppio CD, ma Sentimentale e Jugend possono essere acquistati anche separatamente, con due diverse copertine; ritengo però difficile, ed anche inopportuno, che qualcuno possa optare per l’uno o l’altro disco, vista la citata contiguità stilistica che li accomuna, per cui consiglio vivamente di non fare troppi calcoli scegliendo la versione completa, ne vale davvero la pena.

Tracklist:
CD 1 Sentimentale
1.Montecristo
2.Comandante
3.La Notte
4.It Was To Be
5.Belvedere
6.Once We Were
7.Take My Breath Away
8.Sentimentale
9.Gaza Youth

CD 2 Jugend
1.Nostalghia
2.Fracture
3.Ciudad Lineal
4.Sant’Angelo (The Sound & The Fury)
5.Unemployed & Dreamrunner
6.The Hunger Strike
7.Resig-nation
8.Caelum Stellatum
9.Juvenile
10.Stupenda e Misera Città
11.Lycans

Line-up:
Marco Soellner – vocals & guitars
Paolo Soellner – drums & percussions
Davide Pesola – bass
Francesco Conte – guitars

KLIMT 1918 – Facebook

Attractha – No Fear to Face What’s Buried Inside You

Questo è heavy metal con i piedi ben piantati nel nuovo millennio che, senza spingersi troppo verso orizzonti moderni, riesce a risultare al passo coi tempi.

Heavy metal che amalgama una manciata di generi in un unico sound potente e a tratti diretto, mantenendo le caratteristiche peculiari delle migliori metal band nate in Brasile.

Debuttano sulla lunga distanza gli AttracthA e lo fanno con un lavoro estremamente metallico, dalle ottime intuizioni hard rock moderne e con  qualche soluzione progressive che valorizza il sound di cui è composto No Fear to Face What’s Buried Inside You.
Nato ormai da quasi una decina d’anni e con un ep all’attivo, il gruppo di San Paolo ha fatto le cose in grande per questo suo primo, importante lavoro, con Edu Falaschi (Angra, Almah) alla produzione e successivamente il mix e il mastering eseguiti a Los Angels da Damien Rainaud (Fear Factory, DragonForce and Babymetal).
Ne esce un buon lavoro, potente e metallico, tra soluzioni moderne ed ottime parti dove il metal tradizionale e l’hard rock fanno capolino tra il solchi dei nove brani in scaletta.
Un sound d’assalto, come già scritto, che non fa mancare ritmiche che alternano groove e parti più intricate, con la voce maschia del buon Cleber Krichinak che comanda le operazioni con piglio e tanta grinta.
I rimandi sono tutti al metal statunitense, con accelerazioni al limite del thrash Bay Area e chorus che mantengono un buon appeal anche nelle parti più aggressive.
Questo è heavy metal con i piedi ben piantati nel nuovo millennio che, senza spingersi troppo verso orizzonti moderni, riesce a risultare al passo coi tempi, basta soffermarsi sulla splendida No More Lies, mid tempo drammatico e progressivo dove convivono in armonia le varie ispirazioni del gruppo.
Più diretta la prima parte (Bleeding in Silence, Move On), dall’approccio diretto, più ragionata ed intimista la seconda, con i brani migliori del lavoro ad alzare il valore dell’album (oltre No More Lies si distinguono Holy Journey, altro mid tempo da applausi, e la progressiva Victorius).
In conclusione, No Fear to Face What’s Buried Inside You è un buon lavoro, se siete amanti del metal made in U.S.A. un ascolto è consigliato.

TRACKLIST
1.Bleeding in Silence
2.Unmasked Files (Revisited)
3.231
4.Move On
5.Mistakes and Scars
6.No More Lies
7.Holy Journey
8.Victorious
9.Payback Time

LINE-UP
Cleber Krichinak – Vocals
Humberto Zambrin – Drums
Ricardo Oliveira – Guitars
Guilherme Momesso – Bass

ATTRACTHA – Facebook

Noise Trail Immersion – Womb

Tecnica e capacità compositiva sono importanti e notevoli in questo disco, ma la cosa più importante è il cuore di questo gruppo, la capacità di creare empatia con l’ascoltatore.

Pesantissimo esordio discografico per questo gruppo torinese, dedito ad un hardcore metal nerissimo, con incursioni nel death metal e nel math, con inaspettate e bellissime aperture melodiche.

I Noise Trail Immersion sono un gruppo che ha sicuramente attinto a Converge, The Secret e Dillinger Escape Plan, e la loro capacità più grande è di essere partiti da qui per intraprendere un cammino totalmente nuovo e ricchissimo. Anche grazie all’ottima produzione si possono sentire canzoni cariche di furia, di tecnica, di melodie da scoprire e tanta voglia di coinvolgere l’ascoltatore. Quello che vi aspetta in questo disco è un nero ed oscuro viaggio, ma sarà molto piacevole, poiché è da tempo che non si ascoltava un lavoro simile nel genere, che poi non è un genere musicale tout court bensì una maniera di sentire. I Noise Trail Immersion ci portano in bui corridoi dove ci aspettano bestie sconosciute e umani che potrebbero essere i nostri cari, ma li vedrete come personaggi di SIlent Hill. L’assalto sonoro è notevole, ma ciò che colpisce di più è al straordinaria capacità di colpire l’ascoltatore per poi innalzarlo con aperture bellissime. Ogni canzone si fa ascoltare fino in fondo, ogni canzone è un piccolo movimento di un’opera più grande, dove tutto è incastonato perfettamente in un’apocalisse sonora e di sentimenti sublime.
Tecnica e capacità compositiva sono importanti e notevoli in questo disco, ma la cosa più importante è il cuore di questo gruppo, la capacità di creare empatia con l’ascoltatore. Bellissimo, e pensare che al primo ascolto non mi era piaciuto.

TRACKLIST
1.Border
2.In Somnis
3.Light Eaters
4.Placenta
5.Womb
6.Organism
7.Hypnagogic
8.Tongueless
9.Birth

LINE-UP
Membri
Fabio – vox
Davide – guitar
Daniele – guitar
Lorenzo – bass
Paolo – drums

NOISE TRAIL IMMERSION – Facebook

Ghost Of Mary – Oblivaeon

Un’opera che va assaporata e fatta propria gustandosi ogni passaggio, sempre in bilico tra le varie atmosfere che compongono il death gotico suonato dal gruppo

Decisamente interessante il debutto dei nostrani Ghost Of Mary, un concept ispirato da un racconto del cantante Daniele Rini incentrato sulla vita e sulla morte e accompagnato da un notevole death sinfonica arricchito da ottime parti classiche e gothic doom.

Un’opera dark, oscura e malinconica che tocca il genere in tutte le sue sfumature, regalando all’ascoltatore un sunto del death metal gotico, partendo addirittura dai primi anni novanta, in particolare dalla scena olandese.
Infatti quest’album torna a far risplendere uno dei movimenti più importanti per lo sviluppo di queste sonorità, affiancando al lento incedere, elegantemente sfiorato dagli strumenti classici, sfuriate estreme di matrice scandinava e dark rock per un risultato che, nella sua altalena di ombrose ed oscure emozioni, si rivela del tuto all’altezza della situazione.
Oblivaeon è un disco vario, maturo, perfettamente in grado di mantenere la giusta tensione e non far perdere l’attenzione all’ascoltatore, travolto dalle sorprese che il gruppo riversa in un songwriting ispiratissimo, così da passare agevolmente tra le ispirazioni che hanno portato alla stesura dei brani in modo fluido e senza forzature.
Death metal melodico d’alta classe, quindi, impreziosito da un’ottima parte orchestrale, da un muro ritmico estremo efficace e da un’interpretazione magistrale di Rini, bravo sia con le parti estreme che con le clean vocals.
Un’opera che va assaporata e fatta propria gustandosi ogni passaggio, sempre in bilico tra le varie atmosfere che compongono il death gotico suonato dal gruppo, ma che ovviamente non manca di picchi qualitativi molto alti come la magnifica Shades, insieme a Something To Know e The End is the Beginning, altri due piccoli gioiellini di questo bellissimo lavoro, esempio perfetto di quello che a mio parere è la maggiore caratteristica del sound dei Ghost Of Mary: death gothic olandese e death melodico scandinavo che si scambiano gli onori e gli oneri in perfetta armonia.
Provate ad immaginare i primi The Gathering, Dark Tranquillity ed un accenno ai Lacrimosa più sinfonici ed avrete un’idea attendibile di cosa vi aspetta tra i solchi di Oblivaeon.

TRACKLIST
1.The Moon and the Tree
2.Shades
3.Last Guardian
4.Nothing
5.The Ancient Abyss
6.Oblivaeon
7.Black Star
8.Something to Know
9.The End is the Beginning
10.Nowhere Now Here
11.The Ancient Abyss (piano version)

LINE-UP

Daniele Rini – voice
Mauro Nicolì – guitar
Gabriele Muja – guitar
Nicola Lezzi – bass
Damiano Rielli – drums
Joele Micelli – violin

GHOST OF MARY – Facebook

childthemewp.com