Mörmo – Siluetas

I Mörmo sono autori di un buonissimo stoner doom, sporco, efficace, ancorato alla tradizione, fangoso il giusto e con una dose opportuna di psichedelia ad infiorettare il tutto.

L’etichetta ucraina Loneravn Record si è specializzata nel recuperare realtà sepolte nel più profondo sottobosco dell’undeground metallico, per lo più andando a recuperare uscite in formato demo e fornendo loro una nuova possibilità  di giungere alle orecchie degli appassionati più attenti.

In questo caso viene riproposto Siluetas, lavoro d’esordio degli argentini Mörmo, uscito appunto come demo lo scorso anno; il trio di La Plata è autore di un buonissimo stoner doom, sporco, efficace, ancorato alla tradizione, fangoso il giusto e con una dose opportuna di psichedelia ad infiorettare il tutto.
A parte la title track, che dei cinque brani offerti è quello forse più orientato ad una forma canzone canonica, le altre tracce mettono in mostra una gamma di soluzioni piuttosto interessanti e sempre abbastanza ficcanti, sia quando il sound rallenta sia quando invece si fa più aspro e al contempo lisergico.
Soprattutto Catabasis e El principio del fin, a mio avviso, sono lo specchio delle buone doti di questi tre ragazzi, la prima con il suo incipit in quota post metal e la seconda sviluppata come una sorta di psichedelica jam con tanto di pregevoli parti di chitarra solista prodotte da Gonzalo Soria.
Il cantato in lingua madre offerto da quest’ultimo magari non è il punto di forza della proposta, ma tutto sommato resta tranquillamente all’interno del range di accettabilità del genere, e comunque non è quasi mai questo l’aspetto preponderante quando lo stile musicale è lo stoner doom.
Fa piacere constatare, grazie a questa valida opera prima dei Mörmo, l’emergere di qualche nuova band di prospettiva da un paese grande come l’Argentina che, per quanto riguarda il metal sudamericano , attualmente non regge il confronto non solo con la scena brasiliana ma neppure con quella cilena.

Tracklist:
1. Siluetas
2. Puerta negra
3. Catabasis
4. Sacrificio
5. El principio del fin

Line-up:
Nicolás Reggiardo – Bass
Rodrigo Carlos – Drums
Gonzalo Soria – Guitars, Vocals

MÖRMO – Facebook

Heresiarch – Incursions

Una raccolta molto utile e necessaria per riunire in un solo luogo i primi lavori difficilmente rintracciabili di un gruppo che ha scritto e scriverà ancora pagine pesantissime di vero metal underground.

Arriva il tempo della ristampa e della raccolta per i primi demo ed ep della formazione death black neozelandese Heresiarch.

Questi ultimi sono semplicemente uno dei gruppi più devastanti che ci siano nel giro del metal estremo, sono un tifone che spazza tutto, e che lascia una scia di sangue dove passa. Personalmente li conobbi con l’ep Hammer Of Intrasigence del 2011, un monolite tumorale di male e dolore che me li ha fatti amare. Una band come gli Heresiarch la si ama o si odia, non ci sono vie di mezzo. Per chi li ama sono una delle entità più belle da ascoltare, con quel miscuglio di velocità black death e quella pesantezza nelle parti più lente che è ancora più terribile delle parti veloci. Non ci sono compromessi nel suono degli Heresiarch, il coltello viene girato nelle budella e il sangue esce copioso. In questa raccolta dei loro primi lavori, quelli precedenti al primo disco Death Ordinance del 2017, si può sentire tutta la loro crescita, dal suono grezzo e marcio del primo demo Consecrating The Global Holocaust, all’ultimo ep Waelwulf del 2014. Anche nelle prime uscite si poteva capire che si trattava di una realtà fuori dal comune, ma la loro sintesi definitiva era ancora di là da venire, poiché si sarebbe sublimata dopo. Gli Heresiarch incarnano tutto ciò che dovrebbe possedere un gruppo underground di black death metal, potenza, credibilità e soprattutto la totale assenza di qualsiasi parvenza di musica commerciabile. Intendiamoci, anche questo gruppo ha grandi potenzialità in tal senso, poiché le teste metalliche malate che li amano comprano i loro dischi, ma la loro musica è totalmente anti commerciale. Per farvi un esempio andate in fondo a questa raccolta per ascoltare i tre pezzi dell’ep Waewulf, che sono una delle espressioni più sperimentali, per capire cosa sia anche la creatività di un gruppo che in primo luogo annichilisce tutto ciò che incontra. Una raccolta molto utile e necessaria per riunire in un solo luogo i primi lavori difficilmente rintracciabili di una band che ha scritto e scriverà ancora pagine pesantissime di vero metal underground.

Tracklist
1.Obsecrating the Global Holocaust
2.Man Is Carnivore
3.Equimanthorn (Bathory cover)
4.Abomination
5.Carnivore
6.Iconoclasm
7.Thunorrad
8.Conflagration
9.Intransigent
10.Wælwulf
11.Abrecan
12.Endeþrǽst

Line-up
N.H
C.S
W.B
H.G

HERESIARCH – Facebook

Enforcer – Zenith

Grinta gli Enforcer ne hanno da vendere, peccato che il gruppo si trovi catapultato in anni in cui difficilmente potrà trovare quel successo che tre decenni fa sarebbe stato garantito, un dettaglio per chi guarda alla sostanza e Zenith di motivi per farsi piacere dagli heavy metallers dai gusti old school ne ha abbastanza.

Sono quasi passati vent’anni dall’inizio di questa avventura chiamata Enforcer, una band sfacciatamente anni ottanta con tutti i pro e i contro del caso.

Zenith è l’ultimo lavoro, licenziato dal colosso Nuclear Blast, pubblicato quattro anni dopo l’ultimo From Beyond, e quinto di una discografia che tolti vari lavori minori si attesta sulla media dei gruppi odierni.
Il gruppo svedese o si ama osi odia, il suo sound colmo di cliché ed assolutamente derivativo porta con se quello spirito heavy metal, schiacciato dai gruppi classici di questi anni, sinfonici, power e progressivi.
Non che la band di Olof Wikstrand le sue toccate e fuga nell’esercizio tecnico/progressivo non le faccia, ma un album come Zenith rimane un buon ritorno alle atmosfere del decennio d’oro dell’hard & heavy con quel pizzico di hair metal che assesta il sound su un esempio oltremodo riuscito di new wave of British heavy metal, con più di una sfumatura in arrivo dal Sunset Boulevard.
Grinta gli Enforcer ne hanno da vendere, peccato che il gruppo si trovi catapultato in anni in cui difficilmente potrà trovare quel successo che tre decenni fa sarebbe stato garantito, un dettaglio per chi guarda alla sostanza e Zenith di motivi per farsi piacere dagli heavy metallers dai gusti old school ne ha abbastanza.
Intanto il songwriting è di buona qualità, le dieci tracce si appiccicano in testa al primo passaggio, tra riff a tratti irresistibili, un grande lavoro ritmico e chorus da cantare senza stare troppo a pensare agli anni che passano e al vicino che da anni pensa siate dei tipi strani.
Iron Maiden più Motley Crue, una ricetta semplice ma efficace, almeno per gli Enforcer e per questa raccolta di brani che a partire da Die For The Devil ci regala tre quarti d’ora di divertimento all’insegna dell’heavy metal duro e puro.

Tracklist
1. Die For The Devil
2. Zenith Of The Black Sun
3. Searching For You
4. Regrets
5. The End Of A Universe
6. Sail On
7. One Thousand Years Of Darkness
8. Thunder And Hell
9. Forever We Worship The Dark
10. Ode To Death

Line-up
Olof Wikstrand – Vocals, guitars
Jonas Wikstrand – Drums, piano & keyboards
Tobias Lindqvist – Bass
Jonathan Nordwall – Guitars

ENFORCER – Facebook

Tanagra – Meridiem

Qualche riserva si manifesta riguardo alla prolissità dei brani, ma per il resto la musica del gruppo convince, potente e melodica com’è e in alcuni momenti rimembrante i Kamelot, ma personale quanto basta per non risultare troppo derivativa.

Il power metal non è sicuramente nel suo periodo più florido, essendo tornato almeno in Europa a far parlare di sé più che altro per la reunion della famiglia Helloween che per gli ultimi lavori pubblicati, alcuni assolutamente riusciti, ma ancora lontani dal livello altissimo di qualche decennio fa.

I Tanagra sono un gruppo statunitense e la loro provenienza garantisce quel tocco power e progressivo che impedisce al sound di risultare anonimo conferendogli un’eleganza propria del prog metal made in U.S.A.
Siamo arrivati al secondo album, dopo il debutto licenziato quattro anni fa ed intitolato None of This Is Real, e la band dell’Oregon piazza questi sette lunghissimi brani incentrati su un sound ben strutturato e che alterna parti più prettamente power ad altre in cui l’anima progressiva prende il sopravvento, risultando l’arma vincente di Meridiem.
Qualche riserva si manifesta riguardo alla prolissità dei brani, ma per il resto la musica del gruppo convince, potente e melodica com’è e in alcuni momenti rimembrante i Kamelot, ma personale quanto basta per non risultare troppo derivativa.
Meridiem è un album classico, composto da sette brani che hanno nelle lunghe trame della title track posta in apertura, nella progressiva ed heavy Etheric Alchemy e nei dieci tellurici minuti di The Hidden Hand i momenti più convincenti, rivelandosi adatto perché consigliato agli amanti del power progressivo battente bandiera a stelle e strisce.

Tracklist
1.Meridiem
2.Sydria
3.Etheric Alchemy
4.Silent Chamber
5.The Hidden Hand
6.Across the Ancient Desert
7.Witness

Line-up
Tom Socia – Vocals
Steven Soderberg – Guitars
Erich Ulmer – Bass
Josh Kay – Guitars
Christopher Stewart -Drums

TANAGRA – Facebook

Unmasked – Behind The Mask

Debutto all’insegna di un buon death metal melodico per i tedeschi Unmasked, ispirati dai Dark Tranquillity ma dalle trame progressive personali e ben strutturate.

Accompagnato da una splendida copertina che richiama il titolo (Behind The Mask), il debutto dei tedeschi Unmasked si colloca tra le più recenti uscite riguardanti il death metal melodico.

L’album, composto da cinque lunghe tracce, risulta vario e ben suonato, e le atmosfere cangianti lungo tutti i brani donano un’aura progressiva a un sound che rimane roccioso e a tratti marziale.
La parte melanconica del sound è fornita dai tasti d’avorio che ricamano melodie dark, mentre le potenti ritmiche fanno da tappeto ad un buon lavoro delle chitarre che offrono solos heavy di buona fattura.
Behind The Mask offre con la splendida Home, con le soluzioni death prog di Drenched In Blood e della conclusiva title track, buoni motivi l’ascolto di questo riuscito debutto firmato dal quintetto, che si ispira al sound dei Dark Tranquillity ma senza perdere una personalità che rimane comunque ben definita.

Tracklist
1.No Regrets
2.Home
3.Gaia
4.Drenched in Blood
5.Behind the Mask

Line-up
Basti – Drums
Malte Kühle – Guitars
Aileen – Keyboards
Karsten Fent – Bass
Chris – Vocals

UNMASKED – Facebook

Tyrants – Union

Union è un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del metal sinfonico di stampo black e che (non solo per l’utilizzo della lingua) ha molto della tradizione italica per la musica dalle tinte oscure.

La storia dei Tyrants è iniziata nel 2001 e li ha visti stampare un paio di demo e il primo full length, uscito nel 2011 ed intitolato Ruchus.

La band in questi anni, oltre a qualche variazione in line up, ha reso la sua proposta molto più melodica rispetto al passato, ed il frutto di questa evoluzione è Union, ottimo lavoro di symphonic black metal dai suoni puliti, più di una sferzata heavy/thrash e solos perfettamente incastonati in un sound che convince a più riprese.
Il cantato in italiano non appare forzato come capita spesso, la coraggiosa scelta ripaga la band alzando un tasso di originalità che, a causa del genere suonato, non può essere il punto di forza del gruppo.
Union è un’opera estrema ben delineata, le caratteristiche principali sono quelle che hanno fatto innamorare del genere: cavalcate black/thrash, orchestrazioni che dettano atmosfere e fanno da tappeto alle scorribande metalliche dei protagonisti, attimi di intimistica tensione oscura che esplodono in una furia estrema tenuta sotto controllo dalla componente melodica, sempre ben presente nel sound di questa raccolta di brani. Diversi sono i picchi compositivi, come l’opener Eutanasia, la devastante Io Ti Maledico, Menzogne e la conclusiva Cordoglio, brano che raggiunge i venti minuti di durata, diviso in cinque capitoli che riassumono gli stati emozionali di chi subisce una perdita e risulta un suggestivo quanto perfetto sunto del credo musicale del gruppo nostrano.
Union è un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del metal sinfonico di stampo black e che (non solo per l’utilizzo della lingua) ha molto della tradizione italica per la musica dalle tinte oscure.

Tracklist
1.Eutanasia
2.The cry of sin
3.Io ti maledico
4.The keys of our chains
5.Menzogne
6.Cordoglio
I. Negazione
II. Rabbia
III. Contrattazione
IV. Depressione
V. Accettazione

Line-up
Marco Gulluni – Guitars/Orchestration/ Bass
Andrea Di Nino – Vocals
Diego Tasciotti – Drums
Giovanni Brandolini – Guitars

TYRANTS – Facebook


Descrizione Breve

Out Of Order – Facing the Ruin

Band tedesca esistente dal 1991, gli Out Of Order sono fautoridi un power thrash metal old style che mostra però riff stantii, parti vocali spesso confuse e poco centrate ed una grinta che non riesce ad uscire degnamente dai solchi di Facing the Ruin.

Grande rispetto per gli Out Of Order, cult band tedesca che arriva al terzo album ufficiale in ventotto anni di vita e di concerti macinati soprattutto nelle lande germaniche.

Sicuramente il personale tecnico sfoggiato per questa release è di grande lignaggio: le parti vocali sono state prodotte da Ralf Scheepers (Primal Fear), le chitarre da Markus Ullrich (Lanfear, Septagon) e il mixing finale è stato curato da Dirk Burke (Knorkator, Pyroclasm, Dritte Wahl) al Lakeside Studios a Berlino. Concludiamo con un breve contributo vocale di Liv Kristine (Theatre of Tragedy, Leaves’ Eyes) nella canzone On The Rise. Tutto questo per uno stile che si annuncia come una fusione del Thrash Metal della Bay Area degli anni ottanta con un innesto di melodia che dovrebbe rendere i pezzi più assimilabili.
Anche a costo di non voler essere spietati, quello che si ascolta in Facing The Ruin non corrisponde a questa descrizione; Watching You esordisce sorprendendo, con sound, stile e parti vocali prese in prestito dai Savatage, ma senza mordente e con una ricerca melodica inconcludente. Il resto del disco alterna senza continuità riff già sentiti a parti veloci che si assomigliano un po’ tutte, unite a soluzioni vocali che vorrebbero essere varie ma che risultano quasi sempre poco efficaci e male eseguite. Non c’è un solo ritornello che rimanga in mente, tra citazioni dei primi Metallica e vaghi rimandi allo stile vocale tanto caro ai Rammstein. Non c’è grinta nei solchi del disco, e non possiamo attribuire tutte le colpe ad una produzione fredda e spenta. La passione certamente porta avanti gli Out Of Order, ma senza una idea chiara musicale e qualche buona canzone, non potrà mai essere sufficiente per promuovere Facing The Ruin, che resta negli annali come uscita mediocre ed occasione sprecata.

Tracklist:
1. Watching You
2. Self Deception
3. What For
4. The Sniper
5. Guilty
6. Tears
7. God Is Angry
8. On The Rise
9. Blood Vengeance
10. Apocalypse

Line-up:
Thorsten Braun – vocals
Thomas Bauer – guitar
Sven Mittelstädt – guitar
Thomas Heinzmann – bass
Michael Kapelle – drums

OUT OF ORDER – Facebook

Protector – Summon The Hordes

I Protector tirano su, a forza di riff sparati a velocità proibitive e ritmiche da bombardamento, un muro metallico invalicabile risultando per il genere suonato una band su cui si può sicuramente contare.

Non cambia di una virgola il sound dei Protector, al settimo sigillo di una discografia infinita, tra demo, split, compilation ed appunto sette lavori sulla lunga distanza compreso questo inossidabile Summon The Hordes.

A tre anni di distanza dal precedente Cursed And Coronated, la band tedesco/svedese ci investe ancora una volta con il suo thrash metal di scuola teutonica, un carro armato metallico con le scritte Sodom-Kreator-Destruction in evidenza sulla bocca del cannone.
I Protector però non sono semplicemente dei cloni: la loro storia, partita a metà anni ottanta non lascia dubbi sulla loro attitudine old school, così come un impatto che non ha nulla da invidiare alla famosa triade del thrash metal europeo.
Un sound, quello dei Protector, rimasto fedele a sé stesso per oltre tre decenni, quindi se amavate la band prima di questo lavoro, sicuramente Summon The Hordes non vi deluderà.
Voce cartavetrata, ritmiche speed/thrash, cavalcate metalliche e accelerazioni devastanti persistono nel sound di queste dieci nuove bombe sonore, assolutamente ignoranti e senza compromessi così come il thrash metal di matrice old school vuole.
Difficile trovare un brano che più rappresenti il gruppo, i Protector tirano su, a forza di riff sparati a velocità proibitive e ritmiche da bombardamento, un muro metallico invalicabile risultando per il genere suonato una band su cui si può sicuramente contare.

Tracklist
1. Stillwell Avenue
2. Steel Caravan
3. Realm of Crime
4. The Celtic Hammer
5. Two Ton Behemoth
6. Summon the Hordes
7. Three Legions
8. Meaningless Eradication
9. Unity, Anthems and Pandemonium
10. Glove of Love

Line-up
Martin Missy – vocals
Michael Carlsson – guitar
Mathias Johansson – bass
Carl-Gustav Karlsson – drums

PROTECTOR – Facebook

Painqirad – Empires’ Sema’yi

Qui tutto ha il suo tempo, la crescita di melodie molto diverse da come le intendiamo è graduale e credibile, portando avanti l’essenziale concetto che ascoltare la musica di popoli diversi fa parte del processo di comprensione della loro cultura.

Nel sottobosco musicale ci sono spesso vere e proprie gemme da scoprire e da cullare, come questo lavoro del multistrumentista Damiano Notarpasquale sotto il nome Painqirad.

Damiano è uno studioso della musica in tutte le sue forme e si è sviluppata in maniera binaria: l’universo metal è sempre stata la sua passione, mente ha portato avanti studi classici musicali al conservatorio studiando inizialmente clarinetto e trombone, per poi avvicinarsi al jazz, al sassofono e alle musiche del mondo, in special maniera quella araba. Questo lavoro è infatti una bellissima dichiarazione d’amore in musica per il mondo e la sue diversità. Damiano si è innamorato della musica araba nel 2014 e la sua seconda tesi di conservatorio è un metodo per trombone per suonare musica araba e turca. Nasce da queste sonorità, unite ad una certa visione del metal, questo disco che è qualcosa di magnifico, un’eruzione musicale, un’unione di stili e di ritmi diversi che si incontrano nel deserto e proseguono ben oltre. Preponderante è la parte della musica araba, che possiede una metrica molto diversa dalla nostra, e che in questo caso viene supportata da intarsi metal molto adeguati. Il disco è stato registrato in soli dieci giorni, ma c’è un lavoro immenso dietro, con una produzione maestosa che ne rende al meglio le atmosfere. Empires Sema’Yj è un disco dall’immaginario potentissimo, trasporta in un futuro, o forse un passato in cui le dune incontravano il silicio, montagne di sabbia da attraversare senza posa, un miraggio nel caldo soffocante del deserto e tanto altro. Damiano riesce a rendere della atmosfere magiche ed uniche, unendo alla perfezione tutte le componenti e facendolo non in maniera fragorosa e caciarona nella quale ci si imbatte altrove in più di un qualche caso. Qui tutto ha il suo tempo, la crescita di melodie molto diverse da come le intendiamo è graduale e credibile, portando avanti l’essenziale concetto che ascoltare la musica di popoli diversi fa parte del processo di comprensione della loro cultura. E qui l’ascolto è ricchissimo, per un risultato unico nel suo genere.

Tracklist
1.Tahmila
2.Saz Temple
3.Nubah No. 10
4.Dunes
5.Allayl Nahawand
6.Taksim
7.Nawakht
8.Iron, Far Away

Line-up
Damiano Notarpasquale – soprano clarinet, G clarinet, alto sax, tenor sax, trombone, ney, zurna, bağlama, algerian mondol, mandolin, keyboards, guitars, bass, bendir, darbuka

PAINQIRAD – Facebook

Burial In The Woods – Church of Dagon

Burial In The Woods diviene, grazie a questo primo passo discografico, un altro dei nomi da tenere sotto stretta osservazione in ambito doom, stante l’incedere strisciante, disturbante ma al contempo ricco di oscuro fascino.

Burial In The Woods è il nome del nuovo progetto di Gerileme, musicista tedesco noto anche per la sua attività solista con l’altro monicker Asche der Welten.

Se in quel caso il genere proposto gravita in ambito black/ambient, con Church Of Dagon il nostro esplora le tematiche lovecratftiane con il genere d’elezione che il doom metal.
Questo lavoro presenta più di un motivo di interesse visti i diversi elementi che vanno alimentare la struttura di un sound che, volendo esemplificare al massimo, rappresenta una sorta di ideale punto di confluenza fra i Doomed del connazionale Pieere Laube, i Monolithe e tutte le altre band che, nel genere, utilizzano l’organo quale strumento portante, partendo dagli imprescindibili Skepticism, passando per i Profetus e sfiorando in più di un passaggio anche gli Abysmal Grief.
Forbidden Pages apre l’album in maniera arcigna, lasciando ad un lavoro chitarristico dai tratti vagamente orientaleggianti il compito di delineare un sound che si fa ben più avvolgente grazie al dominio dell’organo nella splendida e prevalentemente strumentale Ecclesia Dagoni.
Growing Shadows appare una sorta di sintesi tra i brani precedenti, con i due strumenti chiave che si alternano nel condurre un brano che, come gli altri possiede, una forte connotazione orrorifico/liturgica, in ossequio al titolo dell’album.
La conclusiva traccia, Gölgeler Alemi, dura da sola quanto le tre precedenti messe assieme, ovvero circa 25 minuti, e rappresenta la rielaborazione di un brano che lo stesso Gerileme pubblicò nel 2008 in occasione dell’unico album dei Negatum, Suizid – Der Gedanken Schattenspiele: si tratta di un’interminabile quanto notevole litania, con un breve testo in turco che si sposa alla perfezione con il resto del lavoro, a dimostrazione del buon talento compositivo che esibito nell’intera opera.
Burial In The Woods diviene,  così, grazie a questo primo passo discografico, un altro dei nomi da tenere sotto stretta osservazione in ambito doom, stante l’incedere strisciante, disturnìbante, ma al contempo ricco di oscuro fascino che dovrebbe attecchire agevolmente nei confronti degli appassionati che apprezzano le band citate nel orso dell’articolo.

Tracklist:

1. Forbidden Pages
2. Ecclesia Dagoni
3. Growing Shadows
4. Gölgeler Alemi

Line-up:
Gerileme

Enchantya – On Light And Wrath

Atmosfere gotiche, growl e female vocals come da copione, ricamano un sound coinvolgente, sempre animato da un’anima metallica valorizzata dalla buona tecnica dei musicisti coinvolti.

Gli Enchantya fanno parte della scena gothic metal portoghese dal 2004, anno di uscita del primo demo, e On Light And Wrath è il secondo lavoro su lunga distanza, dopo un’attesa di sette anni dal debutto Dark Rising.

Licenziato dalla Inverse Records, l’album risulta un buon esempio di gothic metal dalle sfumature sinfoniche e dalle ottime cavalcate heavy/prog, arma in più del combo proveniente da Lisbona.
Atmosfere gotiche, growl e female vocals come da copione, ricamano un sound coinvolgente, sempre animato da un’anima metallica valorizzata dalla buona tecnica dei musicisti coinvolti.
La provenienza dalla terra dei Moospell e sopratutto degli Heavenwood si fa sentire eccome e On Light And Wrath si nutre in parte di queste ispirazioni, insieme alla sempre presente influenza scandinava che non va a snaturare un approccio che rimane personale e convincente.
I musicisti, come già scritto, a livello strumentale ci sanno fare e le varie tracce risplendono di questa virtù, che il sestetto riversa su undici brani con una marcia in più, specialmente quando la musica è lasciata libera di percorrere sentieri metallici, rocciosi, ma nello stesso tempo raffinati ed ottimamente interpretati dalla singer Rute Fevereiro.
Last Moon Of March, Poet’s Tears, Downfall To Power e once Upon A Lie sono i brani migliori di un lavoro che segnaliamo agli amanti del metal gotico e sinfonico.

Tracklist
1.Turn Of The Wheel
2.Last Moon Of March
3.The Beginning
4.Poet’s Tears
5.Near Life Experience
6.Alma
7.Downfall To Power
8.Hide Me
9.Deception (Since You Lied)
10.Once Upon A Lie
11.From The Ashes

Line-up
Rute Fevereiro – Vocals
Bruno Santos – Guitars
Fernando Barroso – Bass
Fernando Campos – Guitars
Pedro Antunes – Piano, Keys, Orchestrations
Bruno Guilherme – Drums

ENCHANTYA – Facebook

Embrace of Disharmony – De Rervm Natvra

Questa nuova fatica firmata dal gruppo romano è un’opera difficilmente eguagliabile non solo all’interno dei confini nazionali, a dimostrazione del valore ormai altissimo della scena metallica tricolore

Sono passati cinque anni da Humananke, esordio su lunga distanza degli Embrace Of Disharmony, quintetto di progsters estremi provenienti dalla capitale, un lasso di tempo che porta a De Rervm Natvra, nuovo splendido lavoro che non solo conferma ma alza ulteriormente il livello già altissimo espresso in passato.

Mixato agli Outer Sound Studios di Giuseppe Orlando e masterizzato presso i Finnvox Studios da Mika Jussila, l’album è un’opera estrema progressiva di una bellezza che lascia senza fiato, con le tematiche ispirate al poema di Lucrezio “De Rervm Natvra” e alla sua teoria dell’universo, con un sound che non è più “solo” progressive death metal, ma si spinge verso territori teatrali ed orchestrazioni care ai maestri Arcturus.
De Rervm Natvra è composto di fatto da otto movimenti che formano un’opera musicale avanguardistica di notevole spessore: metal estremo di livello superiore, dunque, orchestrato a meraviglia, pregno di arrangiamenti classici, inserti elettronici, death e black metal che si uniscono e si avvolgono come un groviglio di serpenti in una tana.
L’uso della doppia voce, con l’inarrivabile interpretazione di Gloria Zanotti, supportata dal bravissimo Matteo Salvarezza, completa un album che arriva senza indugi alle soglie del capolavoro, intenso, imprevedibile, emozionante e superbo nel mantenere una tensione estrema altissima eppure assolutamente consigliato, per la quantità di musica di vario genere al suo interno, a chiunque ami il mondo delle sette note.
De Rervm Natvra non è solo un lavoro che segue le coordinate stilistiche dell’avanguardistico gruppo norvegese, perché al suo interno troviamo decine di dettagli che portano gli Embrace Of Disharmony verso uno dei punti più alti del metal estremo progressivo, in brani di una bellezza fuori categoria come De Primordiis Rervm o De Infinitate Orbivm (ma sarebbero da nominare tutti), tra pulsazioni orchestrali che ricordano i Therion, si avvalgono di parti progressive di matrice Opeth il tutto perfettamente incastonato in un sound forte di una personalità enorme.
Questa nuova fatica firmata dal gruppo romano è un’opera difficilmente eguagliabile non solo all’interno dei confini nazionali, a dimostrazione del valore ormai altissimo della scena metallica tricolore.

Tracklist
1. Prohoemivm / Lavdatio Epicvri
2. De Primordiis Rervm
3. De Motv Primordiorvm Rervm
4. De Infinitate Orbivm
5. De Mortalitate Animae
6. De Pavore Mortis
7. De Captionibvs Amoris
8. De Formatione Orbis

Line-up
Gloria Zanotti – Vocals
Leonardo Barcaroli – Bass
Matteo Salvarezza – Guitars, Vocals, Programming
Emiliano Cantiano – Drums

Spoken voice on songs 4 & 5 by Marco Migliorelli

EMBRACE OF DISHARMONY – Facebook

Barbarian – To No God Shall I Kneel

Ormai in sella ad un destriero infernale da una decina d’anni, la band toscana irrompe con il suo speed/heavy metal che a tratti sfora nel thrash di scuola tedesca, esaltante nelle tante cavalcate metalliche di cui è pregno To No God Shall I Kneel.

I Barbarian tornano con il loro quarto lavoro sulla lunga distanza che ne ribadisce l’assoluta devozione per i suoni old school.

Ormai in sella ad un destriero infernale da una decina d’anni, la band toscana irrompe con il suo speed/heavy metal che a tratti sfora nel thrash di scuola tedesca, esaltante nelle tante cavalcate metalliche di cui è pregno To No God Shall I Kneel, uno dei dischi migliori che mi sia capitato di ascoltare nel genere da diverso tempo.
La voce cartavetrata a ribadire lo spirito battagliero, la vocazione estrema del sound ed un buon uso delle melodie nei solos, fanno da cornice a veloci ripartenze speed/thrash e tellurici mid tempo metallici.
Nella sua mezzora abbondante l’album non ha un attimo di tregua nel suo totale impatto distruttivo, i brani si susseguono uno più efficace dell’altro, con attimi di puro e travolgente heavy metal old school che richiama un numero infinito di gruppi storici senza che si perda un’oncia di convincente personalità.
Dall’opener Obtuse Metal, passando per Birth And Death Of Rish’Ah, il crescendo maideniano di The Old Worship of Pain e la conclusiva title track, To No God Shall I Kneel è un esaltante tuffo nel metal guerriero e senza fronzoli che mise a ferro e fuoco gli anni ottanta, con lo speed/thrash e l’heavy metal che vengono uniti sotto il drappo insanguinato dei Barbarian.

Tracklist
1.Obtuse Metal
2.Birth and Death of Rish’Ah
3.Hope Annihilator
4.Sheep Shall Obey
5.The Beast Is Unleashed
6.The Old Worship of Pain
7.To No God Shall I Kneel

Line-up
Borys Crossburn – Guitars, Vocals
Blackstuff – Bass
Sledgehammer – Drums

BARBARIAN – Facebook

Denial Of God – The Shapeless Mass

Un buon ritorno per un ottimo gruppo di black metal senza fronzoli.

Torna uno dei gruppi black metal fra i più longevi ed influenti in circolazione, i Denial Of God, attivi fin dal 1991.

Tornano con un mini album di quattro pezzi, due inediti e due cover, una dei Bathory e l’altra degli Exuma. Il loro stile non è cambiato nel corso degli anni, e si può tranquillamente definire come black metal classico, l’anello di congiunzione fra la prima e la seconda ondata di gruppi scandinavi e non. I due pezzi inediti li mostrano in grande forma, riprendendosi ciò che è loro, mostrando anche a band ben più recenti che il black metal è una faccenda che sembra semplice ma non lo è affatto. Fa molto piacere ascoltare il suono rassicurante di questo gruppo, ti si apre una zona di comfort infernale alla quale è davvero difficile resistere. Il primo pezzo inedito The Shapeless Mass, che è anche il titolo del disco, è il pezzo più veloce e violento fin dai suoi primordi e spazza via tutto ciò che incontra con il consueto stile del duo danese, e porta via anche i dubbi sulla sua efficacia. Il secondo pezzo comincia più cadenzato per poi esplodere, e non può essere altrimenti quando si pensa a che massa informe sia la nostra, sia individualmente che collettivamente. Si prosegue poi con una gran bella cover dei Bathory, dal capolavoro del 1987 Under The Sign Of The Black Mark, un disco da riascoltare: i Denial Of God con questa cover, leggermente più veloce dell’originale, sottolineano l’estrema importanza che i Bathory hanno avuto e sempre avranno per il black metal e per la musica estrema in generale. Quorthon e soci hanno lasciato un’eredità musicale che si sente in tantissime cose odierne, un nero percorso da iniziati. Bella e tribale anche l’altra cover degli Exuma, che sono una one man band degli anni settanta ad opera di Macfarlane Gregory Anthony Macke, un uomo ed un musicista interessantissimo, molto versato nelle opere e nella sapienza occulta.
Un buon ritorno per un ottimo gruppo di black metal senza fronzoli.

Tracklist
1.The Shapeless Mass
2.The Statues Are Watching
3.Call From The Grave
4.Mama Loi, Papa Loi

Line-up
Ustumallagam – vocals
Azter – guitar
Galheim – drums

DENIAL OF GOD – Facebook

Blaze Out – Instinct

Composto da una decina di potenti e metalliche canzoni, Instinct è un buon lavoro, grintoso e tellurico, lascia che la forza bruta prevalga su tutto e per le potenzialità del gruppo catalano ci sembra la scelta giusta.

I Blaze Out son un quartetto proveniente da Barcellona, suonano un heavy/thrash metal moderno e pregno di groove e con questo nuovo Instinct giungono al terzo lavoro sulla lunga distanza.

Composto da una decina di potenti e metalliche canzoni, Instinct è un buon lavoro, grintoso e tellurico, lascia che la forza bruta prevalga su tutto e per le potenzialità del gruppo catalano ci sembra la scelta giusta.
La voce pulita, incalzata da chorus di stampo hardcore/thrash, scream e rabbiosi interventi in growl, rende vario l’ascolto, mentre la musica non si schioda dall’heavy/thrash moderno che respira a pieni polmoni il vento che dagli States ha portato in Europa il nu metal di seconda generazione, chiamato appunto modern metal.
Buone le melodie che si fanno spazio tra il muro metallico costruito dal gruppo, mentre le ritmiche suggeriscono forza e rabbia tra le trame delle varie Attack On Titan, The Raise, la devastante Evil Dead e Face Your Scars.
Instinct è un album che cresce con gli ascolti, e il fatto che i Blaze Out cerchino di usare tutte le armi possibili fa sì che non perda di interesse lungo la sua durata: consigliato quindi ai fans del metal moderno di matrice statunitense, ma che potrebbe risultare gradito pure a chi ha gusti più classici, grazie alle sue ispirazioni che variano dal thrash metal, all’heavy metal, dall’hardcore al nu metal

Tracklist
1.Toxic AF
2.Attack on Titan
3.Savage Blue
4.The Raise
5.Drunk Empire
6.Evil Dead
7.Deadfall
8.No More Fear
9.Face Your Scars
10.The Goliath’s Fall

Line-up
Gerard Rigau – Lead vocals and guitar
Carles Comas – Bass and backing vocals
David Lleonart – Lead guitar and backing vocals
Sergi Rigau – Drums

BLAZE OUT – Facebook

Sepolcro – Amorphous Mass

In Amorphous Mass si rinviene fondamentalmente un armageddon di labirintici suoni estremi, a formare un vortice di musica a tratti anche solenne, ma per lo più dal putrido e malvagio incedere.

Attivi dal 2011 i Sepolcro danno alle stampe l’ep Amorphous Mass, ennesimo lavoro di una discografia che finora si è dipanata con opere concentrate in pochi ed intensi minuti.

Scelta che si apprezza anche per la proposta assolutamente estrema del gruppo con base a Verona, trattandosi di un death metal old school oscuro e catacombale con produzione che segue in tutto e per tutto il clima soffocante dei cinque brani prodotti.
Ispirato al Necronomicon lovecratftiano, il sound dei Sepolcro è quanto di più underground si possa trovare oggi nel genere: i suoni ovattati creano atmosfere abissali di puro terrore, un metal estremo che affonda le sue radici nella melma infernale prodotta a suo tempo da Incantation e Demigod, resa ancora più oscura e malevola in tempi in cui anche nel genere si cerca più la perfezione che l’attitudine e l’impatto.
Certo è che a un brano come Sulphurous Eruption From The Depths, dall’approccio assolutamente fuori da ogni pretesa commerciale, l’atmosfera di soffocante terrore non manca di certo: in Amorphous Mass si troverà fondamentalmente un armageddon di labirintici suoni estremi, a formare un vortice di musica a tratti anche solenne, ma per lo più dal putrido e malvagio incedere.

Tracklist
1.The Malevolent Mist
2.Sulphurous Eruption from the Depths
3.Unnamed Dimension
4.An Ancient Summoning
5.Amorphous Mass

Line-up
Hannes – Drums, Vocals
Nor – Bass
Simone – Guitars, Vocals

SEPOLCRO – Facebook

Firespawn – Abominate

Abominate arriva a segnare questo inizio d’estate del 2019, a conferma delle indubbie capacità del gruppo e della ritrovata salute del death metal classico di matrice scandinava.

Quello che poteva passare per uno dei tanti super gruppi da uno o due lavori lanciati come missili nel mondo metallico, per poi sparire nell’oblio delle tante collaborazioni dei suoi protagonisti, torna con un altro macigno sonoro, un monumentale album di death metal scandinavo intitolato Abominate.

I Firespawn arrivano al traguardo del terzo album, dopo il debutto del 2015 intitolato Shadow Realms ed il bellissimo The Reprobate, licenziato un paio di anni fa, ed entrato di prepotenza tra le migliori releases in campo death di quell’anno.
Ora il mitico growl di LG Petrov (Entombed) accompagnato da Alex Impaler al basso (Necrophobic e con i Naglfar in sede live), Victor Brandt alla chitarra (Entombed A.D.) a far coppia con Fredrik Folkare (Unleashed, Necrophobic) e Matte Modin alla batteria (Raised Fist, ex-Dark Funeral, ex-Defleshed) si staglia su altri undici possenti brani che formano questo monumento al death metal scandinavo.
Una bomba Abominate, un’esplosiva e terremotante eruzione vulcanica che forma colate di lava distruttiva, una tempesta di cenere, maremoti e tsunami, un’apocalisse estrema che non trova soluzione di continuità.
Petrov continua dopo anni a incidere con il suo inconfondibile latrato disumano al servizio dell’ennesima raccolta di brani di altra categoria, assecondato da un gruppo di musicisti che mettono la firma su una track list che non conosce pause.
Abominate per chi conosce il genere non è una sorpresa, questo è bene chiarirlo, perché i Firespawn portano avanti un modo di fare musica estrema radicato nella storia del genere e il loro tellurico sound è erede di quei gruppi che hanno fatto scuola, storia e leggenda, a cominciare ovviamente dagli Entombed di Left Hand Path e Clandestine.
The Gallows End apre le ostilità e veniamo quindi travolti dal furore del quintetto svedese, tra accelerazioni, rallentamenti, ritmiche telluriche, solos ricchi di melodie che sanguinano sotto le corde tirate allo spasimo dai due chitarristi, con la title track, The Great One, The Hunter e The Undertakers non lasciano scampo.
Abominate arriva a segnare questo inizio d’estate del 2019, a conferma delle indubbie capacità del gruppo e della ritrovata salute del death metal classico di matrice scandinava.

Tracklist
01.The Gallows End
02.Death And Damnation
03.Abominate
04.Heathen Blood
05.The Great One
06.Cold Void
07.The Hunter
08.Godlessness
09.Blind Kingdom
10.The Undertaker
11.Black Wings Of The Apokalypse

Line-up
LG Petrov – Vocals
A.Impaler – Bass
Victor Brandt – Guitar
Fredrik Folkare – Guitar
Matte Modin – Drums

FIRESPAWN – Facebook

Green Oracle – Green Oracle

I brani sono tre viaggi che fanno parte di un disegno più grande che ognuno coglierà in maniera diversa, perché qui si va a toccare il subconscio profondo di ognuno

I Green Oracle sono uno di quei gruppi che appartengono alla schiera degli sciamani musicali, iniziati che mettono in musica riti per accedere a dimensioni diverse dalla nostra.

Il disco omonimo è il loro debutto, esce per Argonauta Records e le tre canzoni sono già un proclama fin dai titoli, Please, Do, Hallucinogens. E infatti la loro musica è molto forte ed evocativa, con lunghe jam che sono canali di chiamata per spiriti interdimensionali ma che, alla fine, hanno lo scopo ultimo di cambiarci e di non lasciarci come prima. Musicalmente non ci sono frontiere ma solo limiti da superare, la musica è totale e avviluppa ogni cosa con potenza e dolcezza. Di fondo si potrebbe definirli degli Zu maggiormente rituali e profondi, ad esempio i giochi che fanno con le voci sono profondamente sciamanici, un esempio di qualcosa di molto antico che giace ancora dentro di noi se lo si vuole guardare. Le litanie musicali di Green Oracle sono vicine alla tradizioni ritual doom, ma vanno oltre. Le canzoni qui diventano altro, mutando a seconda delle intenzioni plasmatrici del creatore, offrendo una visione della musica rituale a trecentosessanta gradi. Sono presenti in maniera molto interessante e feconda dei sintetizzatori, che sono dei mezzi molto adeguati per indurre una trance. Incredibili anche le sezioni delle canzoni in cui le chitarre in drone si uniscono con le percussioni. La produzione è primitiva e raccoglie tutto il furore e l’urgenza di composizioni che vanno oltre la forma canzone. I tempi si dilatano e il sangue scorre meno velocemente, mentre il nostro cervello acquista potere ed una superficie psichica maggiore. Sono tre viaggi che fanno parte di un disegno più grande che ognuno coglierà in maniera diversa, perché qui si va a toccare il subconscio profondo di ognuno. Una bella congiunzione fra musica rituale e musica pesante, operata da un collettivo che ha ottime idee.

Tracklist
1. Please
2. Do
3. Hallucinogens

Line-up
Thomas Santarsiero
Matteo Anguillesi
Vanni Anguillesi
Giulia Mannocci

GREEN ORACLE – Facebook

Krypts – Cadaver Circulation

Titolo appropriato per un’opera di death doom fangosa, gelida e putrescente.I Krypts, al loro terzo album, si dimostrano ispirati e dannatamente angoscianti.

Il metallo della morte e la Dark Descent proseguono il loro insano rapporto per portare ai nostri padiglioni auricolari quanto di meglio il panorama death mondiale possa proporre; avvicinarsi al catalogo della label americana per un cultore dell’estremo significa rimanere estasiati e sconvolti dalla bontà delle proposte e io non ricordo una solo opera che non mi abbia soddisfatto appieno.

Anche stavolta il piatto proposto è cucinato con ingredienti di alta qualità e i finlandesi Krypts, già dal 2013 attivi per questa etichetta con Unending Degradation, ci riportano in territori death costantemente affogati in putrescenze doom; nessun lato melodico classicamente inteso, qui la materia è carnale,viscerale , la morte si stacca letteralmente da ogni nota e ci fa sentire il suo fetore. Il quartetto finlandese, da sempre guidato dal vocalist e bassista Antti Kotiranta, ci ha sempre nutrito con questa malsana miscela sonora dove la pesantezza e la soffocante lentezza rendono l’aria irrespirabile e priva di luce e anche questa volta ci offrono un trip similare, in cui sono amalgamati ed equliibrati al meglio tutti gli ingredienti usati. Rispetto al precedente e notevolissimo Remnants of Expansion del 2016, forse, ma si tratta di minuzie, la direzione sonora è appena più ragionata, non mancano momenti più classicamente death come l’inizio di Sinking Transient Waters ma la matrice sonora rimane sempre quella sinistra e terrificante del death doom, le cui decelerazioni fangose e glaciali fanno accapponare la pelle e raggelare il sangue.Un brano come Echoes Emanate Forms, con il suo lento e inesorabile incedere, tramortisce ogni resistenza. Questa è musica che ha il compito di aprire portali dove orrori soprannaturali attendono di poter passare; la band conosce molto bene la materia, è sempre ispiratissima e in scarsi quaranta minuti colpisce senza fare prigionieri. Siamo in terre battute in passato da acts quali Incantation e dai greci Dead Congregation nei loro momenti più lenti e riflessivi, il tutto condito da melodie malsane, paludose e ferali come solo in Finlandia riescono a creare (ricordiamoci di Hooded Menace e Swallowed). Sei brani di media lunghezza con punte notevoli in Vanishing, immane allucinazione, e Circling the Between, glaciale e misteriosa nel suo sviluppo. Altra grande conferma per questi artisti finlandesi: bisognerà ricordarsi anche di loro nelle classifiche di fine anno.

Tracklist
1. Sinking Transient Waters
2. The Reek of Loss
3. Echoes Emanate Forms
4. Mycelium
5. Vanishing
6. Circling the Between

Line-up
Jukka Aho – Guitars
Otso Ukkonen – Drums
Ville Snicker – Guitars
Antti Kotiranta – Vocals, Bass

KRYPTS – Facebook

Moonlight Haze – De Rerum Natura

Da esperti del genere arriva un nuovo progetto made in Italy di Symphonic Metal moderno, dinamico ed estremamente curato; un mix di classico e di nuovo, unito in un concept accattivante e seducente.

Qui si va sul sicuro ed è un buon punto di partenza: i Moonlight Haze sono una nuova realtà italiana nata nel 2018 da membri o ex componenti di Temperance, Elvenking, Sound Storm, Teodasia and Overtures, quindi è facile intuire che la proposta sia inserita nell’ambito di un Symphonic Metal fresco, moderno ed estremamente curato a livello di arrangiamenti e produzioni.

Si sente infatti il tocco dell’ottimo producer Simone Mularoni che regala grande vivacità ed un suono grandioso ed impeccabile. De Rerum Natura si presenta alla grande fin dall’artwork di copertina che unisce elementi naturistici ad altri più futuristici e tecnologici, ed è perfetto per descrivere la musica all’interno contenuta. Merito certamente della voce versatile e squillante di Chiara Tricarico, del mare di tastiere di Giulio Capone, che riesce a stratificare il sound della band con grande sapienza, della coppia prodigiosa di chitarristi Marco Falanga ed Alberto Melinato, sempre a servizio delle canzoni e mai strabordanti, e della sezione ritmica di Giulio Capone alla batteria (ancora lui) e Alessandro Jacobi al basso, di grande intensità esecutiva, che riesce a “contenere” e valorizzare le performance di tutto il gruppo. Un perfetto lavoro di squadra che culmina in piccole grandi perle musicali come A Shelter From The Storm, ballata dal feeling notturno e quasi fatato, oppure nella galoppante Goddess, dove la melodia non si perde nella vorticosa velocità di esecuzione. Grandi cori ed armonie vocali che si ripetono nella magistrale To The Moon and Back, manifesto perfetto della solidità dei Moonlight Haze. Se Odi et Amo riesce ad essere romantica e sensuale insieme, The Butterfly Effect possiede un refrain catchy e difficilmente dimenticabile, degno dei migliori Nightwish. Time invece, anche grazie al contributo degli ospiti Mark Jansen (Epica e MaYaN) e Laura Macrì (MaYaN), offre sprazzi imperiosi dove si fondono prog metal, musica operistica e classica, per un connubio di grande fascino e forza. I Moonlight Haze passano anche l’esame della suite, perché Dark Corners Of Myself (posta stranamente a metà album) è un racconto di più di nove minuti che non annoia mai e tocca anche lidi musicali del tutto inaspettati, dimostrazione della grande maturità della band. De Rerum Natura è un esordio di grandissima qualità lirica e musicale, noi speriamo che questo non sia solo un progetto estemporaneo ma il primo capitolo di un lungo e glorioso cammino a sette note.

Tracklist:
1. To The Moon and Back
2. Ad Astra
3. Odi et Amo
4. The Butterfly Effect
5. Time
6. Dark Corners of Myself
7. A Restless Mind
8. Deceiver
9. A Shelter from the Storm
10. Goddess

Line-up:
Chiara Tricarico – vocals
Giulio Capone – drums, keyboards
Marco Falanga – guitars
Alberto Melinato – guitars
Alessandro Jacobi – bass

MOONLIGHT HAZE – Facebook