Sepultura – Machine Messiah

Machine Messiah è un ottimo disco di metal moderno, con molte influenze e anche sperimentazioni, un andare avanti senza guardarsi indietro, pur tenendo conto di un glorioso passato.

Nuovo disco per i Sepultura, ed è decisamente un’ottima prova. Potremmo stare a discutere ore addirittura soltanto sulla legittimità dell’usare il marchio di fabbrica Sepultura da parte di Andreas Kisser e Paulo Jr., ma qui non siamo in un aula di tribunale.

Qui diamo suggerimenti e condividiamo i nostri ascolti, e questo è un grande ascolto. Machine Messiah è un ottimo disco di metal moderno, con molte influenze e anche sperimentazioni, un andare avanti senza guardarsi indietro, pur tenendo conto di un glorioso passato. Fin dalla prima canzone si capisce che questo è forse il disco più incisivo dei nuovi Sepultura, con Derrick Green in forma strepitosa, con una voce molto aggressiva e potente, che graffia ferocemente sul tappeto sonoro. Andreas Kisser è un grande compositore metal e non solo, lo si capisce molto bene con Machine Messiah e, se vi capita, andate a cercarvi le sue colonne sonore e capirete ancora meglio.
L’ intelaiatura delle canzoni è notevole, basterebbe ascoltare Iceberg Dances che da una fuga di organo diviene un esercizio flamenguero per poi andare verso un prog metal spaziale. La produzione è grandiosa, i suoni sono precisissimi e molto potenti, e non manca una bilanciatura più che adeguata, con l’uso delle tastiere che rende ancora più magniloquente il tutto.
Ci sono tantissime cose dentro questo disco, e vale la pena esplorarle tutte. Per divertirsi qui viene richiesta solo un po’ di apertura mentale e l’apertura di una linea di credito verso la nuova incarnazione dei Sepultura, e ne verrete soddisfatti grandemente. Machine Messsiah è un disco potentissimo e notevole che saprà soddisfare molti gusti metallici, soprattutto di chi ha fame e voglia di musica diversa e progressiva nella sua direzione.
Si deve ascoltare la musica e non parlare di un nome, e i Sepultura ci sono, eccome se ci sono.
Intanto, da più di trent’anni la storia continua.

TRACKLIST
01. Machine Messiah
02. I Am The Enemy
03. Phantom Self
04. Alethea
05. Iceberg Dances
06. Sworn Oath
07. Resistant Parasites
08. Silent Violence
09. Vandals Nest
10. Cyber God

LINE-UP
Andreas Kisser – Guitars
Derrick Green – Vocals
Eloy Casagrande – Drums
Paulo Jr. – Bass

SEPULTURA – Facebook

Daemoniac – Spawn Of The Fallen

Fresco, estremo, cattivo e brutale, Spawn Of The Fallen è un’opera vecchia scuola con tutti i crismi per entrare nei cuori dei deathsters dai gusti classici.

Qui si fa death metal old school di matrice scandinava e lo si fa alla grandissima!

Licenziato dalla Xtreem Music, una potenza nell’underground estremo, arriva come un tornado a scoperchiare tombe in un cimitero il primo full length dei Daemoniac, trio milanese composto da vecchie conoscenze della scena estrema come Max (basso e voce, ex Horrid) e Dave (già con i Funest alle pelli), più il giovane chitarrista Nicko proveniente dagli Ekpyrosis.
Registrato in Svezia da Tomas Skogsberg negli storici Sunlight, Spawn Of The Fallen conferma l’ottimo momento per il death metal old school, con un gruppo italiano a spezzare schiene con una serie di brani violentissimi, dal songwriting di altissimo livello ed una predisposizione per il genere di un’altra categoria.
L’odore di morte proveniente dai cadaveri saltati fuori dai loculi è intenso e sembra arrivare davvero dalla terra scandinava dei primi anni novanta, le ritmiche forsennate attraversate da cambi repentini di tempo mantengono potenza e cattiveria, con il batterista che illumina la scena con un drumming da apocalisse zombie.
Il sound risulta fresco e la band ha personalità da vendere, mentre il growl di Max si avvicina terribilmente al brutal, e la valanga di riff che la sei corde di Nicko ci vomita addosso parla perfettamente la lingua musicale di primi Entombed, Dismember e Grave.
Il trio lombardo è una macchina da guerra estrema: senza nessuna concessione a facili melodie, Spawn Of The Fallen è composto da otto brani mediamente lunghi, e la bravura del gruppo sta anche nel non risultare prolisso, mantenendo un perfetto equilibrio nella la propria devastante proposta.
Fresco, estremo, cattivo e brutale, Spawn Of The Fallen è un’opera vecchia scuola con tutti i crismi per entrare nei cuori dei deathsters dai gusti classici.

TRACKLIST
01. Intro/Macabre Eucharist
02. Regurgitated From Hell
03. From Depths Of Hideous Chasms
04. Spawn Of The Fallen
05. Intro/Procreation Of Hatred
06. Cursed Hecatomb
07. Upon Golgotha
08. Cremation (Macrodex Cover)

LINE-UP
Max – voce, basso
Nicko – chitarra
Dave – batteria

DAEMONIAC – Facebook

THALOS

Il video di Storm, tratto dall’album Event Horizon, in uscita ad aprile.

Il video di Storm, tratto dall’album Event Horizon, in uscita ad aprile.

Antigony Records è lieta di annunciare che è uscito il video dei THALOS del brano “Storm”, primo estratto dal disco di debutto “Event Horizon”, in uscita ad Aprile 2017.

THALOS è un progetto videomusicale nato nel 2015 da tre musicisti e un videomaker. La filosofia applicata nel fare musica vede la creazione di un’identità unica per ogni brano, che prende vita e si trasforma in un viaggio diverso e memorabile.
Il primo album “Event Horizon” ha un’incredibile varietà sonora che passa dal Post-Rock all’Elettronica all’Ambient, caratterizzando in questo modo lo stile THALOS.

Steel Messiah – Of Laser And Lightning

Un ep discreto che non fa sicuramente gridare al miracolo, ma che regala una ventina di minuti immergendoci nella storia dell’heavy metal e per ora può bastare.

Una lunga intro ci da il benvenuto nel mondo dell’heavy metal old school degli Steel Messiah, quartetto tedesco all’esordio con questo ep di cinque brani dal titolo Of Laser and Lightning.

La giovane band sposa completamente l’attitudine metallica dei primi anni ottanta, il proprio sound è un buon mix tra Judas Priest e Saxon, prodotto quel tanto che basta per non risultare troppo vintage, e l’ep in questione è una sorpresina niente male se siete amanti della new wave of british heavy metal, con quel tocco epico che inorgoglisce il tutto.
Ai ragazzi tedeschi, del sound nato più tardi nelle sua terra d’origine non può fregare di meno: Of Laser And Lightning è heavy metal old school di origine controllata; ritmiche hard & heavy di estrazione sassone fanno da tappeto metallico alle sei corde priestiane, il cantante ricorda proprio Halford, anche se va un po’ in difficoltà sul falsetto.
Per il resto l’album gira che è un piacere, specialmente con Dr. Steel, la cattivissima Bringer Of Pain, Fast’n’Sharp con qualche accenno nei solos ai primissimi Iron Maiden e l’inno metallico Motorcycle Maniac, tributo ai Saxon (non così lontana dal famoso brano da biker, Motorcycle Man).
Un ep discreto che non fa sicuramente gridare al miracolo, ma che regala una ventina di minuti immergendoci nella storia dell’heavy metal e per ora può bastare.16

TRACKLIST
1.Struck by Lightning
2.Dr. Steel
3.Bringer of Pain
4.Fast n’ Sharp
5.Motorcycle Maniac

LINE-UP
Marius Röntgen – Bass, Vocals
Moritz Nothhelfer – Drums
Marcus Gläser – Guitars (lead)
Kai Wagner – Guitars (rhythm)

STEEL MESSIAH – Facebook

https://soundcloud.com/metalmessage/steel-messiah-struck-by-lightning

Asofy – Nessun Luogo

Nessun Luogo è un opera che alza di molto l’asticella rispetto al lavoro precedente, e non è detto che tutti riescano necessariamente a valicarla, prima o poi: la proposta degli Asofy rifulge per profondità ed integrità ma è necessario lavorarla con pazienza e predisposizione per coglierne appieno il significato lirico e musicale.

Asofy è il progetto musicale di Tryfar, artista multiforme noto anche come grafico.

Nel 2013 avevamo avuto l’occasione di parlare del precedente full length Percezione, un lavoro che aveva lasciato più di una sensazione positiva; oggi ritroviamo il musicista lombardo con Nessun Luogo, disco che lo vede operare in solitudine non avvalendosi più di Empio alla voce.
Il concept ruota attorno al quartiere dove Tryfar è cresciuto e alle trasformazioni che ha subito nel tempo, fenomeno tipico di tutte le periferie, destinate con il tempo a smarrire del tutto quello scampolo di identità che qualche decennio fa conservavano non essendo ancora state del tutto inglobate dalle grandi città o invase dalle sue infrastrutture.
Nel lavoro non si percepiscono sentori nostalgici o particolari forme di rimpianto dovute ai cambiamenti: quella di Tryfar appare come una sorta di accompagnamento musicale messo in sottofondo mentre si sfoglia un album di fotografie che ritraggono un quartiere in diverse epoche storiche: non c’è empatia neppure nel constatare l’ineluttabile avvicendarsi della popolazione, vista alla stregua del taglio di un albero o dell’abbattimento di un edificio : lo stesso incedere musicale è all’insegna di una certa uniformità, quasi che Tryfar voglia sottolineare la sua estraneità ad ogni forma di turbamento dovuta a trasformazioni più formali che sostanziali.
Il sound è una forma di dark ambient che ben si sposa con le tematiche trattate: gli arpeggi sono avari di aperture melodiche decise, privilegiando una sorta di oppressiva sospensione delle emozioni, lasciando solo alla lunga e conclusiva title track accelerazioni e barlumi di fruibilità ad accompagnarne i testi declamati con tonalità che, per lo più, appaiono quasi un sussurrato rantolo.
Nessun Luogo è un opera che alza di molto l’asticella rispetto al lavoro precedente, e non è detto che tutti riescano necessariamente a valicarla, prima o poi: la proposta degli Asofy rifulge per profondità ed integrità ma è necessario lavorarla con pazienza e predisposizione per coglierne appieno il significato lirico e musicale.

Tracklist:
1. Lontano da me
2. Nemeton
3. Fosca
4. Infine
5. Figure scure
6. Orizzonte
7. Memoria
8. Piccola disperazione
9. Nessun Luogo

Line-up:
Tryfar: Vocals, All instruments

The Chronicles Of Israfel – A Trillion Lights, Tome II

Un’opera originale che non mancherà di sorprendere chi si approccia alla musica senza barriere o muri tra un genere e l’altro.

The Chronicles Of Israfel è il progetto solista di Dominic Cifarelli, chitarrista dei Pulse Ultra, alternative band canadese con un album all’attivo per Atlantic all’alba del nuovo millennio.

A Trillion Lights, Tome II è il secondo capitolo di un concept iniziato nel 2007 con il primo album, Starborn Tome I, che a livello concettuale racconta il viaggio interiore del protagonista alla ricerca di un io migliore.
Le vicende di questo secondo capitolo vengono raccontate attraverso sessantacinque minuti di musica progressiva, che alterna metal moderno, thrash, folk e alternative metal rendendo l’opera molto originale e varia nell’ascolto.
Un viaggio, appunto, che dall’opener Colors Of The Energy Construct non lascia punti di riferimento e svolazza per i generi con buone idee e momenti resi emozionanti dal continuo cambio di comando in testa al sound, ora chiaramente influenzato dai Dream Theater, ora più estremo e molto vicino al thrash moderno di Devin Townsend, ora alternativo o delicatamente folk, quando i passaggi si fanno acustici.
Cifarelli dimostra di essere un ottimo songwriter e questo secondo capitolo continua a regalare ottima musica metal/rock assemblata perfettamente, come un puzzle difficilissimo ma molto affascinante.
Tra l’opener e la conclusiva e lunghissima The Turning Of The Heavens, strumentale da brividi che conclude questo secondo capitolo, è un susseguirsi di colpi di scena tra attimi progressivi, metal d’autore e rabbiose ripartenze tra thrash ed alternative in un sali e scendi di emozioni musicali.
Ottima la parte centrale con Spirit Carousel, Life I Know, In Ruins e Hatred In My Heart, ma è tutto l’album che funziona e ci consegna un musicista davvero in gamba nel trovare sempre soluzioni diverse per raccontare le vicende narrate.
Come detto i Dream Theater fanno capolino nelle parti progressivamente metalliche, ma non mancano accenni al folk sinfonico del menestrello Lucassen, inserito in un sound alternativo.
Un’opera originale che non mancherà di sorprendere chi si approccia alla musica senza barriere o muri tra un genere e l’altro.

TRACKLIST
1.Colors Of The Energy Construct
2.Goddamned
3.I Remember
4.Nightmare
5.Spirit Carousel
6.Life I Know
7.In Ruins
8.Hatred In My Heart
9.Violet Empress (Last Love)
10.Greet The Sun
11.A Trillion Lights
12.Incendia
13.The Turning Of The Heavens

LINE-UP
Live Band:
Dominic Cifarelli : Vocals, Guitars
Justin Piedimonte: Drums
Andrew Wieczorek: Keys, Piano, Vocals
Marc Durkee: Bass, Backing Vox

Allumni On Record:
Vincent Cifarelli: Piano, String Arrangements
Rico Antonucci: Vocals

THE CHRONICLES OF ISRAFEL – Facebook

Praecognitvm- Inalienable Catharsis

Accelerazioni, grandi respiri e soprattutto ottimo black metal fanno di questa cassetta qualcosa di molto di più di un demo e un grandissimo inizio per questo duo cileno, che regalerà grandi emozioni.

Demo di debutto di questo duo cileno uscito in forma digitale l’anno scorso. Questo demo, che è davvero riduttivo definirlo come tale, ha impressionato moltissimo i satanisti che stanno dietro alla Iron Bonehead Production, tanto da voler farlo uscire in cassetta.

Il motivo di cotanto stupore è presto chiarito dal primo ascolto del disco, che è davvero buono. Il suono dei Praecognitvm è un black metal classico misticheggiante, fatto in maniera semplice eppure incredibile perché hanno una melodia ed una classicità black metal che desta stupore. Sembra che riesca tutto facile a questo duo cileno, quattro pezzi per ventisette minuti di puro godimento, che lasciano l’ascoltatore estremamente soddisfatto, e che danno quel sentire che solo i grandi dischi di black metal hanno, e che i black metallers conoscono molto bene. La produzione è lo fi in maniera adeguata, anche se si sente che c’è un certo lavoro dietro, e soprattutto una perfetta conoscenza di come rendere questo suono. Le canzoni sono nere poesie che avanzano ineluttabili, portandoci in un tempo ed in un luogo dove l’uomo starebbe molto meglio rispetto ad ora. Accelerazioni, grandi respiri e soprattutto ottimo black metal fanno di questa cassetta qualcosa di molto di più di un demo e un grandissimo inizio per questo duo cileno, che regalerà grandi emozioni.

TRACKLIST
1.Forest of Shattered Souls
2.Path to Oblivion
3.Reminiscence
4.Ashes and Blood

PRAECOGNITVM – Facebook

Dharma Storm – Not An Abyss Prey

I Dharma Storm si lasciano molte porte aperte a livello di sound per un futuro che non può che essere dalla loro parte: ascoltateli e affrontate anche voi mari tempestosi, non ve ne pentirete.

Beh, che dire di un gruppo privo di timori nell’affrontare il complesso mondo del metal dai richiami sinfonici con personalità ed una punta di originalità che, col tempo daranno ragione al suo modo di intendere e suonare il genere?

Intanto partiamo dalla cosa più importante: i Dharma Storm sono italiani, precisamente di Ladispoli (Lazio), sono attivi dal 2009 (anche se la line up si consolida due anni dopo) e hanno all’attivo un ep, uscito tre anni fa, che ha dato la possibilità al quintetto di girare per i palchi dello stivale metallico.
Passiamo a questo ottimo esordio, Not An Abyss Prey, alla sua ora abbondante di durata ed al suo sound che varia appunto tra i generi appartenenti alle correnti che fanno capo al metal classico, sviluppatisi in questi anni.
I Dharma Storm non patiscono sicuramente la tensione dell’esordio ignorando chi giudicherà il loro sound troppo dispersivo e partono a vele spiegate nella tempesta metallica tra passaggi di grintoso thrash metal, tappeti sinfonici, pause in cui le atmosfere folk ricamano di raffinatezza popolare molti brani, ed ottime parti ritmiche che richiamano l’eleganza del metal progressivo.
Un lungo navigare in acque che si calmano per poche miglia, prima di tornare a torturare il sinuoso veliero ormai allo stremo sotto le sferzate thrash metal dei Dharma Storm: una menzione per il gran lavoro delle tastiere sempre presenti e colpevoli di donare un tocco epico a brani come la cavalcata sinfonica che apre l’album (Immortal Crew), la varia Blackout, l’agguerrita (nelle parti chitarristiche) Emerged e la spettacolare Live Together…Die Alone, lunga suite strumentale che funge da sunto compositivo di questo ottimo debutto.
I Dharma Storm si lasciano molte porte aperte a livello di sound per un futuro che non può che essere dalla loro parte: ascoltateli e affrontate anche voi mari tempestosi, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1.Immortal Crew
2.Night of the Burning Skulls
3.Blackout
4.Trail of Tears
5.Across the Line of Time
6.Emerged
7.The Possessed One
8.God Is Gone
9.Live Togheter..Die Alone
10.Jolly Roger

LINE-UP
“Brandy” Marco De Angeli – voice
“Mingo” Nicholas Terribili – drum
“Harry” Daniele Castagna – guitar
“Bois” Dario La Montagna – keyboard
“Piece” Gianluca Lancianese – bass guitar

DHARMA STORM – Facebook

CELLADOR

Il lyric video di Shadowfold, tratto dall’album Off The Grid, in uscita a marzo.

Il lyric video di Shadowfold, tratto dall’album Off The Grid, in uscita a marzo.

I Cellador hanno pubblicato il lyric video del brano ‘Shadowfold’, tratto dall’attesissimo nuovo album della band ‘Off The Grid’, in uscita il prossimo 10 Marzo su Scarlet Records.

I Cellador affondano le proprie radici nei primi anni 2000, anni in cui si ponevano in netta antitesi con la scena metal dominante all’epoca negli Stati Uniti. La loro formula, fatta di power metal potente e velocissimo, linee vocali ultra-melodiche e un songwriting sempre originale ed accattivante, unita ai loro intensissimi live show, hanno presto fatto assurgere la band ad un ruolo di vero e proprio culto. Subito dopo la pubblicazione dell’album di debutto ‘Enter Deception’ (2006) la critica li ha definiti “I nuovi Re del Power Metal americano”, spianando loro la strada verso il successo internazionale e permettendogli di dividere il palco con artisti blasonati come Trivium, Helloween, Sonata Arctica, Queensryche, Gamma Ray, Bullet For My Valentine, Behemoth, Hatchet, Havok, Vale of Pnath, Protest The Hero, Moonspell, Amaranthe e molti altri.

Dopo un’attesa durata molti anni, la band è finalmente pronta alla pubblicazione del nuovo album ‘Off The Grid’, che uscirà dunque sotto l’egida di Scarlet Records, con cui il quintetto di Denver, Colorado, ha recentemente siglato un nuovo contratto discografico. Il disco è stato masterizzato da Peter Rutcho ai Damage Studios (Havok, Revocation) di Southbridge, Massachusetts, mentre l’artwork reca la firma di Colin Marks (Rain Song Design).

The Great Old Ones – EOD: A Tale of Dark Legacy

La band transalpina prosegue la sua elaborazione del verbo lovecraftiano con un terzo album pregno di atmosfere black malsane e orrorifiche.

I’m finally here…i’m finally here in Innsmouth“… questi sono i primi versi dell’ intro del terzo full della band francese di Bordeaux The Great Old Ones, realtà della scena black e post-black; fino dagli esordi “Al Azif ” del 2012 il loro suono e i loro testi sono stati totalmente devoti al culto di H.P.Lovecraft, maestro dell’ orrore cosmico e cantore dei Grandi Antichi e del mito di Cthulu.

L’Ordine Esoterico di Dagon è un culto importato da Obed Marsh (da conoscere l’omonima doom band australiana) in Innsmouth poco dopo il 1800, dove gli adepti si sottoponevano, per ottenere imperitura prosperità, a insane unioni con esseri mostruosi derivanti dagli abissi; la band si immerge completamente nelle atmosfere oscure e malsane evocate dal racconto del maestro di Providence creando un opera a forti tinte black metal, limando al meglio i dettagli post-black presenti sui precedenti lavori; per raggiungere questo obiettivo il suono prodotto da ben tre chitarre parte da un veemente assalto black metal (The Shadow over Innsmouth) colmo di repentini cambi di tempo con uno screaming cupo, passa attraverso momenti più sperimentali come The Ritual che, con percussioni e tastiere, crea veramente un mood di angosciante attesa prima di evolvere in una malvagia cavalcata black; tutti i brani, in totale sette compreso il breve intro, sono tesi a “mostrare” l’atmosfera presente nel racconto di Lovecraft e una menzione speciale per Mare Infinitum, l’ ultimo brano che nei suoi abbondanti dieci minuti dipana un oscuro aroma di antica magnificenza. In definitiva un buon album che ha bisogno di attenti ascolti per poter essere assimilato in toto, magari rileggendo, per poter cogliere tutte le sfumature, lo splendido racconto di Lovecraft; nel panorama internazionale dell’estremo ormai ci sono diverse band death (dal sudamerica, ma non solo) e black che, partendo dagli scritti del maestro, creano un suono che cerca di ricordare le atmosfere malsane, orrorifiche generate dalla mente dello scrittore americano.

TRACKLIST
1. Searching for R. Olmstead
2. The Shadow over Innsmouth
3. When the Stars Align
4. The Ritual
5. Wanderings
6. In Screams and Flames
7. Mare Infinitum

LINE-UP
Sébastien Lalanne – Bass
Xavier Godart – Guitars
Benjamin Guerry – Guitars, Vocals, Lyrics, Songwriting
Léo Isnard – Drums
Jeff Grimal – Guitars, Vocals

THE GRAET OLD ONES – Facebook

TETHRA – PLATEAU SIGMA – TENEBRAE – ABYSSIAN – The One, 11/2/17

Cronaca del release party del nuovo album dei Tethra, Like Crows For The Earth.

La presentazione dell’ultimo album dei Tethra, Like Crows For The Earth, in quel di Cassano d’Adda, è stata contraddistinta da una forte presenza ligure, essendo stati chiamati a partecipare alla serata anche i genovesi Tenebrae e gli imperiesi Plateau Sigma, oltre ai lombardi Abyssian: mi sia concesso, quindi, un piccolo moto d’orgoglio campanilistico, visto che anche MetalEyes ha la sua base nell’aspra lingua di terra compressa tra l’Appennino ed il mare.

L’occasione si prospettava irrinunciabile per gli appassionati di sonorità oscure e gravitanti nei dintorni del doom, considerando che tutte le band presenti erano in qualche comodo collegabili al genere, sia pure ciascuna caratterizzata da un diverso approccio.
La location scelta dai Tethra è stata il The One Metal Live, locale che si trova nell’ampio seminterrato di un centro commerciale della cittadina lombarda, il che consente di poter suonare fino a tarda ora senza rischiare di disturbare la pubblica quiete, stante la notevole distanza dalle abitazioni (basta non abusarne, però … iniziare una serata con quattro band alle 22 porta inevitabilmente l’ultima ad esibirsi in orari improbabili, con tutte le controindicazioni del caso); lo spazio davanti al palco è sufficientemente ampio per ospitare un buon numero di persone, e il fatto che il bar si trovi in un’area separata consente di godere dei concerti rigorosamente al buio e senza il nocivo disturbo degli schiamazzi tipici di chi preferisce bere e parlare anziché ascoltare la musica (problema che affligge i locali piccoli strutturati, invece, su un unico ambiente).

Abyssian – Foto di Chiara Bonanno

Ad aprire la serata sono stati i milanesi Abyssian, dediti ad un buon gothic dark/doom ispirato, tra gli altri, dai Paradise Lost, ed autori nel 2016 di Nibiruan Chronicles, un album capace di ottenere ottimi riscontri a livello di critica. Purtroppo l’esibizione della band lombarda, guidata da un musicista di grande esperienza come Rob Messina, ex membro di una delle band storiche del death tricolore come i Sinoath, è stata complicata in primis dall’assenza di un batterista, condizione con la quale i nostri stanno convivendo da qualche tempo, ed anche da alcuni problemi tecnici complicati ulteriormente dalla necessità di ricorrere a percussioni campionate.
La band ha comunque onorato al meglio l’impegno facendo intravedere le proprie notevoli potenzialità e mi auguro, pertanto, di avere al più presto l’opportunità di rivedere all’opera gli Abyssian in una situazione “di normalita”.

Tenebrae – Foto di Chiara Bonanno

Il secondo gruppo previsto nelle serata erano i Tenebrae, i quali, per fortuna, non sono stati afflitti dagli stessi problemi di chi li ha preceduti sul palco.
Inutile sottolineare come la conoscenza del repertorio e la frequentazione abituale delle esibizioni del gruppo genovese mi abbia consentito di godere appieno dell’esibizione, potendola più agevolmente parametrare rispetto al passato: ebbene, posso affermare tranquillamente che quella dell’altra sera è stata la migliore performance dei Tenebrae alla quale abbia mai assistito.

Tenebrae – Foto di Chiara Bonanno

Complice l’accresciuta coesione tra i componenti (in questo caso i due mesi dalla presentazione del nuovo disco non sono trascorsi invano) e anche una maggiore cattiveria dovuta, forse, al fatto di non suonare “in casa” (cosa che magari mette a proprio agio, ma inconsciamente fa smarrire qual pizzico di adrenalina in grado di fornire una marcia in più), il set è filato via in maniera travolgente, estraendo il meglio dallo splendido My Next Dawn.

Tenebrae – Foto di Chiara Bonanno

La title track, The Fallen Ones e As The Waves sono tracce magnifiche che non si finirebbe mai di ascoltare e, in quest’occasione Marco Arizzi, Pablo Ferrarese e compagni le hanno rese in maniera impeccabile e coinvolgente. Una gran bella iniezione di consapevolezza ed autostima per una band che ha dovuto soffrire, in passato, di tutte le problematiche connesse all’instabilità della line-up.

Plateau Sigma – Foto di Chiara Bonanno

Ancora Liguria, spostandoci però verso l’estremo ponente, con la salita sul palco dei Plateau Sigma, altra band che ho potuto vedere già più volte dal vivo grazie alla vicinanza geografica. Il quartetto imperiese ha dovuto un po’ comprimere il proprio set per il già citato slittamento in avanti dell’orario, ma ciò non ha pregiudicato un’esibizione che, questa volta, ha privilegiato il volto aggressivo ed orientato al funeral/death doom, piuttosto che i momenti più rarefatti e le pulsioni post metal che fanno ugualmente parte del background della band, come ampiamente riscontrabile dall’ascolto del magnifico Rituals.

Plateau Sigma – Foto di Chiara Bonanno

Il fulcro dell’esibizione è stato, comunque, un brano dall’alto tasso evocativo come Cvltrvm, contornato da altre tracce cariche di tensione, riversate sul pubblico da un gruppo caratterizzato da una proposta resa peculiare dall’alternanza vocale e chitarristica di Francesco Genduso e Manuel Vicari; le sonorità offerte dai Plateau Sigma non sono fruibili con immediatezza da chi non ne conosca già il repertorio, ma riescono a convincere ugualmente al primo impatto per l’intensità e la voglia di osare esibite sul palco.

Plateau Sigma – Foto di Chiara Bonanno

E finalmente arrivò il momento della presentazione del nuovo album da parte dei Tethra. Clode, vocalist e membro della band fin dagli esordi, nei quattro anni trascorsi dall’uscita di Drown Into The Sea Of Life, ha dovuto far fronte ad uno stravolgimento della line-up che lo ha visto quale unico superstite della formazione accreditata su quel disco.

Tethra – Foto di Chiara Bonanno

Un elemento, questo, che non può certo essere estraneo ai cambiamenti abbastanza sostanziali a livello di sonorità riscontrati nel nuovo e bellissimo Like Crows For The Earth (album che ho avuto occasioni di ascoltare più volte nei giorni precedenti e del quale parlerò più diffusamente nei prossimi giorni): il doom death granitico che era la base portante del sound si è stemperato in un gothic doom, sempre robusto ma senz’altro più fruibile, specie per la presenza di alcuni brani contenenti soluzioni capaci di trascinare il pubblico, uno su tutti Deserted, definibile quale una potenziale hit, se questo non fosse un termine che non dovrebbe mai stare nella stessa frase che contiene la parola doom …

Tethra – Foto di Chiara Bonanno

Clode, a mio avviso, è ulteriormente migliorato anche a livello vocale (benché fosse assolutamente all’altezza della situazione anche in precedenza, sia chiaro): specialmente le clean vocals sono oggi ancor più profonde ed evocative, e questo si rivela fondamentale in un lavoro nel quale tale soluzione ricorre più frequentemente che in passato.
I musicisti dei quali il vocalist novarese si è circondato sono apparsi perfettamente a loro agio, sobri e precisi, con nota di merito per Luca Mellana, capace di trasmettere le giuste vibrazioni con i suoi misurati ma efficaci assoli.
Anche se potrà sembrare un aspetto marginale, è stato interessante constatare un cambiamento anche a livello di immagine, con i Tethra passati ad una più elegante camicia color nero grafite al posto del saio sfoggiato in precedenti occasioni; la scaletta non ha seguito fedelmente quella del nuovo disco ma è stata rimescolata, inserendo anche a metà del set due brani tratti dal precedente lavoro.

Tethra – Foto di Chiara Bonanno

In questo modo la magnifica The Groundfeeder, altro esempio eloquente  dell’evoluzione del sound dei Tethra, è stata proposta nella parte iniziale, pur essendo la traccia che, di fatto, apre la seconda metà di Like Crows For The Earth, mentre comunque il finale è stato rispettato in pieno con la chiusura affidata all’altrettanto splendida title track.
Tra gli incitamenti di un pubblico non numerosissimo (in linea con le tendenze degli eventi doom in Italia) ma sicuramente partecipe, Clode e compagni hanno riproposto come bis la “catchy” Deserted, brano destinato a diventare un loro cavallo di battaglia in sede live, mettendo la parola fine ad una serata di musica che, personalmente, mi ha consentito di rivedere in un colpo solo, sia tra i musicisti che tra il pubblico, un consistente numero di belle persone con le quali è sempre un piacere condividere il tempo e le proprie passioni.

P.S. Un sentito ringraziamento a Chiara per il prezioso contributo fotografico.

False Reality – End Of Eternity

Un album d’altri tempi ma davvero riuscito, emozionale, dal piglio drammatico e melanconico, aggressivo quanto basta per piacere agli amanti del death metal classico

Melodic death metal, con uno sguardo alla scena dei primi anni novanta, dunque parti doom che a tratti lasciano in bocca quel gusto di evocativo, voce in growl profonda, il tutto amalgamato con ottimi spunti heavy prog: ecco cosa attendersi dal sound di End Of Eternity, prima prova sulla lunga distanza dei False Reality, sestetto rumeno, con il fiuto per melodie malinconiche e ispirazioni di scuola doom death.

La band di Braşov è attiva originariamente dal 1998 (ecco spiegato le molte similitudini con la scena novantiana), il suo primo demo infatti risale al 1999, seguito all’alba del nuovo millennio dall’ep Tales Of Eternity.
Poi una lunga pausa ne ha minato la carriera nella scena underground e, quando sembrava che la parola fine fosse ormai scritta sopra il nome della band, ecco che i musicisti rumeni tornano con un full length e l’ottimo lavoro svolto funge da nuovo inizio, questa volta sperando che sia più duraturo e costante.
Death metal melodico dicevamo, con un’attenzione particolare per il lavoro delle sei corde, dal piglio heavy, ritmiche che rallentano e accelerano passando da ritmiche di stampo doom, a mera potenza death, ed orchestrazioni che tornano prepotenti per regalare spettacolari brani orientaleggianti come il piccolo gioiellino Rih Al Khamsin, che al sottoscritto a ricordato gli Orphaned Land del primo, bellissimo, Sahara.
Un album d’altri tempi ma davvero riuscito, emozionale, dal piglio drammatico e melanconico, aggressivo quanto basta per piacere agli amanti del death metal classico, virtù riscontrabile appunto nei primi lavori dei Paradise Lost, ma anche e soprattutto degli Orphanage e della scena centro europea.
Sette brani per cinquanta minuti di ottimo metal estremo melodico non sono pochi, il gruppo come tutte le realtà provenienti dall’est sa il fatto suo e End Of Eternity risulta, grazie alle bellissime The Silence Within e Requiem Into Darkness (oltre alla citata Rih Al Khamsin), un’opera convincente e assolutamente consigliata.

TRACKLIST
1.Bewitched
2.The Silence Within
3.Rapture and Pain
4.Rih al Khamsin
5.Requiem into Darkness
6.End of Eternity
7.Dear Friend

LINE-UP
Ioan Alexandru Crișan – Vocals
Lucian Popa – Guitars, Vocals
Silviu Stan – Guitars
Vlad Amariei – Keyboards, Vocals
Marc Spedalska – Bass
Codrut Costea – Drums

FALSE REALITY – Facebook

TheBuckle – Labbrador

Labbrador piacerà a chi possiede una mente aperta e vuole ampliare i propri orizzonti musicali, senza lasciare nulla d’intentato, per lasciarsi possedere da ritmo che si fa logos molto potente.

Chitarra, voce e batteria, e tutti molto incazzati. Due sole persone ai comandi, che sono Andrea e Maxim insieme nei Unwelcome e nei Kessler.

La formula del super power duo calza alla perfezione, e il tappeto sonoro steso dai due è un hard stoner con tempistiche alla Queens Of The Stone Age, con un taglio molto noise nella costruzione dei banchi di melodie. Questa seconda prova del gruppo piacerà molto a chi ama la musica pesante fatta con cognizione e conoscenza musicale. Quest’ultima permette al duo di usare molti stili diversi per un unico risultato, arrivando ad un risultato notevole ed originale. Forte è anche l’impronta grunge, che si sente nella pesantezza e nella potenza di certi passaggi, perché gli anni novanta hanno lasciato un’eredità molto forte, e qui si sente tutta. Il dinamico duo sforna un disco che ha un ritmo incredibile dentro, come un ouroboros che si morde la coda in eterno, e fortunatamente è anche difficile scegliere un genere per questo gruppo. Si sale e si scende, si percorrono stretti corridoi e poi si cade in mare, per riprendere a correre senza fiato, insomma non ci si annoia mai. Tra le righe si possono sentire molte tradizioni di musica rumorosa, da quella americana a qualche reminiscenza di hard rock britannico, soprattutto in certi ritmi. Labbrador piacerà a chi possiede una mente aperta e vuole ampliare i propri orizzonti musicali, senza lasciare nulla d’intentato, per lasciarsi possedere da ritmo che si fa logos molto potente. Un disco labirintico.

TRACKLIST
1. Evil Sky
2. Goin’ Home
3. Hey You
4. Labbrador
5. Blind
6. Sixty-Two (Featuring Xabier Iriondo)
7. Think (Featuring Xabier Iriondo)
8. Perfect Black
9. Shemale (Featuring Xabier Iriondo)
10. On My Own
11. 12 Seconds

LINE UP
ANdREA
MaXIM

THEBUCKLE – Facebook

Sweeping Death – Astoria

Astoria è il classico esempio di come nel metal la durata dell’album sia solo un dettaglio ed il saper convincere e dire tutto senza prolissità è un dono pari della bravura tecnica.

Eccoci a presentare un’altra ottima band propostaci dal Markus Eck e dalla sua Metalmessage Global, agenzia tedesca sempre sul pezzo nel fornirci metal di un certo livello.

Il gruppo in questione sono i Sweeping Death, quartetto presentato come progressive thrash metal e a cui aggiungerei quale nota di presentazione anche una notevole maestria esecutiva.
Il giovane quintetto proveniente da Wildsteig taglia il traguardo del full length con Astoria, poco più di mezzora di funamboliche corse sullo spartito di un thrash metal entusiasmante per songwriting e bravura dei protagonisti.
Il sound del gruppo non si ferma ai soliti nomi della scena che accomuna sia i nomi storici della Bay Area che ovviamente quelli provenienti dalla madre patria, ma osa con atmosfere ed varianti musicali che ricordano Mekong Delta e soprattutto Savatage, non dimenticando che siamo nel nuovo millennio e che il progressive ha nobilitato anche il metal estremo (Opeth).
Ne esce un album molto ben congegnato e che alterna brani tradizionalmente thrash, anche se suonati divinamente (My Insanity e Death & Legacy) ad altri dove la vena progressiva prende per mano il talento del gruppo e lo accompagna verso lidi di nobiltà metallica (magnifica la title track).
Astoria è il classico esempio di come nel metal la durata dell’album sia solo un dettaglio ed il saper convincere e dire tutto senza prolissità sia un dono pari della bravura tecnica.

TRACKLIST
1. My Insanity
2. Pioneer Of Time
3. Astoria
4. Devils Dance
5. Death & Legacy
6. Till Death Do Us Apart

LINE-UP
Elias Witzigmann – Vocals
Simon Bertl – Guitar / Backvocals
Markus Heilmeier – Guitar
Tobias Kasper – Drums / Piano
Andreas Bertl – Bass

SWEEPING DEATH – Facebook

INVIDIA

Il video di Feed The Fire, tratto dall’album As The Sun Sleeps in uscita a marzo.

Il video di Feed The Fire, tratto dall’album As The Sun Sleeps in uscita a marzo.

la nuova Allstar-Band su Spv realizza il primo singolo e video! (con membri di Five Finger Death Punch, In This Moment & Skinlab)
L’album di debutto degli INVIDIA “As The Sun Sleeps” prodotto da Logan Mader (Ex-Machine Head) uscirà 31 March 2017 e sarà distribuito in Italia da Audioglobe.

Gli INVIDIA sono Travis Johnson (In This Moment), Brian Jackson, Marcos Medina Rivera (both ex-Skinlab), Matt Snell (ex-Five Finger Death Punch) e il batterista Darren Badorine.

Info sulla band:
Sarà una frase trita e ritrita ma gli INVIDIA sono davvero una fratellanza; definizione che calza perfettamente a ciascun componente della band. Quando si sono conosciuti per AS THE SUN SLEEPS, sapevano solo cosa non volevano e che erano disposti a qualsiasi cosa affinchè tutto andasse secondo le loro volontà.

Travis Johnson, vocalist del guppo, è stato per anni il bassista dei IN THIS MOMENT. La sua devozione per la musica e la mancanza di limiti musicali lo hanno spinto a cantare, e quando ha incontrato il suo attuale chitarrista Brian Jackson ed il produttore Logan Mader (ONCE HUMAN, MACHINE HEAD) sapeva che il materiale che avrebbero prodotto sarebbe stato unico

Mentre Brian, Travis e Logan stavano registrando le trace, il bassista Matt Snell (ex FIVE FINGER DEATH PUNCH), gli chiese chi avrebbe suonato il basso, e Travis gli rispose: Tu!
Per completare la line up della band, Matt ha poi coinvolto il batterista Darren Badorine, che ha lavorato come un matto per guadagnarsi il posto, ed il chitarrista Marcos Medina.

Tutte le canzoni di AS THE SUN SLEEPS sono differenti l’una dall’altra e rispecchiano l’ethos della band, un gruppo di musicisti che ha dovuto superare ostacoli enormi prima di arrivare al punto dove si trova ora; la loro musica riflette questa indomita perseveranza.

Spectral – Arctic Sunrise

Spolverate gli scudi, lucidate le lame e tirate fuori la vostra pelliccia di orso migliore, perché si va a procurar battaglia accompagnati dalla colonna sonora creata dagli Spectral.

E’ indubbio che l’avvento del download e del formato digitale abbia portato all’inevitabile crisi del mercato musicale, specialmente se guardiamo al vecchio negozio di dischi e cd che, solo una quindicina di anni fa era ancora il punto di riferimento per gli appassionati di musica.

E’ altrettanto vero che a livello underground, oggi le band hanno più possibilità di far conoscere i propri lavori, a disposizione dei fans con un click, senza perdere niente di un mercato agguerrito come quello metallico.
Prendiamo per esempio i tedeschi Spectral, melodic epic death metal band, arrivati con questo Arctic Sunrise al sesto lavoro in più di vent’anni di attività, ma praticamente sconosciuti ai più: eppure non è da sottovalutare il loro battagliero esempio di death metal melodico di matrice scandinava attraversato da taglienti ventate thrash, con un’ epicità di fondo che li avvicina in qualche modo al viking e buone tracce di devastante metallo estremo melodico e d’impatto.
Fondati nel 1995, gli Spectral hanno vomitato dal Monte Fato cinque opere sulla lunga distanza in meno di una dozzina d’anni, per poi fermarsi e riprendere il cammino verso la gloria estrema in questo inizio d’anno con un lavoro onesto, gagliardo e fiero come le legioni nordiche in partenza per la conquista dei territori a sud!
Dunque, spolverate gli scudi, lucidate le lame e tirate fuori la vostra pelliccia di orso migliore , perché si va a procurar battaglia sulla scia del sound di Invaders, In Battle With Fire & Steel (death metal melodico pregno di spunti power sinfonici alla Rhapsody) , Vengeance In Blood e l’inno al dio del metallo Fuck Off and Die (Metal Is Forever), dichiarazione esplicita sulle intenzioni bellicose di questa orda metallara proveniente dalla Germania.
Loro definiscono il proprio sound black viking power e sinceramente non hanno tutti i torti, ma è indubbio che la componente melodic death risulti altrettanto importante nell’economia della musica del gruppo, perciò sia che siate amanti del melodic death metal o della parte più epica del metallo estremo, l’ascolto dell’album è assolutamente consigliato.

TRACKLIST
1. Intro
2. Arctic Sunrise
3. Evil Takes Control
4. Invaders
5. Nuclear Assault
6. In Battle With Fire & Stee
7. Path Of The Damned
8. Vengeance In Blood
9. Fuck Off And Die

LINE-UP
Vidar – Vocals
Teutonlord – Guitar
Demon – Guitar
Gabbelz – Drums
Mrs. Boobfire – Bass

SPECTRAL – Facebook

Nekhen – Entering The Gate Of The Western Horizon

Non resta che immergersi in questa ideale esplorazione delle dimore eterne dei faraoni, accompagnati dall’ininterrotto ed avvolgente flusso sonoro di Entering The Gate Of The Western Horizon.

La fascinazione esercitata dalla civiltà egizia nei confronti dei musicisti che si muovono nell’ambito metal non è certo una novità: tralasciando l’inevitabile riferimento ai Nile, non sono poche le band che, spesso con ottimi risultati, riescono a fondere la materia estrema con le sonorità tradizionali originarie del paese nordafricano (ultimi trattati in ordine di tempo sono stati gli ottimi Akhenaten).

Il caso dei Nekhen è però diverso sia per provenienza che modalità: trattasi infatti di un progetto solista italiano e qui la componente etnica trova accoglienza all’interno di una forma musicale accostabile al doom piuttosto che al death o al black, in virtù di ritmiche piuttosto rallentate (salvo alcune notevoli progressioni percussive) ed un riffing ribassato e minaccioso che, sovente, va a braccetto con le più canoniche sonorità acustiche.
Il risultato è notevole, ancorché non semplicemente digeribile, sia perché l’assimilazione di certi suoni non è cosi scontata per chiunque, sia per la sua natura del tutto strumentale e, tanto per tornare ai Nile, potrebbe risultare utile far riferimento più che ai lavori della band a quelli solisti del leader Karl Sanders, soprattutto per l’approccio alla materia, visto che i due Saurian pubblicati dal chitarrista statunitense mostrano un volto per lo più acustico, oltre a sporadici interventi vocali.
Uguali sono senza dubbio la passione e la competenza esibite nei confronti della materia, componenti essenziali per rendere credibile un’operazione di questo genere: anche per questo ritengo che, pur non essendoci molto in comune, se non il riferimento alla civiltà egizia, con lavori come Annihilation Of The Gates, sia proprio quella degli estimatori dei tali sonorità la fascia di ascoltatori che più facilmente potrà essere raggiunta da questi tre quarti d’ora di ottima musica, suddivisa per comodità in dodici tracce nonostante si si tratti, di fatto, di una lunga suite; non resta quindi che immergersi in questa ideale esplorazione delle dimore eterne dei faraoni, accompagnati dall’ininterrotto ed avvolgente flusso sonoro di Entering The Gate Of The Western Horizon.

Tracklist:
1 – Waters of Ra
2 – Baw of the Duat
3 – Water of the Unique Master, which brings forth offerings
4 – With living forms
5 – West
6 – The depths, waterhole of those of the Duat
7 – Mysterious cavern
8 – Sarcophagus of her gods
9 – With images flowing forth
10 – With deep water and high banks
11 – Mouth of the cavern which examines the corpses
12 – With emerging darkness and appearing births

NEKHEN – Facebook

Fraser Edwards – I Am God

La bravura alla sei corde di Edwards e la splendida voce di Pellek , danno la possibilità all’album di vincere facile, dunque senza timori avvicinatevi a quest’opera, vi piacerà.

Fraser Edwards è un chitarrista, compositore e produttore britannico, protagonista con la sua sei corde nei power metallers Ascension e co-autore nella rock band per bambini Sharky Sharky.

I Am God è il suo primo lavoro solista dove non mancano alcune gradite sorprese, in un buon lavoro dove l’happy power metal incontra l’elettronica, lo shred ed un pizzico di piglio progressivo che non manca di rendere l’album un originale esempio di musica metal pop molto interessante.
Accompagnato da ottimi musicisti, Edwards ha trovato modo di imprimere all’album una marcia in più con il bravissimo cantate norvegese Pellek, che chi segue la nostra webzine ricorderà dietro al microfono dei due dischi degli Active Heed, creatura progressiva del compositore nostrano Umberto Pagnini.
E I Am God non tradisce con la sua quarantina di minuti tra veloci cavalcate power metal, vorticose scale su e giù per il manico della sei corde, un’impronta melodica accentuata dall’ottima voce del vocalist, e tanto happy metal, dai chiari rimandi alle zucche di Amburgo, con qualche accenno velocissimo e al limite del legale insito nel sound dei Dragonforce.
L’album riesce a mantenere un appeal molto alto pur lasciando al leader il suo spazio per incantare con la sei corde e I Am God (il brano che da il titolo all’album è uno stupendo esempio di power metal neoclassico) soddisferà pure gli amanti dei guitar heroes (Malmsteen) .
Ovviamente quando il gruppo spara cannonate power il livello si alza non poco, l’opener Alone, Everdream e Geography Of Time, con la già citata title track, mettono a ferro e fuoco lo spartito, mentre Mentalist Brigade e 12 Variations (On Nyan Cat) Pt 1 – Edward Snowden, sono le tracce più originale e progressive, tra elettronica, cambi di tempo e marcette che, se ad un primo ascolto destabilizzano (specialmente gli appassionati più duri e puri) non si smetterà di battere inconsapevolmente il piedino ipnotizzati dalle melodie create dal compositore di Aberdeen.
Al sottoscritto I Am God è piaciuto parecchio, la bravura alla sei corde di Edwards e la splendida voce di Pellek danno la possibilità all’album di vincere facile, dunque senza timori avvicinatevi a quest’opera, vi piacerà.

TRACKLIST
1.Alone
2. Custom Built
3. Mentalist Brigade
4. 12 Variations (On Nyan Cat) Pt 1 – Edward Snowden
5. So Many People
6. Everdream
7. I Am God
8. Geography Of Time
9. God Complex
10. Dawn Of The Shred (Bonus)

LINE-UP
Fraser Edwards – Guitars
Pellek – Vocals
Andrew Scott – Drums
Stuart Docherty – Live Keyboards
Nick Blake – Live Bass

FRASER EDWARDS – Facebook

Rhino – The Law Of Purity

I Rhino riescono sempre a trovare la giusta concatenazione di note, il ritornello adatto e la sfuriata di classe, ed è gran stoner rock.

Dall’assolata e bellissima Catania arriva questo ottimo gruppo di stoner e fuzz, che fanno musica di gran spessore.

Il loro suono è un distorto e potente stoner rock di forte impronta psichedelica, costruito su jam molto potenti con un groove notevole. Il suono del deserto si sente prepotentemente nel dna di questo gruppo, ma non è derivativo, bensì è ulteriore carburante per il loro suono. Le influenze spaziano temporalmente tra anni settanta e novanta, che sono poi le coordinate spazio temporali comuni a molti gruppi stoner. I Rhino di loro ci mettono una particolare furia, e suonano come fossero dal vivo e i loro concerti devono essere infuocati, perché qui ci sono le stimmate del rock passionale e dionisiaco. L’impronta dei Rhino si sente in maniera netta, il loro suono è molto riconoscibile, tra un incedere rock e momenti maggiormente duri. Tutte le tracce del disco sono coinvolgenti e potenti, tenendo sempre l’ascoltatore incollato alla cassa, trascinandolo come su di un cavallo impazzito nella prateria. Il gruppo catanese sa quando usare l’acceleratore e quando rallentare, e tutto suona davvero bene, di grande effetto. Fondamentalmente qui c’è lo spirito rock, ma non quello finto e strombazzato, bensì quel substrato che anche se fai principalmente stoner ti accompagna come uno spirito guida. I Rhino riescono sempre a trovare la giusta concatenazione di note, il ritornello adatto e la sfuriata di classe, ed è gran stoner rock.

TRACKLIST
1.Intro
2.The Law of Purity
3.Bursting Out
4.Grey
5.Nuclear Space
6.Eat My Dust
7.Nine Months
8.A.&B. Brown
9.Cock of Dog
10.I See the Monsters

LINE-UP
Marco “Frank The Door” – Bass
Seby “Red Frank” – Rhythm Guitar
Alfredo “Lord J.Frank” – Drums
Luca “Frank Real Tube” – Lead Guitar
Niko “Frank The Doc” – Lead Vocal

RHINO – Facebook

Leathermask – Lithic

Lithic è un album consigliato ai fans del thrash metal old school e, in generale, ai metallari dai gusti classici di estrazione heavy.

Un’altra band nostrana si presenta sul mercato underground con un full length nuovo di zecca e lo fa tramite l’attiva label greca Sleaszy Records.

Questa volta siamo nei territori del thrash metal old school di scuola americana, con qualche spunto heavy ma in toto debitore del periodo tra gli anni ottanta e le prime avvisaglie di quello successivo.
Heavy metal statunitense nato tra i monti del trentino, precisamente a Pergine Valsugana, dall’incontro di Alvise Osti, Alessandro Buono e Valerio Luminati con il batterista Marco Gambin nel 2011, per dare i primi frutti nel 2013 con l’uscita del demo The Key.
Gli ultimi tempi sono stati di grande dispiego di energie per i Leathermask con l’entrata in studio per la registrazione del primo album, un cambio di line up con lo storico bassista Alessandro Buono che ha lasciato la band sostituito da Federico Fontanari (Spanner Head, Bullet-Proof) e la firma per la Sleaszy Records, che si prende cura di Lithic.
L’album è composto da otto brani per cinquanta minuti abbondanti di metal tradizionale, come già espresso, legato alla scuola statunitense, niente di più e niente di meno, ma nel complesso ben fatto con qualche ottima idea e pochi difetti (l’uso della voce, adatto ad un approccio più diretto), mentre il sound del gruppo sovente si lascia prendere da ottime divagazioni strumentali che valorizzano il gran lavoro strumentale del quartetto (Lede Mas, nove minuti di metal pesante e a tratti progressivo).
Ed è infatti nelle cavalcate strumentali che il gruppo da il meglio di se, la musica prodotta richiama le band storiche dell’heavy/thrash e brani come A Blasted Heath e The Dusk esprimono una notevole capacità di imprimere al sound una marcia in più.
I musicisti sanno il fatto loro, ed il livello tecnico è molto alto, così come un songwriting sopra la media per una formazione al debutto, così che Lithic si rivela un album consigliato ai fans del thrash metal old school e, in generale, ai metallari dai gusti classici di estrazione heavy.

TRACKLIST
1. The Cyclops
2. Motherfucker(s)
3. Struggle
4. Lede Mas
5. Inside-Burnt Generation
6. A Blasted Heath
7. The Dusk
8. Noise

LINE-UP
Valerio Luminati: Vocals
Alvise Osti: Guitar and backing vocals
Federico Fontanari: Bass and backing vocals
Marco Gambin: Drums

LEATHERMASK – Facebook