Dustin Behm – The Beyond

Behm, cresciuto a pane e James Murphy, con contorno di Satriani e Gilbert, licenzia un debutto che ricorda più un testo didattico che un’opera musicale e che potrebbe piacere solo a chi si trastulla con i guitar heroes ed i virtuosi degli strumenti.

Una cascata di note allucinanti tra dischi volanti e mostri usciti dalla cultura horror degli anni settanta, un vorticoso incedere tra prog metal e technical death che porta alla totale distruzione, mentre gli incubi del musicista ci appaiono confusi e nebulosi.

Dustin Behm, chitarrista e polistrumentista americano, ex Lumus ed in forza ai prog metallers Increate, debutta con il primo lavoro solista interamente strumentale, un “mappazzone” (come lo definirebbe lo chef Barbieri, davanti ad un piatto presentato da uno dei cuochi dilettanti nel noto programma culinario di Sky) estremo di note suonate alla velocità della luce, tra death metal, prog e sfumature jazz.
Il problema di questo lavoro è l’assoluta mancanza di feeling, trattandosi di una cinquantina di minuti (e non sono pochi) di musica suonata da un mostro di tecnica (su questo non ci piove) che ben poco a chi ascolta e ancora meno se non si è un musicista, per cui l’attenzione rimane alta solo per trovare qualche difetto al collega di turno.
Lo shredding è portato all’estremo, la forma canzone manca totalmente e l’interesse comincia a svanire dopo il terzo brano, travolti da un’interminabile ghirigoro elettrico che affoga nel mare in burrasca dell’ego di un musicista prigioniero della propria inattaccabile tecnica.
Behm, cresciuto a pane e James Murphy, con contorno di Satriani e Gilbert, licenzia un debutto che ricorda più un testo didattico che un’opera musicale e che potrebbe piacere solo a chi si trastulla con i guitar heroes ed i virtuosi degli strumenti.
Le emozioni, che sono il fulcro di qualsiasi forma d’arte, non abitano tra questi solchi, peccato.

Tracklist
01. Mechanization
02. Poltergeist
03. Alien Voodoo
04. Interdimensional Travel
05. The Beyond
06. Genesis
07. Rituals
08. Descent Into The Unknown
09. Haunted Labyrinth
10. Obelisk
11. Last Resort
12. Awakening
13. Towers Of Glass

Line-up
Dustin Behm – All Instruments

DUSTIN BEHM – Facebook

Retrace My Fragments – Tidal Lock Ep

I ragazzi riescono a semplificare musica altresì complessa, e a renderla in una maniera molto adeguata e piacevole all’orecchio, proponendosi come un ottimo ascolto trasversale, poiché riusciranno ad impressionare chi ama questa commistione, ma anche chi vuole un metal più avanzato.

Ep del 2017 per i lussemburghesi Retrace My Fragments, un gruppo di metal strumentale con un suono che va molto oltre i generi, per creare un grande effetto di insieme.

Si potrebbe definire ciò che si ascolta dentro Tidal Lock come metal strumentale progressivo, dato che è un suono che va avanti invece di rimanere su stesso. Il gruppo ha ovviato in ottima maniera all’uscita del loro cantante storico Marti, che dopo dieci anni di attività insieme ha abbandonato. La musica del combo lussemburghese spazia davvero molto tra il djent, il math e il prog, che rimane una cifra stilistica sempre bene ferma. Il loro suono è sinuoso ma dolce, sempre molto espressivo attraverso linee melodiche che vanno trovate dentro a canzoni dall’andamento sempre molto ondulatorio, come dovrebbe essere qualcosa di progressivo. Una delle peculiarità maggiori dei Retrace My Fragments è quella di possedere un grande equilibrio e di avere tutto sotto controllo, e anche quando si decolla non c’è confusione, ma grande chiarezza, il che aumenta maggiormente la potenza del tutto. Questo terzo ep conferma quanto di buono hanno fatto sino a qui e, anzi, amplia ulteriormente il loro discorso stilistico, portandolo a livelli molto alti. I ragazzi riescono a semplificare musica altresì complessa, e a renderla in una maniera molto adeguata e piacevole all’orecchio, proponendosi come un ottimo ascolto trasversale, poiché riusciranno ad impressionare chi ama questa commistione, ma anche chi vuole un metal più avanzato. Una tappa importante per un gruppo che merita più di quello che ha ricevuto.

Tracklist
1. Khlav Kalash
2. Le Bison De Hoggs
3. Laserbrain

RETRACE MY FRAGMENTS – Facebook

Long Distance Calling – Boundless

I Long Distace Calling tornano su Inside Out con Boundless, un altro viaggio onirico e astrale tra il rock/metal del nuovo millennio, con ormai poche ispirazioni classiche e tanta musica moderna, originale e composta da un pugno di musicisti dal talento enorme.

Non sono mai stato un amante dei lavori strumentali, troppo spesso rifugio di musicisti dall’ego spropositato, composti da una valanga di note che alla fine non lasciano ricordo di se.

Questo avviene maggiormente proprio nel progressive, genere di cui si parla per questo sesto, bellissimo lavoro dei tedeschi Long Distance Calling, band che in passato aveva lasciato il microfono ma solo in alcune tracce a qualche ospite, tra cui John Bush (Armored Saints, Anthrax), e con un passato da alternative post rock band che con il passare del tempo ha venduto l’anima al demone progressivo con il precedente Trips a vestire i panni del capolavoro di una discografia di altissimo livello.
La band torna su InsideOut con Boundless, un altro viaggio onirico e astrale tra la musica rock/metal del nuovo millennio, con ormai più poche ispirazioni classiche e tanta musica moderna, originale e composta da un pugno di musicisti dal talento enorme.
Boundless è un lavoro da gustarsi in religiosa solitudine, chiudendo gli occhi ed aspettando che le note di In The Clouds ci facciano da tappeto volante, mentre Out There ci ha preparato con il suo alternare scudisciate post metal e progressive rock a quello che i Long Distance Calling hanno creato per noi.
La tensione elettrica rimane altissima anche nei momenti più introspettivi, tramite una musica che tende a liquefarsi ma che al tocco emana pericolose scariche elettriche (Like A River) o mastodontiche bordate metalliche (The Far Side) per poi riprenderci per mano come nulla fosse successo e così riportare il tappeto alla giusta altitudine per continuare il volo.
Siamo nel gotha del rock strumentale, poco incline ai facili compromessi, ma che lascia aperta una via a chiunque abbia ancora voglia di sorprendersi e mettersi in gioco con una varietà di sfumature ed atmosfere incredibili (On The Verge).
Boundless è un’opera a tratti entusiasmante giocando a suo piacimento con il progressive moderno, il metal ed il post rock.

Tracklist
1.Out There
2.Ascending
3.In The Clouds
4.Like A River
5.The Far Side
6.On The Verge
7.Weightless
8.Skydivers

Line-up
David Jordan – guitar
Florian Füntmann -guitar
Janosch Rathmer – drums
Jan Hoffmann – bass

LONG DISTANCE CALLING – Facebook

Graveyard Of Souls – Mental Landscapes

Chicote dimostra ampiamente d’essere un musicista rispettabile e ciò rende sicuramente gradevole un disco che potrebbe rappresentare, in qualche modo, un punto di svolta per i Graveyard Of Souls, fino ad oggi interpreti onesti ma non di di primissimo piano della materia death doom.

I Graveyard Of Souls sono una band attiva da inizio decennio e con alle spalle già un buon numero di full length.

Questa volta Angel Chicote decide di fare tutto da solo rinunciando al consueto apporto del vocalist Raul Weaver, il quale è sempre stato presente nei precedenti lavori: il risultato è un album interamente strumentale come Mental Landscapes, la cui uscita segue di circa sei mesi quella del precedente Pequeños fragmentos de tiempo congelado.
Tale scelta condiziona inevitabilmente lo sviluppo del sound, che perde per strada le ruvidezze del death doom, non solo per l’assenza del growl, orientandosi verso sonorità più ariose e di buon impatto melodico: ne scaturisce un lavoro senz’altro gradevole, per molti aspetti più riuscito dei suoi predecessori dalla configurazione più canonica, anche se la soluzione integralmente strumentale finisce per favorire una certa ripetitività.
D’altronde, parlando proprio di Pequeños … rimarcavo il fatto che a mio avviso i Graveyard Of Souls offrivano il meglio appunto nelle parti melodiche, mentre la maggior parte dei dubbi sorgeva allorché il duo si spingeva verso sonorità più robuste o ritmate: in effetti, con questa configurazione l’album si mostra più morbido e scorrevole, esibendo alcuni brani davvero molto belli (uno tra tutti il trascinante Eclipse)
Essendoci stata fornita l’occasione di ascoltare i Graveyard of Souls in un’altra veste, non si può fare a meno di apprezzare quest’ultima incarnazione, anche se la soluzione ideale, in futuro, potrebbe essere proprio quella di proseguire su questa linea tornando ad inserire le parti vocali, magari modulandole rispetto ad un’espressione musicale meno estrema.
Chicote dimostra ampiamente d’essere un musicista rispettabile e ciò rende sicuramente gradevole un disco che potrebbe rappresentare, in qualche modo, un punto di svolta per i Graveyard Of Souls, fino ad oggi interpreti onesti ma non di di primissimo piano della materia death doom.

Tracklist:
1.Cloud fields
2.En la oscuridad está nuestro hogar
3.The last dawn of mankind
4.Où sont passés ces jours?
5.Eclipse
6.Way of hell
7.Floating in the amniotic Eden
8.Farvel

Line-up:
Angel Chicote

GRAVEYARD OF SOULS – Facebook

In Lights – This is How We Exist

This is How We Exist è lo splendido esordio su lunga distanza di una band che, in un futuro, prossimo, potrebbe collocarsi stabilmente ai piani più altri del post rock strumentale.

Gli In Lights sono un gruppo californiano a forte trazione asiatica, viste le origini di 4/5 dei musicisti coinvolti,
e di questo risente anche il post rock che la band propone essendo intriso di una spiritualità più spiccata rispetto a quella tipica delle culture occidentali.

A livello stilistico i canoni del genere non vengono stravolti e quello che viene offerto dagli In Lights è un sound lieve, melodico e interamente strumentale, il cui elemento di peculiarità è costituito dal violino (suonato da Tianyang Wei ) che qui riveste un ruolo molto importante assieme al lavoro chitarristico di Li He e Bosen Li.
Non ho mai lesinato critiche alla scelta praticata da molte (troppe?) band nell’offrire musica interamente strumentale, ma va detto che ciò spesso coincide con l’esibizione di un sound magari valido ma incapace di reggersi da solo senza l’ausilio delle parti cantate: questo non avviene con gli In Lights, capaci di avvolgere ma anche di colpire con improvvisi affondi melodici anche l’ascoltatore più scettico.
L’opener Forward è una perla musicale che spalanca una strada luminosa lungo la quale questi ragazzi di stanza a San Josè regalano emozioni a profusione, grazie a sonorità cristalline, curat20e e, soprattutto, frutto di un sentire profondo e non di uno sterile manierismo.
Come suggerisce il monicker, la musica degli In Lights è luminosa ma non è certamente scevra di una certa malinconia, espressa particolarmente in un altro gioiello come quello intitolato Memory, che viene poi replicato da Dream, dai toni però ancor più pacati e rarefatti; d’altro canto l’incedere dei singoli brani corrisponde in maniera piuttosto calzante ai rispettivi titoli, il che diviene ancor più un valore aggiunto per un’opera di natura strumentale.
Il mantra Om Namah Shivaya chiude nel migliore dei modi This is How We Exist, splendido esordio su lunga distanza di una band che, pur facendo proprio il vissuto di una cospicua lista di nomi che vanno dai Sigur Ros ai God Is An Astronaut, passando per i per Collapse Under The Empire, esibisce una cifra stilistica sicuramente personale e di qualità inattaccabile: pertanto non ci sarebbe da stupirsi se, in un futuro, prossimo il nome degli In Lights dovesse assurgere stabilmente ai piani più altri del post rock strumentale.

Tracklist:
1.Forward
2.Search
3.Before
4.Memory
5.Dream
6.Spring
7.Om Namah Shivaya

Line-up
Li He – Guitar
Bosen Li – Guitar
Long Jin – Drums
Ted Pederson – Bass
Tianyang Wei – Violin

IN LIGHTS – Facebook

Luna – Swallow Me Leaden Sky

Swallow Me Leaden Sky regala quasi tre quarti d’ora di buon funeral death doom atmosferico, che ben difficilmente non farà breccia negli estimatori del genere.

Su quest’ultimo lavoro della one man band ucraina Luna avei potuto più o meno fare un copia incolla di quanto scritto nelle precedenti occasioni: DeMort, titolare del progetto, continua imperterrito a sfornare un buon funeral doom atmosferico interamente strumentale e che trae ispirazione in maniera piuttosto marcata dal sound degli Ea, anche se Swallow Me Leaden Sky mostra una progressione importante, se non dal punto di vista dall’originalità, sicuramente da quello prettamente qualitativo.

D’altronde, come già detto parlando di Ashes to Ashes e On the Other Side of Life, i due full length usciti rispettivamente nel 2014 e nel 2015, il rifarsi al sound tipico della misteriosa band americana non è certo da considerarsi deprecabile, specialmente se si apprezza in toto questa espressione musicale che qui viene riproposta con competenza e buona ispirazione.
Il permanere della struttura interamente strumentale resta pur sempre un limite, anche se forse in questo genere lo è meno che in altri; d’altro canto, però, in questo ultimo lavoro, non si può fare a meno di notare che alcuni degli elementi di discontinuità inseriti nel bellissimo ep There Is No Tomorrow Gone Beyond Sorrow Under a Sheltering Mask, uscito a cavallo tra i primi due full length, vengono ripresi dal musicista ucraino riuscendo cosi a conferire al tutto un’aura più drammatica e solenne, specialmente nella seconda delle due lunghe tracce, la title track. E’ proprio qui che il sound acquista parecchi punti in personalità e profondità rispetto al pur buono brano iniziale Everything Becomes Dust, con l’aggiunta di una sorta di vocalizzo campionato che si fa gradevolmente ossessivo nella seconda metà della traccia: la chitarra diviene finalmente protagonista soppiantando le tastiere nel ruolo preponderante assunto fino ad allora, spostando il tutto su un piano più cosmico affine a quello dei Monolithe, altra importante fonte di ispirazione per la musica marchiata Luna.
Grazie a questo l’operato di DeMort acquista quello spessore che era mancato talvolta nei lavori precedenti, assurgendo ad una forma decisamente compiuta e ben diversa da quella di buon surrogato del già esistente, definizione che sembrava essere fino ad oggi quella più calzante per la one man band di Kiev.
Swallow Me Leaden Sky regala così quasi tre quarti d’ora di buon funeral death doom atmosferico, che ben difficilmente non farà breccia negli estimatori del genere.

Tracklist:
1.Everything Becomes Dust
2.Swallow Me Leaden Sky

Line-up
DeMort

Glass Mind – Dodecaedro

Progressive metal che, senza bisogno del canto, esprime ugualmente una forte componente emozionale evidenziando l’ottima preparazione tecnica dei musicisti e le tante sfumature che toccano generi diversi, mantenendo il tutto perfettamente amalgamato in un sound che non provoca sbadigli.

Prog metal strumentale di altissimo spessore quello proposto dal quartetto messicano dei Glass Mind, che con Dodecaedro si affacciano in maniera importante sulla scena internazionale, grazie anche all’attivissima Rockshots, label dal roster molto interessante.

E l’album appunto è un’altra ottima opera proposta dall’etichetta italiana, ormai punto di riferimento per il metal classico ed alternativo ed i loro sottogeneri: un progressive metal che, senza bisogno del canto, esprime ugualmente una forte componente emozionale evidenziando l’ottima preparazione tecnica dei musicisti e le tante sfumature che toccano generi diversi, mantenendo il tutto perfettamente amalgamato in un sound che non provoca sbadigli.
E’ molto presente la componente metal nella musica dei Glass Mind, l’impatto è di quelli che fanno tremare i muri anche se a tratti spuntano, tra lo spartito elementi riconducibili alla musica etnica e al jazz.
Un primo lavoro che aveva già ben impressionato (Haunting Regrets del 2011), qualche sporadico singolo, ed ora questa nuova prova sulla lunga distanza che promuove la band di Città del Messico, bravissima a non cadere mai troppo nell’autocompiacimento e donando musica metal nobilitata da espressioni musicali alternative condensate in quaranta emozionanti minuti.
Una dozzina d’anni d’esperienza per la band non sono pochi, anche se la discografia è limitata a soli due full length e fanno di Dodecaedro un lavoro ispirato e dall’ottimo songwriting, così che tra lo spartito delle varie Babel, Fu e la conclusiva title track, troverete la perfetta sintesi del progressive metal di scuola Dream Theater, le ispirazioni che giungono dal mondo della musica etnica e dal jazz e quello delle nuove leve del progressive internazionale più ricercato e moderno.

Tracklist
1. Babel
2. Caliente
3. Fu
4. Húmedo
5. Inside the Whale
6. Frío
7. Detritus
8. Seco
9. Dodecaedro

Line-up
Benjamín Berthier – Guitars
Pablo Berthier – Guitars
Edgar Garduño – Drums
Michel Villamor – Bass

GLASS MIND – Facebook

SILENT WHALE BECOMES A° DREAM – REQUIEM

Un album in cui non c’è niente da perdere,se non sé stessi. Un ascolto che nemmeno ad un muro potrebbe risultare anonimo. È una porta aperta per una stanza di cui voi decidete il contenuto,irrazionalmente. Fatevi guidare dal vento gelido di questa band in un viaggio che sfugge agli occhi indiscreti.

Il concetto di “giudizio”, divino o umano che sia, è sempre soggetto a distorsioni e mistificazioni.

E allora a spiegarcelo meglio ci pensano i francesi Silent Whale Becomes A° Dream con il loro terzo album Requiem.
Perché di giudizio si parla, nella sua accezione più pura, quella da cui nessuno può nascondersi. È quello della coscienza, e di un mondo capace di assoggettare anche i più magnanimi a sensi di colpa inesistenti.
Come nei lavori precedenti, alla band francese non servono addobbi particolari, ma bastano quattro brani per raccontare qualcosa (addirittura, in Architeuthis era solo uno). Il titolo dell’album, così come quelli delle singole canzoni, rimanda al Dies Irae, proprio una delle sequenze del Requiem. La lingua latina, oltre che madre della nostra, risulta eternamente elegante e capace di immortalare ogni sensazione, come in questo caso.
Non si lasciano scappare questi particolari i nostri amici francesi, creando un mondo in musica verso il quale si può solo mettersi comodi, ma mai passivi. 57 minuti e 46 secondi in cui il benessere sconfinato ed eterno si intreccia all’inquietudine incalzante, all’angoscia che sta in agguato e sempre fa parte di noi.
Non manca la sana malinconia, per un futuro che si compone piano piano durante l’ascolto, e la breve pausa intorno al terzo minuto del brano Recordàre assomiglia ad un profondo respiro chiarificatore.
Questo calderone di emozioni si relaziona con lo scenario, che assume qui un ruolo quasi mistico, del mare. Dal mare può provenire un pericolo, ma soprattutto proviene il giudizio, il confronto. Ispirati dal mare, i francesi producono un sound quasi elitario, sulla scia dei God is an Astronaut, solo ed esclusivamente per chi sarà paziente e capace di seguirli, ma soprattutto di seguire sé stesso.
Ma come finirà questo loro racconto? Una risposta forse possiamo trovarla nel pezzo finale Lacrymósa Dies Illa (Giorno di lacrime, quello), che si sposta senza problemi, come delle soffici onde, tra inferno, purgatorio e, dulcis in fundo, paradiso. Come negli altri brani, vi è un’esplosione improvvisa, ma stavolta ha dei connotati diversi. Stavolta possiamo percepire la grandiosità nonostante i travagli passati.
In definitiva, i Silent Whale Becomes A° Dream hanno le idee chiare pur in un percorso che si mette sempre in discussione per sua stessa natura, e forse la parola chiave adatta per i loro lavori futuri, più che “giustizia” può essere “curiosità”.

Tracklist
1.Dies Iræ, Dies Illa
2.Cor Contritum Quasi Cinis
3.Recordàre
4.Lacrymósa Dies Illa

Line-up
S.
D.
E.
M.

SILENT WHALE BECOMES A° DREAM – Facebook

Spectrale – ▲

L’ascolto di quest’album dovrebbe essere obbligato per tutti quelli che sostengono di amare la musica, ma sicuramente rimarrà ad esclusiva di pochi, noi comunque ci godiamo questo primo bellissimo rituale acustico donato dagli Spectrale.

Seguendo le varie scene underground, in tutti questi anni abbiamo avuto la fortuna di conoscere non solo band fuori dal comune, ma soprattutto etichette che fanno del portare a conoscenza di più persone possibili grande musica di qualsiasi genere si tratti.

Una di queste è sicuramente la label transalpina Les Acteurs de L’ombre Productions, che si cura di molte realtà estreme della scena del proprio paese con passione ed ottimo fiuto.
E’ così che le opere che l’etichetta ci propone all’attenzione hanno tutte un qualcosa per cui vale la pena soffermarsi all’ascolto, fuori dai soliti cliché e tutte valorizzate da enorme personalità.
Avevamo fatto la conoscenza degli Spectrale, band dal sound prevalentemente acustico, in occasione del bellissimo split in compagnia di altre due realtà dell famiglia Les Acteurs De L’ombre, gli In Cauda Venenum e gli Heir.
Giunge così anche per la creatura di Jeff Grimal il momento di licenziare il primo full length, questo , dal titolo che rispecchia il concept esoterico ed ipnotico della musica del chitarrista francese, misteriosa ed a suo modo estrema.
Credo che non ci sia assolutamente dubbi sulla natura estrema dei brani contenuti sull’album, ovviamente non si parla di sfuriate black o death metal, ma di ricami acustici che si muovono sinuosi tra le corde delle chitarre, creati dalla mente e dalle dita di questi straordinari musicisti che come maghi ci ipnotizzano e portandoci in mondi paralleli, lontano dagli isterismi di una società sempre più malata e vicino il più possibile a quello che ognuno di noi chiama Dio.
Quarantacinque minuti di musica estrema perché va aldilà dei soliti ascolti, ci invita a fermarci e per un po’ viaggiare al di sopra del mero mondo materiale sulle note delle stupende Attraction, la meravigliosa e pink floydiana Magellan e le due parti di Monocerotis suggestivi attimi musicali di questa splendida ed originale opera.
Gli Spectrale vanno oltre, l’ascolto di ▲ dovrebbe essere obbligato a tutti quelli che sostengono di amare la musica, ma sicuramente rimarrà ad esclusiva di pochi, noi comunque ci godiamo questo primo bellissimo rituale acustico donato da Jeff Grimal e soci.

Tracklist
1.Andromede
2.Contract
3.Attraction
4.Landing
5.Magellan
6.Monocerotis Part1
7.Monocerotis Part2
8.▲
9.Retour Sur Terre

Line-up
Jeff Grimal – Guitar
Léo Isnard – Drums,guitar
Xabi Godart – Guitar,noise
Raphael Verguin – Cello

SPECTRALE – Facebook

Elmo Karjalainen – Age Of Heroes

Quarto album solista per Elmo Karjalainen, ex chitarrista dei melodic rocker finlandesi Deathlike Silence, che con Age Of Heroes è protagonista di un buon lavoro di metal strumentale, leggermente prolisso ma consigliato agli amanti dei guitar heroes.

Quarto lavoro strumentale per l’ex chitarrista del Deathlike Silence, gruppo hard rock melodico pregno di atmosfere horror e gotiche, che nel 2009 licenziò il bellissimo ed ultimo album Saturday Night Evil.

Del sestetto di Turku abbiamo purtroppo perso le tracce, mentre il suo axeman dal 2012 ha intrapreso la carriera solista con una serie di lavori strumentali di ottima fattura.
Poco conosciuto fuori dal territorio nazionale, Elmo Karjalainen giunge al quarto album, interamente scritto da lui, una lunga jam strumentale di settanta minuti (forse troppi) dove il metal e l’hard rock incontrano varie soluzioni stilistiche, sognanti atmosfere pinkfloydiane tra musica dura e progressiva.
Le influenze del musicista finlandese sono da attribuire ai maghi delle sei corde che tanto hanno fatto parlare in passato gli addetti ai lavori (Paul Gilbert, Joe Satriani e Yngwie J. Malmsteen), quindi l’opera è adatta ai palati metallici, anche se in così tanti minuti troverete riferimenti a più di un’ icona del rock /metal mondiale.
Age Of Heroes ha nella sua eccessiva durata il punto debole, anche se la musica suonata da Karjalainen non si avvolge su se stessa come quella di molti suoi colleghi.
How Can Less Be More, The Grassy Gnoll, la doppietta composta dalla title track e dalla speed metal song A Meeting Of The Gods (And This Guy), sono i momenti più interessanti di un album che rischia di passare inosservato come i suoi predecessori, mentre meriterebbe più di attenzione da parte degli amanti del genere, anche se come detto il minutaggio non gioca a favore della fruibilità, importantissima in lavori come Age Of Heroes.

Tracklist
1. Warm Welcome
2. How Can Less Be More
3. The Colour of Greed
4. Chikken Noodul
5. A Fertile Discussion
6. The Grassy Gnoll
7. Blue Eyes
8. Party Political Speech
9. Age of Heroes
10. A Meeting of the Gods (And This Guy)
11. Sunset
12. Return of the Silly English Person
13. Falling for Falafels
14. Lost In a Foreign Scale
15. Three Days of Peace
16. Limiting Rationality
17. Breathe

Line-up
Derek Sherinian – Keyboards on “The Colour of Greed”
Mattias IA Eklundh – Gutiar solos on “A Fertile Discussion” and “Falling for Falafels”
Janne Nieminen and Emil Pohjalainen – Guitar solos on “A Meeting of the Gods (And This Guy)”
Vesa Kolu – Drums on “A Fertile Discussion”, “Blue Eyes”, “Falling for Falafels”, “Three Days of Peace”, and “Limiting Rationality”
Christer Karjalainen – Drums on “Chikken Noodul” and “Sunset”
Elmo Karjalainen – everything else

ELMO KARJALAINEN – Facebook

Rancho Bizzarro – Rancho Bizzarro

I Rancho Bizzarro arrivano da Livorno con due chitarre, un basso e una batteria e fanno un desert stoner rock strumentale molto efficace e molto desertico.

Izio Orsini, bassista e fondatore dei Rancho Bizzarro, è un uomo che ha un gran talento musicale, ama visceralmente un certo tipo di suono e appena può sperimenta, facendo dischi bellissimi come Weedooism, sempre per Argonauta Records sotto lo pseudonimo Bantoriak, e ora torna con questo progetto di musica strumentale.

I Rancho Bizzarro arrivano da Livorno con due chitarre, un basso e una batteria e fanno un desert stoner rock strumentale molto efficace e molto desertico. La lezione dei Kyuss, di Brant Bjork solista e di quel filone nato fra le sabbie del deserto è la maggiore fonte d’ispirazione per questo gruppo, ma non certamente l’unica. La jam in sala prove è il fondamento di questo gruppo, entrano, suonano e si crea la magia, poi in studio si edita e si dà quel tocco in più. Essendo un gruppo strumentale non c’è il supporto della voce che a volte può mascherare qualche deficit musicale e viceversa, ma qui la ricchezza musicale renderebbe eventuali parti cantate quasi fastidiose. L’atmosfera è molto western e desertica, i riff precisi, il basso di Izio scava tortuosità dentro le linee melodiche, e la produzione è ricca, fa risaltare bene i suoni, mentre a volte in questo genere si tende ad alzare troppo gli alti. E poi ovviamente l’influenza sabbathiana è presente, ma anche perché quei ragazzi da Birmingham hanno fatto dei paradigmi a cui devi rifarti se vuoi musica pesante, poi devi essere bravo a rielaborare il tutto per conto tuo, e i Rancho Bizzarro lo sono.
Questo gran bel disco strumentale, strutturato e suonato molto bene, sarà una sorpresa per chi non conosceva ancora Izio Orsini, che qui raccoglie dei magnifici musicisti e solleva molta polvere del deserto.

Tracklist
1 Five Hermanos
2 Garage Part Two
3 Incredible Bongo
4 Mood Brant
5 Yo Man
6 Katching
7 Mr Aloba

Line-up
Izio – bass
Matt – guitar
Mark – guitar
El Meloso – drums

RANCHO BIZZARRO – Facebook

Oddfella – Am/Fm

Interessante lavoro interamente strumentale offerto da questa one man band portoghese denominata Oddfella.

Interessante lavoro interamente strumentale offerto da questa one man band portoghese denominata Oddfella.

João Henriques propone un rock dalle sfumature dark ed elettroniche molto convincente, nonostante il solito handicap costituito dall’assenza della voce: questa volta il corrispondente vuoto viene riempito per lo più da belle melodie, atmosfere ariose e sempre dotate di un valido spunto ritmico.
Valga come esempio migliore del lavoro un brano come Geisha, con il vago sentore orientale che rende pressochè irresistibile il tema portante ma, in generale, gli undici bravi brani di cui si compone Am/Fm sono tutti estremamente gradevoli e tengono alla larga ogni traccia di tedio.
Bravo, quindi, l’ottimo Henriques nel districarsi tra umori più eterei ed altri maggiormente robusti, come avviene in Never Look Back, o ancora su ritmi più sostenuti e screziati da pulsioni elettroniche (D.D.B.R.), aiutato da doti tecniche di prim’ordine e da una pulizia sonora invidiabile.
Questo primo album a nome Oddfella è, quindi, una bella sorpresa, mentre non lo è il fatto che il materiale pubblicato sotto l’egida della Ethereal Sound Works sia sempre e comunque contraddistinto da una qualità media elevata, nonostante giunga per lo più da musicisti conosciuti prevalentemente sul suolo lusitano.

Tracklist:
1.Steam Driven Passion
2.Puching Mirrors
3.The Great Simple Things
4.Geisha
5.Lipstick Skin and High Heels
6.Never Look Back
7.D.D.B.R.
8.Still Waiting For A Dawn
9.A Wiser Looser
10.Two Of Us
11.You’re At Peace

Line-up:
João Henriques

Go Ask Alice – Perfection Is Terrible

Se la perfezione è terribile, almeno musicalmente i nostri il rischio lo corrono avvicinandovisi pericolosamente, tramite la proposta di di sonorità cristalline a cavallo tra l’elettronica e l’ambient, dai tratti pacati ma non prive di repentini slanci melodici.

Primo passo discografico per questo trio di musicisti romani denominato Go Ask Alice, i quali raccolgono i brani composti in questi anni riversandoli su questo breve lavoro, sicuramente interessante e di buona fattura relativamente al tipo di sound proposto, intitolato Perfection Is Terrible.

Nelel vita di tutti i giorni, nelle molteplici attività ed i diversi ruoli che la vita offre in sorte, personalmente vedo la ricerca verso un costante miglioramento come un qualcosa di positivo, che spinge le persone a non accontentarsi di un’aurea mediocritas, ma dall’altra, se subentra in tutto questo un aspetto maniacale diviene una sorta di patologia in gradodi rovinare l’esistenza in maniera irrimediabile; una frase come Perfection Is Terrible riassume tutto questo proprio perché, pensandoci bene, il raggiungimento di tale stato equivale alla fine di un qualsiasi percorso evolutivo, assimilabile metaforicamente alla morte.
Comunque, se la perfezione è terribile, almeno musicalmente i nostri il rischio lo corrono avvicinandovisi pericolosamente, tramite la proposta di di sonorità cristalline a cavallo tra l’elettronica e l’ambient, dai tratti pacati ma non prive di repentini slanci melodici.
Infatti, questi otto brevi brani interamente strumentali esibiscono una buona varietà compositiva abbinata ad una gamma di soluzioni abbastanza dinamiche, ovvero tutto quanto serve per non rendere tedioso un album strutturato in questa maniera.
Ed in effetti, la formazione a tre composta dai due fondatori Lorenzo Albanese e Flavio Moro e da Valerio Occhiodoro (aggiuntosi dopo un paio d’anni) consente proprio di sfuggire ai minimalismi delle one man band, offrendo un sound più ricco e sfaccettato, e soprattutto non freddo, nonostante il substrato fondamentalmente elettronico possa far ritenere il contrario.
Anche l’utilizzo a tratti di una batteria “vera” e della chitarra acustica (ad opera rispettivamente degli ospiti Curzio Ferri ed Andrea Oggiano) si rivela un particolare non indifferente capace, di rendere ancor più accattivante e coinvolgente l’operato dei Go Ask Alice; fatto il primo passo, quello che ci si attende ora da questi musicisti capitolini è la conferma su un minutaggio complessivo più consistente delle buone sensazioni destate con Perfection Is Terrible.

Tracklist:
1.Intro
2.Loud
3.Close to the river
4.The shout
5.Section three
6.Nova
7.Morning
8.Nothing to be sad

Line up:
Lorenzo Albanese: bass, keyboards, electric guitar
Flavio Moro: synthetizers, keyboards, drum programming
Valerio Occhiodoro: electric guitar

Guests:
Curzio Ferri: drums
Andrea Oggiano: acoustic guitar

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Aurelio Follieri – Overnight

Un album scritto con maestria e passione, un ascolto piacevole che esprime il talento, non solo tecnico ma anche compositivo, del musicista.

Torniamo a parlare di rock strumentale con il debutto di Aurelio Follieri, una vita in compagnia dello strumento re della nostra musica preferita, la chitarra.

Alle prese con la sei corde già dalla tenera età, il musicista nostrano ha dedicato gran parte della sua carriera al ruolo di turnista, dedicandosi pure ad una serie di cd didattici per chitarristi in collaborazione con la label PlayGame Music.
Anche per Follieri è finalmente giunto il momento di un album solista, interamente strumentale e creato nel suo studio con l’aiuto di Michele Santoleri alla batteria e Valter Robuffo al basso, mentre in qualità di ospiti troviamo Claudio Signorile, che ha suonato il basso su Circle of Life, e Lorenzo Zecchino, che ha eseguito il solo di pianoforte su Heavy Ballad.
Overnight è un disco notturno, creato appunto nelle ore dove la luce lascia il posto al buio ed alla introspezione, un album rilassato, modellato senza fretta dal musicista nell’arco di due anni, un’ora di note ariose ed un sound che non ha bisogno di molta grinta per esprimersi, lasciando all’ascoltatore l’esperienza di viaggiare su trame elettriche ed acustiche senza mai fermarsi.
In effetti, Overnight è un lavoro che andrebbe ascoltato mentre si passeggia tra le strade bagnate della notte, persi tra le luci soffuse di vecchi lampioni, con il solo rumore dei primi furgoni a lasciare giornali davanti a chioschi arrugginiti dal tempo, mentre One Step, For You, Mary Ann o la bellissima Heavy Ballad ci abbracciano e ci stringono tra note raffinate che Follieri ha creato per la sua opera.
Un album scritto con maestria e passione, un ascolto piacevole che esprime il talento, non solo tecnico ma anche compositivo del musicista.

TRACKLIST
1.Circle Of Life
2.Euphoria
3.One Step
4.Flyin Hight
5.For You
6.Voices
7.Mary Ann
8.Goliath
9.To the Light
10.Mechanical Heart
11.Anarchy
12.Heavy Ballad
13.Mournig Breeze
14.Majasty

LINE-UP
Aurelio Follieri – Guitars
Valter Robuffo – Bass
Michele Santoleri – Drums

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