Owl – Orion Fenix

Orion Fenix va lavorato con una certa pazienza, cercando soddisfazione all’interno di un sound minaccioso e pesante per riuscire infine a rendersi conto della sua oggettiva bontà.

Torna dopo alcuni anni, con un ep composto da un solo lungo brano della durata di circa venti minuti,
il progetto solista denominato Owl di Christian Kolf, vocalist dei Valborg.

Il musicista tedesco, sin dall’inizio del decennio con questo monicker si è reso protagonista di un death doom piuttosto dissonante e sperimentale, con un’ampia componente ambient: Orion Fenix mantiene queste coordinate dimostrando come “il gufo” non intenda derogare dalla strada maestra intrapresa.
Ne viene fuori quindi un lavoro interessante, anche se non per tutti i palati, in quanto privo di decise aperture melodiche, salvo un più arioso frammento finale, o di passaggi comunque in grado di catturare l’attenzione al primo colpo; Orion Fenix va così lavorato con una certa pazienza, cercando soddisfazione all’interno di un sound minaccioso e pesante per riuscire infine a rendersi conto della sua oggettiva bontà, che si svela in maniera definitiva attorno al quindicesimo minuto, quando parte appunto una bella progressione di natura post metal.
L’eterea chiusura di matrice ambient rafforza le sensazioni positive prodotte da un ep che costituisce l’ideale antipasto al già programmato ed imminente full length Nights In Distortion: Kolf conferma d’essere un musicista di vaglia, capace di costruire una proposta sonora solidamente introspettiva anche se, inevitabilmente, di non troppo semplice fruizione.

Tracklist:
1. Orion Fenix

Line-up:
Christian Kolf

OWL – Facebook

Hiidenhauta – 1695

L’approccio del gruppo finlandese è senz’altro particolare in quanto cerca di fondere il black melodico con alcune pulsioni folk e progressive: un progetto ambizioso che purtroppo non riesce del tutto.

Gli Hiidenhauta sono una band finlandese attiva da qualche anno e che giunge, con 1695, al suo secondo full length.

L’approccio del gruppo fondato da Tuomas ed Emma Keskimäki è senz’altro particolare in quanto cerca di fondere il black melodico con alcune pulsioni folk e progressive: un progetto ambizioso che per lo più deve fare in conti con una produzione un po’ piatta, che non si rivela il mezzo più più adatto per restituire al meglio un idea di metal volta ad essere più ricercata di quanto non possa apparire a prima vista.
Se è sicuramente lodevole provare a sfuggire ad abusati schemi compositivi, come possono essere quelli di un viking o pagan metal (più aderenti alle tematiche di carattere storico ed alla pregevole ricerca a livello linguistico con l’utilizzo del cosiddetto “Kalevala Metre”), la sensazione è che non tutti i tasselli immessi nell’album vadano al proprio posto, a cominciare dalla voce femminile che il più delle volte appare fuori contesto, non tanto per demerito di Emma quanto perché la sua tonalità stride rispetto a come è strutturato il sound della band finlandese.
Così, tra qualche sfuriata spruzzata di folk come Hallan valta, il jazz pianistico (!) di Musta leipä ed una meglio focalizzata Maan poveen, l’album si trascina senza infamia nè lode verso la fine, lasciando in eredità qualche buono spunto ma anche una certa sensazione di incompiutezza, che magari apparirà più attenuata a chi potrà godere dell’album comprendendone anche i testi, ma che, invece, risulterà accentuata in chi per forza di cose deve focalizzare la propria attenzione sulla musica.
Da menzionare la bellissima copertina, che riproduce il dipinto ottocentesco Kerjäläisperhe maantiellä, opera del pittore Robert Wilhelm Ekman.

Tracklist:
1. Hallan valta
2. Äärellä
3. Kuolimaan tytär
4. Musta leipä
5. Jumalan vihan ruoska
6. Talvikäräjät
7. Nälkäkevät
8. Maan poveen
9. Nimettömät

Line-up:
Eetu Ritakorpi – Drums
Otto Hyvärinen – Guitars
Tuomas Keskimäki – Vocals, Lyrics
Emma Keskimäki – Vocals (female)
Ihtirieckos – Bass
Gastjäle – Keyboards, Flute

HIIDENHAUTA – Facebook

Antichrist – Pax Moriendi

Pax Moriendi si rivela un esordio su lunga distanza di assoluto livello per gli Antichrist, capaci di mostrare un potenziale tutt’altro che banale e foriero quindi di altri luttuoso frutti nel prossimo futuro.

Dopo alcuni anni di attività costellati dall’uscita di diversi demo e singoli, anche per i peruviani Antichrist è arrivato il momento del debutto su lunga distanza.

Pax Moriendi è un lavoro intriso di un death doom ruvido ed essenziale, reso appena più morbido da una tastiera volta a dare al tutto un tocco vagamente orrorifico, con il growl che si attesta invece su una modalità rantolo che nulla concede, men che meno all’intelligibilità dei testi.
Siamo quindi dalle parti dell’interpretazione del genere più vicina a band come Disembowelment, ma in maniera meno aspra e dissonante, e il tutto riesce in maniera apprezzabile alla band sudamericana, la quale offre talvolta squarci di melodia come nella parte finale dell’opener Forgotten in Nameless Suffering, e comunque mantenendo lungo i tre quarti d’ora dell’album un buon livello, anche quando i ritmi si intensificano spostando la barra verso un putrido death di scuola floridiana accompagnato dalla sempre presente tastiera in sottofondo.
Nei precedenti casi in cui mi ero imbattuto in doom band provenienti dal paese andino non ero rimasto particolarmente impressionato, trattandosi per lo più di lavori apprezzabili per genuinità ma, allo stesso tempo, approssimativi e troppo scarni per resa sonora; al contrario, gli Antichrist, pur non essendo tra gli interpreti più raffinati del genere, sanno decisamente il fatto proprio e mettono a frutto l’esperienza maturata attraverso un approccio cupo, diretto e dalla produzione adeguata alla bisogna.
Da rimarcare anche la bontà della lunga traccia conclusiva You Will Never See Sun Light, valido esempio di funeral che va a pescar oltre che dalla già citata seminale band australiana anche dagli Evoken: Pax Moriendi si rivela un esordio su lunga distanza di assoluto livello per gli Antichrist (ai quali di certo non giova più di tanto un monicker impegnativo ed un po’ inflazionato), capaci di mostrare un potenziale tutt’altro che banale e foriero quindi di altri luttuoso frutti nel prossimo futuro.

Tracklist:
1. Forgotten in Nameless Suffering
2. Obscurantism
3. In the Dark and Mournful Corner
4. Screams and Lamentations Drowned
5. You Will Never See Sun Light

Line-up:
Agalariept – Vocals
Sargatanaz – Drums
Zaren – Guitars, Keyboards
Gustavo Rodriguez – Bass

ANTICHRIST – Facebook

Demonomancy – Poisoned Atonement

Otto brani medio lunghi ci avvolgono tra le loro spire come serpenti infernali e ci inghiottono nel buio della dannazione, con il trio che non lascia assolutamente trasparire la benché minima possibilità redenzione in un turbinio di metallo estremo e diabolico.

Tornano ad infierire sulle proprie vittime, a suon di black/death/thrash, metal i Demonomancy, band attiva da una decina d’anni, con una manciata di lavori minori alle spalle ed un full length datato 2013 (Throne of Demonic Proselytism).

Tanti concerti in giro per l’Europa ed il cambio di label, con il passaggio dalla Nuclear War Now! Productions alla Invictus Productions, sono le novità che si porta dietro questa nuova uscita discografica, maligna ed estrema.
Intro – Revelation 21.8 ci accompagna fino alla soglia dell’inferno, prima che uno spintone ci faccia cadere per l’eternità nell’abisso luciferino della musica del combo capitolino, Poisoned Atonement non fa sconti ci investe con tutta la sua macabra follia, tra scudisciate black/thrash metal e mid tempo death, sorrette da growl bestiali, clean vocals declamatorie ed atmosfere di liturgica blasfemia in un vortice infernale.
Otto brani medio lunghi ci avvolgono tra le loro spire come serpenti infernali e ci inghiottono nel buio della dannazione, con il trio che non lascia assolutamente trasparire la benché minima possibilità redenzione in un turbinio di metallo estremo e diabolico.
Il sound viaggia spedito, tra thrash metal old school e death/black truce, alternando efficacemente la varie fonti di ispirazione.
L’atmosfera nera e blasfema che aleggia su Poisoned Atonement è delle più coinvolgenti mi sia capitato di ascoltare ultimamente e brani come Fiery Herald Unbound (The Victorious Predator), The Day Of The Lord o The Last Hymn to Eschaton confermano come la band punti tanto sull’impatto quanto sulle atmosfere.
Nel suo genere l’album è un lavoro riuscito, composto da una serie di tracce che attraggono ed affascinano pur rimanendo assolutamente estreme.

Tracklist
1.Intro – Revelation 21.8
2.Fiery Herald Unbound (The Victorious Predator)
3.Archaic Remnants of the Numinous
4.The Day of the Lord
5.Poisoned Atonement (Purged in Molten Gold)
6.The Last Hymn to Eschaton
7.Fathomless Region of Total Eclipse
8.Nefarious Spawn of Methodical Chaos

Line-up
Witches Whipping – Vocals, Guitars
A. Cutthroat – Bass
Herald of the Outer Realm – Drums, Vocals

DEMONOMANCY – Facebook

Osiris – Futurity and Human Depressions

Il migliore gruppo olandese di thrash, tra gli anni Ottanta e i primissimi Novanta, tra i pochi in vero del genere nella terra dei tulipani, di certo più nota per la scena death (Pestilence, Asphyx e Sinister).

L’Olanda non è mai stato un paese che ha dato tantissimo alla causa del rock: le punte dell’iceberg, si sa, sono state il new prog melodico tra la fine degli anni Ottanta ed i primi Novanta (Ywis, Egdon Heath, Cirkel, Last Detail, Timelock) ed il classico hard & heavy melodico (Vandenberg, nonché i Vengeance, da cui sono derivati in seguito gli space metal progsters Ayreon).

Un gruppo davvero di culto sono rimasti poi gli Osiris, autori di uno strabiliante techno-thrash progressivo, sulla scia degli statunitensi Watchtower e dei tedeschi Sieges Even, non lontano da suggestioni oscure, mutuate dai primi Judas Priest o dai Merciful Fate, ma altresì sensibili alla Bay Area meno oltranzista (si legga Laaz Rockit). Il quintetto olandese si costituì tra il 1985 e il 1987 e solo nel 1991, per la Shark, vide la luce il primo (ed unico) disco degli Osiris, dal suggestivo titolo Futurity and Human Depressions (che, al pari di titoli e testi, si segnala positivamente, per la distanza dai clichés, allora imperanti in ambito estremo): superbe ed intricate architetture sonore, spiraliformi, degne dei Voivod e dei Fates Warning di No Exit o Perfect Simmetry. L’album è stato di recente ristampato dalla Divebomb, che è nota agli appassionati anche per altre riedizioni laser di pregio (tra queste, i tedeschi Skeptic Sense e i britannici Arbitrater). Agli otto splendidi pezzi dell’originale, in un secondo CD, ne sono stati poi aggiunti altri nove, sostanzialmente le versioni demo degli stessi, versioni apparse all’inizio soltanto su cassetta (Inextricable Reversal, 1989, ed Equivocal Quiescence, 1991), e con tre ottime canzoni rimaste all’epoca inedite: False Insinuation, Agony and Hate e la conclusiva Christopher. Per chi se li è persi allora (e sono-siamo tanti), un’occasione imperdibile per rimediare e dare il giusto tributo a un validissimo gruppo, che ebbe il solo ‘torto’ di uscire nell’infausto (per la scena) anno 1991.

Track list
1- Futurity
2- Something To Think About
3- Mass Termination
4- Inextricable
5- Out of Inspiration
6- Inner Recession
7- Fallacy (The Asylum)
8- Frozen Memory

Line up
Maurice – Guitars
Geert – Guitars
Marc – Drums
René – Bass
Bram – Vocals

2015 (prima stampa 1991) – Divebomb Records

Mission Jupiter – Architecture

MetalEyes vi presenta il debutto dei Mission Jupiter, band bielorussa della quale Epictronic ci ha riservato una gustosa anteprima.

Architecture è il primo lavoro sulla lunga distanza del gruppo bielorusso Mission Jupiter, gustosa anteprima che Epictronic, label della famiglia Wormholedeath ha voluto offrire a MetalEyes.

Siamo lontani anni luce dal metal, e rimanendo in tema fantascientifico, tanto caro alla band di Minsk, direi che Architecture è un viaggio nello spazio profondo, nell’immensità dell’universo inteso anche come musica, che ci prende per mano e ci fa compagnia mentre la nostra mente attraversa galassie, nel silenzio profondo rotto dalla bellissima voce di Shevtsova Nastya e dei musicisti che compongono la line up dei Mission Jupiter.
La band risulta attiva dal 2015 e fino ad ora la sua discografia si componeva di due mini album ed un paio di singoli: Will You Be Loved è il video che anticipa l’uscita di questo debutto nel quale tutte le influenze del gruppo vengono inglobate in un sound contraddistinto da un’anima elettronica e bombardato da una pioggia di meteoriti proveniente da più di un genere/pianeta musicale.
Troviamo così liquidi tappeti elettronici, sontuosi passaggi orchestrali, alternative rock e partiture jazz/fusion, sax che irrompono donando un tocco progressivo ad una raccolta di brani che costituiscono le tappe di un viaggio/sogno nell’universo sopra di noi.
Non mancano ovviamente pochi ma importanti riferimenti alla new wave, così come alle colonne sonore di film come 2001 Odissea Nello spazio, valorizzando un sound particolare che si rivela una scoperta ad ogni passaggio, mentre con personalità debordante la vocalist delicatamente fa sue le nostre paure prima del conto alla rovescia e della partenza.
Will You Beloved è come detto il primo singolo, un brano bellissimo ma che rispecchia solo in parte quello che andrete ad ascoltare, dopo che il fiume di note elettroniche dell’opener The Dawn vi avrà aperto la porta del cielo dove i Mission Jupiter vi stanno aspettando.
The Sea Of Hope è un brano che ricorda i The Gathering di Nighttime Birds, mentre tra i tanti spunti diversi che l’album regala, non lasciando mai una semplice chiave di lettura, spunta il capolavoro I Will Survive, traccia progressiva nella quale la band suona jazz rock in un immaginario locale ubicato in qualche luogo prossimo ai limiti dello spazio conosciuto.
L’epico e progressivo strumentale a titolo Impulse chiude un album bellissimo e, a suo modo, originale; Architecture va ascoltato con la mente libera e gli occhi spalancati sul cielo stellato: non perdetevi questa esperienza unica.

Tracklist
1.The Dawn
2.I Have To Know
3.Either Dream Or Not
4.Will You Be Loved
5.The Sea Of Hopes
6.The Sea Of Hopes PT 2
7.Joy Of Life
8.I Will Survive
9.Interlude
10.The Call
11.Impulse

Line-up
Artyom Gulyakevich – Bass
Vladimir Shvakel – Guitar
Shevtsova Nastya – Vocals
Eugenue Zuev – Drums
Dmitri Soldatenko – Saxophone

MISSION JUPITER – Facebook

DEADLY CARNAGE

Il video di i “Divide”, dall’album “Through the Void, Above the Suns” in uscita il 30 Marzo (ATMF).

Il video di i “Divide”, dall’album “Through the Void, Above the Suns” in uscita il 30 Marzo (ATMF).

Gli italiani Deadly Carnage (Post-Black / Doom) hanno pubblicato il video ufficiale di “Divide” uno dei brani del loro nuovo album “Through the Void, Above the Suns” in uscita il 30 Marzo su ATMF (www.atmf.net). Il video è stato girato nei boschi e sulla spiaggia di Lido di Dante (Ravenna) e interpretato da Sarah Biancospino.

PAGINA FACEBOOK UFFICIALE: www.facebook.com/DeadlyCarnage
PAGINA UFFICIALE BANDCAMP: deadlycarnage.bandcamp.com
PAGINA UFFICIALE INSTAGRAM www.instagram.com/deadlycarnageband

Suum – Buried Into The Grave

Collocando tutti i tasselli al proprio posto i Suum, con Buried Into The Grave, offrono sette brani incisivi il giusto, contenendo in maniera opportuna la lunghezza e compensando la fisiologica vicinanza ai propri modelli con il songwriting efficace di chi affronta il genere con la giusta dose di competenza e devozione.

La sempre fertile scena doom romana continua a sfornare band di sicuro spessore, indipendentemente dalle sfumature assunte dal genere in questione.

I Suum se ne escono subito con un full length devoto al 100% al versante più classico del doom, quello che trasse i primi impulsi vitali dai Black Sabbath per poi esser ulteriormente diffuso nell’etere metallico dai vari Candlemass, Saint Vitus, Pentagram e Solitude Aeturnus.
Ovviamente perché ciò funzioni alla perfezione sono necessari un riffing puntuale ed incisivo, garantito in questo caso salirono Painkiller (Fangtooth) ed una voce stentorea atta a declamare con chiarezza le funeste visioni della band capitolina, le cui funzioni vengono affidate a Mark Wolf, che già conosciamo quale vocalist degli ottimi Bretus.
Collocando tutti i tasselli al proprio posto i Suum, con Buried Into The Grave, offrono sette brani incisivi il giusto, contenendo in maniera opportuna la lunghezza e compensando la fisiologica vicinanza ai propri modelli con il songwriting efficace di chi affronta il genere con la giusta dose di competenza e devozione.
Premesso che è difficile per chiunque raggiungere i livelli delle band poc’anzi citate ricalcandone il raggio d’azione, la prova dei Suum possiede tutti i crismi per soddisfare chi delle stesse riconosce l’inconfutabile grandezza: per cui le dolenti cavalcate che si dipanano dalla prima nota di Tower of Oblivion fino all’ultima di Shadows Haunt the Night (con la sola breve pausa costituita dallo strumentale The Woods Are Waiting) non sconvolgeranno le gerarchie del doom metal, ma allo stesso tempo gratificheranno senza riserve i non pochi amanti del doom dai connotati più tradizionali.

Tracklist:
1. Tower of Oblivion
2. Black Mist
3. Buried into the Grave
4. Last Sacrifice
5. Seeds of Decay
6. The Woods Are Waiting
7. Shadows Haunt the Night

Line-up:
Marcas – Bass
Rick – Drums
Painkiller – Guitars
Mark Wolf – Vocals

SUUM – Facebook

Greystone Canyon – While The Wheels Still Turn

L’album lascia leggermente l’amaro in bocca, perché è composto da brani che faticano a decollare con questa loro ispirazione al mondo del western che, purtroppo, si limita solo alla copertina e alla conclusiva The Sun Sets.

Australia ed America hanno in comune la frontiera, un vasto paesaggio che ispira racconti western, ma vero è che anche al cinema le pellicole che raccontano di cavalli e polvere sul territorio australiano ne sono usciti non pochi nel corso degli anni, con alcuni famosi (Australia, Carabina Quigley) ed altri diventati film di culto (Ned Kelly).

I Greystone Canyon sono un quartetto di cowboy provenienti da Melbourne con la passione per il cinema western, e il loro debutto in uscita per Rockshots si intitola While The Wheels Still Turn, ispirato appunto al mondo della frontiera a livello concettuale, perché all’ascolto l’album risulta un hard & heavy come di moda di questi tempi, vario nel saper alternare sfumature settantiane e moderne, con accenni ad armonie sporche di sabbia e sangue.
Una mezzoretta di piacevole hard rock l’album la regala sicuramente, anche se ci si aspetta sempre una nota southern, un’armonica che preluda all’arrivo di una banda di pistoleri, con il cinturone legato in vita per il duello sulle note blues dell’ottima River Of Fire.
Mixato dal leggendario Glen Robinson (Annihilator, Queensryche and Voivod) l’album lascia leggermente l’amaro in bocca, perché è composto da brani che faticano a decollare con questa loro ispirazione al mondo del western che, purtroppo, si limita solo alla copertina e alla conclusiva The Sun Sets.
Se si tratta di un’occasione sprecata o di fisiologico rodaggio per un gruppo all’esordio, lo scopriremo con la prossima uscita targata Greystone Canyon, per ora la diligenza non è ancora passata.

Tracklist
01. Keeping Company With The Dead
02. Astral Plane
03. In These Shoes
04. Cinco Cuerda Bandito
05. Take Us All
06. Sombrero Serenade
07. River of Fire
08. Path We Stray
09. The Sun Sets

Line-up
Darren Cherry – Guitar, Vocals
Luke Wilson – Drums
Rich Vella – Guitar
Dave Poulter – Bass

GREYSTONE CANYON – Facebook

Malditos – II La Reve

I Malditos sono un collettivo di Oakland, formatosi nel 2011, a seguito di una performance nella palude di Dismal.

Incisero quindi un album di debutto cantato in francese ed in inglese uscito nel 2012, contenente la cover di Gainsbourg Requiem Pour Un Con, dai chiari intenti psichedelici. Il gruppo fece poi uscire altri lavori, soprattutto in forma digitale per poi arrivare a questo disco, che è in pratica la seconda uscita. I Malditos vogliono espandere la nostra coscienza attraverso la musica, e ci riescono benissimo. Il suono di questo quartetto è quanto di più vicino alla vera psichedelia ci possa essere ai nostri giorni. Andiamo in territori orientaleggianti, dove i particolari sfumano per una visione di insieme più grande ed in alcuni momenti sembra di essere per davvero in mezzo alle dune, con una voce femminile che ci chiama e un serpente a sonagli che ci viene incontro. Come dice il titolo, questo è un sogno, un viaggio messo in musica in maniera mirabile e molto coerente. I tempi musicali sono dilatati, e il suono cresce, monta come l’hashish scaldato, che cresce e con esse la comprensione. Non sono presenti intenti commerciali o mosse per piacere, è invece una lunga scoperta di noi stessi e di qualcosa che non c’è ma solo perché è in un’altra dimensione e noi abbiamo bisogno di un innesco per raggiungerla. Il valore di questi musicisti è alto, e la loro compenetrazione raggiunge livelli assai buoni. Le composizioni sono cinque, tutte di lunga durata, e la noia non è contemplata, perché si viene a creare un ritmo che diventa un ingresso per altri mondi, poiché questi dolci ed eterei suoni stimolano l’arma più potente che abbiamo: la nostra mente. Un disco che è una vera delizia, e che richiede un minimo di apertura mentale, quella necessaria per poter capire e migliorare noi stessi, che è poi il vero scopo nemmeno tanto occulto della nostra vita.

Tracklist
1.Azadeh
2.Le Passage
3.Disparu
4.Momen
5.Le Reve

Line-up
Skot B
Cyn M
R. Szell
Andy Z

MALDITOS – Facebook

Word Of Life – Jahbulon

Il metal estremo dei Word Of Life è da annoverare tra le proposte più moderne anche se l’uso di tematiche occulte ed esoteriche allontana il concept di Jahbulon dalle solite tematiche metalcore e lo avvicina al progressive death.

La Grecia metallica negli ultimi tempi si sta imponendo sulla scena underground con una serie di proposte sopra le righe, licenziate da label molto attive sul mercato come la Sliptrick records, che ci fa dono del primo full length dei Word Of Life, quartetto proveniente dalla capitale con un solo ep alle spalle uscito nel 2015.

Il metal estremo di questa band è da annoverare tra le proposte più moderne, anche se l’uso di tematiche occulte ed esoteriche allontana il concept di Jahbulon dalle solite tematiche metalcore e lo avvicina al progressive death.
In possesso di una buona tecnica, la band quando accentua la parte più folkloristica ed orientale del sound alza inevitabilmente la qualità della propria musica (Master Of The Royal Secret), convogliando in un unico contesto metal moderno, progressive e musica popolare.
Non convince molto l’uso delle cleans, buone nei cori declamatori, meno quando ricordano troppo il metal di moda in questi anni, con le prime due tracce (A Sprig Of Acacia e la title track) che viaggiano lineari su questi sicuri binari.
L’album poi prende il volo con la strumentale Ierodom, il crescendo drammatico ed oscuro di In Silence I Swore e The Word Of Life, brani che immergono l’ascolto nel mondo del gruppo greco, sempre in bilico tra modernità e tradizione popolare.
Un buon lavoro che ci presenta una band da seguire con attenzione, magari non ancora al massimo delle sue potenzialità ma in grado di regalarci grande musica nel prossimo futuro: la strada è quella giusta.

Tracklist
01. A Sprig Of Acacia
02. Jahbulon
03. Master Of The Royal Secret
04. Deus Meumque Jus
05. Ierodom
06. The Female Seed And The Fungus
07. In Silence I Swore
08. Muaum
09. The Word Of Life
10. Jachin & Boaz

Line-up
Bill Kranos – Vocals, Guitars
Thomas Kranos – Guitars
Spiros Batras – Bass, backing vocals
George Filippou – Drums

WORD OF LIFE – Facebook

WILL’O’WISP

Il video di Hall of Dead Kings, dall’album MOT (Nadir Music).

Il video di Hall of Dead Kings, dall’album MOT (Nadir Music).

“MOT” è il nuovo studio album dei genovesi Will’O’Wisp. Prodotto ai Nadir Music Studios da Tommy Talamanca, ormai vera e propria autorità nell’ambito dei suoni metal, il lavoro è un concept dalle tinte epiche e funerarie legate in parte alla tradizione canaanita ed in parte a quella mesopotamica.“MOT”, dal nome del dio della morte dell’antica Ugarit, è un’opera dalle tinte forti e violente ma al contempo intrisa di soluzioni non convenzionali con un massiccio apporto di sezioni di fiati ed altri strumenti inusuali nel genere Death: arpa, marimba, flauto, archi ed elettronica.

IN MOURNING-CLOUDS-ANTARKTIS 6 MAGGIO MONK CLUB ROMA

Dark Veil Productions è orgogliosa di presentare una serata di grande Doom/Death metal nordico. Sonorità estreme e atmosfere sofisticate per la prima volta su un palco romano. Dalle fredde lande di Vansbro, Svezia, gli IN MOURNING, pregevole gruppo melodic death metal nato nel 2000 dalla sinergia fra musicisti di grande livello provenienti da October Tide, Contortion, Majalis, Volturyion e, nella formazione più recente, da Katatonia con l’arrivo di Daniel Liljekvist dopo una militanza di sedici anni nella storica band. Gli In Mourning consegnano un melodic death molto sinfonico di grande impatto musicale, emotivo e spettacolare anche sul palco, dal quale incantano per potenza e scenograficità. A precedere gli headliners i CLOUDS, altra formazione che sempre attinge alle ambientazioni nordiche e fra band di grande pregio in ambito doom/death. Il loro atmospheric/sad doom è di assoluto valore, elegante e ricco di suggestioni e sonorità avvolgenti. Apriranno la serata gli Antarktis, spin-off degli stessi In Mourning, con il loro sludge/post metal concretizzatosi nel per ora unico bellissimo album “ILDLAANTE”.

LINK EVENTO FB
https://www.facebook.com/events/274663039735603/

https://www.facebook.com/darkveilproductions

EARTHLESS

Il video di ‘Volt Rush’, dall’album “Black Heaven” (Nuclear Blast).

Il video di ‘Volt Rush’, dall’album “Black Heaven” (Nuclear Blast).

Gli EARTHLESS, attualmente impegnati nel tour nordamericano di supporto al nuovo album “Black Heaven”, uscito oggi su Nuclear Blast, presentano il video della canzone ‘Volt Rush’.

Il video, girato nella città natale della band, San Diego, oltre che nelle vicinanze di Oceanside, è stato diretto dall’artista di skateboard/visual BB Bastidas e vede la partecipazione dello skateboarder californiano Taylor Smith, aka T-Spliff.

“Siamo entusiasti di presentarvi il primo vero video degli EARTHLESS, diretto dall’artista BB Bastidas”, dichiara il batterista Mario Rubalcaba. “Siamo stati molto contenti di lavorare con BB perché conosce il nostro background come band e le nostre radici vicine al mondo dello skateboarding. La sua arte è straordinaria e ha anche occhio per i film. Avere ospite Taylor Smith, aka T-Spliff, è poi ancora più bello. È una sorta di figura mitologica di skater, un talento straordinario che decide di sfruttare a sua discrezione”.

“Black Heaven” è il primo disco della band ad avere la maggior parte della canzoni cantate ed è anche il primo realizzato col produttore Dave Catching (EAGLES OF DEATH METAL). Rubalcaba spiega l’impatto che lo Joshua Tree studio ha avuto sulla musica: “Questo album rappresenta un altro ramo dell’albero EARTHLESS. Ho trascorso un sacco di tempo a guardare il cielo stellato mentre registravamo nel deserto di Joshua Tree. È un qualcosa che ha influenzato il titolo e le sensazioni generali del disco. Questo LP esplora maggiormente le nostre radici classic rock, le cose con cui siamo cresciuti. È fantastico vedere il talento lirico e la voce intensa di Isaiah. Anche se suona come un cliché ‘Black Heaven’ va suonato ad alto volume!”.

L’album è nei negozi da oggi e include anche le canzoni ‘Gifted By The Wind’ (https://youtu.be/PAMCQt_2R1I) e ‘Black Heaven’ (https://youtu.be/0QvV3J5buvk).

http://nblast.de/EarthlessBlackHeaven

Gli EARTHLESS saranno in concerto in Europa ad aprile:

03.04. B Kortrijk – Wilde Westen
04.04. UK Bristol – The Fleece
05.04. UK Manchester – Deaf Institute
06.04. UK London – Islington Assembly
07.04. F Paris – Petit Bain
08.04. D Frankfurt – Zoom
10.04. D Munich – Feierwerk (@ Hansa 39)
11.04. D Berlin – Bi Nuu
12.04. S Copenhagen – Pumpehuset
13.04. N Oslo – Blä
14.04. S Gothenburg – Truckstop Alaska (no presales, only doorsales)
16.04. D Hamburg – Molotow
19.04. NL Tilburg – Roadburn
20.04. NL Tilburg – Roadburn
21.04. NL Tilburg – Roadburn

www.earthlessofficial.com
www.facebook.com/earthlessrips
www.twitter.com/earthlessrips
www.instagram.com/earthlessrips

Junk – Double Soundtrack

Ep di quattro brani, facenti parte di due colonne sonore tratte dai film Blood e Cherokee Creek, per i Junk dell’attore Billy Blair, band che amalgama street rock, post grunge ed alternative metal.

Non è una novità trovare attori anche molto famosi che si cimentano come musicisti rock.

Per lo più gli attori hanno sempre lasciato che i musicisti invadessero il loro mondo, ma oggi le cose sono cambiate e, per una Courtney Love o un Jon Bon Jovi alle prese con il grande schermo, c’è un Billy Blair (Machete, Machete Kills, The Last Stand, Jonah Hex, Sin City) che imbracciata la sei corde si piazza davanti al microfono e dà vita a questo trio hard rock chiamato Junk.
Raggiunto da Benjamin K Bachman (voce e basso) e Brian “Boog Nasty” Klein (batteria), l’attore statunitense si destreggia tra street metal da classifica, grunge ed alternative metal in questi quattro brani che formano l’ep Double Soundtrack, con l’opener Pop Rock Genocide a rappresentare il singolo spacca classifiche, almeno se tornassimo indietro di un ventennio, tra irriverenza street metal, groove alternative e post grunge.
Tutti e quattro i brani fanno parte delle soundtrack di due film: Blood (Like Lightning e Built To Last) e Cherokee Creek (Pop Rock Genocide e The Sasquatch); Double Soundtrack viene distribuito dalla Zombie Shark Records e merita senza dubbio un ascolto.

Tracklist
1.Pop Rock Genocide
2.Like Lightning
3.The Sasquatch
4.Built To Last

Line-up
Billy Blair-Vocals, Guitars,
Benjamin K Bachman-Vocals, Bass
Brian “Boog Nasty” Klein-Drums

JUNK – Facebook

The Rumpled – Ashes And Wishes

Oltre ai The Pogues, le ispirazioni sono quelle classiche dei gruppi del genere con in testa Dropkick Murphys e Flogging Molly, d’altronde una delle virtù principali di questo tipo di musica non è certo l’originalità, ma la capacità di coivolgere e trascinare l’ascoltatore in canti e balli.

Per una volta lasciamo le terre oscure del metal estremo e le strade bruciate dai pneumatici di macchine nelle quali rimbombano chitarre hard & heavy, per tuffarci nelle verdi valli d’Irlanda con questa band italiana, i The Rumpled.

Il gruppo proveniente da Trento ci invita a ballare sulle note della musica tradizionale dell’isola di smeraldo, in una continua festa, attraversando le valli e i pascoli prima di salpare per un viaggio attraverso l’oceano e portare un po’ di quell’entusiasmo e l’energia tipiche della musica originaria di quelle lande.
Nato nel 2013 e con un ep autoprodotto alle spalle uscito tre anni fa, il gruppo licenzia il suo primo full length, questo irresistibile Ashes and Wishes, raccolta di brani folk/rock che seguono la scia dei nomi storici del genere, con accenni al punk diretto e senza fronzoli in un delirio festaiolo che coinvolge fin dalla prima nota dell’opener Rumpled Time.
Oltre ai The Pogues, le ispirazioni sono quelle classiche dei gruppi del genere con in testa Dropkick Murphys e Flogging Molly, d’altronde una delle virtù principali di questo tipo di musica non è certo l’originalità, ma la capacità di coivolgere e trascinare l’ascoltatore in canti e balli.
Ashes And Wishes è un vero spasso, i brani si alternano uno dopo l’altro con il compito di divertire, ed è così che tra una Jig Of Death, The Ugly Side o Ramblin’ On si arriva a far mattina, storditi dalla birra e sfiniti ma felici per l’energia sprigionata nel saltare avanti e indietro senza soluzione di continuità.
I The Rumpled porteranno l’album in giro per nei principali Festival Celtici di tutta Italia durante l’estate, quindi il consiglio è di non perdervi almeno un’ora e mezza di serenità.

Tracklist
1.Rumpled Time
2.Just Say No!
3.Jig Of Death
4.I Wanna Know
5.The Ugly Side
6.Don’t Follow Me
7.County Clare
8.Bang!
9.Dead Man Runnin’
10.Ramblin’ On
11.Letter To You

Line-up
Marco Andrea Micheli – voce
Davide Butturini – chitarra acustica, chitarra elettrica, cori
Luca Tasin – basso, cori
Patrizia Vaccari – violino
Michele Mazzurana – batteria, cori
Tommaso Zamboni – fisarmonica

THE RUMPLED – Facebook

2018 Folk/Rock 7.50

Gungnir – Ragnarök

Qui non si ricerca originalità ma musica capace di far alzare le nostre virtuali spade al cielo, operazione che ai Gungnir riesce senz’altro molto bene nel quarto d’ora scarso di black epico offerto in questo ep.

I Gungnir sono una band greca votata ad un black metal in linea con l’offerta di qualità normalmente in arrivo dalla penisola ellenica.

Il gruppo è formato da un trio che, fin dal monicker prescelto e dallo stesso titolo del lavoro, dimostra d’avere le idee quanto mai chiare sul tipo di sound da perseguire, ovvero un viking black molto epico ed ispirato: questo ep d’esordio, Ragnarök, è piuttosto breve, con i suoi tre brani più intro ed outro, ma appare abbastanza esaustivo relativamente alla linea stilistica intrapresa dai Gungnir.
Our Swords for Thor, infatti, si snoda in linea con quanto fatto di recente e nel migliore dei modi dai connazionali Lloth, e questo è già di per sé un buon segnale: si tratta di una traccia intensa, epica e melodica alla quale non manca nulla per trascinare l’audience in sede live, e lo stesso si può dire tranquillamente anche per The Wanderer (forse ancora più melodica ed evocativa) e Fenrir (l’episodio più aspro del terzetto).
Del resto qui non si ricerca originalità ma musica capace di far alzare le nostre virtuali spade al cielo, operazione che ai Gungnir riesce senz’altro molto bene in questo quarto d’ora scarso, esibendo i presupposti necessari per ritenere che il tutto possa riuscire anche per l’intera durata di un full length.

Tracklist:
1.Intro
2.Our Swords for Thor
3.The Wanderer
4.Fenrir
5.Outro

Line-up:
Ithonas – Vocals
Jim Havok – Bass, Guitars, Keyboards, Vocals
Yngve – Guitars, Drums, Vocals

GUNGNIR – Facebook


2016:

Vento di Nord-Est: ricordando il prog italiano anni Novanta

Quando ormai la bella storia del new prog inglese degli anni Ottanta andava avviandosi verso il suo malinconico tramonto, gli echi – opportunamente rivisitati – cominciarono ad attecchire anche nel nostro paese.

Tra la fine del decennio e il principio del successivo, alcune coraggiose formazioni, su tutti i Men of Lake (i quali si ispiravano al progressive britannico dei Rare Bird ed al kraut rock dei primi Tangerine Dream) e i Jester’s Joke (dal nome marillioniano, pure loro arruolati dalla francese Musea) iniziarono a muovere i primi passi, dapprima su cassetta. Erano, del resto, gli anni dei demo tapes, e non solo per il metal. I più longevi sarebbero stati i Twenty Four Hours, ancora su Musea, in bilico tra i Pink Floyd di A Saucerful of Secrets ed atmosfere magniloquenti ispirate ai primi King Crimson, con il mellotron sugli scudi. Impossibile è dimenticare poi i fiorentini Nuova Era (lanciati dalla mitica Contempo Records) e lo storico ed ottimo debut inciso dai genovesi Eris Pluvia (Rings of Earthly Light, Musea, 1991), dai quali sono derivati, in seguito, Narrow Pass ed Ancient Veil, oggi ancora sulla breccia, e con ottimi dischi di matrice canterburyana. Da ricordare anche i toscani (di Livorno, per la precisione) Egoband, che, con Trip in the Light of the World (1992), incantarono non solo i fans del new prog alla Marillion, ma anche quelli di sonorità più hard e dark, alla Van der Graaf-Peter Hammill, prima di virare coi lavori susseguenti verso un anonimo r ‘n’ b psichedelico.

Sul finire degli Eighties, uno dei gruppi italiani più promettenti erano senz’altro i Black Jester, nati a Treviso e responsabili d’un entusiasmante hard prog, con magnifici impasti di chitarra e di tastiere, suoni barocchi e la particolarissima voce di Alex ‘The Jester’ D’Este (poi negli Snowblind, una cover band dei Black Sabbath). Dopo un promettente nastro omonimo, nel 1990, i Black Jester firmarono per la WMMS di Peter Wustmann, la label tedesca che – sino alla cessazione delle attività, tra 1996 e 1997 – tanto e bene avrebbe fatto, al fine di promuovere il nuovo progressive italiano. Nel 1993 e nel 1994, rispettivamente, i Black Jester pubblicarono i loro due capolavori: Diary of a Blind Angel e Welcome to the Moonlight Circus, felicemente impregnati di un pomp rock metallizzato, sinfonico e favolistico. Il gruppo si sciolse dopo avere tentato la difficile trasposizione di Dante su disco (The Divine Comedy, 1997). Alcuni dei suoi membri hanno successivamente suonato, con ex componenti delle Orme, nei più intimistici Faveravola (2006) ed, in particolare, nei Moonlight Circus. Questi ultimi hanno rilasciato Outskirts of Reality (2000) e Madness in Mask (2007): a tutti gli effetti, una ripresa e una continuazione, aggiornata al nuovo millennio, di quanto realizzato dai Black Jester nel 1994, assieme al paroliere Loris Furlan, oggi editore musicale, con la sua Lizard Records, presso la quale incidono interessanti artisti nostrani di prog, post rock, avanguardia e jazz rock.

Affini ai Black Jester, per provenienza geografica e genere musicale di appartenenza, erano pure gli Helreid, nati anche loro a fine anni Ottanta. Esordirono solo nel 1997, con lo stupendo Mémoires e, quattro anni più tardi, sempre per la piemontese Underground Symphony, realizzarono Fingerprints of the Gods (il titolo veniva dal classico di archeologia spaziale di Graham Hancock, Impronte degli dèi). Gli Helreid, di cui resta realmente nella memoria Mark the Wizard, sono da pochi anni in pista di nuovo: il disco del ritorno (aggiungendo una ‘h’ alla fine del loro nome) è stato Fragmenta, uscito nel 2012, idealmente in linea con gli esordi, come se il tempo non fosse mai passato.
La breve ma meritata stagione di gloria dei Black Jester, nella prima metà degli anni Novanta, fece altresì da traino per tutta una scena validissima ed in fermento, come quella del Nord- Est italiano di allora. L’epicentro era Treviso, dove tra il 1988 e il 1990 furono attivi gli Spleen (recuperati poi nel 1994 dalla Mellow), da cui sorsero i Marathon. Questi furono di fatto i Rush italiani. Dopo il demo World of Trend (1991), i Marathon si accasarono anche loro presso la WMMS e pubblicarono due strabilianti lavori, di metal-prog, melodico ed iper-tecnico: Impossible Is Possible (1993) e Sublime Dreams (1994), con la collaborazione di alcuni membri dei tedeschi Manner.

Il gruppo però forse più importante – non solo di Treviso e dell’Italia nord-orientale, ma di tutto il new prog italiano – rimangono di certo gli Asgard. Nati nel 1984 e quindi ispirati ai Marillion era-Fish, parteciparono alle compilation Italian Rock Invasion (1987) ed Exposure (1988) e si esibirono spesso in concerto: ancora oggi c’è chi ricorda con misto di emozione e nostalgia la loro suite in due parti The Light Spring, tra l’altro mai messa poi su disco. Dopo anni di concerti e di crescita costante gli Asgard furono il primo gruppo italiano a firmare per la WMMS. Il debutto, Gotterdammerung, vide la luce nel 1991. Fu una vera rivelazione, uno stupendo incrocio di retaggi marillioniani e echi della mitologia germanica in musica, un disco che inaugurava il nuovo decennio del prog italiano ed illuminava una scena, in quei giorni, in espansione davvero pronunciata. L’anno successivo, apparve il mini-CD Esoteric Poem, che, in tutto e per tutto, teneva fede al titolo. Alcuni puristi storsero non poco il naso – lo rammento bene, come rammento quegli anni – per gli inserti dark-ambient (molti allora ragionavano intendendo i generi alla stregua di compartimenti stagni), tuttavia gli Asgard avevano dimostrato, solo e semplicemente, di voler progredire lungo la loro strada. Arcana, apparso nel 1993, trovò il perfetto punto di contatto tra lo stile del primo disco e le atmosfere del secondo, preparando la strada alla svolta. Nel 1993, sempre per la WMMS, uscì Imago Mundi: il sound si era indurito e faceva incontrare le origini neo-prog della band con il prog-metal dei Queensryche e dei Dream Theater, con risultati potenti e sublimi. Lo stesso percorso, sia detto per inciso, dei tedeschi – anche loro su WMMS – Ivanhoe, i quali – specie con Visions and Reality (1994) e Symbols of Time (1995), prima di perdersi nel banale heavy maideniano di Paralized (1997) – si mossero tra Rush e Marillion, Dream Theater e Queensryche. Imago Mundi fu uno dei migliori dischi dell’anno 1993, ma anche il canto del cigno di una stagione. Infatti, tra problemi di line-up e ritardi nell’incidere le canzoni del nuovo album, gli Asgard si arenarono e tornarono sulle scene, per una piccola etichetta, solo sette anni dopo. Per quanto discreto, Drachenblut (2000) soffriva del tentativo in verità un po’ artificioso di riportare in vita lo spirito bucolico dei primissimi Genesis, quando ormai il momento magico era passato e l’occasione per un successo su più larga scala purtroppo perduta. Membri degli Asgard, nel 1994, collaborarono altresì alla realizzazione di quello che resta uno dei migliori dischi di pomp rock anni Novanta (insieme A Blueprint of the World, degli americani Enchant, 1993). Mi riferisco ad Hunting the Fox di Ines, bella e brava tastierista tedesca, accompagnata tra gli altri pure da componenti degli storici progsters Anyone’s Daughter e dei friulani Garden Wall (i soli ancora attivi oggi di quella scena, autori di molteplici eccezionali lavori, fra thrash, dark, prog e elettronica robotica). Quanto ad Ines, dopo quel magico esordio, non seppe più confermarsi: Eastern Dawning (1996) esibì una piatta new age, alla Lanvall, appena innervata da spunti per radio FM e momenti di blando soft prog (alla Rebekka), mentre The Flow (1999) denunciò una crisi d’identità notevole e fin più preoccupante, all’insegna di una insignificante world music, etnica e modaiola. Il quarto lavoro, Slipping Into the Unknown (2002), tentò se non altro di tornare all’hard rock, con ballate acustiche e influenze pop desunte dai (peraltro prescindibilissimi) dischi solisti di Phil Collins e Tony Banks.

Nei primi anni ’90, in Veneto, furono attivi anche i Top Left Corner, di Padova. Anche per loro un demo tape omonimo (1994), e due buonissimi dischi, per la WMMS: Mystery Book (1994) – col suo progressive epico alla Rush-Yes-Asgard – e Nowhere (1996). Sempre dal Nord-Est venivano inoltre i friulani Barrock, autentici maestri del prog sinfonico, guidati dal grande Walter Poles. Tre lavori, oltre alle tante cassette registrate tra il 1983 e il 1988: L’alchimista (inciso nel 1990 e pubblicato in Giappone dalla Moon Witch, l’anno dopo), Oxian (edito dalla olandese SI Music nel 1995) ed infine La strega, licenziato dalla ligure Mellow Records, nel 1999, proprio in conclusione della decade. In Friuli, ad Udine, furono attivi anche i Last Warning, nati nel 1987. Dopo il demo Bloody Dream (1992-1993), incisero per la WMMS il fantastico From the Floor of the Well (1994), a metà strada fra Threshold e Crimson Glory, per poi proseguire su Underground Symphony. Di Udine sono pure gli straordinari Quasar Lux Symphoniae, tra i maggiori e forse sottovalutati gruppi italiani di prog barocco ed orchestrale. Formatisi nel lontano 1976, incisero sempre per la WMMS due capolavori, quali la rock opera Abraham (1994) e il mitologico The Enlightening March of Argonauts (1997). E la loro discografia non si ferma qui.
Affini al vento che soffiava da Nord-Est furono poi i varesini Court, che si fecero notare col demo-tape Live, nel 1992. Il loro And You’ll Follow the Winds (1993) fu un autentico gioiellino hard-folk, che rimpiazzava senza rimpianti le tastiere (virtualmente assenti) con chitarre acustiche e flauto alla Jethro Tull. Fenomenali dal vivo – condivisero il palco fra Italia e Germania con i Black Jester e gli Ivanhoe, nell’estate 1994 – i Court smarrirono purtroppo quasi subito la propria identità: Distances (1997) mise in mostra soltanto un rock annacquato, con momenti di sbadiglio o addirittura irritanti, pochissimo prog e un vago orientamento psichedelico mal metabolizzato. Anche il successivo Frost of Watermelon (2007), ispirato ai Caravan, non lasciò il segno. Da riscoprire comunque il debutto, insieme a quello dei modenesi Lie Tears – i quali, dopo i nastri Hypnotic Mind (1995) e Lost Sand Sad (1997) – pubblicarono per la Underground Symphony A Gate for Another Life (1999), davvero bellissimo nei suoi riusciti intrecci di hard melodico inglese e new prog appena metallizzato.
Oggigiorno, quel mondo e quella scena musicale, che specie nel Nord-Est italiano dei primi anni ’90 vide emergere ottimi gruppi, non esistono più. Restano solo i ricordi. In generale, il new prog – sia inglese, sia europeo ed italiano – pare avere ormai esaurito la sua linfa vitale. Consiglio nondimeno di dare un ascolto a chi, nella nostra penisola, ancora ci crede e realizza CD validi e interessanti. Si ascoltino in particolare i Cage, i riformati CAP, gli Archangel (con Clive Nolan dei Pendragon, alle tastiere, in qualità di ospite), i Sithonia, i Gran Turismo Veloce, gli scoppiettanti Flower Flesh e, soprattutto, i grandissimi Graal, forse i migliori eredi in termini compositivi dei Black Jester, epici e gotici, con il loro hard prog pomposo e fantasy, che – attraverso quattro meravigliosi album – cita e riprende in una maniera originale, creativa e personale, l’eredità perenne di Uriah Heep, Magnum, Rainbow e Dio. Perché la fiamma non si spegne mai.

Perpetratör – Altered Beast

I Perpetratör non hanno perso la voglia di suonare thrash metal come si faceva in centro Europa negli anni ottanta, magari lasciando che qualche ispirazione statunitense si faccia spazio tra il micidiale vento atomico che forma Altered Beast, album che non concede tregua, veloce, estremo e cattivo, valorizzato da notevoli momenti belligeranti.

Thrash metal feroce ed old school, un devastante e quanto mai distruttivo esempio sonorità anni ottanta portate con orgoglio nel nuovo millennio sotto il monicker di Perpetratör.

Il trio proveniente da Lisbona licenzia il suo secondo full length sotto Caverna Abismal Records, dopo il debutto Thermonuclear Epiphany e lo split con gli Hellbastard, usciti entrambi nel 2014.
Quattro anni sono passati prima che la bestia torni in libertà e ci dia la caccia, facendo scempio di ogni cosa incroci il suo cammino.
Rick (voce, basso), Paulão e Marouco (chitarre), con l’aiuto di Ângelo Sexo (ospite alle pelli) non hanno perso la loro voglia di suonare thrash metal come si faceva in centro Europa negli anni ottanta, magari lasciando che qualche ispirazione statunitense si faccia spazio tra il micidiale vento atomico che forma Altered Beast, album che non concede tregua, veloce, estremo e cattivo, valorizzato da momenti belligeranti notevoli.
Parte in quarta e non si ferma più questo lavoro, il sound di queste undici bombe sonore risulta un armageddon sonoro dall’impatto mastodontico, con brani dai tratti old school come l’opener Alter Of The Skull, Lethal Manhunt o l’inno Hellthrasher che fanno tremare i muri mentre la carica dei Perpetratör non si ferma e travolge tutto.
Siamo dalle parti dei Destruction con qualche sguardo torvo verso i primi Exodus, quindi ovviamente Altered Beast è consigliato agli amanti del caro, vecchio thrash metal, che troveranno sicuramente pane per i loro denti, gli altri meglio che scappino via prima che la bestia li travolga.

Tracklist
1.Altar of the Skull
2.Extreme Barbarity
3.The Doors of Perception
4.Fires of Sacrifice
5.Lethal Manhunt
6.A Fleeting Passage Through Hell
7.Terminal Possession
8.Jungle War
9.Let Sleeping Dogs Lie
10.Hellthrasher
11.Black Sacristy

Line-up
Rick – Vocals, Bass
Paulão – Guitars
Marouco – Guitars
Ângelo Sexo – Drums (session musician)

PERPETRATOR – Facebook