VICOLO INFERNO

Vicolo Inferno: svelati i dettagli di “Stray Ideals”

Vicolo Inferno: svelati i dettagli di “Stray Ideals”
Il nuovo album degli hard rocker Vicolo Inferno, intitolato “Stray Ideals”, vedrà la luce l’11 Novembre 2016 via LOGIC IL LOGIC Records/Andromeda Distribuzioni. “Come già fatto con il debut “Hourglass”, anche con questo nuovo capitolo, contenuti e songwriting non hanno una sola direzione” – ci racconta il frontman Igor – “Penso che abbiamo fatto un passo deciso verso l’affermazione di una nostra identità o quantomeno verso il nostro modo di interpretare ‘il Rock’, di esprimere la nostra musica. Abbiamo lavorato duro tutti quanti e messa molta più attenzione in ogni aspetto della sua realizzazione, compresa la scelta dalla tracklist che è stata pensata come un crescendo per l’ascoltatore. Una buona parte del merito va senza dubbio alla produzione curata da Riccardo ‘Paso’ Pasini dello Studio73, che è riuscito a catturarci con ottime soluzioni, dando alle tracce che compongono “Stray Ideals” suoni e atmosfere che lo esaltano. Per quanto riguarda l’artwork ci siamo affidati a Simone Bertozzi (The Heartwork), al quale abbiamo chiesto una cover d’impatto e simbolica legata alla title track, che fosse ‘di rottura’ e che lasciasse ad ogni occhio la propria interpretazione. Ora siamo carichi al massimo per promuoverlo sopra e fuori dal palco e orgogliosi di pubblicarlo dando seguito alla collaborazione con i ragazzi di LOGIC IL LOGIC”.

Tracklist:

1. Grey Matter Brain
2. Dirty “Magazzeno”
3. Rude Soul
4. Stray Ideals
5. Two Matches
6. Unnameables
7. Ambush
8. Heartwoofer
9. On Road’s Edge
10. Rough Hills
11. Noise Of Silence
12. Crosses Market
13. Blood Mist

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www.logicillogic.net

Créatures – Le Noir Village

L’operato dei Creatures va assaporato come una vera e propria rappresentazione teatrale, per coglierne più efficacemente l’essenza.

Dopo alcuni anni di gestazione prende corpo il progetto solista di Sparda, i Créatures: il musicista francese, per questa sua prima uscita ufficiale, mette in scena un lavoro ambizioso ed articolato.

Le Noir Village è un concept album che narra di nefasti avvenimenti verificatisi nel corso del XII secolo in uno sperduto paesino, teatro delle efferate gesta di entità mostruose e di piccole grandi tragedie che vanno a sconvolgere la comunità.
La colonna sonora di un simile lavoro non può che essere un metal dalle connotazioni orrorifiche, che attinge a livello attitudinale a nomi quali King Diamond e Death SS, ma reso in maniera piuttosto personale grazie ad una componente black che rende ancor più dinamico il sound.
I rischi di rilasciare un’opera pomposa e frammentaria erano molti, ma Sparda sfugge abilmente a questa trappola grazie ad un buon songwriting, sempre volto alla costante ricerca della forma canzone nonostante la connotazione quasi teatrale del lavoro, conferita dalla presenza di diversi ospiti ai quali, proprio come in una rappresentazione, sono state affidate le parti vocali corrispondenti ai diversi personaggi che, di volta in volta, si ergono a protagonisti del racconto.
Le Noir Village scorre via, quindi, convincente in tutte le sue parti, avvalendosi anche di testi decisamente belli, spesso toccanti e comunque mai banali, con il solo difetto della stesura in lingua madre, il che rende sicuramente più semplice a Sparda tessere in maniera efficace la trama ma complicandone la comprensione immediata a quegli ascoltatori privi di dimestichezza con il francese.
Poco male, comunque, un pò’ perché non è difficile trovare il modo di tradurli in maniera più o meno coerente, e soprattutto perché la buona interpretazione di ciascun cantante alle prese con i diversi carattere riesce a trasmettere compiutamente la gamma di sensazioni che il musicista transalpino ben esprime con il suo lavoro.
Se vogliamo cercare davvero il pelo nell’uovo, non si può fare ameno di notare quanto i prime tre brani siano decisamente miglior dei restanti, che restano comunque di buon livello, senza però raggiungere la drammaticità di L’Horreur des Lunes Pleines e Martyre d’un Tanneur.
Le Noir Village è un disco affascinante ma non semplicissimo da digerire, alla luce delle sue atmosfere che cambiano sovente assecondando l’entrata in scena dei vari personaggi, ed è proprio come una rappresentazione teatrale che, alla fine, l’operato dei Creatures va assaporato per coglierne più efficacemente l’essenza.

Tracklist:
1- L’Horreur des Lunes Pleines
2- Cadavre abandonné
3- Martyre d’un Tanneur
4- À l’orée du Mal, le Pacte interdit
5- Il était un Monstre assoiffé de Cœur
6- Sous le Visage avenant de la Mort

Line-up:
Sparda – concept, composition, writing, recording guitars, bass, piano, organ, ocarina, dung chen, singing bowls, gong, interpretations of Lothar, celestial choirs

Guests:
Ehrryk (Gotholocaust) – battery
Sha’Ilùm (Ê) – Zarb, daf, dap, udu, darbuka
Cam.L – cello
LeksyK – violin
Hyvermor (Hanternoz) – Grimoald interpretation, writing support, medieval expertise
Lazareth (Ordo Blasphemus) – interpretation of the angel, trumpets
Josie Frost (Black Knight Symfonia) – interpretation of Eleanor
Arnev (Aezh Morvarc’h) – interpretation of Roderic
Oz (Electric Age) – interpretation of the Vampire
Geraud de Verenhe (Borgia) – interpretation of the Priest
Lokaeda (Hanternoz) – interpretation of Alaric
Haement – interpretation of Demon, guitar solo on « À l’orée du Mal, le Pacte interdit »
Aliunde (Grylle) – interpretation of Theodora

CREATURES – Facebook

Life’s December – Fatigue

I Life’s December dimostrano di essere un gruppo non per tutti, sicuramente solo per chi ha lo stomaco per digerire tutto il male che la loro musica emana a dismisura.

E’ passato meno di un anno e ritorniamo a respirare l’aria soffocante, malata e violenta di cui era pregno Colder, primo lavoro dei Life’s December, giovane gruppo svizzero che continua anche in questo nuovo Fatigue, ad impressionare per la violenza intrinseca nella loro musica, schizoide, malatissima e destabilizzante.

Due lavori in meno di un anno, uniti da un’atmosfera di dolore, dramma e pazzia, un male di vivere estremizzato a colpi di metal moderno, deathcore, parti elettroniche e djent che uniscono le proprie forze per produrre sofferenza in musica.
Una musica, altamente estrema, potente e pesantissima, ma resa ancora più sconvolgente dal talento del gruppo per creare atmosfere gelide, asettiche ed inumane.
E’ ancora una volta il vocalist Rico Bamert che prende per mano il sound del gruppo e lo valorizza con una prova priva di senno, dolorosamente destabilizzante in un clima di autentico terrore mentale.
Un male di vivere che si può toccare, accompagnato da suoni di chitarra distorti e lancinanti, ritmiche marziali sorrette da un basso che strappa l’anima in un clima da elettroshock, perpetuato nei confronti delle vittime da questi cinque psichiatri pazzi.
O Dulce Nomen Obitus posta in chiusura è il capolavoro dell’album: ventidue minuti (nel genere un’eternità) di suoni moderni sofferti e raggelanti dove tra lo spartito si possono incontrare i resti di una mente malata, la tragica e lancinante sofferenza di una vita imbavagliata nella propria prigione mentale costruita su labili fondamenta di normalità.
Con un altro lavoro originale e terribilmente disturbante, i Life’s December dimostrano di essere un gruppo non per tutti, sicuramente solo per chi ha lo stomaco per digerire tutto il male che la loro musica emana a dismisura.

TRACKLIST
1. Shattered
2.SecondLife
3. DeadEnd
4.Omniscient 5.Worthlesser 6.JustAnotherError
7.II
8.Construct 9.Monopole
10.Fatigue
11. Sleepless
12. O Dulce Nomen Obitus

LINE-UP
Rico Bamert- Vocals
David Mühlethaler- Guitars
Valens Wullschleger- Guitars
Jérémie Gonzalez- Drums
Simon Mäder- Bass

LIFE’S DECEMBER – Facebook

King Dude – Sex

In definitiva Sex è un disco di folkore americano altro, ben suonato e composto ancora meglio.

Continua il viaggio nelle molteplicità dell’animo umano di King Dude, il cantautore neofolk e darkwave americano che tanto bene ha fatto in questi ultimi anni. King Dude ha cambiato i confini di un genere di nicchia ma dalle grandi potenzialità come il neoofolk, facendolo sposare alla darkwave e alla new wave.

Il suo cantato è potente, suadente e racconta viaggi nelle malebolge, negli anfratti del nostro io, angoli ciechi che non vediamo nemmeno allo specchio. La sua voce ti entra dentro, e scava alla ricerca di cose che sono dentro di noi e che a volte spingono per uscire. La sua maturazione è costante disco dopo disco, e sta portando ad una musicalità che è unica ed appartiene solo a lui. Il sasso gettato nello stagno del neofolk da King Dude sta portando una ventata di novità nel genere, che stava ristagnando. Sex è una ricerca intorno a tutto ciò che è sesso, ma è soprattutto un’indagine pasoliniana su questo sommovimento del corpo e dell’anima che si chiama sesso. Potrà sembrare una bestialità, ma King Dude mi sembra l’unico che possa raccogliere l’eredità di Johnny Cash, quel mettere in musica in altra maniera i sentimenti umani, con un codice totalmente diverso dagli altri.
Il suo stile è immediatamente riconoscibile ed è un piacere fisico stare ad ascoltare le sue storie. In definitiva Sex è un disco di folkore americano altro, ben suonato e composto ancora meglio.

TRACKLIST
1.Holy Christos
2.Who Taught You How To Love
3.I Wanna Die at 69
4.Our Love Will Carry On
5.Sex Dungeon (USA)
6.Conflict & Climax
7.The Leather One
8.Swedish Boys
9.Prisoners
10.The Girls
11.Shine Your Light

KING DUDE – Facebook

While Sun Ends – Terminus

I While Sun Ends combinano vari elementi della musica estrema e progressiva con buona sagacia, pescando dal metal estremo tradizionale e da quello più moderno

E’ indubbio che il successo del progressive metal dalle contaminazioni death ed estreme abbia portato un po’ di freschezza al movimento e un più considerazione da parte di chi ha sempre visto il progressive come musica altamente nobile e da non provare ad avvicinare agli altri generi che compongono l’universo della musica rock.

L’ottima considerazione di gruppi come gli Opeth, probabilmente la band più conosciuta ed ammirata da parte dei sommi scribacchini di parte e dei fans alquanto altezzosi del progressive, ed un sempre maggior numero di gruppi dediti a queste sonorità, col tempo hanno creato una scena che, anche nel nostro paese, annovera realtà di ottima qualità e prospettive.
Terminus dei bergamaschi While Sun Ends ne è un esempio: licenziato dalla label tedesca Wooaaargh, l’album è il secondo sulla lunga distanza del gruppo, succede alla prima opera The Emptiness Beyond uscita cinque anni fa e ad un ep, Knowledge, targato 2013.
I While Sun Ends combinano vari elementi della musica estrema e progressiva con buona sagacia, pescando dal metal estremo tradizionale e da quello più moderno, amalgamandolo ad una vena dark prog e cercando di ritagliarsi un proprio spazio nel mondo della musica estrema più adulta.
E la maturità compositiva infatti è la prima virtù del gruppo, le atmosfere plumbee e darkeggianti, valorizzate dall’interpretazione della vocalist Stefania Torino, lasciano spazio a crescendo di tensione che sfociano in esplosione di metallo progressivo e drammatico, condotto dal growl in un continuo scambio di atmosfere che, se mantengono i colori oscuri del genere, lasciano che il sound rimbalzi tra soluzioni alternative e death metal tout court, ben assortiti da prestazioni ottime a livello tecnico, virtù essenziale per il genere suonato.
Ne esce un buon lavoro, apprezzabile nella sua natura intimista, melodico ed irruente, tormentato e aggressivo con almeno un paio di brani molto belli come Cycles e Seesaw.
Lamb Of God, Katatonia, gli immancabili Opeth e qualche richiamo al rock dark e progressivo dei Tool, sono le ispirazioni su cui si poggia il sound dei While Sun Ends, perciò se siete amanti delle band sopracitate Terminus è altamente consigliato.

TRACKLIST
1. Tritogenia
2. Cycles
3. Measure
4. Sides
5. Seesaw
6. View
7. Elevation
8. Synthesis

LINE-UP
Stefania Torino – Growl & Clean Vocals
Massimo Tedeschi – Guitar/Vox
Diego Marchesi – Guitar
Carlo Leone – Bass/Vox
Enrico Brugali – Drums

WHILE SUN ENDS – Facebook

DESTRAGE

Il prossimo 21 Ottobre i DESTRAGE pubblicheranno “A Means To No End” il quarto capitolo della discografia della band. Bagana Rock Agency è orgogliosa di annunciare la prima parte del tour italiano della band.

Dopo il Release Party previsto per il 28 Ottobre al Magnolia di Milano, saranno cinque gli imperdibili appuntamenti live con i DESTRAGE. Si inizia il 12 novembre al Revolver di San Donà di Piave (VE), fino al 10 dicembre al Traffic di Roma, passando per Gorizia, Modena e Calenzano (FI). Questa sarà solo la prima parte del tour che poi proseguirà ad inizio 2017.

DESTRAGE – “A Means To No End” Italian Shows – Part One

28/10 @ Circolo Magnolia, Segrate (MI) – Release Party – Evento FB
12/11 @ Revolver, San Donà di Piave (VE) – Evento FB
26/11 @ TBA, Gorizia – Evento FB
08/12 @ La Tenda, Modena – Evento FB
09/12 @ Cycle, Calenzano (FI) – Evento FB
10/12 @ Traffic, Roma – Evento FB

destrage1

Info su biglietti e prevendite a breve

booking@baganarock.com
www.baganarock.com

“A Means To No End” è il quarto studio album dei Destrage e si presenta come un grande passo in avanti nel sound della band. Le parole di Matteo Di Gioia: “Abbiamo sfidato noi stessi senza abbandonarci a ciò che sappiamo di poter fare. Questa volta volevamo scrivere un album compatto”. Questo nuovo capitolo segue il successo di “Are You Kidding Me? No.” del 2014 che ha proiettato la band tra le eccellenze del metal mondiale. “La cosa peggiore che possa accadere a una band è quella di diventare l’ombra di se stessa. Sapevamo che ogni possibile ripetizione di “Kidding” sarebbe stata disonesta. Quindi abbiamo preso un’altra via, concentrandoci su ciò che sentivamo in quel momento. Un album è, prima di tutto, un ritratto di famiglia, un racconto del proprio tempo”.

SYMPHONY OF THE EGO Lyric Video

Crystalmoors – The Mountain Will Forgive Us

I Crystalmoors hanno voluto offrire qualcosa in più rispetto ad un buonissimo e classico album, inserendo un secondo cd contenete le versioni folk di brani nuovi e vecchi

Non è così scontato imbattersi in band capaci di rendere in maniera così fluida e credibile la fusione tra la materia metal e quella folk: i cantabrici Crystalmoors ci riescono brillantemente con questo loro terzo full length intitolato The Mountain Will Forgive Us.

La band ha una genesi risalente ancora al secolo scorso ma il primo album su lunga distanza ha visto la luce nel 2008; a cinque anni dal precedente Circle of the Five Serpents, il gruppo di Santander presenta la propria personale interpretazione del pagan black metal che risulta avvincente ed accattivante, grazie alla dote non comune di costruire brani piuttosto aspri ma contenenti quelle linee melodiche che rimandano con decisione alla tradizione della musica popolare.
Non va dimenticato neppure che in questa occasione i Crystalmoors hanno voluto offrire qualcosa in più rispetto ad un buonissimo e classico album, inserendo un secondo cd contenete le versioni folk (ovvero scremate dalle loro componente metallica) di brani nuovi e vecchi; difficile quindi che gli appassionati al genere non possano apprezzare una simile scelta, in grado di accontentare tutti, al di là delle singole propensioni verso l’uno o l’altro genere.
La prima parte, intitolata The Sap That Feed Us, è fatta di nove brani di buona fattura, intensi e piuttosto diretti, tra i quali spicca l’anthemica Over The Same Land, tipica canzone capace di trascinare il pubblico in sede live, ma ottime sono anche Devotio Iberica e la più complessa When The Caves Spoke.
Il secondo cd, intitolato La Montaña, mostra il lato folk della band spagnola che, nonostante il ricorso a strumenti per lo più acustici, non rinuncia alle harsh vocals di Uruksoth Lavín, il che stende sul sound una patina ugualmente oscura, così come avviene nel cd, per così dire, più canonico. Nello specifico, come detto, vengono riproposte versioni di brani del passato, oltre ad una Over The Same Land sempre efficace anche nella sua nuova veste, tra le quali brilla di luce particolare la terna finale Greyland Lábaro, Crown of Wolves e Nabia Orebia.
Insomma, The Mountain Will Forgive Us si rivela un lavoro esaustivo e completo che, da un lato, rafforza lo status già soddisfacente raggiunto dai Crystalmoors con le precedenti opere, e dall’ altro ne fa emergere le doti di band capace di manipolare con disinvoltura la materia pagan folk black.

Tracklist:
CD 1: ‘The Mountain Will Forgive Us’
1. Memories
2. Devotio Ibérica
3. Over The Same Land
4. The Mountain
5. A Last Breath Of Peace
6. The Oldest One
7. The Eye Of The Tyrant
8. When The Caves Spoke
9. A Man Under Wolfskin

CD2: La Montaña
10. Over The Same Land (folk version)
11. The Mountain (folk version)
12. Defendiendo Amaia (folk version)
13. Since Old Times (folk version)
14. The Mountain Will Forgive Us (folk version)
15. Greyland Lábaro (folk version)
16. Crown of Wolves (folk version)
17. Nabia Orebia (folk version)

Line-up:
Uruksoth Lavín: vocals
Faramir: guitars, whistle, melodic vocals, bagpipes
Abathor: guitars, chorus
Thorgen: fretless bass, melodic vocals, chorus
Aernus: keyboards & samples, whistle, chorus
Gharador: drums & percussion

CRYSTLAMOORS – Facebook

Absorb – Vision Apart

Il sound rispecchia il classico mood di gruppi come Obituary e Death con l’aggiunta dei seminali e conterranei Morgoth, peccato per tutti gli anni persi, ma band da rivalutare.

Con un po’ di ritardo rispetto all’uscita di questo ottimo ep, vi presentiamo i tedeschi Absorb, death metal band attiva da molti anni nella scena estrema del loro paese.

Nato infatti sul finire degli anni ottanta, il combo di Erlangen ha mosso i primi passi all’inizio degli anni novanta, in pieni anni d’oro per il genere suonato.
Due demo ed uno split, poi un lungo silenzio fino al 2010, anno di uscita del primo full length Dealing with Pain, seguito sul finire dello scorso anno da Vision Apart, ep di quattro brani ora promosso dalla Globmetal Promotions.
Death metal old school e non potrebbe essere altrimenti visto l’anno di nascita, classico e pesantissimo, brutale e a tratti devastante, sempre in bilico (come la vecchia scuola insegna) tra furiose accelerazioni e rallentamenti, oscuri e profondi.
Ottimo il lavoro delle asce sia ritmicamente che nei solos, lancinanti urla di sofferenza, accompagnate da un growl cavernoso ed agguerrito.
Perfect Whore parte all’attacco e ci investe con le sue ritmiche varie e i riff che fanno sanguinare le chitarre, Undead risulta la traccia migliore: oscura, brutale e malvagia, culmina in una serie di frenate sul bordo dell’abisso, ma basta una piccola spinta e si comincia a cadere, ingoiati dalla bocca di un pozzo senza fine.
La band torna a spingere con World Stops Turning, dopo che aveva lasciato a Los Muertos De Hambre il compito di distruggere senza pietà, prima che Undead ci porti con lei negli inferi.
Un buon ep, il gruppo in tutti questi anni ha diviso il palco con una bella fetta dei nomi di pinta del genere e l’esperienza fatta si sente tutta, il sound rispecchia il classico mood di gruppi come Obituary e Death con l’aggiunta dei seminali e conterranei Morgoth, peccato per tutti gli anni persi, ma band da rivalutare.

TRACKLIST
1.Pefect Whore
2.Los Muertos de Hambre
3.Undead
4.World StopsTurning

LINE-UP
Jochen “Yogy” Steger – Drums
Pfisty – Guitars
Daniel – Bass
Volker Schmidt – Vocals

ABSORB – Facebook

Almah – E.V.O

E.V.O ha molte frecce da scoccare e come maliziosi cupidi gli Almah centrano i nostri cuori con una serie di tracce d’alta scuola.

Pare davvero di essere tornati ai tempi dei migliori Angra e non solo quelli dell’arrivo di Falaschi nel combo brasiliano, ma a quel gruppo che clamorosamente irruppe sulla scena metallica con i primi stupendi lavori.

Era nell’aria il disco della vita per il gruppo brasiliano, già il precedente Unfold, anche se lasciava entrare nella propria anima qualche soluzione moderna, risultava un grande album metal, con Falaschi convincente e ormai coinvolto al 100% dalla sua nuova avventura.
Sono passati tre anni e l’arrivo di questo nuovo lavoro pone la band brasiliana sul podio dei migliori act alle prese con il power metal dalle sfumature progressive e splendidamente melodico.
Chiusa la parentesi modernista aperta in alcuni frangenti sul lavoro precedente, gli Almah tornano a suonare quello che la loro tradizione dice di saper fare meglio, toccando picchi elevatissimi , difficilmente raggiunti da un po’ di anni a questa parte, anche se la qualità dei loro lavori non è mai scesa sotto un buon livello.
E.V.O torna a far risplendere quel tipo di power metal melodico che ha fatto scuola, colmo di soluzione melodiche, ariose aperture orchestrali e quel tocco latino, irresistibile per molti e che ha sempre differenziato la scena sudamericana da quella europea per l’eleganza ed il talento ritmico innate nei musicisti brasiliani.
Basterebbe Age Of Aquarius, opener del disco, un brano arioso, positivo, stupendamente melodico ed impreziosito da orchestrazioni da musical, per prendere il largo e fare il vuoto nelle opere del genere, ma E.V.O ha molte frecce da scoccare e come maliziosi cupidi gli Almah centrano i nostri cuori con una serie di tracce d’alta scuola.
Il giro di piano che trascina Indigo, malinconico e dalle sfumature dark, il power metal di classe di Higher, l’hard rock ruffiano e melodico di Infatuated, l’unica concessione a soluzione moderne nell’aggressiva Corporate War, l’arioso refrain della magnifica Speranza, il power prog colmo di soluzioni raffinate e dall’irresistibile ritornello di Final Warning, sono solo pochi dettagli di un’opera piena di sorprese nel suo comunque essere classicamente metallica.
Gli Almah questa volta hanno messo in campo tutte le loro armi per vincere questa battaglia e ci sono riusciti senza fare prigionieri, album di un’altra categoria, consigliarvelo è il minimo.

TRACKLIST
1.Age Of Aquarius
2.Speranza
3.The Brotherhood
4.Innocence
5.Higher
6.Infatueted
7.Pleased To Meet You
8.Final Warning
9.Indigo
10.Corporate War
11.Capital Punishment

LINE-UP
Edu Falaschi – Vocals
Marcelo Barbosa – Guitar
Diogo Mafra – Guitar
Rapahael Dafras – Bass
Pedro Tinello – Drums

ALMAH – Facebook

Motorfingers – Goldfish Motel

Goldfish Motel ha il pregio di non stancare e la non così scontata voglia di far premere nuovamente il tasto play porta alla promozione a pieni voti del lavoro.

E’ indubbio che le sonorità provenienti dagli states abbiano influenzato l’Europa intera, specialmente in ambito hard & heavy ed anche il nostro paese, certo non immune dalle influenze musicali provenienti dal nuovo continenente.

Così pur riconoscendo alla nostra scena un livello qualitativo molto alto, soprattutto negli ultimi tempi, è pur vero che, nell’hard rock e nel metal moderno le ispirazioni sono da sempre riscontrabili nella musica statunitense.
Questo non risulta un difetto anzi, molte volte le nostre realtà (come per esempio i Motorfingers) non sfigurano di certo al cospetto con le super produzioni americane, confrontandosi alla pari con molti gruppi, conosciuti per un martellamento a tappeto sui canali satellitari e radio, ma poi a conti fatti senza nulla da invidiare loro.
E’ dal 2008 che la band nostrana porta in giro la sua musica, una storia che riflette quella di molte altre: cambi di line up, buoni riscontri tra gli addetti ai lavori, due ep ed un primo full length (Black Mirror) uscito nel 2012 per la logic(il)logic Records, label nostrana che licenzia dopo quattro anni anche questo nuovo lavoro.
Ancora qualche aggiustamento nella line up, vede la formazione oggi composta da Max e Spezza alle chitarre, Alex alle pelli e i due nuovi entrati, il bassista Faust (ex Golden Sextion) ed il vocalist Abba dei notevoli Nightglow, autori un paio di anni fa dello splendido Orpheus .
Goldfish Motel è composto da undici tracce di metal rock moderno, grintoso ed aggressivo, dove non mancano ottime ballad dal mood drammatico ed un’anima oscura che aleggia sulla musica del gruppo.
L’alternanza tra metal ed impulsi hard rock, l’ottimo groove che sprigiona dai brani, le sei corde dai riff pieni e dai solos taglienti, le ritmiche grasse ed il cantato sopra le righe, fanno di questo lavoro un ottimo esempio di musica dura, perfettamente a suo agio in questo primo scorcio del nuovo millennio.
Il gruppo non le manda a dire, si tuffa nel rock moderno con piglio e personalità, certo la bandiera a stelle e strisce è ben posizionata dietro al drumkit di Alex, ma i brani mantengono un appeal molto alto, l’aggressività del sound è molte volte bilanciata da chorus melodici, le ritmiche moderne con solos sfacciatamente classici, facendo funzionare alla grande questo lavoro.
Le canzoni in cui dove la band spinge sulla potenza non fanno prigionieri (Obscene), i mid tempo lasciano a brani più smaccatamente rock (Day Of Dawn, l’irresistibile Eat Your Gun) il compito di tenere alta la tensione, elettrizzanti spunti che conducono dalle parti dello streets metal (Disaster) sono assopiti da ballad mai banali, e molto intense (XXXIII e Nothing but a man) variando non poco il songwriting di un lavoro riuscito in pieno.
Bersaglio centrato per i MotorfingersGoldfish Motel ha il pregio di non stancare e la non così scontata voglia di far premere nuovamente il tasto play porta alla promozione a pieni voti del lavoro.

PS. Abba si dimostra come uno dei migliori cantati in circolazione nel nostro paese, almeno per il genere, un  grande acquisto in casa Motorfingers.

TRACKLIST
01. Walk On Your Face
02. Behind This Fire
03. Obscene
04. Day Of Dawn
05. XXXIII
06. Burning Down
07. Nothing But A Man
08. Pull The Tail
09. Disaster
10. Tonight
11. Eat Your Gun

LINE-UP
Abba – Vocals
Max – Guitar
Spezza – Guitar, Backing Vocals
Faust – Bass
Alex – Drums

MOTORFINGERS – Facebook

Radtskaffen – Worldwide Anarchy

Un primo lavoro abbondantemente sopra la sufficienza

Nati per volere del chitarrista e cantante Ben Radtleff un paio di anni fa, arrivano al debutto tramite questo ep autoprodotto i thrashers danesi Radtskaffen, promossi dalla GlobMetal Promotions.

Il trio oltre al leader, è composto da Bjørn Hjortgaard al basso e Christian Maj Albrektsen alle pelli, la sua musica getta le fondamenta su un thrash metal pregno di groove, potente e mai troppo veloce.
Mid tempi pesanti come macigni, sostenuti dal groove che riempie le ritmiche e riff dal taglio moderno che si abbattono sull’ascoltatore, fanno di questi sei brani una mazzata niente male.
Il gruppo a tratti accelera ma sono attimi che rendono ancora più devastante il sound mentre Radtleff sputa sentenze con il suo tono ruvido e senza compromessi.
Siamo nel bel mezzo tra la violenza dei Pantera, il piglio sgraziato e roll dei Motorhead e soluzione più vicine al metal americano degli ultimi anni e se farete il callo al vocione alcolico che del vocalist troverete di che sbattere il capoccione, soprattutto con Oblivion e Reaper, le tracce più movimentate dall’album.
Ottima la title track, brano motorheadiano fino al midollo, potenti e devastanti i brani rimanenti per un primo vagito dal sicuro impatto e distruzione totale promessa in sede live.
Per gli amanti del metal dal piglio thrash e dalle bordate ritmiche pregne di groove (come di rito in questi ultimi anni) un primo lavoro abbondantemente sopra la sufficienza.

TRACKLIST
1.Intro
2.Hippies
3.Death Crew
4.Deus Lo Vult
5.Oblivion
6.Reaper
7.Worldwide Anarchy

LINE-UP
Bjørn Hjortgaard – Bass
Christian Maj Albrektsen – Drums
Polle Radtleff – Guitars, Vocals

RADTSKAFFEN – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=XXmbo3JqwNY

The Reticent – On The Eve Of A Goodbye

On The Eve Of A Goodbye è un concept autobiografico, un’opera che elargisce emozioni in un caleidoscopio di note ora intimiste, ora metalliche

Tornano gli statunitensi The Reticent, creatura del musicista Christopher Hathcock con il quarto album della loro carriera, confermando quanto di buono il new progressive sta donando a noi, ingordi e mai sazi fruitori di emozioni in musica.

A dispetto dei sempre più obsoleti detrattori della musica contemporanea e che nel genere trova terreno fertile negli amanti dei suoni di estrazione settantiana, il progressive ha ampliato i suoi orizzonti, amoreggiando con sonorità moderne, metalliche ed estreme e, come in questo caso resuscitando per tornare protagonista degli sviluppi futuri della musica in questo nuovo millennio.
I The Reticent come detto arrivano sul finire di quest’anno al quarto lavoro, le opere passate avevano tracciato la strada che ha portato Hathcock a questo immenso lavoro, dopo Hymns For The Dejected del 2006, Amor Mortem Mei Erit del 2008 e Le Temps Detruit Tout, licenziato nel 2012, più la soddisfazione di una nomination ai Grammy.
On The Eve Of A Goodbye è un concept autobiografico, un’opera che elargisce emozioni in un caleidoscopio di note ora intimiste, ora metalliche, fino a raggiungere l’apice in quelle estreme, giocando a modo suo con la musica degli ultimi trent’anni.
Quasi nulle le influenze settantiane, il sound del gruppo si muove sinuoso tra il prog rock dalle tinte dark di Porcupine Tree e Riverside, il metal estremo ed oscuro degli Opeth e quella tragica e teatrale drammaticità tooliana che ha fatto scuola negli ultimi vent’anni.
Le voci, dolce ed intimista la clean , travolgente e drammatica quella estrema, dettano le atmosfere ai vari passaggi dell’album, trasformati in brani dall’alto tasso emotivo, in un sali e scendi di atmosfere adulte, a tratti pesanti, ma sempre mature.
E’ forte il senso di disagio espresso da questa ora abbondante di musica, che chiamare progressive è il modo più facile per uscire dall’impasse che opere del genere creano in noi, sempre pronti ad affibbiare etichette, anche quando l’impresa diventa ardua, travolti dalla tempesta emotiva provocata da brani come The Apology, The Decision o The .
Inutile disquisire su soluzione tecniche che a On The Eve Of A Goodbye stanno strette come al sottoscritto i jeans di qualche anno fa: sappiate per dovere di cronaca che l’album esce per la Heaven & Hell Records ed è stato prodotto da Jamie King (BTBAM, The Wretched, Scale The Summit), fatelo vostro.

TRACKLIST
01. 24 Hours Left
02. The Girl Broken
03. The Hypocrite
04. 19 Hours Left
05. The Comprehension
06. The Confrontation
07. The Apology
08. 10 Hours Left
09. The Mirror’s Reply
10. The Postscript
11. 2 Hours Left
12. The Decision
13. Funeral For A Firefly
14. The Day After
15. For Eve

LINE-UP
Chris Hathcock – All instruments and vocals, except the following:

Narration by Carl Hathcock, Juston Green, and Amanda Caines
Female vocals by Amanda Caines
French Horn by Dr. Nicholas Kenney
Trombone and Trumpet by Matthew Parunak
Tenor Saxophone by Andrew Lovett

THE RETICENT – Facebook

Rainveil – Verses

La drammatica teatralità di fondo, le sfumature dark e le sontuose orchestrazioni, danno all’album quel tocco di maturità che non lascia dubbi sul valore del gruppo

Un’altra ottima band, i lodigiani Rainveil, si affacciano sulla scena nazionale in ambito metallico dagli spunti classicamente heavy ed orchestrali.

Licenziato dalla ormai storica Underground Symphony, mixato e masterizzato da Simone Mularoni (altra garanzia di qualità) ai Domination Studios, Verses è un gran bel lavoro, magari di poca durata per la qualità delle composizioni ed il genere (poco più di mezz’ora) ma notevole per songwriting, suono e potenzialità della band.
Qui si trova un heavy metal, roccioso e melodico, strutturato su tappeti tastieristici raffinati, una serie di brani che di potenti mid tempo fanno la loro forza, ispirati da una leggera vena prog ed un’oscurità di fondo riscontrabile nell’heavy statunitense.
Senza scendere in disquisizioni tecniche che in tracce dove l’emozionalità è tangibile diventa superfluo, Verses abbonda di orchestrazioni, incastonate su trame heavy metal eleganti e la mente non può che portare ai Kamelot.
Inoltre. la drammatica teatralità di fondo e le sfumature dark danno all’album quel tocco di maturità che non lascia dubbi sul valore del gruppo, bravo nel cogliere il punto debole dell’ascoltatore medio nel genere e cioè il pretendere potenza metallica e melodie che conquistino al primo ascolto, e i Rainveil in questo sono maestri.
I brani sono uno più bello dell’altro, dall’opener Macabre Ecstasy, che segue il prologo ed esplode in un refrain irresistibile tra riff possenti, solos classici e tappeti tastieristici magniloquenti, la successiva Break Out, ruvida e melodica e la bellissima semiballad Fire Opal, un crescendo entusiasmante aperto con la voce femminile a confermare l’eleganza intrinseca nel sound dei lodigiani.
Un lavoro affascinante che si rivela un’autentica sorpresa in campo classico, da non perdere assolutamente per gli appassionati dai gusti raffinati.

TRACKLIST
1. Prologue – Into the Void
2. Macabre Ecstasy
3. Break Out
4. Drowned
5. Mirror
6. Fire Opal
7. Eleanore
8. Shades of Darkness
9. Epilogue: Is this the End?

LINE-UP
Matteo Ricci – Vocals
Luca Maddonini – Lead Guitar
Pietro Canette – Bass

RAINVEIL – Facebook

Atom – Spectra

Rispetto ad altri progetti di stampo simile, Atom mantiene ben salde le radici nel black metal, genere che viene sviscerato un po’ in tutte le sue sfumature

Per la one man band Atom, l’ep Spectra arriva due anni dopo Horizons, un buon full length del quale avevo avuto l’occasione di parlare su IYE.

Rispetto a quel lavoro le coordinate stilistiche non cambiamo ma, semmai, vedono una valorizzazione dei loro aspetti migliori: il black metal atmosferico proposto da Fabio, musicista cesenate che è dietro il monicker Atom, è piuttosti diretto non perché banale, ma in quanto raggiunge lo scopo senza indulgere in tentazioni avanguardistiche o sperimentali.
Sia nelle parti più aspre, con le consuete accelerazioni ritmiche, sia in quelle più riflessive, il filo conduttore melodico è sempre in primo piano, rendendo questa mezz’ora scarsa di musica un’altra buona dimostrazione di capacità compositive.
Rispetto ad altri progetti di stampo simile, Atom mantiene comunque ben salde le radici nel black metal, genere che viene sviscerato un po’ in tutte le sue sfumature, operazione che avviene in maniera efficace in Night Sleeper, dove in un lasso di temo relativamente breve scorrono pulsioni depressive, postblack, epic e vocals che spaziano da evocative parti corali a stentorei passaggi pulite per arrivare, poi, al consueto screaming.
Proprio questo, come nel precedente lavoro, continua ad essere un aspetto dolente, rivelandosi di qualità inferiore al contesto strumentale nel quale viene inserito: talvolta viene esasperato in stile DSBM (Spectra), in altri momenti diviene più canonico ma stranamente risulta un po’ troppo effettato e relegato sullo sfondo a livello di produzione (Dasein).
Come in Horizons si rivela molto efficace il lavoro chitarristico nelle sue diverse sembianze, il che impreziosisce un album che denota un ulteriore passo avanti per un progetto in possesso di tutti i crismi per ritagliarsi un minimo di spazio vitale in un settore congestionato come non mai e nel quale, nonostante molti la pensino diversamente, il livello medio si sta decisamente alzando.

Tracklist:
1. Spectra
2. Night Sleeper
3. Dasein

Line-up:
Fabio – Vocals, Guitars, Drum programming

ATOM – Facebook

Raw Ensemble – Suffer Well

I brani alternano e uniscono in un unico devastante sound le due maggiori correnti del thrash, quella europea e quella statunitense

Un buon lavoro di metallo possente, forgiato nel thrash metal vecchia scuola ma moderno per attitudine e produzione, ottimamente suonato e dal songwriting che se non arriva ai livelli dei mostri sacri del genere ci va sufficientemente vicino.

Il disco in questione è Suffer Well, primo lavoro sulla lunga distanza, dopo sette anni dalla nascita dei tedeschi Raw Ensemble, che se fino ad ora non sono stati molto prolifici (nella discografia del gruppo, oltre a questo nuovo lavoro si conta solo il demo Jesus Is Back… And He Is Fucking Angry del 2012) hanno fatto le cose per bene per il proprio debutto sulla lunga distanza.
Licenziato autonomamente, Suffer Well risulta una mazzata niente male, i brani alternano e uniscono in un unico devastante sound le due maggiori correnti del genere, quella europea e quella statunitense, consegnandoci un buon prodotto estremo, che non dimentica l’importanza delle melodie chitarristiche, senza perdere un’oncia in impatto.
Supportate da un vocione che non disdegna urla gutturali vicine al death metal (Denis Brecko Columna) e ritmiche velocissime, che frenano e scivolano varie su ritmi cadenzati (Mad al basso e Uffe alle pelli), le nove tracce che compongono il lavoro formano uno tsunami di metallo rabbioso, drammatico e perfettamente a suo agio nell’anno di grazia 2016.
La sei corde di Dennis elargisce potenza ritmica e melodici solos, su tracce che non mollano di un centimetro in un assalto sonoro senza soluzione di continuità.
Moderno ma con un’anima old school l’album vive dell’energia di brani come l’opener Enemy, la devastante Apocalypse e Weakness And Fear, chiusa dallo storico riff di Back In Black dei re dell’hard rock Ac/Dc.
In conclusione un buon lavoro di genere aggressivo e diretto, e per i Raw Ensemble una partenza con il piede giusto.

TRACKLIST
1. Enemy
2. Bad Religion
3. The 5th Dimension
4. Apocalypse
5. Beneath the Ashes
6. Bleeding Out
7. Weakness & Fear
8. Neither Nor
9. Outlaw Killers

LINE-UP
Mad – Bass
Uffe – Drums
Dennis – Guitars
Denis Brecko Columna – Vocals

RAW ENSEMBLE – Facebook

Meshuggah – The Violent Sleep of Reason

Ancora una volta i Meshuggah hanno preparato meticolosamente un nuovo gelido tavolo autoptico.

Giunta ormai all’ottavo album in studio, la macchina perversa dei Meshuggah è tornata con un altro monolite d’acciaio tecnico e inesorabile.

Mi approccio all’ascolto quasi timoroso al cospetto di una band oserei direi essenziale per la natura stessa della sua proposta rivoluzionaria e innovativa, mai strettamente commerciale e, bisogna dirlo, con un approccio alla musica tra i più impegnativi e così dannatamente heavy. Così, prendiamo fiato e immergiamoci a ruota libera nei meandri di questo violento sonno della ragione. Nei 7 minuti dell’opener Clockworks vi sembrerà di essere pestati a sangue grazie a una sezione ritmica pesantissima e assassina che vi lascerà storditi in attesa di alienarvi con Born In Dissonance. La chirurgica MonstroCity vi sezionerà accuratamente e successivamente vi ricucirà abilmente con le corde affilate dell’allucinante solista di Thordendal . L’incubo tortuoso di By The Ton potrebbe temporaneamente lenire le vostre ferite attraverso le mani lente e inesorabile di uno psicopatico, ma non c’è tregua, perché la title track e Ivory Tower vi frantumeranno le ossa a martellate. Il maelstrom di Stifled vi opprimerà come un tiranno implacabile illudendovi solo attraverso brevi innesti disarmonici a base di synth e solos estranianti. Il tunnel di Nonstrum vi ingannerà per alcuni secondi per poi sminuzzarvi come schiacciati da una Tunnel Boring Machine. La pressione sul vostro cranio aumenterà dall’impellente incedere di Our Rage Won’t Die e con la mortifera Into Decay si chiude egregiamente un ennesimo lavoro di considerevole qualità. The Violent Sleep of Reason vi sequestrerà, e per un’ora potrete deliziarvi nei vortici ipnotici e nel dolore profondo concepito da Kidman e soci. Ancora una volta i Meshuggah hanno preparato meticolosamente un nuovo gelido tavolo autoptico.

TRACKLIST
01. Clockworks
02. Born In Dissonance
03. MonstroCity
04. By The Ton
05. Violent Sleep Of Reason
06. Ivory Tower
07. Stifled
08. Nostrum
09. Our Rage Won’t Die
10. Into Decay

LINE-UP
Jens Kidman – vocals, rhythm guitar
Fredrik Thordendal – lead guitar, rhythm guitar, synth
Mårten Hagström – rhythm guitar
Dick Lövgren – bass guitar
Tomas Haake – drums

MESHUGGAH – Facebook

Damnation Gallery – Transcendence Hymn

Un buon inizio ed una piccola sorpresa che non manca di promettere buone nuove, aspettiamo il prossimo malefico parto

Una creatura dannata si aggira tra i vicoli della mia città, Genova, un abominevole parto frutto della fusione di due identità metalliche, gli Insanity Hazard e i STAG.

La nuova band nata quest’anno si compone di quattro elementi, la strega Scarlet alla voce, Lord Edgard alla sei corde e la sezione ritmica formata da Low al basso e Nasco alle pelli.
Il quartetto genovese è abile nel trasportare le proprie ispirazioni ed influenze in un sound avvicinabile all’horror metal di scuola Death SS, ma dove la proposta dello storico gruppo di Steve Sylvester si basava sul metal classico, prima, e su soluzione moderne di matrice industrial negli ultimi tempi, i Damnation Gallery mantengono un approccio thrash old school, macchiato dal sangue proveniente dalla NWOBHM e dal black metal più oltranzista.
Produzione scarna, suono catacombale, ottimi spunti di teatrale malignità creano atmosfere evil ed oscure, l’attitudine underground dei protagonisti è ben visibile lasciando qualche impeferzione voluta in fase di registrazione, senza che ciò vada ad inficiare assolutamente la buona riuscita di Transcendence Hymn.
La band, fresca di firma con Masked Dead Records che si è presa cura di questo primo ep, ha confezionato una piccola opera horror thrash, con tanto di intro macabra e terrorizzante, ottime cavalcate metalliche dai rimandi old school ed un buon lavoro sulle voci, che passano con disinvoltura dallo scream, a toni teatrali, per rendere infine il tutto più malvagio possibile grazie a growl oscuri e abissali.
Nella cripta dove i Damnation Gallery ci invitano ad entrare, la fievole luce delle candele mostra ombre di esseri minacciosi e vecchi riti occulti, descritti dal gruppo a colpi di thrash/black/horror metal di cui si nutrono la title track, la splendidamente maligna Dark Soul e la devastante Evil Extreme.
Un buon inizio ed una piccola sorpresa che non manca di promettere buone nuove, aspettiamo il prossimo malefico parto, anche se nella ventina di minuti scarsi di questo ep i Damnation Gallery sembrano essersi giocati molto bene le loro carte.

TRACKLIST
1. Mankind’s fall
2. Evil extreme
3. Dark Soul
4. Transcendence Hymn
5. Rebirth

LINE-UP
Scarlet – Vocals
Lord Edgard – Guitar
Low – Bass Guitar
Nasco – Drums

DAMNATION GALLERY – Facebook

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