GAME OVER

A poco meno di 3 anni dal momento in cui MetalEyes ha mosso i primi passi è arrivato il momento di mettere la parola fine a questa avventura; paradossalmente questo avviene proprio in un momento in cui la nostra webzine si è ritagliata un suo spazio e con un numero di contatti in lenta ma costante crescita, ma non sono solo questi i parametri sui quali si devono basare le proprie decisioni quando arriva il momento di prenderle.

Per noi tre (Alberto Centenari, Massimo Argo ed il sottoscritto), infatti, MetalEyes aveva da tempo cessato d’essere un hobby con tutti i crismi per trasformarsi in un vero e proprio lavoro non retribuito, un qualcosa forse di gratificante nei primi tempi, quando l’entusiasmo ha relegato in secondo piano qualsiasi aspetto negativo, ma che alla lunga ci ha imposto di fare i conti con il tempo sottratto alle normali attività quotidiane al di fuori del lavoro (quello vero).
in buona sostanza, la creatura alla quale abbiamo dato vita ha finito per assumere il controllo delle nostre vite, dettandoci i tempi e facendoci percepire come un compulsivo obbligo quello che altro non sarebbe dovuto essere se non una libera scelta.
Negli ultimi tempi abbiamo provato a ritarare i nostri obiettivi, ma questo non è valso, se non per poco tempo, a sgravarci di quella stanchezza, soprattutto mentale, che nel momento in cui è stata messa a fattor comune non ci ha lasciato altra scelta che la chiusura, dolorosa per certi versi ma liberatoria per altri.
Del resto proprio il nostro spirito di servizio nei confronti degli appassionati musica e, di riflesso, dei musicisti in primis e poi delle etichette e delle agenzie che ci proponevano incessantemente materiale da recensire, ci ha portati a raggiungere livelli quantitativi (e si spera anche qualitativi) tali da impedire un possibile passo indietro.
La gestione di un sito così strutturato, con centinaia di mail settimanali alle quali rispondere o dare seguito in un senso o nell’altro, la correzione delle bozze, la pianificazione delle uscite giornaliere, il feedback a tutti gli attori coinvolti dopo ogni recensione più altri annessi e connessi, necessitava ormai di qualcuno che potesse seguirne l’andamento a tempo pieno o quasi e visto che farlo gratis ha un che di masochistico, a meno che non si sia sgravati da impegni lavorativi, la decisione presa è stata inevitabile.
L’innaturale senso di liberazione da noi provato in queste settimane in cui ci stiamo limitando a pubblicare poco per volta le recensioni ancora giacenti è stata la riprova di quanto tale scelta sia stata fin troppo a lungo procrastinata; inoltre, la possibilità di ascoltare nuovamente musica godendosela senza avere l’impellente necessità di scrivere una recensione è un qualcosa di impagabile …
Questi tre anni di attività ci hanno lasciato in eredità comunque molte cose positive, a partire dalla possibilità di conoscere persone con le quali è nata una vera e propria amicizia o si è palesata una forma di reciproca stima sul piano personale; abbiamo avuto la possibilità di ascoltare dischi che, probabilmente, sarebbero sfuggiti ai nostri radar di comuni appassionati, ma abbiamo anche constatato come ormai l’offerta sia incommensurabilmente superiore alla richiesta, sia a livello discografico che sotto forma di eventi dal vivo.
La scena rock e metal italiana, almeno per quanto riguarda quella ancora definibile underground, possiede un enorme potenziale dal punto di vista qualitativo ma deve far i conti con la realtà di una nazione in forte regressione dal punto di vista culturale (non solo musicalmente) e con un movimento che, invece di farsi coeso per avere maggior forza, è frammentato e afflitto da ripicche, gelosie e da tutto quel campionario di piccolezze che il maestro Battiato avrebbe liquidato con la frase “quante stupide galline che si azzuffano per niente” …
Questo al netto di quei pochi che provano meritoriamente a valorizzare quanto viene prodotto all’interno della nostra nazione (porto ad esempio realtà come Facciamo Valere il Metallo Italiano di Silvia Agnoloni, Band Rock e Metal Italiane di Caterina Zarpellon ed il programma radiofonico Overthewall di Mirella Catena, al quale ho personalmente contribuito fino a qualche tempo fa con una rubrica settimanale) ai quali va tutta la nostra stima e l’incoraggiamento a proseguire su questa strada, nonostante spesso ciò rischi di sembrare un’impari lotta contro i mulini a vento.
In conclusione, non possiamo che ringraziare Massimo Pagliaro, Davide Arecco e Michele Massari, che hanno collaborato con noi fino alla fine, e tutti coloro i quali ci hanno sempre sostenuto e gratificato con il loro apprezzamento (tra tutti cito Alberto Carmine di Doom Heart, al quale non verrà meno la nostra partnership, per quanto postuma, al suo festival previsto il prossimo 2 novembre), senza dimenticare Simone Benerecetti che, oltre ad essere l’anima di In Your Eyes (la nostra prima casa), ha progettato e seguito in questi anni la funzionalità del sito.
A questo punto è sottinteso che tutto il materiale che ci verrà inviato non sarà più preso in considerazione: lo diciamo soprattutto ad uso e consumo di chi ha sempre optato per l’invio in formato fisico, cosa che ha pur sempre un costo, poco o tanto che sia.
Più o meno fino a tutto agosto continueremo con qualche pubblicazione giornaliera di recensioni residuali, dopo di che torneremo a rivestire i nostri abituali panni di “normali” malati di musica; non sappiamo se il futuro ci riserverà qualche nuova avventura, assieme o singolarmente: di sicuro, almeno per quanto riguarda Genova e il Nord Ovest, ci troverete a qualche concerto o, comunque, in occasione di quegli eventi capaci di radunare tutte quelle persone che, come noi, considerano la musica molto più di un semplice passatempo.
Grazie ancora per il vostro supporto.

Stefano Cavanna

English version
A little less than 3 years from the moment in which MetalEyes took its first steps, the time has come to close to this adventure; paradoxically this happens in a phase when our webzine has carved out its own space and the number of contacts is in slow but constant growth, but these are not the only parameters to take a decision when comes the time to do it.

For us three (Alberto Centenari, Massimo Argo and myself), in fact, MetalEyes had long ceased to be an hobby to become a real unpaid job, something perhaps gratifying in the early times, when enthusiasm has relegated any negative aspect into the background, but that later has saturated our free time outside of our job (the real one).
In essence, our creation took control of our own lives, dictating the times and making us perceive as a compulsive duty what should have been just a free choice.
In recent times we have tried to recalibrate our goals, but this has only raised for a short time that fatigue, mental above all, which when it emerged simultaneously has left us with this choice, surely painful but also liberating.
Moreover our spirit of service towards music lovers and, consequently, of musicians first and then of labels and agencies that offered us incessantly material to review, led us to reach quantitative levels (and hopefully also qualitative ) such as to debar a possible step backwards.
The management of a so structured site, with hundreds of weekly emails to answer or to sort out, the proofreading, the daily issues planning, the feedback to send to all the actors involved after each review and countless other aspects yet, needed someone who could follow the progress full-time or almost and, since doing so without remuneration has something of masochistic, unless one is completely free by other work commitments, the decision taken was unavoidable.
The unnatural sense of liberation we felt in these weeks, in which we limited ourselves to publishing the still lying reviews, has been proof how this choice has been delayed for too long time; the opportunity to listen to music again without the urgent need to write a review is really priceless…
These three years of activity have left us a lot of positive things, starting from the possibility to know people with whom a true friendship or a form of mutual esteem on a personal level was born; we had the chance to listen to records that probably would have escaped by our radar, but we also discovered that today the offer is immeasurably superior to the demand, both records and live events.
Particularly, the Italian rock and metal scene, at least as far as the still definable underground is concerned, has enormous potential in terms of quality but has to deal with the reality of a nation in strong cultural regression (not only musically) and with a movement that, instead of becoming cohesive to have more strength, is fragmented and plagued by resentments, jealousies and all the pettiness that the master Battiato would have liquidated with the phrase “how many stupid hens that fight for nothing” …
This net of those few who meritoriously try to exploit what is produced within our nation, such as Silvia Agnoloni’s Facciamo Valere Il Metallo Italiano FB page, Caterina Zarpellon’s Band Italiane Rock e Metal FB page and Mirella Catena’s Overthewall radio program , to which I have personally contributed with a weekly column: all our esteem and our encouragement to continue on this path goes to them, despite the fact that often this risks seeming an unequal struggle against windmills.
In conclusion, we can only thank Massimo Pagliaro, Davide Arecco and Michele Massari, who have worked with us until the end, and all those who have always supported and gratified us with their appreciation (among all I quote Alberto Carmine of Doom Heart, to which our partnership, however posthumously, will not fail at its festival scheduled for next november), without forgetting Simone Benerecetti who, in addition to being the soul of In Your Eyes (our first home), has designed the site taking care of its operation.
At this point it’s obvious that all the material that will be sent to us will no longer be taken into consideration: we say it above all for those who have always opted to send in physical format, which still has a cost.
More or less until the end of August we will continue with some daily publication of residual reviews, after which we will return to play our usual role of simple music lovers; we don’t know if the future will reserve us some new adventure, together or individually: for sure, at least as far as Genoa and the North West of Italy are concerned, you will find us at some concerts or, in any case, in occasion of those events capable of gathering all those people who, like us, consider music much more than just a simple diversion.
Thanks again for your support.

Stefano Cavanna

Veuve – Fathom

Raramente si ascolta un gruppo stoner con questa profondità, con questa capacità di cogliere qualche aspetto della realtà o del sogno in ogni canzone

I Veuve sono un trio di Pordenone attivo dal 2014 che suona un’interessante miscela di stoner, fuzz e space rock.

Quello che colpisce maggiormente in questo disco è la diversità dei suoni e la versatilità del gruppo, e soprattutto le piacevolissime melodie che si alternano a pezzi più pesanti. Fathom non ha un approccio solo, contiene molte cose che unite danno l’unicità dei Veuve, quel tono particolare che altri gruppi non possiedono. Con l’ascolto si possono cogliere le impalcature sonore che vi sono allestite, non vi è nulla lasciato al caso, la costruzione va avanti progressivamente ed in maniera incessante. Nonostante facciano un genere davvero abusato come lo stoner, i Veuve riescono ad essere molto originali, rivolgendosi a ciò che sta oltre il cielo e non a quello che sta sotto. Qui dimora un notevole senso di libertà, un sano escapismo che ci porta lontano da una vita che sta stretta, e grazie all’immaginazione e a un disco come Fathom si può andare lontano senza muoversi. I Veuve sono uno di quei gruppi che lavora incessantemente alla propria musica e lo si può ascoltare benissimo qui, dove tutto è curato fin nei minimi particolari. Raramente si ascolta un gruppo stoner con questa profondità, con questa capacità di cogliere qualche aspetto della realtà o del sogno in ogni canzone. Molto forte è anche il senso di melanconia, intesa come profonda comprensione della nostra limitatezza, che è infatti rappresentata dalla loro parte post rock, molto presente in canzoni come Following, un piccolo capolavoro. Diciamo che i Veuve potevano scegliere per una via più facile, magari facendo uno stoner più rapace, ma sicuramente non è il loro modo di agire, e quindi confezionano un disco profondo ed interessante, che copre molti lati della luna. Da ascoltare con molta attenzione.

Tracklist
1.Radars Are High
2.Taste Of Mud
3.Following
4.Death Of The Cosmonaut
5.Low In The Air
6.The Unseen
7.Into The Smoke

Line-up
Riccardo Quattrin – bass & vocals
Stefano Crovato – guitar
Andrea Carlin – drums

https://www.facebook.com/veuveband/

Carmilla – Deflector

Deflector, pur offrendo poco in termini di personalità, lascia che sia qualche buon spunto compositivo a fare in modo che non passi inosservato agli amanti al death metal venato di melodie di ispirazione classica

Senza far gridare al miracolo, il debutto dei Carmilla risulta un lavoro soddisfacente per gli amanti del death metal melodico ispirato (anche per la presenza di una cantante al microfono) agli Arch Enemy.

La band proveniente da Stoccolma è di recente formazione, ha dato alle stampe un ep di rodaggio ed ora si autoproduce il primo full length, intitolato Deflector e composto da dieci brani più intro dove la singer Oksana Blohm Hedlund fa il bello e cattivo tempo sia con la voce pulita che con i toni estremi.
L’alternanza delle voci è quindi l’arma migliore in possesso dei Carmilla, unica differenza con i loro più popolari conterranei capitanati oggi dalla colorata pantera Alissa White-Gluz.
Un limite forse, ma dalla sua Deflector, offrendo poco in termini di personalità, lascia che sia qualche buon spunto compositivo a fare in modo che non passi inosservato agli amanti del genere, risultando un’opera dedicata esclusivamente ad orecchie allenate al death metal venato di melodie di ispirazione classica.
Una serie di discreti passaggi chitarristici fanno di Kings Of Religion, della title track e di Devils Feast i brani più riusciti dell’album, il resto delle tracce fila liscio senza grossi picchi, ma neanche brutte cadute, attestandosi su di un livello più che sufficiente.

Tracklist
1.Avvia e Inizia
2.Kings of Religion
3.Stained Scars
4.Deflector
5.Blinders
6.Devils Feast
7.The Accuser
8.Lizzy Borden
9.A Hundred Years of Failure
10.What We Deserve
11.Lightbringer

Line-up
Felix Björklund – Bass
Dennis Blohm Hedlund – Drums
Håkan Ålander – Guitars
Daniel Karlsson – Guitars
Oksana Blohm Hedlund – Vocals

https://www.facebook.com/carmilla.theband/

https://youtu.be/yRiPl2d_xr4

Avatar – The King Live In Paris

The King Live In Paris è un live appagante per una delle band più personali del panorama metal europeo, ovviamente imperdibile per gli amanti degli Avatar che, dal vivo, riescono a coinvolgere maggiormente in virtù di un approccio più diretto.

Gli Avatar pubblicano il loro primo live album, registrato il quel di Parigi sul palco del Download Festival 2018.

La band mette in mostra anche dal vivo le proprie potenzialità, risultando come sempre una realtà che non lascia punti di riferimento e gioca con il metal degli ultimi tren’tanni a suo piacimento.
Capitanato da Johannes Eckerström, uno dei vocalist più personali e debordanti della scena, il gruppo svedese è protagonista di uno show adrenalinico nel quale un numero spropositato di generi e ed atmosfere travolgono gli astanti.
Il sound dei nostri è una tempesta di note, dal vivo perfettamente interpretate e per nulla dispersive, anche se ovviamente il palco enfatizza la parte più diretta e potente con un Eckerström che passa da un tono all’altro, interpretando i brani con una facilità disarmante.
Dopo l’intro è A Statue Of The King, brano tratto dall’ultimo album ( Avatar Country), ad aprire le ostilità, poi è un susseguirsi di passaggi dal metal classico al power, dal metal estremo a mitragliate industrial, con la band a dare spettacolo con una prova senza sbavature.
Bloody Angel ricorda i Rammstein, Tower è una semi ballad dal crescendo epico, Smells Like a Freekshow torna su territori industrial, risultando il momento più esaltante del live, mentre la title track dell’ultimo lavoro è un brano dalle reminiscenze musical, un metal rock assolutamente coinvolgente.
The King Live In Paris è un live appagante per una delle band più personali del panorama metal europeo, ovviamente imperdibile per gli amanti degli Avatar che, dal vivo, riescono a coinvolgere maggiormente in virtù di un approccio più diretto.

Tracklist
01. Intro
02. Statue Of The King
03. Let It Burn
04. Paint Me Red
05. Bloody Angel
06. For The Swarm
07. Tower
08. The Eagle Has Landed
09. Smells Like A Freakshow
10. Avatar Country
11. Hail The Apocalypse

Line-up
Johannes Eckerström – Vocals
John Alfredsson – Drums
Henrik Sandelin – Bass
The King – Guitars
Tim Öhrström – Guitars

www.facebook.com/avatarmetal

Sinners Bleed – Absolution

Un lavoro distruttivo, tecnicamente ineccepibile ma consigliato solo ai fans del metal estremo di stampo death/thrash.

Il 2019 segna il ritorno dei deathsters tedeschi Sinners Bleed, quintetto nato nella seconda metà degli anni novanta ma con un solo album alle spalle, From Womb To Tomb, licenziato nel 2003.

Purtroppo i molti problemi legati alla line up, hanno fermato a lungo il cammino del gruppo nella scena death metal europea, un silenzio durato sedici anni che si interrompe grazie ad Absolution, di fatto la rinascita per i Sinners Bleed.
Absolution, disco di death metal potenziato da feroci accelerazioni thrash ed ispirato alla scena statunitense, non dà tregua, ci prende per il colletto e ci sbatte al muro, mentre una serie di ganci al basso ventre ci lasciano inermi a terra.
Dieci brani tra Obituary e Machine Head, una prova di forza che non lascia dubbi sulla voglia di rifarsi del quintetto berlinese, grazie ad un sound che nel genere risulta un muro sonoro invalicabile.
Tempo per scaldare i motori con l’intro e Age Of The Crow inizia a martellare i padiglioni auricolari senza pietà, la tecnica non manca di certo al combo che si inerpica per spartiti intricati dando sfoggio di bravura oltre che d’impatto.
Solos che si avvolgono come serpenti tra le ritmiche telluriche di brani portentosi come The Second Being o Behind The Veil, l’album vive di scossoni estremi, concedendo poco alla melodia che rimane travolta dall’impatto violento e senza compromessi.
Un lavoro distruttivo, tecnicamente ineccepibile ma consigliato solo ai fans del metal estremo di stampo death/thrash.

Tracklist
1. Intro
2. Age Of The Crow
3. Gleaming Black
4. The Second Being
5. Devouring Hatred
6. Behind The Veil
7. Dawn Of Infinity
8. Absolution
9. Obedience
10. Jesus’ Delusion Army

Line-up
Jan Geidner – Vocals
Sebastian Ankert – Guitar
Arne Maneke – Guitar
Henrik Fuchs – Bass
Eric Wenzel – Drums

https://www.facebook.com/SinnersBleedBand

Weightless World – The End Of Beginning

Attivi dal 2011 finlandesi Weightless World licenziano questa botta di vita melodic death/metal core intitolata The End Of Beginning, un appassionante viaggio nei suoni moderni di matrice estrema, dalle melodie vincenti ma dalla grinta notevole.

Quello che toccano le band scandinave diventa oro, se non commercialmente, sicuramente a livello qualitativo.

Attivi dal 2011 finlandesi Weightless World licenziano questa botta di vita melodic death/metal core intitolata The End Of Beginning, un appassionante viaggio nei suoni moderni di matrice estrema, dalle melodie vincenti ma dalla grinta notevole.
Il giovane quintetto nordico spara nove brani dall’appeal esagerato senza perdere un’oncia di quella aggressività melodic death che fa dell’album un piccolo gioiellino moderno e melodico, attraente ma allo stesso tempo duro come l’acciaio.
Come spesso accade quando si ha a che fare con proposte in arrivo dalle fredde lande del nord, il gruppo non scherza in quanto a tecnica, amalgama per benino i generi accennati e ci aggiunge solos taglienti come rasoi e di matrice heavy metal, ed il risultato non si fa fatica a promuovere.
Già da Savior e dalle seguenti Dragon’s Fire e Guillotine la band fa le presentazioni con l’aiuto di un sound dove la componete melodica fa il bello e cattivo tempo, senza snaturare troppo l’anima aggressiva che pervade le varie tracce, unendo forza bruta e melodia, splendidi chorus e scream brutali in un calderone metallico alimentato da un fuoco estremo.
L’album si chiude con i dieci minuti abbondanti della title track, un brano dalle suggestive atmosfere elettroniche, che si alterna tra new wave, impulsi progressive moderni, metal e core e mette l’ombrellino ad un cocktail da assaggiare senza alcun dubbio.

Tracklist
1. 59
2. Savior
3. Dragon’s Fire
4. Guillotine
5. Fat Lady
6. The Pair
7. Colors
8. Tides
9. The End of Beginning

Line-up
Tino Kantoluoto – Bass
Juuso Oinonen – Guitars & backing vocals
Perttu Korhonen – Lead vocals
Kari Rannila – Drums
Valtteri Viinikka – Guitars, growls & backing vocals

https://www.facebook.com/weightlessworld

The Negative Bias – Narcissus Rising (A Metamorphosis In three acts)

Non ci sono mai passaggi ovvi, riempitivi o momenti di stanca, il viaggio nelle tenebre non conosce sosta, tutto cambia e noi non siano più al centro, siamo spettatori di qualcosa di immensamente più grande di noi che non riusciamo né a vedere né a comprendere ma che i The Negative Bias mettono benissimo in musica.

I The Negative Bias sono una nemesi musicale che si abbatterà su di voi attraverso uno dei migliori black metal europei.

Gli austriaci sono qui alla loro seconda prova, dopo il primo Lamentations Of The Chaos Omega. In questo ultimo lavoro troviamo due pezzi di oltre venti minuti dagli svariati contenuti. L’assalto black è quello tipico anni novanta, con momenti moderni ed innovativi, ma il tiro è quello. La forza dei The Negative Bias è di mutare sempre il flusso musicale, ci si immerge in un nero universo senza lasciare tempo all’ascoltatore di abituarsi, si viene rivoltati, la prospettiva muta in continuazione. Ad un certo punto il vortice, la parola inglese void è maggiormente adeguata, ti prende e ti conquista, ed è bellissimo lasciarsi portare in giro da questo black metal mai uguale a sè stesso. Per poter compiere un’operazione del genere bisogna avere un talento musicale ed in particolare compositivo fuori dal comune, e qui ne troviamo in abbondanza. Non ci sono mai passaggi ovvi, riempitivi o momenti di stanca, il viaggio nelle tenebre non conosce sosta, tutto cambia e noi non siano più al centro, siamo spettatori di qualcosa di immensamente più grande di noi che non riusciamo né a vedere né a comprendere ma che i The Negative Bias mettono benissimo in musica. Persino i momenti più lenti hanno un senso, non sono calme parentesi ma è assenza di respiro. Un disco che porta molto avanti il discorso cominciato dal primo lavoro e mette il gruppo austriaco sotto i riflettori di chi ama il black metal più vero, viscerale e anche innovativo. Il disco esce per la triestina ATMF, una delle etichette guida per chi ama il nero metallo che raramente sbaglia disco, ma cosa ancora più importante sta sviluppando una propria particolare poetica che la porta a pubblicare album di mortale bellezza che toccano direttamente i nostri cuori.

Tracklist
1.Narcissus Rising
2.Insomnic Sermons of Narcistic Afterbirth (At the Threshold where Chaos Turns into Salvation)

Line-up
I.F.S – Songwriting, Vocals, Lyrics, Concept
S.T – Songwriting, Guitars/Bass, Production
Athtarion – Songwriting, Guitars/Bass
Florian Musil – Drums

https://www.facebook.com/thenegativebias/

Crepuscolo – You Tomb

I Crepuscolo, forti di tanti anni di esperienza non inciampano nemmeno una volta, il loro death metal centra il bersaglio ad ogni passaggio e sembra veramente di tornare nel negozio di fiducia ad ascoltare quello che arrivava dal nord Europa nei primi anni novanta.

Torna una delle band più longeve del metal estremo di matrice death metal nostrane, i Crepuscolo, trio proveniente da Macerata attivo dal 1995, ma arrivato al traguardo del secondo full length solo oggi.

Eppure la band il suo mestiere lo sa fare eccome, devastando i padiglioni auricolari degli amanti del death metal old school con questa raccolta di brani dal titolo You Tomb.
Licenziato dalla Metal Scrap, l’album segue di cinque anni il precedente Revolution Evilution, successore di tre ep usciti tra il 2009 ed il 2012, tutti nel segno di un death metal scandinavo assolutamente convincente.
Macerata come Goteborg?
A sentire bene anche l’ultimo marcissimo parto firmato Crepuscolo, direi di si, il trio di deathsters nostrani non cambia di una virgola la propria proposta e ci massacra con questa bomba sonora senza compromessi, un tributo di altissimo livello alle gesta di chi la storia del genere l’ha fatta quasi trent’anni fa.
Lo spirito indomabile di Lars Goran Petrov (oggi orco dietro al microfono dei Firespawn) vive nelle urla animalesche di Franz Minnozzi e la band conquista da subito l’amante del genere, orfano delle gesta musicali di Entombed, Dismember ed Unleashed arrivati a noi come tempeste glaciali all’epoca delle uscite dei vari Left Hand Path, Clandestine, Like An Ever Flowing Stream e Shadows In The Deep.
You Tomb è quindi un lavoro che segue i canoni del genere, forte di un impatto potentissimo, un gran lavoro strumentale ed una serie di brani esplosivi, ovviamente devoti al genere ma non per questo meno coinvolgenti, anzi.
Da non perdere in versione live, i Crepuscolo forti di tanti anni di esperienza non inciampano nemmeno una volta, il loro death metal centra il bersaglio ad ogni passaggio e sembra veramente di tornare nel negozio di fiducia ad ascoltare quello che arrivava dal nord Europa nei primi anni novanta (abitudine ormai persa nei ricordi di chi di anni sul groppone ne comincia a contare tanti).
Dall’opener My Scars Tell A Story, fino alla conclusiva Memento, l’album risulta un pericolosissimo saliscendi sulle montagne russe del true scandinavian death metal, la band nostrana rifila una serie di mitragliate estreme devastanti prendendo a spallate l’underground estremo anche fuori dai confini nazionali.

Tracklist
1.My Scars Tell a Story
2.Unzen
3.Under the Oak’s Shadow
4.You Tomb
5.The Fate That Life Gives
6.Not for the Mass
7.Shock
8.Monomania
9.Reflected Soul
10.Memento

Line-up
Franz Minnozzi – Bass & Vocals
Vun Speranza Perticarini – Guitar
Bill Ambrogi – Drums

https://www.facebook.com/Crepuscolo.official/

Riot City – Burn The Night

Nel suo genere Burn The Night risulta un album senza pecche, ma è chiaro che si tratta di un lavoro consigliato ai fans dell’heavy metal tutto borchie e chiodo d’ordinanza, ignorante il giusto per chiudere gli occhi e convincersi d’essere ancora negli anni ottanta.

Il primo lavoro su lunga distanza dei Riot City è in linea con la tradizione per il metallo tutto acciaio, fuoco e fiamme nord americano.

Burn The Night, benedetto dai Judas Priest, conserva intatte le caratteristiche peculiari dell’heavy metal anni ottanta, tra cascate di ritmiche e solos, taglienti come rasoi, voce in linea con il genere e produzione che segue l’atmosfera ottantiana dell’opera.
Si viaggia veloci su e giù per lo spartito, con in bella mostra la devozione che la band ha per tutto il movimento metallico di scuola classica e le otto tracce che formano la tracklist ne sono la conferma.
Nel suo genere Burn The Night risulta un album senza pecche, ma è chiaro che si tratta di un lavoro consigliato ai fans dell’heavy metal tutto borchie e chiodo d’ordinanza, ignorante il giusto per chiudere gli occhi e convincersi d’essere ancora negli anni ottanta.

Tracklist
1. Warrior Of Time
2. Burn The Night
3. In The Dark
4. Livin’ Fast
5. The Hunter
6. Steel Rider
7. 329
8. Halloween At Midnight

Line-up
Cale Savy – Guitars & Vocals
Roldan Reimer – Guitars
Dustin Smith – Bass
Chad Vallier – Drums

https://www.facebook.com/RIOTCITYOFFICIAL

Slow Order – Eternal Fire

Il re incontrastato di Eternal Fire è il groove, che gli Slow Order sanno creare molto bene portandolo a spasso lungo un disco piacevole, più complesso e corposo di tanti altri all’interno di questo genere.

Nuovo lavoro per questo gruppo bolognese di stoner e doom, nato per esprimere l’amore verso i suoni ribassati e i giri di chitarra che si fondono con la sezione ritmica.

Gli Slow Order fanno ottima musica strumentale, sciogliendo una forte dose di psichedelia nel pastiche stoner doom. Eternal Fire è un disco strutturato molto bene, con una composizione che spazia in molti campi diversi, non c’è mai uno schema fisso e di ciò il disco si giova enormemente, lasciando molti motivi per muovere la testa durante l’ascolto. Giustamente si potrebbe chiedere cosa hanno di più questi bolognesi rispetto al resto di gruppi stoner doom strumentali? Ascoltando Eternal Fire lo si potrà capire subito, mentre per invitare all’ascolto si potrebbe dire che ci sono molti mondi qui dentro, dallo stoner strumentale alla Karma To Burn, a riff in stile southern metal, a momenti di psichedelia pesante, per un lavoro molto forte e con i piedi bene piantati nel pantano. Ogni cosa qui è funzionale allo svolgimento generale, non ci sono orpelli o cose fittizie, tutto è consequenziale e opera per un fine più alto. Il trio è molto affiatato e ciò lo si sente dalle prime note, perché gli Slow Order sono uno di quei gruppi che trascinano l’ascoltatore indicandogli la via, anche se fosse in mezzo alle tenebre. Eternal Fire è un ottimo esempio di come possa essere la musica pesante declinata in una certa maniera, con un codice nato in giro per il mondo e che tanti gruppi stanno usando nel migliore dei modi. Il re incontrastato di Eternal Fire è il groove, che gli Slow Order sanno creare molto bene portandolo a spasso lungo un disco piacevole, più complesso e corposo di tanti altri all’interno di questo genere.

Tracklist
01. Eternal Fire
02. Obsessive Tale
03. Serpent’s Son
04. Eclipse
05. Kanavar
06. The Hunter
07. Starweed
08. Black Mass

Line-up
minoz
robby
ale

https://www.facebook.com/sloworder/

Timo Tolkki’s Avalon – Return To Eden

Nel nuovo lavoro firmato Timo Tolkki’s Avalon si ritrovano gli spunti e le caratteristiche peculiari che fecero risplendere la musica del musicista finnico nella scena classica della seconda parte degli anni novanta, grazie ad una serie di tracce convincenti, suonate e cantate benissimo, dal grande appeal e dotate di raffinata eleganza metallica.

La rinascita dei suoni classici nella seconda metà degli anni novanta passa anche dalla chitarra di Timo Tolkki, per anni leader degli Stratovarius, band di punta del power metal di matrice scandinava.

Basterebbero i due capolavori Episode e Visions per mettere tutti d’accordo riguardo al talento del funambolico chitarrista finlandese, poi perso tra i molteplici problemi di salute e tornato con alterne fortune con il mondo di Avalon.
Il suo progetto chiamato Timo Tolkki’s Avalon, infatti, ha dato alla luce due lavori, ma mentre il primo (The Land of New Hope), uscito nel 2013, si segnalava come un buon ritorno dopo anni di assenza dalle scene, il secondo album (Angels of the Apocalypse) non aveva mantenuto le promesse risultando un’opera scialba e senza nerbo.
Quindi è ovvio che un nuovo album di Tolkki susciti non poco interesse nella scena classica odierna e questa volta, grazie alle truppe tricolori corse in aiuto del chitarrista e ad una gruppo di ospiti titolati si può sicuramente affermare che Return To Eden è un album all’altezza della reputazione del musicista scandinavo.
Licenziato dalla nostrana Frontiers, Return To Eden vede la band formata da un manipolo di musicisti italiani, da Aldo Lonobile, chitarrista e co-produttore dell’album insieme a Tolkki, ad Andrea Buratto al basso e Antonio Agate alle tastiere e Giulio Capone alla batteria.
Come ospiti questa volta siamo davvero nel gotha del metal classico mondiale, con diversi talenti che si danno il cambio dietro al microfono come Zachary Stevens, Todd Michael Hall, Eduard Hovinga, Anneke Van Giersbergen e Mariangela Demurtas.
Savatage, Riot V, Elegy, The Gathering, Tristania: Timo come si dice oggigiorno “l’ha toccata piano” e, grazie ad una ritrovata ispirazione e all’aiuto di cantanti di livello superiore, dà vita ad un album convincente nel quale il power diretto, melodico e neoclassico ritrova la sua originaria forza.
Nel nuovo lavoro firmato Timo Tolkki’s Avalon si ritrovano gli spunti e le caratteristiche peculiari che fecero risplendere la musica del musicista finnico nella scena classica della seconda parte degli anni novanta, grazie ad una serie di tracce convincenti, suonate e cantate benissimo, dal grande appeal e dotate di raffinata eleganza metallica.
Dopo le tante reunion che hanno coinvolto gruppi storici della scena metal mondiale, le voci che vorrebbero un ritorno di Timo Tolkki negli Stratovarius si fanno sempre più insistenti: vedremo, nel frattempo godiamoci questo ottimo Return To Eden.

Tracklist
01. Enlighten
02. Promises
03. Return To Eden
04. Hear My Call
05. Now And Forever
06. Miles Away
07. Limits
08. We Are The Ones
09. Godsend
10. Give Me Hope
11. Wasted Dreams
12. Guiding Star

Line-up
Todd Michael Hall – Vocals
Anneke Van Giersbergen –Vocals
Mariangela Demurtas – Vocals
Zachary Stevens – Vocals
Eduard Hovinga – Vocals
Timo Tolkki – Guitars
Aldo Lonobile – Guitars
Antonio Agate – Keyboards
Andrea Buratto – Bass
Giulio Capone – Drums

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Saint Vitus – Saint Vitus

Il Saint Vitus bis è un album che non offusca affatto il mito ma semmai lo rafforza senza far rimpiangere più di tanto i fasti del secolo scorso.

Tra le tante band storiche decise a marcare nuovamente il territorio con un disco di inediti in questo periodo troviamo anche i Saint Vitus, nome che sta di diritto sul podio all time in ambito classic doom.

Autointitolare il disco, soprattutto se lo si è già fatto all’esordio trentacinque anni fa, può voler dire molte cose, come la chiusura del cerchio e quindi di un lungo percorso artistico oppure il simboleggiare un nuovo inizio, considerando che oltre a Dave Chandler qui alla voce possiamo nuovamente ascoltare l’altro membro fondatore Scott Reagers.
Personalmente questa è la configurazione che ho sempre preferito nei Saint Vitus, più ancora di quella comunque inattaccabile con Wino al microfono, e non è un caso che il mio album preferito sia alla fine Die Healing.
Questo ovviamente predispone ad un ascolto con occhi meno critici e molto più benevolo, ma del resto a questi arzilli sessantenni c’è ben poco da rimproverare visto che la loro interpretazione del genere è impeccabile, nonostante in più di un caso si provi ad uscire da schemi predefiniti, e il blues che sgorga da Hour Glass e il furioso punk hardcore della conclusiva Useless ne sono la più concreta testimonianza.
Chandler continua a proporre riff micidiali anche quando i brani prendono una strada più lisergica (A prelude…) e in generale l’album non delude in virtù anche di cavalcate che possono apparire scontate solo a chi conosce il doom in maniera superficiale.
Il Saint Vitus bis è quindi un album che non offusca affatto il mito ma semmai lo rafforza senza far rimpiangere più di tanto i fasti del secolo scorso.

Tracklist:
1. Remains
2. A Prelude to…
3. Bloodshed
4. 12 Years in the Tomb
6. Hour Glass
7. City Park
8. Last Breath
9. Useless

Line-up:
Dave Chandler Guitars
Scott Reagers Vocals
Henry Vasquez Drums
Pat Bruders Bass

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Minor Poet – The Good News

Questo gruppo ha un tiro maledettamente affascinante molto anni ottanta, come se di quegli splendidi anni si fosse preso solo il buono per fondare un movimento tropical statunitense molto debitore ai Beatles, a cavallo fra le diapositive rock e quelle psichedeliche.

Visione musicale superiore di in qualcosa che si situa tra il pop di alta qualità, il rock e uno strano senso per la bossanova.

I Minor Poet sono una creazione della fervida mente musicale di Andrew Carter da Richmond, Virginia, il quale, con il disco del 2017 And How! ha dato vita a questo progetto diventato con il tempo un vero e proprio gruppo che si esibisce con successo in giro. In definitiva questa band ha un tiro maledettamente affascinante molto anni ottanta, come se di quegli splendidi anni si fosse preso solo il buono per fondare un movimento tropical statunitense molto debitore ai Beatles, a cavallo fra le diapositive rock e quelle psichedeliche. Il loro suono è ora dolce e malinconico ma sempre con un fondo di speranza, ora più scanzonato ma consapevole di cosa siamo e di cosa possiamo fare, ovvero poco, ma in questo poco perché non gustarci canzoni bellissime come queste? Ecco, queste sono canzoni molto belle, eleganti e di ottimo aspetto, ben composte e ben suonate. Questa eleganza in musica è qualcosa che si sta perdendo sempre di più, e i Minor Poet sono qui per ricordarcelo. In questi sovraffollati tempi manca qualcosa che un tempo veniva regalato, ad esempio, da un David Bowie o un Marc Bolan, quel cambiare atmosfera con una canzone. Ecco i Minor Poet lo fanno, sebbene in una scala minore, con il sax che entra alla fine di Nude Descending Staircase con un assolo che non dura molto ma cambia un disco. E questo album è pieno di particolari come questo, piccole chicche disseminate in un disegno già valido e molto bello.
Un disco che respira e fa respirare bene, non fa guardare davanti od indietro, ma verso lo specchio, per una nostra immagine finalmente sostenibile.

Tracklist
1.Tabula Rasa
2.Tropic of Cancer
3.Museum District
4.Reverse Medusa
5.Bit Your Tongue / All Alone Now
6.Nude Descending Staircase
Line-up
Andrew Carter, Jeremy Morris, Micah Head, Erica Lashley.

https://www.facebook.com/minorpoetmusic/

Welkin – Everlasting Echo Of A Farewell

Everlasting Echo Of A Farewell ha il pregio di variare l’atmosfera ad ogni brano, alternando in modo sagace potenza e melodia, tradizione e modernità in una raccolta di belle canzoni e non è poco.

Dal sottobosco musicale nazionale arrivano di continuo buone proposte che rinvigoriscono una scena rock/metal che, con tutte le problematiche e le conseguenti difficoltà di oggigiorno è ben presente e florida.

Questa volta abbiamo il piacere di presentarvi i Welkin, quartetto di Treviso attivo addirittura dal 1998 che tra cambi di line up e la solita gavetta sul fronte live arriva al 2019 con un nuovo lavoro intitolato Everlasting Echo Of A Farewell.
Francesco Bresolin(chitarra, voce), Arturo Trivellato (chitarra), Francesco Mocci (batteria), e Andrea Cenedese (basso), danno vita a sette tracce di rock moderno, melodico e alternativo, dove la parte metal mostra i muscoli solo a tratti, lasciando spazio ad atmosfere che mantengono un approccio riflessivo e malinconico.
L’opener Sacrifice irrompe con il suo metal che non nasconde un’anima progressiva, le chitarre ricamano solos di matrice Queensryche, su ritmi sostenuti, ma già dalla successiva Bleed, l’acustica si impadronisce della scena con accordi di delicato rock d’autore.
Molto curate le parti vocali, sia la solista che i chorus, mentre il sound continua ad alternare atmosfere pacate, e ritmi incalzanti sorretti da una buona dose di potenza e melodia.
Take Me The Horizon è un hard & heavy tra tradizione ed input alternative, metal/rock che come già sentito sulle altre tracce non manca di essere valorizzato da impennate progressive.
Ballatona da accendini accesi Part Of Me, metal potente e tecnico The World Behind e rock alternativo Break The Silence brano che conclude questa buona prova del gruppo Veneto.
Everlasting Echo Of A Farewell ha il pregio di variare l’atmosfera ad ogni brano, alternando in modo sagace potenza e melodia, tradizione e modernità in una raccolta di belle canzoni e non è poco.

Tracklist
1.Sacrifice
2.Bleed
3.Everything
4.Take Me To The Horizon
5.Part Of me
6.The World Behind
7.Break The Silence

Line-up
Francesco Bresolin – Guitars, Vocals
Arturo Trivellato – Guitars
Francesco Mocci – Drums
Andrea Cenedese – Bass

WELKIN – Facebook

Khanus – Flammarion

Il black death è un sottogenere inflazionato e che richiede un grande talento per essere innovato: qui l’innovazione non c’è, e in definitiva la prova dei Khanus si rivela molto solida senza squilli.

Flammarion è un disco del 2018 dei Khanus, gruppo finlandese di Oulu, che ha fatto il suo esordio nel 2016 con l’ep Rites Of Fire.

I Khanus propongono un black death metal di buona fattura, ben composto e ben suonato, però non scatta mai la scintilla, nel senso che l’ascoltatore non viene avvinto in maniera totale dalle loro trame sonore. Ci sono molti gruppi come i Khanus, certamente questi finlandesi appartengono al novero dei gruppi di qualità medio alta, ma Flammarion è un album molto standard per i generi black death, in quanto non c’è una fuga verso l’alto. Di certo è poco comune quanto azzeccata la scelta di cominciare con una cover dei norvegesi Darkthrone, The Serpent’s Harvest da Total Death del 1996, un brano che è una dichiarazione programmatica di intenti. Da qui comincia il disco che non è mai suonato in maniera velocissima, ma si dipana per mid tempo che poi lasciano spazio a sfuriate sempre abbastanza contenute. Come detto sopra il risultato è buono, ma troppo piatto per scatenare entusiasmo. Escono per I, Voidhanger Records, etichetta che ha sempre un’altissima qualità e questo disco sta nelle loro corde, ma non può competere con il resto del catalogo. Flammarion è un album nella media del black death, suonato da musicisti esperti e dalle evidenti capacità compositive, con le quali apportano anche alcune particolarità come il cantato che, in certi tratti, è quasi operistico. Il black death è un sottogenere inflazionato e che richiede un grande talento per essere innovato: qui l’innovazione non c’è, e in definitiva la prova dei Khanus si rivela molto solida senza squilli.

Tracklist
1.The Serpent’s Harvest (Darkthrone Cover)
2.A Timeless Sacred Art
3.Titan Souls
4.Ageless
5.The Uncreated
6.Secular Spiritual Existence
7.Surrupu
8.Magick And Numbers

Line-up
Meltiis – Soprano vocals and Choir
Lordt – Drums
Sovereign – Guitars, Bass, Vocals

KHANUS – Facebook

Cremisi – Dawn of a New Era

I Cremisi raccontano tutto ciò attraverso l’unica musica in grado di fagocitare altri generi e rigettarli sotto forma di arte delle sette note, il metal, sottovalutato ed ignorato dai suoi detrattori, ma fonte inesauribile di emozioni in tutte le sue forme.

Un esordio che sicuramente non passerà inosservato quello dei Cremisi, quartetto proveniente dall’Emila Romagna (Bologna/Ravenna) che si presenta sul mercato metallico forte di una personalità debordante ed un album maturo, sia per le tematiche trattate che per il sound espresso.

La storia del nostro paese raccontata da un metal sinfonico, epico ed evocativo che accomuna prog metal, heavy classico e metal estremo sinfonico di matrice scandinava, è una delle caratteristiche principali di Dawn of a New Era e delle sue dieci composizioni, un viaggio nel tempo tra la scoperta delle Americhe e Leonardo Da Vinci, la caccia alle streghe e la peste del 1300, senza dimenticare l’arte e le sue opere, patrimonio della nostra storia.
I Cremisi raccontano tutto ciò attraverso l’unica musica in grado di fagocitare altri generi e rigettarli sotto forma di arte delle sette note, il metal, sottovalutato ed ignorato dai suoi detrattori, ma fonte inesauribile di emozioni in tutte le sue forme.
Nei brani che i Cremisi hanno creato per dare vita a Dawn Of A New Era proliferano diverse anime musicali, a formare un sound vario ed estremamente affascinante: non manca nulla tra lo spartito di brani come The Black Death, Confession, In The Name Of The lord o la splendida Battle Of Lepanto, che tanto sa di ultimi Amorphis in una versione più epica e meno progressiva.
E poi Symphony X, Iron Maiden, Sabaton, Omnium Gatherum, ma finire l’articolo con i soliti paragoni non darebbe il giusto risalto al grande lavoro svolto dai quattro musicisti nostrani che hanno dato vita ad un’opera davvero molto suggestiva e matura già al debutto.

Tracklist
1.Dark Winds
2.The Black Death
3.Dawn of a New Era
4.Captain’s Log
5.Confession
6.In the Name of the Lord
7.Waves of Sorrow
8.Battle of Lepanto
9.The Hanged Man
10.On the Moon

Line-up
Federico Palmucci – Guitars
Davide Tomazzoni – Vocals
Francesco Messina – Bass
Rolando Ferro – Drums

CREMISI – Facebook

Abrahma – In Time for the Last Rays of Light

Illustrato da una copertina che rievoca atmosfere bibliche, l’album si snoda in otto brani medio lunghi, ma non prolissi: la band riempie lo spazio di musica colta, usando tutte le armi in possesso per trasformare l’ascolto in un’esperienza pregna di sacrali sfumature epico evocative.

Licenziano il loro terzo lavoro sulla lunga i parigini Abrahma, quintetto dal sound personale che molto bene aveva fatto in passato, specialmente con il precedente album uscito ormai quattro anni fa (Reflections In The Bowels Of A Bird).

La musica del combo non segnala grossi cambiamenti rispetto al passato, anche questa nuova opera, intitolata In Time for the Last Rays of Light si muove su coordinate stoner/doom, dalle sfumature evocative e a tratti vivacizzate da spartiti rock ed alternative metal.
Sempre illustrato da una copertina che rievoca atmosfere bibliche, l’album si snoda in otto brani medio lunghi, ma non prolissi: la band riempie lo spazio di musica colta, usando tutte le armi in possesso per trasformare l’ascolto in un’esperienza pregna di sacrali sfumature epico evocative.
L’opener Lost Forever risulta il brano più diretto, usato non a caso come singolo e video, poi da Lucidly Adrift in poi veniamo catapultati in un’atmosfera in cui i vari generi esposti formano un altare musicale dal quale gli Abrahma decantano il loro verbo.
Band dal sound personale, il quintetto transalpino mostra i muscoli in brani come Last Epistle, dove si concentrano le anime più alternative in seno al gruppo, tra The God Machine ed Alice In Chains, mentre lo sludge/doom della monolitica Wander In Sedation riporta l’album in territori desertici.
Se non conoscete ancora la band francese, immaginate una lunga jam composta da Orange Goblin, Yob, Monster Magnet e gli altri nomi precedemente citati, ed avrete un’idea di quello che ascolterete in questo affascinante lavoro.

Tracklist
1.Lost Forever
2.Lucidly Adrift
3.Eclipse of the Sane Pt.1: Isolation Ghosts
4.Dusk Contemplation…
5….Last Epistle
6.Wander in Sedation
7.Eclipse of the Sane Pt. 2: Fiddler of the Bottle
8.There Bears the fruit of Deceit

Line-up
Sébastien Bismuth – Vocals, Guitars
Florian Leguillon – Guitars, Vocals
Benoit Carel – Guitars, Synths & Effects
Romain Hauduc – Bass, Vocals
Baptiste Keriel – Drums, Vocals

ABRAHMA – Facebook

METEORE: LUBRICANT

Progressive Grind/Death Metal finnico. Una band all’avanguardia per gli anni novanta, forse troppo. Poco capiti all’epoca, restano oggi un esempio, per le decine di band che desiderano sperimentare nuove sonorità, sulle solide basi del genere più estremo.

Il titolo del loro “breve” libro, potrebbe essere questo: ”nascita prematura spesso coincide con morte prematura”.

Si, proprio vero. La grande sfortuna del combo di Nokia (avete capito bene; la piccola città finlandese che ha dato il nome alla nota fabbrica di cellulari…) fu quello di essere nati troppo presto, in un mondo, quello dei primi anni novanta, dove il fan medio del Death Metal non cercava suoni sperimentali, progressivi o comunque troppo ricercati. Il deathster di allora voleva solo rimanere travolto da un treno in piena corsa; abbandonarsi a schitarrate sparate alla velocità della luce, tempi serratissimi, growls cavernosi che spesso non facevano nemmeno intuire che la band stesse cantando in inglese (o addirittura che stesse cantando un vero e proprio testo). Invece, i 4 coraggiosi ragazzotti finlandesi decisero di andare controcorrente (anche lo stesso monicker, fu scelto come “anti Death Metal Band’s name”), proponendo un Death a tratti addirittura Grindcore, davvero d’avanguardia, ricco di spunti progressive, suoni sperimentali e momenti quasi futuristici (almeno per quei tempi) accompagnati da un cantato che spesso faceva spola dal classico growl al più morbido dei clean. Decisione coraggiosa, ma che – ahimè – oggi li ha relegati a semplice meteora del periodo, capace sì di donarci perle di culto come il demo “Swallow The Symmetric Swab”(1991) e il famosissimo ep “Nookleptia” (1993), ma che allora, non fecero presa nel cuore dei fan. Ciò li costrinse dopo una brevissima vita musicale, a sciogliersi a distanza di soli tre anni dalla loro nascita (sono nati verso la fine del 1989 come Lubricant; in precedenza come O.V.D. suonavano un basilare Speed Metal). In realtà oggi, i non più giovani “lubrificati”, fanno ancora qualche apparizione dal vivo, ma senza far uscire nulla di nuovo.

Discography:
Subscription of Hydatidocele – Demo – 1990
Surgical Centesis – Demo – 1991
Swallow the Symmetric Swab – Demo – 1991
Nookleptia – EP – 1993
Zander (Enslaved / Lubricant / Necromance / Cadaver Corpse) – Split – 1993
Swallow This – Compilation – 2017

Line-up
Tero Järvensivu – Bass
Aki Ala-Kokko – Drums
Sami Viitasaari – Guitars
Sami Paldanius – Vocals

Chaos Factory – Horizon

Settantacinque minuti di musica e parole divisi in due cd, Perception e Myth, per un’opera mastodontica e sorprendente per una band al debutto, di non facile assimilazione proprio a causa della durata e degli interventi vocali che spezzano il ritmo e la scorrevolezza della parte musicale.

Ambiziosa e oltremodo coraggiosa la proposta dei nostrani Chaos Factory, al debutto per Underground Symphony con Horizon, opera metal che unisce power, heavy e spunti sinfonici progressivi in un concept “raccontato” da Luca Ward, voce di Russel Crowe nel Il Gladiatore, capolavoro cinematografico di Ridley Scott.

Settantacinque minuti di musica e parole divisi in due cd, Perception e Myth, per un’opera mastodontica e sorprendente per una band al debutto, di non facile assimilazione proprio a causa della durata e degli interventi vocali che spezzano il ritmo e la scorrevolezza della parte musicale.
Sono dettagli, questi, che potrebbero far perdere qualche punto ad un lavoro che merita la giusta attenzione, perché la band ha creato un sound che, pur evidenziando le sue molteplici influenze, ha la personalità per uscire dall’anonimato in un genere nel quale in termini musicali si è detto tutto o quasi.
Concept a parte (una serie di riflessioni sulla condizione umana), Horizon musicalmente è un piccolo gioiello di metal classico, i brani sono tutti benedetti da un ottimo appeal, trattandosi di una serie di cavalcate power alternate a magniloquenze sinfoniche, atmosfere progressive e hard & heavy, con il gruppo sugli scudi sia per la ricerca del chorus e del refrain perfetto che per il buon uso degli strumenti.
Human Orogeny, We Believe, Juggernaut Is Coming e Running Wild valorizzano il primo cd, mentre sul secondo la band si lascia prendere la mano dalla parte recitata, atmosferica e sinfonica di cui si compone l’album.
Horizon rimane comunque un lavoro da ascoltare con l’impegno che merita, ricco com’è di atmosfere e sfumature che avvicinano la band a icone del genere come Rhapsody, Stratovarius, Labyrinth ed alle colonne sonore di Ennio Morricone.

Tracklist
CD1
01. Human Orogeny
02. Crystalline
03. We Believe
04. Juggernaut Is Coming
05. Affinità Morenti
06. Whispers in the Dark
07. Universal Flow
08. Horizon
09. Come Lacrime Nella Pioggia
10. Running Wild
11. Sins of the Lambs
12. Polychrome Glows
CD2
01. And Zarathustra Said: Horizon
02. Sento La Morte Nel Sogno Che Viene
03. Drying Her Tears
04. In the Depths of the Void
05. L’ultima Madre
06. The Doom of Destiny
07. Nel Profondo Dell’universo
08. Blue Steams
09. Al Calar Della Luce
10. Chaos Variation XVIII

Line-up
Francesco Vadori – Vocal
Luca Moser – Guitar
Mattia “HeadMatt” Carli – Guitar
Diana Aprile – Drums
Fabio Sartori – Bass

CHAOS FACTORY – Facebook