Lostair – Ad Jubilaeum

Ad Jubilaeum è un album davvero bello e sorprendente, dalle atmosfere drammatiche ed oscure e attraversato da una sacralità che accompagna il thrash metal classico di ispirazione statunitense del gruppo.

La Revalve Records licenzia il secondo full length dei thrashers vicentini Lostair, band attiva dal 2004, condizionata da un continuo via vai di musicisti per quasi tutta la sua carriera che ha rallentato ma non fermato il gruppo veneto.

Dunque un ep e l’album di debutto uscito ormai cinque anni fa (Anguane) e tanta esperienza live, acquisita di supporto a band storiche del metal, tricolore e non, hanno rappresentato fin qui la carriera del gruppo in questi tredici anni: ora, dopo la firma con l’ottima label nostrana, ecco l’uscita di Ad Jubilaeum, concept album incentrato sull’immenso potere acquisito nei secoli dalla cristianità al di là dell’aspetto puramente spirituale, come ben raffigurato dall’artwork.
Religione e thrash metal, due mondi lontani ma che vengono ben rappresentati dalla musica dei Lostair, potente e pesante, veloce ed attraversata da mid tempo epici , oscuri e tragici.
Molte atmosfere di Ad Jubilaeum mi hanno ricordato gli Iced Earth ed il loro bellissimo Something Wicked This Way Comes, specialmente quando sfumature solenni rivestono di sacralità le devastanti cavalcate metalliche che la band concede senza tregua, nobilitandole con un lavoro tecnico che mette in risalto le performance di Andrea Girardello e Teo Lost (anche al microfono) alle chitarre e quella della sezione ritmica, composta da Gorgi al basso e Stizza alla batteria.
Un violento pugno nello stomaco, potente e diretto, drammatico ed oscuro come le tante guerre e le atrocità che si sono consumate ed ancora si consumano a causa della religione, curato nei minimi dettagli, a tratti molto diretto e valorizzato da parti in cui la melodia è padrona, a partire dal bombardamento sonoro intitolato At the Hands of Black Inquisition, preceduto dall’intro Exodus, dove lupi e corvi banchettano sui cadaveri lasciati dalla furente battaglia in Terra Santa.
Non c’è tregua, Rise e Where The Angels Die sono esplosioni di violento thrash metal americano e solo i cori liturgici di Vaticanum fermano il massacro solo per poco, prima che l’atmosfera sacrale si trasformi in un’altra bordata metallica.
E’ notevole anche l’atmosfera orientaleggiante di Trinity, uno dei picchi del lavoro, così come i cori operistici della conclusiva Finis Dierum, brano dal flavour orchestrale che ribadisce l’ottima vena compositiva dei Lostair.
Ad Jubilaeum è un album davvero bello e sorprendente, dalle atmosfere drammatiche ed oscure e attraversato da una sacralità che accompagna il thrash metal classico di ispirazione statunitense del gruppo.

Tracklist
1.Exodus
2.At the Hands of Black Inquisition
3.Rise
4.Where the Angels Die
5.Vaticanum
6.The Bible Code
7.Trinity
8.The Fall of Any Gods
9.Finis Dierum

Line-up
Teo Lost – Guitars, Vocals
Stizza – Drums
Gorgi – Bass
Andrea “Spin” Girardello – Guitars

LOSTAIR – Facebook

Sanguine Pluit – There Is a Goddess in the Forest

Nell’insieme, il tutto acquista un suo esecrabile fascino purché l’ascoltatore non anteponga la resa sonora di un lavoro ai suoi contenuti, visto che There Is a Goddess in the Forest soffre di una produzione che ne preserva una certa purezza di intenti ma, d’altra parte, finisce per inficiarne non poco la fruizione.

There Is a Goddess in the Forest è la riedizione, a cura della This Winter Will Last Forever, del demo pubblicato dalla one man band italiana Sanguine Pluit, contenente per l’occasione anche le sei tracce presenti nell’ep Never Ending Winter, uscito quello stesso anno.

Il tutto viene presentato come un ambient raw black metal e direi che la definizione non fa una piega: infatti, le frequenti aperture atmosferiche si alternano ad un’interpretazione del black quanto mai minimale, mostrando due volti decisamente differenti dell’approccio alla materia da parte di Polus, musicista pavese alle prese con questo progetto da circa in decennio nel corso del quale ha prodotto diverse uscite di minutaggio ridotto.
L’immersione in un lavoro di questo tipo non è affatto semplice, perché i primi tentativi di ascolto sono fallimentari a causa di un espressione così ruvida ed integralista da apparire quasi irritante: un drumming dai ritmi pressoché immutabili punteggia sovente un rumorismo al quale si mescolano degli inquietanti rantoli, un insieme che viene stemperato a tratti da spunti di ambient “cosmica” (Nature Rising, Transcendent Forest, Magnetic Pathways), questo almeno per quanto riguarda i brani appartenenti al demo dal quale il lavoro prende il titolo. Le tracce provenienti da Never Eding Winter aumentano, se possibile, il livello dell’incomunicabilità manifestata da Polus, andando talvolta a valicare i confini della cacofonia.
Detto questo potrebbe sembrare che tale operazione sia assolutamente fallimentare o comunque da evitare accuratamente, ma in fondo così non è perché, nell’insieme, il tutto acquista un suo esecrabile fascino purché l’ascoltatore non anteponga la resa sonora di un lavoro ai suoi contenuti, visto che There Is a Goddess in the Forest soffre di una produzione che ne preserva una certa purezza di intenti ma, d’altra parte, finisce per inficiarne non poco la fruizione.
Probabilmente, smussando qualche asperità e migliorando sensibilmente la resa sonora, il progetto Sanguine Pluit potrebbe fare un buon balzo in avanti, ma francamente non so se questo sia poi l’intento di Polus, anche alla luce del fatto che un sound di questo tipo, per quanto lo si possa tirare a lucido, non è che possa divenire appetibile alle masse. Per cui, questo è There Is a Goddess in the Forest, e chi apprezza il black/ambient lo ascolti e faccia le proprie opportune valutazioni.

Tracklist:
1. Nature Rising
2. In Silent Astonishment
3. Vibrant Mist
4. Aural Enchantment
5. Transcendent Forest
6. Aural Enchantment 2
7. Magnetic Pathways
8. Elements In Sync
9. Fields
10. Never Ending Winter
11. The Secret Oath
12. Fall
13. Winter Passage 2
14. Astral Sorrow
15. Raw Darkness

Line up:
Polus

SANGUINE PLUIT – Facebook

Aquiver – Frames

Le esperienze maturate negli anni dai diversi componenti del gruppo sono servite per aumentare la ricchezza di questo progetto comune, che ha grandi ambizioni e mezzi molto saldi per soddisfarle.

Gli Aquiver sono un gruppo di Reggio Emilia che rappresenta benissimo la congiunzione moderna tra metal, rock e pop.

Il loro debutto Frames è un disco ben composto ed eseguito con padronanza tecnica ed una sapiente produzione, e fa trasparire tutto il loro suono moderno. Il gruppo reggiano usa alcune cose del metal e del post hardcore, come inserti pop e qualcosa anche dell’indie, il tutto a seconda di ciò che vogliono esprimere nell’occasione. Il risultato è un suono molto americano, che sfocia in momenti aor, sempre intrisi di dolcezza ma adeguatamente induriti quando serve. Tecnicamente il gruppo ha una buona padronanza, con tutti gli elementi che si mettono in luce, ma spiccano soprattutto come collettivo più che come musicisti singoli. In Frames quasi tutti i brani sono possibili successi radiofonici o su internet, anche se il prodotto è un qualcosa che apprezzeranno sicuramente fuori dai confini patri, per questioni di gusti musicali. E la carriera internazionale è un qualcosa che sarà la maturale prosecuzione del discorso musicale di questi ragazzi, che sono giustamente ambiziosi. Questo suono può portare al successo se viene proposto ad un determinato bacino di utenza, data la natura giovanile dei generi trattati. Inoltre Frames è la dimostrazione che con talento, ma soprattutto voglia, si riescono ad ottenere buoni risultati anche per un underground che vuole emergere ed avere un seguito più ampio, facendo proposte di qualità. Le esperienze maturate negli anni dai diversi componenti del gruppo sono servite per aumentare la ricchezza di questo progetto comune, che ha grandi ambizioni e mezzi molto saldi per soddisfarle. Solidità e melodia sono i punti forti degli Aquiver.

Tracklist
01. Absence Rebound
02. CaSo
03. Save Your Day
04. Drawing Circles
05. Fall From Grace
06. Downfall
07. No More Words
08. A Million Red Lights
09. Moving Emotions
10. The One
11. Empty Space

Line-up
Luca Pretorius: Vocals
Marco Profeta: Bass
Daniele Fioroni: Guitar, Back vocals
Francesco Pani: Guitar, Back vocals
Luca Setti: Drums

AQUIVER – Facebook

Dancing Scrap – This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk

Un altro ottimo album, vario ed originale ad opera di un gruppo a cui non mancano coraggio e buone idee, da consumare se siete amanti del rock a prescindere da odiati compartimenti stagni.

Cambio di monicker (da Dancing Crap a Dancing Scrap), qualche aggiustamento ulteriore nella line up e Ronnie Abeille torna con la sua band ì, con una S in più ma non solo.

Avevamo lasciato la band nostrana all’indomani dell’uscita di Cut It Out, debutto sulla lunga distanza licenziato un paio di anni fa, ed è già tempo di nuova musica, mentre il sound ha subito qualche leggero cambiamento sterzando verso atmosfere più moderne e, come suggerisce il titolo, alternative.
This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk risulta infatti meno pervaso dallo spirito rock ‘n’ roll che aveva contraddistinto il suo predecessore, le sfumature elettroniche e funky contribuiscono a rendere l’album in sintonia con il rock americano più mainstream, facendo sì che le parti campionate e alternative, già comunque presenti in Cut It Out, diventino preponderanti nell’economia dell’album.
Se tutto questo è un bene dipende molto dai gusti di chi presterà ascolto a questa nuova raccolta di brani, sicuramente il gruppo (con la supervisione di Gianmarco Bellumori, che si è occupato del mix e della masterizzazione dell’album) ha fatto un buon lavoro, cercando di non soffermarsi troppo su un genere ma allargando i suoi orizzonti così da presentarsi come una realtà di non facile catalogazione.
This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk vive di alternative metal come di rock ‘n’ roll, sguazza in soluzioni elettropop e ci sbatte in faccia quell’irriverenza punk che continua ad essere l’arma in più del sound, con Abeille che a tratti ricorda non poco il Johnny Rotten post Sex Pistols.
Mezzora di musica dritta sul muso dei rockers, dallo stivale al Regno Unito, che Acid presenta al pubblico con un riff appunto acido e i ritmi che si mantengono su di un mid tempo rock, per poi trasformarsi in un irresistibile alternative funky alla Red Hot Chili Peppers in Big Fuckin’ Deal.
Il singolo I Like It, uscito qualche mese fa, segue le linee di ciò che poi si svilupperà lungo l’intero lavoro, con un rock sporcato di elettronica e punk che gioca a nascondino tra montagne di campionamenti.
I brani si susseguono con dei picchi di originalità (SWC e la conclusiva Bitch… And You Know It) che valorizzano il lavoro svolto dal gruppo, che continua imperterrito ad alternare i generi descritti non lasciando mai una traccia sicura per seguire l’andamento e riuscendo nell’impresa di non far perdere attenzione all’ascoltatore, ora sorpreso, ora divertito dai vari scenari musicali presentati su This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk.
Un altro ottimo album, vario ed originale ad opera di un gruppo a cui non mancano coraggio e buone idee, da consumare se siete amanti del rock a prescindere da odiati compartimenti stagni.

Tracklist
1.Acid
2.Big Fuckin’ Deal
3.I Like It
4.Renegades
5.SWC
6.Ready for the Show
7.The Rocker You’re Not
8.My Goddess
9.Yet to Come
10.Watered Down Drink
11.Bitch… and You Know It (The Drunken Bass Song)

Line-up
Ronnie Abeille – Vox
Sal Ariano – Guitar
Eugenio “The Joker” Pavolini – Guitar
Bobby Gaz – Bass
Danilo “Wolf” Camerlengo – Drums

DANCING SCRAP – Facebook

Grog – Man Of Low Moral Fiber

Le emozioni non mancano in questo disco strumentale partorito da due menti musicalmente bulimiche, che abbracciano una moltitudine di situazioni e di gusti musicali.

I Grog sono un duo di Reggio Calabria al loro secondo ep per la netlabel Musichette Records.

Il loro suono è una jam di math e noise rock, un gioioso effluvio di note e di progressione musicale. Le emozioni non mancano in questo disco strumentale partorito da due menti musicalmente bulimiche, che abbracciano una moltitudine di situazioni e di gusti musicali. Non ci si annoia mai in giro fra questi suoni, tra momenti alla Don Caballero ed aperture ambient molto belle, tra il noise più graffiante e la psichedelia più sfrenata. Il disco dovrebbe essere visto ma soprattutto ascoltato come un continuo musical-temporale, infatti qui le divisioni e i titoli servono a ben poco, di fronte ad un fiume lavico di note. Il suono dei Grog non è potentissimo o distorto, ma pieno di idee e di invenzioni musicali. Si passa attraverso molti specchi tenendo ben ferme le coordinate musicali zappiane, ovvero non avere coordinate ma spaziare il più possibile. In questo contesto la musica è molto soggettiva, nel senso che questi suoni fanno scaturire in ognuno di noi qualcosa di diverso. Grande è stata la lezione per i Grog da parte di gruppi come gli Zu o altri compari della nouvelle vague rumorosa italiana, quel suonare senza limiti dando una visione distorta della distorta realtà. Ci sono dischi come questo che sono totalmente alieni al concetto di commerciale o alternativo, sono momenti musicali alti e stimolanti, assolutamente alieni rispetto alla musica normale. Ritmo, deviazioni, accelerazioni e miliardi di accordi, con uno stile compositivo molto vicino all’improvvisazione jazz, porta della libertà totale. In definitiva questo è letteralmente un disco di drum and bass.

Tracklist
1. The great Jeeg in the sky
2. Got Ham
3. Give more water, please everybody
4. L.A. Crime

Line-up
Luigi Malara – basso, glockenspiel, clavietta, tastiere
Filippo Buglisi – batteria, tastiere

GROG – Facebook

5 Star Grave – The Red Room

The Red Room è assolutamente da non perdere: travolgente, personale ed irriverente risulterà una vera bomba per chi ama i generi che vanno a creare questa miscela pericolosamente esplosiva.

A tratti irresistibile, il nuovo album dei 5 Star Grave lascia le sicure strade del thrash per inseguire quelle meno ovvie di una riuscita commistione tra thrash, rock ‘n’ roll e punk rock e che, viste le tematiche, potremmo definire horror metal/rock ‘n’ roll.

Licenziato dalla Sliptrick Records, The Red Room è il terzo lavoro di una band che nel 2018 compie dieci anni di attività con l’attuale monicker (precedentemente Ground Zero), avendo all’attivo due full length (Corpse Breed Syndrome e Drugstore Hell) e potendo contare sulla presenza nel ruolo di vocalist di Claudio Ravinale, conosciuto per la sua militanza negli ottimi Disarmonia Mundi.
The Red Room non lascia tregua, è tutto un susseguirsi di riff travolgenti che sanno di hard rock, si trasformano in veloci cavalcate thrash ma non perdono assolutamente quell’irriverenza punk rock (o rock ‘n’ roll se preferite) che ne determinano la riuscita ed il travolgente appeal.
Non c’è scampo, le natiche cominciano a vibrare, la testa a prendere di mira il muro per poi rompersi tra la polvere dell’intonaco, mentre l’opener Hic Sunt The Motherfuckers risveglia dal lungo letargo mostri, vampiri e zombie e l’unica nostra alternativa è scappare per non finire in mano alle truppe della notte.
Once Upon A Time fa venire voglia di dimenarsi sopra una tomba mentre Alice esce dalla cripta e ci invita alla danza sfrenata guardando negli occhi del mostro.
Hell On Heels sembra mollare leggermente il tiro con il suo acustico ricamo, ma è un attimo perché il brano si trasforma in un mid tempo che richiama, in un unico brano, The Cult, Misfits e AC/DC.
For Better Or Worse è una deflagrazione thrash/punk e There Is No Heaven, con la sua atmosfera dark, rompe l’incantesimo ed invita tutti a tornare nelle proprie cripte, catacombe e casse brulicanti di vermi.
The Red Room è assolutamente da non perdere: travolgente, personale ed irriverente risulterà una vera bomba per chi ama i generi che vanno a creare questa miscela pericolosamente esplosiva.

Tracklist
1.Hic Sunt The Motherfuckers
2.Eat You Alive
3.Once Upon A Time
4.The Ballad Of The Vampire
5.Alice
6.Through The Eyes Of The Monster
7.He Never Died
8.Hell On Heels
9.For Better Or Worse
10.There Is No Heaven

Line-up
Claudio Ravinale – vocals
Andrea Minolfi – bass, vocals
Thierry Bertone – guitars
Alessandro Blengino – guitars
Hervè De Zulian – synth
Domenico Fazzar – drums

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Suicidal Causticity – The Human Touch

La scena estrema nazionale è assolutamente da seguire e la conferma arriva da lavori come The Human Touch, quindi separatevi dall’esterofilia che vi opprime e fate la conoscenza con i Suicidal Causticity.

Ecco un’altra band italiana che nel metal estremo dice la sua alla grande, tanto che il suo secondo album intitolato The Human Touch prende a calci nel deretano molte produzioni estere anche più blasonate.

Nati più o meno sei anni fa, e con all’attivo il debutto The Spiritual Decline uscito nel 2013, i Suicidal Causticity, dopo varie vicissitudini e cambi in corsa nella formazione, ma anche tanti palchi solcati in compagnia di realtà nazionali e straniere, riesce a trovare un minimo di stabilità, rifinita dall’entrata in formazione di Edoardo Scali, ultimo importante tassello prima che The Human Touch veda la luce sotto l’ala dell’ Amputated Vein Records a metà di questo anno.
E l’album risulta una terribile mazzata brutal death, debitrice nei confronti della scena statunitense, ma in grado di trasmettere personalità e convinzione da gruppo di peso.
Prodotto benissimo, The Human Touch, pur nella sua inumana violenza, tipica del death metal più brutale e nel suo schema predefinito (l’alternanza di furiosi blast beat e veloci ripartenze con mid tempo pesantissimi) appare scorrevole e perfettamente in grado di intrattenere senza tirare la corda: i brani si riconoscono uno dall’altro e nel genere ciò risulta segno di maturità artistica ben consolidata, oltre a non scendere mai sotto un livello di violenza esecutiva che mantiene l’album nella parte più estrema del genere.
Una raccolta di brani che non lascia scampo (Estuary Abomination, Affluent of Woe, The Rates-Dead River Call), porta l’album verso un giudizio più che buono e la consapevolezza di avere di fronte un gruppo di alto livello.
La scena estrema nazionale è assolutamente da seguire e la conferma arriva da lavori come The Human Touch, quindi separatevi dall’esterofilia che vi opprime e fate la conoscenza con i Suicidal Causticity.

Tracklist
1. Diamond Grinder Spring
2. Estuary Abomination
3. Affluent of Woe
4. The Choral Brooke
5. The Rates – Full River Cry
6. The Rates – Dead River Call
7. Cascade of Mutilations
8. Chimaera Canal
9. Lynn

Line-up
Nikolas Gorgo Bruni – Vocals
Elia Murgia – Guitars
Edoardo Scali – Guitars
Dario Lastrucci – Bass guitars
Thomas Passanisi – Drums

SUICIDAL CAUSTICITY

Athlantis – Metalmorphosis

Una raccolta di brani che mantiene un approccio tra il power metal raffinato e tradizionalmente italiano e l’hard rock, rivelandosi più diretta rispetto alle atmosfere del precedente lavoro ma comunque in grado di non perdere un grammo di quell’eleganza compositiva che contraddistingue nel genere la nostra scena.

A dieci anni esatti dalla prima volta, Steve Vawamas è tornato ai Nadir Music Studio per finire quello che aveva lasciato in sospeso e che, tradotto, significa ri-registrare per intero Metalmorphosis, album che di fatto sarebbe stata la seconda opera del suo progetto Athlantis, con qualche nuovo ospite in line up, un ritrovato entusiasmo dopo l’ottimo Chapter IV uscito qualche mese fa, e la consapevolezza di essere in uno stato di grazia tale da valorizzare tutte le uscite che in questi ultimi tempi lo hanno visto protagonista (Odyssea, Ruxt, Bellathrix e Mastercastle).

Che il power circle genovese (se mi passate l’appellativo) sia uno dei più floridi scenari metallici dello stivale lo dimostrano le ottime e continue uscite di valore che questo nugolo di musicisti ci regala, collaborando forse come non avevano mai fatto in passato e contribuendo a rendere convincente una scena metal nazionale assolutamente in grado di competere con le realtà d’oltreconfine.
La Diamonds Prod. licenzia, dunque, questo bellissimo lavoro che si fregia di nuove diavolerie tecniche, quindi al passo con i tempi in fase di registrazione tanto da poter tranquillamente considerare questi nove brani come se fossero nuovi di zecca (del resto in quest’epoca dieci anni, sotto l’aspetto prettamente tecnico, equivalgono quasi ad una vita).
Steve, oltre ai musicisti che collaborarono in passato, ha raccolto ancora una volta una buona fetta della crema metallica ligure e tricolore, con la line up ufficiale che si completa con Tommy Talamanca dei Sadist alla chitarra, il bravissimo Alessio Calandriello alla voce (Lucid Dream, La Coscienza di Zeno), già protagonista sul lavoro precedente, e Alessandro Bissa alle pelli (A Perfect Day, Ex-Labyrinth, ex-Vision Divine).
Ma le sorprese non finiscono qui ed allora tenetevi forte, perché sulle atmosfere estreme di Nightmare riconoscerete lo scream/growl di Trevor (Sadist), la splendida voce di Roberto Tiranti nella cover di Tragedy dei Bee Gees e la chitarra di Stefano Galleano dei Ruxt.
Bene ha fatto il bassista genovese a proporre questa raccolta di brani che mantiene un approccio tra il power metal raffinato e tradizionalmente italiano e l’hard rock, più diretto rispetto alle atmosfere del precedente lavoro ma comunque in grado di non perdere un grammo di quell’eleganza compositiva che contraddistingue la nostra scena power metal, sempre legata da un filo sottile con l’anima progressiva di cui siamo storici maestri.
Calandriello ad ogni album a cui presta la sua voce risulta sempre più bravo, Vawamas, Talamanca e gli altri musicisti imprimono il loro talentuoso marchio su una serie di brani trascinati, nobilitati da un songwriting vario e che alterna cavalcate power ad esplosioni hard rock, da notevoli parti atmosferiche valorizzate da un singer che strappa applausi e da melodie progressivamente metalliche.
L’opener Delian’s Fool, l’hard & heavy ottantiano con cui esplode Battle Of Mind, le atmosfere oscure di Nightmare, con Calandriello che duetta con l’orco Trevor, la ballad Angel Of Desire con un solo che bagna di lacrime la chitarra di Tommy Talamanca, sono i momenti più suggestivi di un album da godere dall’inizio alla fine: fatelo vostro e rendete omaggio a questi inesauribili talenti.

Tracklist
1 – Delian’s Fool
2 – Battle of Mind
3 – Wasted Love
4 – Nightmare
5 – Devil’s Temptation
6 – Angel of Desire
7 – No Fear to Die
8 – Resurrection
9 – Tragedy (Bee Gees cover).

Line-up
Steve Vawamas – Bass
Alessio Calandriello – Vocals
Tommy Talamanca – Guitars
Alessandro Bissa – Drums

Guests:
Trevor – Vocals
Roberto Tiranti – Vocals
Stafano Galleano – Guitars

ATHLANTIS – Facebook

Rancho Bizzarro – Rancho Bizzarro

I Rancho Bizzarro arrivano da Livorno con due chitarre, un basso e una batteria e fanno un desert stoner rock strumentale molto efficace e molto desertico.

Izio Orsini, bassista e fondatore dei Rancho Bizzarro, è un uomo che ha un gran talento musicale, ama visceralmente un certo tipo di suono e appena può sperimenta, facendo dischi bellissimi come Weedooism, sempre per Argonauta Records sotto lo pseudonimo Bantoriak, e ora torna con questo progetto di musica strumentale.

I Rancho Bizzarro arrivano da Livorno con due chitarre, un basso e una batteria e fanno un desert stoner rock strumentale molto efficace e molto desertico. La lezione dei Kyuss, di Brant Bjork solista e di quel filone nato fra le sabbie del deserto è la maggiore fonte d’ispirazione per questo gruppo, ma non certamente l’unica. La jam in sala prove è il fondamento di questo gruppo, entrano, suonano e si crea la magia, poi in studio si edita e si dà quel tocco in più. Essendo un gruppo strumentale non c’è il supporto della voce che a volte può mascherare qualche deficit musicale e viceversa, ma qui la ricchezza musicale renderebbe eventuali parti cantate quasi fastidiose. L’atmosfera è molto western e desertica, i riff precisi, il basso di Izio scava tortuosità dentro le linee melodiche, e la produzione è ricca, fa risaltare bene i suoni, mentre a volte in questo genere si tende ad alzare troppo gli alti. E poi ovviamente l’influenza sabbathiana è presente, ma anche perché quei ragazzi da Birmingham hanno fatto dei paradigmi a cui devi rifarti se vuoi musica pesante, poi devi essere bravo a rielaborare il tutto per conto tuo, e i Rancho Bizzarro lo sono.
Questo gran bel disco strumentale, strutturato e suonato molto bene, sarà una sorpresa per chi non conosceva ancora Izio Orsini, che qui raccoglie dei magnifici musicisti e solleva molta polvere del deserto.

Tracklist
1 Five Hermanos
2 Garage Part Two
3 Incredible Bongo
4 Mood Brant
5 Yo Man
6 Katching
7 Mr Aloba

Line-up
Izio – bass
Matt – guitar
Mark – guitar
El Meloso – drums

RANCHO BIZZARRO – Facebook

Royal Guard – Lights & Dreams

Non è affatto vero che di questi tempi non escono lavori di hard rock classico per i quali valga la pena rompere il salvadanaio: il dirompente debutto di questi cinque rockers ne è la prova.

Il mondo del rock è fatto di luci e sogni, quelli che hanno portato gli italianissimi Royal Guard al debutto, licenziato dalla Sliptrick Records, arrivando direttamente alle corde degli amanti del rock duro.

Poche informazioni sulla nascita del gruppo, ma tanta buona musica, almeno per chi non smette di sognare tra le luci del Sunset Boulevard e le strade che portano verso i cancelli di uno stadio dove si consuma il rito al dio del rock.
Esplosivo, senza sbavature, pregno di chitarre taglienti, ritmiche da canguro australiano in trip per Black In Black, o da giovane metallers chiodato tra Skid Row e le giovani leve che negli ultimi tempi hanno acceso le notti scandinave, Lights & Dreams risulta una botta di vita hard and heavy niente male.
Non un filler, non un accenno a sedersi un attimo e prendere respiro, i Royal Guard spingono dall’inizio alla fine, ci attaccano al muro con tonnellate di watts e ci salutano con la ballad posta in chiusura, i classici titoli di coda di una battaglia a suon di schiaffi hard rock che il singer Dave e compagnia ci hanno riservato per questo primo adrenalinico lavoro.
Fin da The Cage, opener che ci invita alla festa con un riff che taglierebbe la corazzata di un carro armato, Lights & Dreams è un susseguirsi di hit che in un mondo migliore sarebbero in rotazione su ogni radio rock che si rispetti, dal singolo No Regrets a Change Direction, dagli inni Live Forever a Rise Up And Fight, per arrivare all’elettrizzante My Way.
Non è affatto vero che di questi tempi non escono lavori di hard rock classico per i quali valga la pena rompere il salvadanaio: il dirompente debutto di questi cinque rockers ne è la prova.

Tracklist
01. The Cage
02. Shiver
03. No Regrets
04. Midnight Kiss
05. Change Direction
06. Live Forever
07. Breaking Floor
08. Rise Up And Fight
09. My Way
10. No God

Line-up
Mad Matt – Bass
Taba – Guitar & Vocals
Simo – Drums
Dave – Vocals
Cinghia – Guitar

ROYAL GUARD – Facebook

Sound Storm – Vertigo

Amanti delle metal opera e del power sinfonico fatevi sotto, perché Vertigo risulta un mastodontico lavoro dove il metal incontra le orchestrazioni e la musica da film, in un perfetto connubio che porta all’ascolto di un lavoro privo di qualsiasi difetto.

La scena metal nazionale non smette di regalare sorprese e dopo gli ottimi album arrivati in redazione negli ultimi mesi e che coprono praticamente tutto il mondo metallico con le sue tante sfaccettature, arriva dalla Rockshots il terzo lavoro dei piemontesi Sound Storm, un’opera metal totale, la colonna sonora di quello che di fatto è una serie dalle tematiche steampunk ideate dal gruppo e diretta da Taiyo Yamanouchi.

In questo nuovo lavoro la band ingloba nuovi membri che vanno a comporre una line up che vede, oltre alla coppia storica formata da Valerio Sbriglione (chitarra) e Massimiliano Flak (basso), Alessandro Bissa (batteria), Rocco Mirarchi (chitarra), Elena Crolle (tastiere) ed il bravissimo Fabio Privitera (voce).
Amanti delle metal opera e del power sinfonico fatevi sotto, perché Vertigo risulta un mastodontico lavoro dove il metal incontra le orchestrazioni e la musica da film, in un perfetto connubio che porta all’ascolto di un lavoro privo di qualsiasi difetto, magniloquente e pregno di evocativa epicità come nella migliore tradizione classica.
Ovviamente non stiamo parlando di originalità ed altre chimere, il power metal e le sinfonie orchestrali non sono certo la prima volta che si incontrano, ma in Vertigo sono portate ad un livello talmente alto da guardare le migliori opere passate direttamente negli occhi.
Eviterò di descrivervi la tecnica sopraffina di cui i musicisti sono dotati, in questo lavoro è il songwriting, accompagnato da un talento per le atmosfere magniloquenti, che fa la differenza, lasciando che le ispirazioni del gruppo si riflettano positivamente su una splendida opera.
La storia riguarda un compositore che, fallite le sue aspettative musicali, si diletta con la scienza, scivolando sempre più in un baratro di pazzia: la musica è drammatica, tragica ed epica, intimista in molti passaggi pianistici che ricordano i Savatage o la Trans Siberian Orchestra, mentre le parti orchestrali unite al power raccolgono gli insegnamenti del nostro Luca Turilli, maestro indiscusso di queste sonorità.
Abbiate cura di questo lavoro e fatevi cullare dalle emozionanti sfumature che i ricami tastieristici della Crolle rendono eleganti e raffinati, senza dimenticare gli assoli che a tratti ci investono con il loro gusto neoclassico, le cavalcate metalliche, gli esaltanti crescendo orchestrali e l’interpretazione fuori categoria di Privitera, che mette l’accento su questo enorme lavoro.
The Dragonfly, Original Sin, la devastante Gemini sono episodi da segnalare, ma se riscrivessi l’articolo nominerei magari altre tra le tracce che compongono questa bellissima opera, tanto per rendere l’idea dello spessore qualiativo di tutta la tracklist.

Tracklist
1. Vertigo
2. The Dragonfly
3. Metamorphosis
4. Forsaken
5. Original Sin
6. The Ocean
7. Spiral
8. Gemini
9. Alice
10. The Last Breath

Line-up
Fabio Privitera – Vocals
Valerio Sbriglione – Guitars
Rocco Mirarchi – Guitars
Elena Crolle – Keyboards
Massimiliano Flak – Bass
Alessandro Bissa – Drums

SOUND STORM – Facebook

Lento – Fourth

I Lento sono un magnifico vortice che ti attrae al suo interno, un’ipnosi musicale che non vorresti finisse mai, rompono i confini dei generi e fluttuano inesorabilmente attraverso dimensioni diverse, mondi persi dentro al nostro io.

Fourth è un disco da ascoltare e riascoltare all’infinito per poterne conoscere almeno la maggior parte dei sentieri, delle vie battute da questo gruppo italiano che sta facendo una poetica musicale unica, con una traiettoria che mi ricorda quella dei Neurosis, dato che la loro epica è simile. Abbiamo imparato a conoscere il suono dei Lento in questi anni grazie agli ottimi dischi precedenti, ed è proprio il suono la caratteristica principale, il motore primo e il fine ultimo di Fourth. Giri, droni, riffs, momenti di tempesta e momenti di calma ieratica, fluidi e pietre che cadono dal cielo. Fourth è un gioiello che arriva dopo altri gioielli, ma forse è il più luminosamente tenebroso e visionario di tutti i sei dischi del gruppo romano. La durezza viene mitigata da pezzi di ambient davvero ben fatto, che ci trasportano in un’altra dimensione. Ci sono ovviamente le parti più dure e veloci e sono titaniche, ma il cielo è un obiettivo troppo basso per questo gruppo, che ha fatto della ricerca sonora per creare una certa atmosfera una ragione di vita. Tutto viene trasfigurato e cambiato, si gira, si vola e si va sotto terra per cercare un qualcosa che è nascosto ai nostri occhi perché non abbiamo la chiave giusta per cercarlo. Fourth è strutturato benissimo a cerchi concentrici e i Lento ci accompagnano come fece Virgilio per Dante in questo viaggio pesantemente lisergico. Il gruppo romano è uno dei migliori esempi di musica pesante e pensante al mondo, rilasciano magia musicale che cola in mille rivoli, diventa gas e sale fino al cielo. Questo disco può generare infiniti ascolti, e ogni ascolto sarà diverso, perché muta come mutiamo noi.

Tracklist
1. Persistency
2. Disinterested Pleasures
3. Or A Hostile Levity
4. Resentment
5. Before The Crack
6. Compromise
7. Or Belief
8. Bygones (A Grievence)
9. Urgency

Line-up
Emanuele Massa – Bass
Federico Colella – Drums and live samples
Donato Loia – Guitars
Giuseppe Caputo – Guitars
Lorenzo Stecconi – Guitars

LENTO – Facebook

The Danger – The Danger

Hard & heavy senza compromessi, e si parte per le lunghe strade della riviera romagnola tra tra Motorhead e piadine, lambrusco e whisky.

Torna con il monicker leggermente cambiato la band nata sulle coste dell’adriatico (Bellaria) e conosciuta come The Danger Zone, con al microfono lo storico ex singer dei Vanexa, Marco Spinelli.

Attiva dal 1998 e con tre album all’attivo con il vecchio monicker, la band torna quindi sotto il nome The Danger ed un nuovo lavoro omonimo.
L’album è licenziato dalla band in doppia versione, la prima cantata come da tradizione in italiano e una seconda in inglese per avvicinarsi al mercato estero.
The Danger è un buon album di rock’n’roll ipervitaminizzato o se preferite di hard & heavy sfrontato, dal taglio punk e dai testi irrisori ma che si allontanano dalle tematiche porno del precedente lavoro uscito nel 2011.
Come si diceva, hard & heavy senza compromessi, un’attitudine da rockers navigati, come d’altronde sono, e si parte per le lunghe strade della riviera romagnola tra birra, ragazze e tanta musica rock, tra Motorhead e piadine, lambrusco e whisky.
L’album è composto da undici inni dedicati alla vita on the road ed al lyfe style da rockers duri e puri, mentre i testi scanzonati e ironici sono accompagnati dalla tecnica invidiabile della quale si possono vantare questi cinque ragazzacci del rock’n’roll che, oltre al citato vocalist, portano i nomi di Giorgio Crociati (chitarra), Denis Bedetti (chitarra), Stefano Vasini (batteria) e Nicola Sbrighi (basso).
Un album di rock duro, piacevole e godibile dall’inizio alla fine con due o tre canzoni che formano il cuore pulsante di canzoni come il super inno Metallari, L’amore No e la punkeggiante Cattivo Esempio.
Ho trovato che la proposta di una versione in inglese dell’album sia stata buona idea, trattandosi come è di un idioma molto più adatto alla musica suonata, fornendo un’ulteriore spinta a brani esplosivi ed esaltando anche la prestazione di Spinelli.
Questione di gusti, ovviamente, ma visto che vi troverete al cospetto delle due versioni , a voi la scelta e buon ascolto.

Tracklist
1.The Danger
2.Metallari
3.Scemo
4.Il Libeccio (il mio bar)
5.Rock ‘n’ Roll
6.L’Amore No
7.Bla Bla Bla
8.Alpornononsicomanda
9.California
10.Cattivo Esempio
11.Adrenalina (strumentale)

Line-up
Marco Spinelli (Spino) – Vocals
Denis Bedetti (Asiai) – Guitars
Giorgio Crociati (Jail) – Guitars
Nicola Sbrighi (Sbergi) – Bass
Stefano Vasini (Pelo) – Drums

THE DANGER – Facebook

Magia Nera – L’Ultima Danza Di Ophelia

L’Ultima Danza di Ophelia è un bellissimo viaggio nella cultura e nelle leggende del dark rock nazionale, un tuffo nelle trame oscure e mistiche di cui la nostra penisola è ammantata da nord a sud.

Letteratura, cinema, pittura e soprattutto musica: gran parte dell’arte italiana porta inevitabilmente a parlare di leggende mistiche ed occulte e non è la prima volta che, per raccontarvi la storia di una band o di un album, partiamo dalla propensione per questi oscuri argomenti che da sempre contraddistingue la nostra penisola.

Magia Nera, un monicker che, dopo tutta la musica passata negli ultimi quarant’anni. porta a pensare ad un gruppo estremo: invece lo storico quintetto proveniente dalla provincia spezzina suona hard rock, a tratti psichedelico, ma vicino al sound dei maggiori gruppi britannici a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, primi fra tutti gli Uriah Heep ai quali viene dedicata la cover dell’immortale Gypsy, opener del debutto Very ‘Eavy Very ‘Umble.
Una storia praticamente finita prima di iniziare quella dei Magia Nera, spentasi prima di incidere l’album d’esordio e partire in tour con i New Trolls, e ora tornata a risplendere grazie alla reunion del gruppo al completo, con il solo ingresso del tastierista Andrea Foce e la registrazione di questo disco, rimasto in attesa d’essere terminato per lunghi decenni.
L’Ultima Danza di Ophelia è un bellissimo viaggio nella cultura e nelle leggende del dark rock nazionale, un tuffo nelle trame oscure e mistiche di cui, come detto, la nostra penisola è ammantata da nord a sud, e la colonna delle sonora delle poesie dark  raccontate dal cantastorie Emilio Farro non può non essere rock duro dal taglio dark progressive, con grintose sfumature che, appunto, riportano alla storica band britannica: un sound che ritrova nuova linfa anche grazie alla chitarra di Bruno Cencetti, ai tasti d’avorio di Andrea Foce, al basso di Lello Accardo e alle pelli percosse da Pino Fontana.
Nell’oscurità di un maniero, tra le colline che dividono la Liguria dalla Toscana, si celebra questo vecchio rito sabbatico con l’inizio dedicato ad Ophelia, seguita dal riff della splendida ed oscura Il Passo Del Lupo, La Strega Del Lago (in quota Uriah Heep) ed il canto di LaTredicesima Luna.
Il cuore del disco è lasciato a Dieci movimenti in cinque tracce, suite che porta alla conclusiva cover di Gypsy, chiusura di quest’opera d’altri tempi, affascinante ed imperdibile per tutti gli amanti del genere.
L’Ultima Danza di Ophelia non poteva rimanere nell’oscuro limbo al quale sembrava ormai destinata, e bene hanno fatto gli storici musicisti liguri a dargli finalmente una vita discografica.

Tracklist
1.Ophelia
2.Il passo del lupo
3.La strega del lago
4.La tredicesima luna
5.Suite: Dieci movimenti in cinque tracce
– Traccia uno: Movimento uno
– Traccia due: Movimenti due, tre, quattro
– Traccia tre: Movimenti cinque, sei
– Traccia quattro: Movimenti sette, otto
– Traccia cinque: Movimenti nove, dieci
6.Gypsy (Huriah Heep) bonus track

Line-up
Emilio Farro: Vocals
Pino Fontana: Drums
Lello Accardo: Bass
Andrea Foce: Keyboards
Bruno Cencetti: Electric Guitar

Klogr – Keystone

Il gruppo mantiene un attitudine live anche su disco: Keystone così si rivela un album dall’impatto diretto e bisogna arrivare alla nona traccia prima che la tempesta alternative metal fatta sfogare dalla band trovi un minimo di pace.

Torna sul mercato il gruppo alternative metal/rock nazionale che meglio ha fatto in questi ultimi anni.

Sono passati ormai due anni da quando la band di Gabriele “Rusty” Rustichelli licenziava l’ep Make Your Stand, con incluso un dvd che immortalava il gruppo sul palco del Live Club Di Trezzo nel 2014 e confermava, specialmente a chi aveva solo sentito parlare dei Klogr, l’enorme potenziale che il quartetto si portava appresso.
Vero è che la band ha continuato a solcare palchi in giro per il mondo accompagnando nomi storici come i Prong di Tommy Victor, trovando comunque il tempo di registrare la chiave di volta, il viaggio musicale che il gruppo nostrano ci invita ad intraprendere per giungere alla comprensione di ciò che tiene insieme l’equilibrio del mondo.
Keystone si nobilita di questo difficile e serioso concept per espanderlo su un alternative metal altamente melodico, ma che non manca di una componente thrash e con la voce del leader ad alternare sapientemente un cantato dal piglio melodico e un altro più rabbioso ed in linea con l’anima metallica del gruppo.
Come ormai da tradizione i Klogr non risparmiano ritornelli accattivanti, molte volte in contrasto con la forza espressiva della musica che raggiunge lidi di potenza ben oltre le classiche ripartenze dei gruppi alternative, amalgamando thrash metal classico e moderno e inserendolo in un contesto che spinge la musica verso gli Alter Bridge.
Ecco in due parole la chiave di volta per comprendere la musica dei Klogr, che si rivelano degli Alter Bridge induriti e trasformati in una macchina metal da iniezioni metalliche e da qualche passaggio alla Prong.
Il gruppo mantiene un attitudine live anche su disco: Keystone così si rivela un album dall’impatto diretto e bisogna arrivare alla nona traccia (Dark Tides), prima che la tempesta alternative metal fatta sfogare dalla band trovi un minimo di pace.
Prison Of Light, la devastante Technocracy, Pride Before The Fall, l’inizio a tutta velocità thrash di Enigmatic Smile sono i momenti più intensi di Keystone, album riuscito che rappresenta une ottimo ritorno per i Klogr.

Tracklist
1.Sleeping Through The Seasons
2.Prison Of Light
3.Technocracy
4.The Echoes Of Sin
5.Pride Before The Fall
6.Something’s In The Air
7.Drag You Back
8.Sirens’ Song
9.Dark Tides
10.Silent Witness
11.Enigmatic Smile
12.The Wall Of Illusion

Line-up
Gabriele “Rusty” Rustichelli – Vocals, Guitar
Pietro Quilichini – Guitars
Maicol Morgotti – Drums
Roberto Galli – Bass

KLOGR – Facebook

Bluedawn – Edge Of Chaos

Un album nato da un’arcobaleno di tonalità che dal nero si spostano al grigio, teatrale ed affascinante: Edge Of Chaos è un lavoro riuscito, magari di nicchia, ma in grado di intrattenere le anime dalla sensibilità dark che popolano le notti del nuovo millennio.

Misteri, leggende, storie tramadate per secoli in una città che fu repubblica e crocevia di razze, ombre che le strette strade dei vicoli trasformano in oscure creature che ci inseguono fino al mare.

Una Genova alternativa fuori dagli sguardi superficiali dei turisti o di chi vive la città senza fermarsi un attimo a condividerne l’anima e la sua totale devozione alla musica rock, fin dai tempi dell’esplosione progressiva negli anni settanta, dei cantautori e del sottobosco musicale che ha dato i natali a straordinarie realtà metal.
In questo contesto si colloca la Black Widow Records e di conseguenza i Bluedawn, band heavy/prog doom metal capitanata dal bassista e cantante Enrico Lanciaprima, attiva dal 2009 ed arrivata con questo Edge Of Chaos al terzo capitolo di una discografia che si completa con il primo album omonimo e Cycle Of Pain, licenziato quattro anni fa.
Con l’aiuto di una serie di ospit,i tra cui spicca Freddy Delirio (Death SS), la band genovese esplora in lungo e in largo il mondo oscuro del doom/dark progressivo, ed Edge Of Chaos risulta così un lavoro affascinante anche se pesante e dipinto di nero, cantato a due voci da Lanciaprima e da Monica Santo, interprete perfettamente calata nel sound disperatamente oscuro e malato dell’album.
E sin dalle prime note dell’intro The Presence la tensione e la soffocante atmosfera dell’album sono ben evidenziate, con un’aura occulta ed evocativa a permeare tutti i brani dell’opera che sono valorizzati dai vari ospiti e da un uso molto suggestivo delle voci, uno dei punti di forza di un brano come Dancing On The Edge Of Chaos.
Il sax di Roberto Nunzio Trabona conferisce ad alcune tracce un tocco crimsoniano e l’anima progressiva del gruppo si fa tremendamente mistica ed occulta, con accenni atmosferici a Devil Doll ed al dark rock dei Fields Of The Nephilim, mentre la parte elettronica spinge la splendida The Serpent’s Tongue verso il podio virtuale all’interno della tracklist di Edge Of Chaos.
Sofferto, pesante ma tutt’altro di ascolto farraginoso, il pregio di questo lavoro è proprio quello di tenere l’ascoltatore con le cuffie ben salde alle orecchie: le sorprese del primo passaggio nel lettore diventano conferme dello stato di salute dei Bluedawn che, al terzo album, centrano il bersaglio, come confermato dalla notevole Baal’s Demise, nella quale tornano protagonista il sax, e di conseguenza, le sfumature crimsoniane.
Un album nato da un’arcobaleno di tonalità che dal nero si spostano al grigio, teatrale ed affascinante: Edge Of Chaos è un lavoro riuscito, magari di nicchia, ma in grado di intrattenere le anime dalla sensibilità dark che popolano le notti del nuovo millennio.

Tracklist
1.The Presence
2.Sex (Under A Shell)
3.The Perfect me
4.Serpent’s Tongue
5.Dancing On The Edge Of Chaos
6.Wandering Mist
7.Black Trees
8.Burst Of Life
9.Sorrows Of The Moon
10.Baal’s demise
11.Unwanted Love

Line-up
Monica Santo – Vocals
Enrico Lanciaprima – Bass, Vocals
Andrea “Marty” Martino – Guitars
Andrea Di Martino – Drums

James Maximilian Jason – Keyboards, Synth, Vocals
Caesar Remain – Guitars
Roberto Nunzio trabona – Saxophone
Marcella Di Marco – Vocals
Freddy delirio – Keyboard, Synth
Matteo Ricci – Guitars

BLUE DAWN – Facebook

Devangelic – Phlegethon

L’inferno in musica viene descritto con l’aiuto del death metal estremo e brutale: Phlegethon è tutto questo e non risparmia nessuno, con ritmiche incalzanti ed una fluidità compositiva.

Dalla scena estrema romana, nido di mostruose creature metalliche brutali, ne abbiamo parlato in abbondanza in passato facendovi partecipi di molte delle opere uscite dalle menti di Corpsefucking Art, Degenerhate (tra le altre) ed appunto Devangelic.

Il passato per questa congrega di brutali musicisti si chiamava Resurrection Denied, ottimo esordio targato 2014, seguito dall’ep Deprecating the Scriptures l’anno dopo, mentre il presente è Phlegethon, nuovo lavoro licenziato dalla Comatose Music ed incentrato su un viaggio immaginario tra gli elementi più oscuri e brutali della Divina Commedia del sommo poeta Dante Alighieri.
L’inferno di Dante ben si adatta all’atmosfera da tregenda che il gruppo conferisce al proprio sound, una tempesta di suoni maligni accompagnati da un growl animalesco o, in questo caso, luciferino, profondo e più adatto per descrivere l’ambiente demoniaco che viene descritto da musica e testi.
L’inferno in musica viene descritto con l’aiuto del death metal estremo e brutale: Phlegethon è tutto questo e non risparmia nessuno, con ritmiche incalzanti ed una fluidità compositiva, già evidenziata nel primo lavoro, che è esemplificativo del livello raggiunto dai quattro deathsters capitolini.
Non ci si annoia con i Devangelic, anche se la proposta è ovviamente più indicata agli amanti del genere (e non potrebbe essere altrimenti), trattandosi di puro brutal death metal ispirato dalla scena statunitense con tanto di cover, nella versione digipack,  di He Who Sleeps tratta dal mastodontico Gateways to Annihilation dei Morbid Angel.
Ottima conferma e album da annoverare tra le migliori uscite tricolori nel genere, Phlegethon non deluderà gli amanti del brutal death metal, i quali avranno di che crogiolarsi tra gli inferi in questo ultimo scorcio d’anno.

Tracklist
1. Plagued By Obscurity
2. Mutilation Above Salvation
3. Of Maggots And Disease
4. Malus Invictus
5. Abominated Impurity Of The Oppressed
6. Condemned To Dismemberment
7. Wretched Incantations
8. Manifestation Of Agony
9. Decaying Suffering
10.Asphyxiation Upon Phlegethon
—-
11.He Who Sleeps (Morbid Angel cover)
12.Abominated Impurity Of The Oppressed (Promo 2016)

Line-up
Paolo Chiti – Vocals
Mario Di Giambattista – Guitars
Damiano Bracci – Bass
Marco Coghe – Drums

DEVANGELIC – Facebook

Dragonhammer – Obscurity

L’oscurità sta arrivando e la colonna sonora dei tempi bui che ci aspettano non può che essere Obscurity, il nuovo album dei Dragonhammer.

L’oscurità sta arrivando e la colonna sonora dei tempi bui che ci aspettano non può che essere il power metal progressivo dei nostrani Dragonhammer.

Lo storico gruppo torna con un nuovo lavoro dopo l’ottimo The X Experiment, uscito quattro anni, fa e le ristampe dei primi due album licenziate dalla My Kingdom Music, label che firma anche Obscurity.
Band che si può senz’altro definire storica essendo attiva da quasi vent’anni, i Dragonhammer non sbagliano un colpo e i fans del gruppo e dei suoni classici legati al power metal possono stare tranquilli: il nuovo album è ancora una volta un’opera che non cambia di una virgola il sound della band, ma rimane saldamente ancorato su ottimi livelli qualitativi, in un genere nel quale il nostro paese è diventato con gli anni fucina di realtà sopra le righe.
Ovviamente i Dragonhammer, sempre saldi tra le mani della storica coppia formata dal cantante e chitarrista Max Aguzzi e dal bassista Gae Amodio, fanno sicuramente parte di quel gruppo di band che traina la scena italiana verso la gloria metallica, con il loro power metal dal taglio progressivo, oscuro e perfettamente bilanciato tra la tradizione europea e quella classica statunitense.
L’intro Darkness Is Coming ci avverte che tempi bui si prospettano all’orizzonte, mentre The Eye Of The Storm imprime a chiare lettere il marchio dei Dragonhammer: una cavalcata metallica, potente ma non troppo veloce, animata da un’anima progressiva e da un chorus epico.
L’album prosegue con Brother vs Brother, dal piglio hard rock e lascia alla memorabile Under The Vatican’s Ground il gradino più alto del podio, tra Dio e progressive metal, dai tasti d’avorio che inventano ricami neoclassici in un’atmosfera di opprimente oscurità.
Continuiamo ad esaltarci tra le trame delle varie tracce, una più oscura e progressivamente melodica dell’altra, Aguzzi fa il Ronnie James Dio in più di un’occasione ed il gruppo gira a mille, regalandoci ottimo metal con The Town Of Evil, ill crescendo classicamente heavy di Children Of The Sun e la conclusiva title track.
Ottimo ritorno di un gruppo che non ha mai sbagliato un colpo, centrando bersagli a ripetizione, e che ormai si può certamente considerare un’istituzione nel genere sul suolo italico.

Tracklist
01. Darkness Is Coming
02. The Eye Of The Storm
03. Brother vs Brother
04. Under The Vatican’s Ground
05. The Game Of Blood
06. The Town Of Evil
07. Children Of The Sun
08. Fighting The Beast
09. Remember My Name
10. Obscurity

Line-up
Max Aguzzi – Lead Guitar and Voice
Gae Amodio – Bass Guitar
Flavio Cicconi – Guitar
Giulio Cattivera – Keyboards
Andrea Gianangeli – Drums

DRAGONHAMMER – Facebook

E.G.O.C.I.D.E. – What Price For Freedom?

Un massacro di moshpit, hardcore metal e disagio che si sublima in rabbia e musica che segna.

Debutto discografico per gli E.g.o.c.i.d.e., fautori di un hardcore metal molto vicino alle bellissime cose degli anni novanta come Integrity e tutta la scena del Benelux, ovvero metal con un cuore hardcore, mid tempo esplosivi e tanta cattiveria.

Questo ep di sei tracce ci mostra un gruppo con le idee chiare, tanta rabbia e la giusta attitudine musicale. Ascoltare questo suono è un rituffarsi in sonorità che pensavo dimenticate ma che mi hanno accompagnato per gran parte della mia vita, come quella di altri miei coetanei e non solo. Il suono è l’hardcore metal, figlio degenere dell’hardcore delle generazioni precedenti, di quel suono che parte dall’Inghilterra, passa per l’Italia, con alcuni fondamentali gruppi come i Raw Power per intenderci, e poi arriva per la sua mutazione finale e necessaria negli States, dove assume la sua forma definitiva. Gli E.g.o.c.i.d.e. sono tutto ciò e ancora di più, perché seppur con una produzione molto casalinga, riescono a rielaborare il tutto personalmente e con un tiro davvero micidiale, che li porta al di sopra di molti altri gruppi. Le tracce migliori, ma questa è un’opinione totalmente personale che porto avanti da anni, sono quelle cantate in italiano, perché sono qui che gli E.g.o.c.i.d.e. spiccano particolarmente. Anche le tracce in inglese sono di buonissimo livello, per un giudizio complessivo sicuramente ben al di sopra della media, ma quelle in italiano sono spettacolari.
Un massacro di moshpit, hardcore metal e disagio che si sublima in rabbia e musica che segna.

Tracklist
1.No Cause For Concern
2.Declama
3.Gloria Riflessa
4.Prayer (Of A Cynic)
5.Three Crowns
6.Verba Manent

Line-up
Alex – Vocals/Lyrics
Gab – Guitar/Choruses
Matt – Bass/Choruses
Nico – Drums/Choruses