Obscure Devotion – Ubi Certa Pax Est

Un lavoro di grande maturità e chiarezza di intenti, per cui la naturale e spontanea espressione del genere si abbina ad una non sempre scontata cura dei particolari.

Gli Obscure Devotion sono una band potentina la cui genesi affonda le radici ancora nel secolo scorso: una storia lunga con una produzione comunque abbastanza scarna quantitativamente, visto che Ubi Certa Pax Est è solo il terzo full length in poco più di un ventennio.

Il passato è importante ma il presente lo è ancora di più, per cui è necessario focalizzarsi su questo notevole album che conferma il livello della scena black lucana, con pochi nomi ma decisamente buoni.
Ubi Certa Pax Est  si rivela un’interpretazione efficace e credibile di un genere nel quale si richiedono essenzialmente queste due doti a chi lo suona, ma l’operato degli Obscure Devotion non di riduce solo a questi aspetti, c’è infatti molti di più tra le note di un album che mette in mostra doti superiori alla media del genere per songwriting ed esecuzione.
Per esempio il lavori chitarristico di Cabal Dark Moon, in diverse occasioni, è ben più composito rispetto al canonico tremolo picking al quale siamo abituati, conferendo all’album quella componente death che viene poi rafforzata dalla sua interpretazione vocale efferata, ed  è piacevole godere al meglio di tutte queste sfumature grazie ad una produzione eccellente.
Tra gli aspetti che emergono dopo diversi ascolti va annotata la tendenza ad una sorta di attenuazione dei ritmi man mano che l’album procede verso la sue conclusione: se la prima metà tutto sommato ricalca con padronanza le sonorità tipicamente nordeuropee, nella seconda parte il tutto diviene ancor più vario e ragionato, elevando ulteriormente il valore complessivo di un lavoro già di suo ottimo.
Gli Obscure Devotion offrono così  un sound che sa essere maligno e corrosivo ma anche evocativo e malinconico: come brano trainante dell’album citerei la magnifica The Sign Of Pain,  anche se il trittico Arrivederci Part I e II e Beyond the Flesh mette in mostra un lato più riflessivo che, come detto, rende la parte conclusiva meno violenta e più meditata, a favore di un maggiore slancio melodico.
Ubi Certa Pax Est è un altro bel tassello piazzato a comporre l’interessante mosaico stilistico e geografico del black metal italiano; nello specifico questo è un lavoro di grande maturità e chiarezza di intenti, per cui la naturale e spontanea espressione del genere si abbina ad una non sempre scontata cura dei particolari.
Alla luce dei risultati ottenuti, resta solo da sperare che gli Obscure Devotion trovino lo slancio per presentare nuovo materiale nel prossimo futuro con una cadenza meno rarefatta.

Tracklist
1. Meet the Sorrow (Intro)
2. Ubi Certa Pax Est
3. Burning Blades of Frozen Tears
4. Dreaming a Dead Home
5. The Sign of Pain
6. On Butterfly Wings
7. Arrivederci Pt. I
8. Arrivederci Pt. II
9. Beyond the Flesh
10. Last Embrace (Outro)

Line-up:
Vox Mortuorum – bass
Abyss 111 – drums
Cabal Dark Moon – guitars, vocals

OBSCURE DEVOTION – Facebook

Haemophagus – Stream Of Shadows

Più aggressivo e grind rispetto al suo predecessore, Stream Of Shadows continua comunque a far risplendere la vena creativa di questa miniera d’oro musicale che è la Palermo dell’underground.

Atrocious, full length uscito tre anni fa, era un’opera death metal che portava in sé molte delle varie correnti estreme del genere, dal grind al progressive ma non il classico prog metal di moda in questi anni, piuttosto un quid settantiano che, unito a rallentamenti doom, portavano nei brani dell’album un’atmosfera soffocante, pregna di polveroso mistero.

Il gruppo palermitano, nato in una scena che pullula di talenti e che ha dato i natali ad una manciata di band da considerare di culto nell’underground metal/rock, torna con Stream Of Shadows: più aggressivo e grind rispetto al suo predecessore, l’album continua comunque a far risplendere la vena creativa di questa miniera d’oro musicale che è la Palermo del sottosuolo.
Gli Haemophagus, pur ribadendo il loro forte impatto, non risparmiano escursioni nelle atmosfere progressive alla King Crimson (Meteor Mind) grazie al sax di Giorgio Trombino, così come i soffocanti rallentamenti che questa volta più che i Cathedral ricordano i primi Morbid Angel.
Estremo, violentissimo, un abisso di morte dove si viene sballottati tra i vari generi del death metal più violento e (se mi passate il termine) meno commerciale, dove le melodie sono nascoste all’ombra di ritmiche dal groove maligno, il suono porta con sé l’umidità di un pozzo di cadaveri e l’atmosfera si mantiene irrespirabile, mentre i brani si succedono e il gruppo snocciola non solo atmosfere dai temi horror, ma introduce tematiche di allucinata fantascienza (Blastmaniacom!, Innergetic e Meteor Mind).
Registrato e mixato a Palermo da Silvio “Spadino”, Stream Of Passion è stato masterizzato da Dan Randall presso i Mammoth Sound Mastering di Alameda in California, mentre il gruppo, oltre al polistrumentista e cantante, si completa con Gioele (chitarra e voce) e David (batteria).
Gli Haemophagus mettono la firma sull’ennesimo notevole lavoro e chi non conoscesse questi fantastici musicisti è invitato ad ascoltare la devastante Monochrome, spettacolare nel suo stacco centrale dai rimandi fusion,  e lo strumentale conclusivo The Darkest Trip, praticamente i King Crimson di Red in versione death metal.

TRACKLIST
1. Shadowline
2. Tombtown
3. Blastmaniacom!
4. Deranger
5. Meteor Mind
6. Electric Circles in a Yellow Sky
7. Captured from Above
8. Innergetic
9. The Cosmicorpse
10. Infectious Domain
11. Monochrome
12. Unrestrained
13. Twisted Syllables
14. The Darkest Trip

LINE-UP
Giorgio – guitars, bass, vocals, synth, sax alto
Gioele – guitars, vocals
David – drums

HAEMOPHAGUS – Facebook

Naudiz – Wulfasa Kunja

Un disco come questo riporta alla sorgente stessa del concetto di black metal, dato che ha in sé tutte le caratteristiche migliori del genere.

Puro, devastante e senza compromessi black metal pagano, che più nero e pagano non si potrebbe.

Gli italiani Naudiz tornano con un secondo disco per la Iron Bonehead Productions, ed alzano ulteriormente l’asticella rispetto al disco precedente, Aftur till Ginnungagaps, che era già su ottimi livelli. Il black metal dei Naudiz è di concezione classica, ovvero chitarre non troppo distorte ma belle corpose e veloci, voce in clean e potente, e batteria al fulmicotone. Il risultato è molto interessante, regalando un gran disco di black metal, come è sempre più difficile ascoltarne. Con ciò qui non si vuole affermare che fosse meglio prima, anche perché il black metal ha moltissime declinazioni, e bisogna ascoltare caso per caso. Un disco come questo riporta alla sorgente stessa del concetto di black metal, dato che ha in sé tutte le caratteristiche migliori del genere. Wulfasa Kunja è soprattutto un disco pagano, che descrive il mondo e la religione nordica con competenza, come fanno i Naudiz fin dal primo disco. Non si sa granché di questo gruppo, ma non interessa nemmeno, dato che la potenza e la godibilità di questo lavoro sono molto esaurienti di per sé. Gli argomenti trattati sono tutti inerenti alla mitologia nordica, un substrato antichissimo che non è mai veramente morto, e che ha resistito più tenacemente delle nostre tradizioni pagane, che invece hanno perso molto presto la battaglia con il cristianesimo. Il mondo descritto in questo disco è radicalmente differente dal nostro, è più vicino di noi al caos primordiale, e sa che prima o poi finirà, e non ci sarà nessuna ricompensa. I Naudiz sono bravissimi nel mettere in musica questo differente sentire, che è maggiormente veritiero rispetto alle nostre menzogne quotidiane. Siete pronti per un ragnarok di black metal ? Una delle migliori uscite di quest’anno per il vero black metal.

TRACKLIST
01 Garmr
02 Vali ok Nari
03 Jarnvidr
04 Angrboda
05 Loki
06 Geri ok Freki
07 Vanargandr
08 Wulfasa Kunja

LINE-UP
ᛗᚲ: Guitars
ᚢᛞ: Bass, Vocals
ᛗᛞ: Drums

NAUDIZ – Facebook

Exiled On Earth – Forces Of Denial

Ritorno importante per un gruppo che, con un po’ di costanza in più nelle uscite, potrebbe ritagliarsi uno spazio importante nella scena nostrana.

Con gli Exiled On Earth si viaggia spediti su territori power/thrash progressivi tra tradizione e soluzioni più moderne, così che questo nuovo album non si può certo considerare old school, pur mantenendo le coordinate delle band che hanno fatto la storia del genere.

Il gruppo romano è in attività da parecchi anni, anche se dall’anno di fondazione (2000) ad oggi la sua discografia conta solo un paio di demo e due full length, compreso questo buon lavoro dal titolo Forces Of Denial.
Registrato ai 16th Cellar Studios e licenziato dalla Punishment 18, l’album non manca di infiammare per più di mezz’ora i thrashers dai gusti raffinati: l’opera si mantiene dura nell’approccio, ma elegante nei dettagli e nelle soluzioni di matrice progressive e, complice la durata, si fa ascoltare mantenendo alta l’attenzione dell’ascoltatore;
per niente prolisso dunque, difetto facile da riscontrare nel genere, essendo composto da otto brani che rivelano buone idee espresse con il giusto piglio e senza troppi ghirigori compositivi.
Impatto e tecnica, si potrebbe riassumere con queste due parole la musica degli Exiled On Earth, band capitanata dall’ottimo chitarrista e cantante Tiziano Marcozzi, unico superstite della formazione originale, oggi a guida di una squadra (Gino Palombi al basso, Piero Arioni alle pelli e Alfredo Gargaro alla chitarra) che si ritrova a meraviglia tra le cavalcate metalliche dei brani, perfetta nel cambiare tempi di gioco, mantenendo una forma canzone ed un equilibrio tra potenza thrash metal, tecnica e melodie.
Forces Of Denial è un lavoro di thrash moderno e progressivo, melodico e dalla potenza metallica che si rifà alla scena statunitense, così come nei momenti più ragionati e tecnici la mente corre ai gruppi autori di un certo modo di suonare il genere come i Control Denied ma anche i Coroner, che si fanno spazio tra le note di brani notevoli come Hypnotic Persecutions, Underground Intelligence e la splendida Into The Serpent’s Nest brano in cui Marcozzi dà prova della bravura al microfono anche su linee vocali meno aspre.
In conclusione, Forces Of Denial è un album riuscito, nonchè il ritorno importante per un gruppo che, con un po’ di costanza in più nelle uscite, potrebbe ritagliarsi uno spazio importante nella scena nostrana.

TRACKLIST
01. Forces Of Denial
02. The Glory And The Lie
03. Hypnotic Persecution
04. The Mangler
05. Vortex Of Deception
06. Underground Intelligence
07. Into The Serpent’s Nest
08. Lifting The Veil

LINE-UP
Tiziano Marcozzi – Vocals, Guitar
Gino Palombi – Bass
Piero Arioni – Drums
Alfredo Gargaro – Guitar

EXILED ON EARTH – Facebook

daRKRam – Stone And Death

Il tessuto sonoro si trasforma in una spessa ragnatela dalla quale si viene irrimediabilmente avvolti e che rende incapaci di reagire, anche quando la ragione consiglierebbe una disperata ricerca di vie di fuga.

Sono sempre più numerosi gli album definibili, più o meno a buon titolo, di musica ambient che ci vengono sottoposti, sia direttamente dai loro autori sia da etichette lungimiranti come, in questo caso, la Club Inferno, sub label della più metallica My Kingdom.

daRKRam è il progetto solista di Ramon Moro, musicista torinese le cui radici vanno ricercate nel jazz e già questo, in partenza, costituisce per forza di cose un elemento distintivo: in Stone And Death infatti, troviamo più di un passaggio in cui a prendere la scena è la tromba, strumento d’elezione del nostro, che va a creare un inconsueto connubio con il sottofondo dronico di fondo.
Inutile dire che l’ambient di daRKRam è quanto di meno rassicurante sia dato ascoltare: dimentichiamo quindi le soluzioni cristalline e magari sorrette da valide intuizioni melodiche ed andiamo invece ad immergerci senza timore, ma con il doveroso rispetto, in questo caliginoso e terrificante territorio musicale.
Un approccio, quello di Moro, che si spinge lontano dalla music for “something” di Eno, per approdare ad un qualcosa di più avvicinabile alle uscite della Cold Meat Industry del secolo scorso: il tessuto sonoro si trasforma in una spessa ragnatela dalla quale si viene irrimediabilmente avvolti e che rende incapaci di reagire, anche quando la ragione consiglierebbe una disperata ricerca di vie di fuga. Senza neppure rendersene conto, infatti, dopo una decina di minuti ci si trova inermi e privi di difese nei confronti del flusso ronzante che scava incessantemente la nostra psiche e che, alla lunga produce danni meno visibili ma più profondi di qualsiasi espressione musicale che definiremmo convenzionalmente “pesante”.
Per oltre un’ora si viene annichiliti dall’ossessivo sgocciolio di suoni resi in maniera perfetta, solo sporadicamente screziati da improvvisi soprassalti prodotti dagli strumenti a fiato (in Connection, soprattutto), un altro elemento che innalza Stone And Death ad un livello superiore alla media degli ascolti ricadenti in quest’ambito: la speranza è che tale mirabile esempio di dark ambient riesca a raggiungere non solo chi si ritrova “obbligato” ad ascoltarlo (per fortuna aggiungerei, nel mio caso), trovando invece un’audience adeguata e, inutile dirlo, più che mai open minded.
In buona sostanza, trattasi di un lavoro a suo modo magnifico, che necessita ovviamente dell’ausilio di una ricettività all’ascolto superiore alla media o, quanto meno, della ferrea volontà di provare a farne propria la reale essenza.

Tracklist:
1. VIII [Inner Need]
2. XXII [Equilibrium]
3. VI [Male Role]
4. II [Reaction to Conflict]
5. X [Connection]
6. XII [Conflict]
7. III [Evolution]
8. XVI [Work]
9. V [Inner Essence]

Line up:
daRKRam: trumpet, flugelhorn, music, ambience

daRKRam – Facebook

Bellathrix – Orion

Orion farà battere all’impazzata cuori metallici di vecchia data e sorprenderà i giovani più legati al power e poco avvezzi alle cavalcate heavy metal, tipiche degli anni d’oro del genere.

Con ancora nelle orecchie le splendide note dell’ultimo album degli Athlantis, mi ritrovo con in mano un’altra opera che coinvolge un gruppo di talenti musicali proveniente dalla provincia di Genova.

Pier Gonella e Steve Vawamas, chitarra e basso di Mastercastle e Athlantis, e poi separatamente in altre importanti realtà metalliche quali i Necrodeath per il primo e i Ruxt per il secondo, si ritrovano ancora una volta insieme in un ennesimo progetto, questa volta più orientato all’heavy metal tradizionale, ma non per questo meno riuscito.
I due, non contenti degli applausi a scena aperta conquistati nell’ultimo periodo, tornano con i Bellathrix, gruppo formato appena due anni fa e dal nucleo portante a trazione femminile (Lally Cretella alla chitarra, Stefy Prian alla voce ed Elisa Pilotti alla batteria), al primo passo discografico con questo ottimo esempio di heavy metal, al giorno d’oggi definito old school, ma che poi altro non è che hard & heavy di stampo classico e dai buoni spunti progressivi e folk.
Licenziato dalla storica label genovese Black Widow, Orion non mancherà di far battere all’impazzata cuori metallici di vecchia data, o di sorprendere giovani metallari legati al power e poco avvezzi alle cavalcate caratteristiche degli anni ruggenti.
Ogni volta che ho a che fare con Pier Gonella, mi ritrovo a lodare le gesta di questo numero uno della sei corde, sempre perfettamente a suo agio in ogni contesto: nei Bellathrix, assieme all’ottima Lally Cretella, va a costituire il fulcro del sound di Orion, con il sostegno della potente e precisa sezione ritmica e della voce assolutamente perfetta per il genere di Stefy Prian (dimenticatevi gorgheggi di stampo operistico, qui si fa heavy metal), personale e convincente.
Non poteva certo mancare una manciata di graditi ospiti e allora i Bellathrix lasciano a Tommy Massara il solo su The Ritual, cover della Strana Officina, e si avvalgono delle tastiere di Dave Garbarino, del violino di Federica Pelizzetti e del flauto del sempreverde Martin Grice, storico componente dei Delirium.
E come ormai ci hanno abituato questi bravissimi stakanovisti del metal nostrano, l’album convince a più riprese, risultando perfetto nel dosaggio tra l’irruenza tipica dell’heavy metal, le melodie di un hard rock evocato spesso dalle linee vocali della Prian (Fly In The Sky e le ritmiche funkizzate di My Revenge) e con l’asso calato a pulire il tavolo rappresentato dalle parti progressive e folk nella semiballad I Don’t Believe A Word; le reminiscenze space rock della pur grintosa title track ed il tuffo nel rock progressivo della bellissima King Of Camelot chiudono come meglio non si potrebbe questa prima uscita targata Bellathrix.
In attesa che (sicuramente tra non molto) si ripresenti l’opportunità di ascoltare altra musica prodotta o suonata da questi inesauribili musicisti, non rimane che consigliare caldamente di fare proprio quest’album.

TRACKLIST
1. The Road in the Night
2. Before the Storm
3. Fly in the Sky
4. My Revenge
5. I Don’t Believe a Word
6. The Ritual (Strana Officina cover)
7. Orion
8. King of Camelot

LINE-UP
Stefy Prian – Vocals
Elisa Pilotti – Drums
Steve Vawamas – Bass Guitar
Lally Cretella – Guitar
Pier Gonella – Guitar

BELLATHRIX – Facebook

Crawler – Hell Sweet Hell

Hell Sweet Hell è un lavoro mastodontico e bellissimo, consigliato a tutti gli amanti del genere e principalmente degli Edguy/Avantasia, principali fonti di ispirazione del gruppo.

Quindici anni di storia, un passato da cover band dei gruppi storici dell’heavy metal mondiale ed un secondo album di inediti pronto per conquistare i cuori del metallari duri e puri.

Tornano i Crawler, band di Cremona, a distanza di sei anni dal debutto sulla lunga distanza, quel Knight Of The Word che ha ottenuto ottimi riscontri.
Per Valery Records esce questo nuovo lavoro intitolato Hell Sweet Hell, un’ora abbondante su e giù per il metal classico degli ultimi venticinque anni, tra spunti progressivi, piglio epico orchestrale e più di uno sguardo sulla musica scritta da Tobias Sammet (Claudio Cesari, vocalist del gruppo lo si può senz’altro considerare il Sammet nostrano) sia con gli Avantasia che con gli Edguy, oltre ad un cordone ombelicale difficile da tagliare con Iron Maiden e Judas Priest.
Hell Sweet Hell è un album curato, prodotto molto bene con un lotto di brani trascinanti e dal taglio internazionale, assolutamente in grado di tenere botta con le opere provenienti da fuori confine grazie ad un songwriting sopra la media, un cantante davvero bravo e una varietà di atmosfere che offre ad ogni brano una sua identità.
Si passa così dal power metal melodico all’heavy metal tradizionale, dal symphonic power a canzoni dagli ottimi spunti progressivi, con un’altro richiamo importante come quello dei Symphony X.
Ricco di cambi di tempo ed atmosfere, Hell Sweet Hell si fa apprezzare nella sua interezza, non scendendo mai da un elevato ottimo e facendo focalizzare l’attenzione dell’ascoltatore sulla bontà della musica più ancora che sull’ottima tecnica strumentale dei bravissimi musicisti che formano il gruppo.
L’aggressiva e tagliente Dhampyre, la progressiva ed orchestrale The Power Of Magic, il power metal di Neverland e le chitarre hard rock di No Pain, che ricorda i brani più divertenti e pazzi degli Edguy, fanno risplendere la prima parte dell’album, mentre si torna alle atmosfere epiche con The Lair of the Smoking Dragon che precede l’heavy metal classico ed aggressivo della title track.
Drammatica, oscura e progressiva si rivela Akhenaton, degna conclusione dell’album, una traccia metallica e magniloquente che mette la parola fine si di un lavoro mastodontico e bellissimo, consigliato a tutti gli amanti del genere e principalmente degli Edguy/Avantasia, principali fonti di ispirazione del gruppo.
Niente di nuovo? Vero, ma che musica ragazzi!

TRACKLIST
1.Dracarys! (intro)
2.Winter is Coming
3.Dhampyre
4.The Power of Magic
5.Neverland
6.I wait for my Siren
7.No Pain
8.The Eyes and the Dark
9.The Lair of the Smoking Dragon
10.Hell sweet Hell
11.7 Days
12.Akhenaton

LINE-UP
Claudio Cesari – Vocals
Matteo Cattaneo – Guitars
Filippo Severgnini – Guitars
Daniele Mulatieri – Bass
Nicola Martiniello – Drums

CRAWLER – Facebook

Buffalo Grillz – Martin Burger King

Senza perdersi in cose e pose cervellotiche, i Buffalo Grillz sfornano un disco di grindcore come non si sentiva da tempo, diretto ben prodotto e con quel suono pieno e ben bilanciato tra i bassi e gli alti, che dovrebbe essere la pietra fondante di ogni buon gruppo grind.

I romani Buffalo Grillz danno alle stampe un geniale album di grind con un po’ di thrash qui e là.

Fondati nel 2009 da Enrico Giannone, voce degli Undertakers, e Max Marzocca batterista dei Natron, dopo varie vicissitudini relative alla formazione vedono passare Cinghio, bassista dei meravigliosi Orange Man Theory, dal basso alla chitarra. Questo disco è il terzo nella carriera di quello che si può tranquillamente definire come uno fra i migliori gruppi grind italiani, sia per la potenza espressa che per la grande ironia. I Buffalo Grillz, oltre a rifarsi al nome di una nota catena di ristoranti canadesi, fanno un grind molto potente, debitore della vecchia scuola ma con un suono assai moderno. Nei testi riversano tutta la loro grande cultura italiana e non solo, riuscendo a dare un significato più ampio loro di molti altri gruppi che si prendono molto di più sul serio. Ciò che muove i Buffalo Grillz è la stessa leva che muove noi che scriviamo queste righe, il disagio, quel vecchio e caro amico che ci fa sempre sentire a casa non facendoci mai sentire adeguati a nulla. Che poi, se il mondo è questo, come descritto mirabilmente in questo disco, forse è più normale sentirsi a disagio che a proprio agio. L’ironia dei Buffalo Grillz ha come secondo livello un’analisi impietosa della nostra società ma il tutto è fatto dai romani con un suono potentissimo, molta ironia e un grande stile. Senza perdersi in cose e pose cervellotiche, i Buffalo Grillz sfornano un disco di grindcore come non si sentiva da tempo, diretto ben prodotto e con quel suono pieno e ben bilanciato tra i bassi e gli alti, che dovrebbe essere la pietra fondante di ogni buon gruppo grind. Infatti, per dare una coordinata musicale, possiamo citare Nasum e Napalm Death, fautori di quanto appena descritto.
Si passa da un’incredibile intro a trattati di sodomia e campari, affrontando il clou della cultura italiana con un piglio da pugna al bar, con un suono che riesce sempre ad essere il protagonista assoluto, e non c’è nemmeno un secondo nel disco che non valga la pena ascoltare. Un perfetto connubio di grindcore, ironia e disagio, tanto disagio e questo disco ci piace tantissimo.

TRACKLIST
1. GG AULIN
2. LENNY GRINDVIZT
3. 66SEITAN
4. MARTIN BURGER KING
5. BEVERLY GRILLZ 90666
6. CARNE DIEM
7. FIAT FACTORY
8. CREADLE OF FINDUS
9. SCOOBY DOOM
10. FIORELLA MANNAIA
11. PONZIO PILATES
12. CAMPARI SODOM
13. PUS SPRENGSTEEN
14. LE BESTIE DI SANTANA (OUTRO)

LINE-UP
Tombinor: Insults
Cinghio: Hi Noise
Pacio: Low Noise
Mizio: Blast

BUFFALO GRILLZ – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Viana – Viana

Viana è un album da custodire gelosamente, uno scrigno che racchiude l’essenza dell’hard rock melodico.

Lo scorso anno la mia passione per l’hard rock melodico aveva trovato il suo sfogo nel bellissimo album omonimo degli Shining Line: un album che risplendeva di quelle melodie figlie degli anni ottanta e di quel modo di suonare rock che, tra tutti i generi di cui si occupa una webzine rock/metal è di solito il meno curato, specialmente se non si è una realtà dedicata.

Il 2017 non è ancora arrivato alla metà che la Street Symphonies ci regala un altro gioiello melodico, un album che è pura eleganza hard rock tra giochi di tastiere e chorus da arena rock, chitarre finemente metalliche e tanto talento.
Stefano Viana è un chitarrista nostrano, appassionato di hard rock ed heavy metal classico e con un amore smisurato per Randy Rhodes, il che lo porta a dedicarsi anche al lavoro in studio.
L’incontro con Alessandro Del Vecchio, guru del genere nel nostro paese e non solo, lo spinge a comporre il suo primo album solista nel 2009, aiutato da una manciata di musicisti della scena; motivi personali fermano purtroppo il musicista che può riprendere i lavori solo lo scorso anno, così che Viana può finalmente vedere la luce.
Sempre con l’aiuto di Del Vecchio in veste di cantante e co-produttore, Francesco Marras alla chitarra, Anna Portalupi al basso, Alessandro Mori alla batteria, Gabriele Gozzi alle backing vocals e Pasquale India alle tastiere, il chitarrista corona dunque il sogno di pubblicare il disco autontitolato, sicuramente sofferto, ma bellissimo esempio di AOR composto da un lotto di brani che, in altri tempi, sarebbero volati nelle classifiche di settore o cantati dal pubblico nelle serate live, in arene luccicanti di quel rock che fa ancora rabbrividire di emozioni.
Un confetto questo album, ricco di solos luccicanti, di una performance di Del Vecchio da brividi, di chitarre che nelle ritmiche non si fanno pregare e graffiano da par loro, e di sontuose tastiere che aprono arcobaleni su cui passeggiare ascoltando una serie di melodie vincenti: si parte dall’opener Straight Between Our Hearts, passando per Feel Your Love Tonight, l’aggressiva Night Of Fire dai rimandi dell’epoca americana di un Coverdale ringiovanito dalla cura losangelina, fino alle bellissima Living in A Lie e dai ritmi Open Road.
Viana è un album da custodire gelosamente, uno scrigno che racchiude l’essenza dell’hard rock melodico, fatelo vostro e scioglietevi.

TRACKLIST
1. Straight Between Our Hearts
2. Bad Signs
3. Feel Your Love Tonight
4. Night Of Fire
5. Follow The Dawn
6. A New Love
7. Living A Lie
8. Just To Sing
9. Open Road
10. That Place Is You

LINE-UP
Stefano Viana – Guitars
Alessandro Del Vecchio – Vocals
Francesco Marras – Guitars
Anna Portalupi – Bass
Alessandro Mori – Drums
Gabriele Gozzi – B. Vocals
Pasquale India – Keyboards

VIANA – Facebook

Fuzz – A.R.T.

A.R.T. è quello che vuole essere, un ottimo disco di musica rumorosa in italiano, con un gusto particolare che abbiamo solo qui nello stivale per il noise grunge, ma che abbiamo tirato fuori poche volte, e questa è una di quelle.

I Fuzz vengono da Torino e fanno un gran bel rumore. Il loro suono è una interessante summa fra Verdena, Queens Of The Stone Age, Marlene Kuntz e Fluxus per citarne solo alcuni.

Nati nel 2010 i Fuzz portano avanti un discorso incentrato sulla libertà sonora, coniugando cattiveria e qualità, rumore e inusuali melodie. In Italia non ci sono molto gruppi capaci di sintetizzare in questa maniera la lezione della migliore musica alternativa italiana con gli esempi di rumore che arrivano da oltreoceano. Al centro dei Fuzz sta la possente e inviperita voce di Luca, che sciorina le giuste rimostranze contro il cielo, e il gruppo stende un ottimo tappeto sonoro, con molte influenze ma estremamente personale. Il disco è semplicemente bello, con molte soluzioni sonore distorte, un’ottima rabbia di fondo che ci riporta a quel sentire che si poteva provare nel migliore momento della musica cosiddetta alternativa italiana. Che poi diciamolo una volta per tutte : la musica non è mai alternativa, è sempre e solo musica. A.R.T. (Andare Restare Tornare) è quello che vuole essere, un ottimo disco di musica rumorosa in italiano, con un gusto particolare che abbiamo solo qui nello stivale per il noise grunge, ma che abbiamo tirato fuori poche volte, e questa è una di quelle. Il disco è un grido armonioso, una musica che incrocia deserto, New York e vie acciottolate di qualche centro storico, come impersonali rotonde e prati di periferie. I Fuzz fanno un disco che è davvero un piacere ascoltare, con una grossa punta di veleno, che è il giusto antidoto alla nostra merda quotidiana. A.R.T. in definitiva, è un lavoro molto interessante, cattivo e dolce al tempo stesso, e soprattutto c’è tanto bel rumore.

TRACKLIST
1 Suononero
2 Immobile
3 Ebola
4 Sasha
5 Linoeranza
6 Isola Blu
7 A Testa Bassa
8 La Parola Chiave
9 Noia
10 Io Ho In Mente Te

LINE-UP
Luca – chitarra,voce;
Marco – basso;
Paolo – chitarra;
Luca – batteria;

FUZZ – Facebook

Lomax – Oggi Odio Tutti

Un buon inizio per il gruppo modenese ed un ascolto consigliato agli amanti del rock alternativo cantato in lingua italiana, accompagnato dall’irruenza giovanile e ribelle dell’hardcore.

Un salto nel rock cantato in italiano con i Lomax, trio proveniente dalla provincia di Modena che con Oggi Odio Tutti, arriva ad un traguardo importante come l’esordio.

Un ep di sei brani per presentare la propria proposta, un indie rock attraversato da un’urgenza hardcore, che ne indurisce il sound quel tanto che basta per accontentare gli amanti dei generi sopracitati: questo è ciò che troverete tra le trame dell’opener Rigore, della title track e della bellissima Manhattan, trittico iniziale del lavoro.
La band è composta da due ragazze Greta Lodi e Valentina Gallini, che ricoprono i ruoli di batterista e chitarrista/cantante, con il basso lasciato a Matteo Capirossi: un giovane trio con tanto entusiasmo e rabbia, con Fuoco che abbandona lo spirito hardcore per un rock alternativo che si trasforma poi in puro punk rock in Non Vedo L’Ora che Muori.
Dio rappresenta il congedo della band: un brano lunghissimo, ricco di saturazione noise ed uno sguardo ai Sonic Youth del capolavoro Dirty, un arrivederci da parte dei Lomax mentre le ultime note della canzone ci lasciano respirare l’aria elettrica di jam alternative dai rimandi statunitensi.
Un buon inizio per il gruppo modenese ed un ascolto consigliato agli amanti del rock alternativo cantato in lingua italiana, accompagnato dall’irruenza giovanile e ribelle dell’hardcore.

TRACKLIST
1. Rigore
2. Oggi odio tutti
3. Manhattan
4. Fuoco
5. Non vedo l’ora che muori
6. Dio

LINE-UP
Valentina Gallini – Guitars, Vocals
Matteo Capirossi – Bass, Vocals
Greta Lodi – Drums

LOMAX – Facebook

Hell’s Crows – Hell’s Crows

Un album spettacolare di power heavy prog metal perfettamente in bilico tra la tradizione europea e quella americana.

Nel nostro paese si continua a fare grande musica metal, molte volte purtroppo poco considerata da fans e addetti ai lavori ma supportata dalle webzine di riferimento che, con volontà e passione, provano ogni giorno a cambiare questo trend tutto italiano.

Si perché una band come gli oscuri, potenti e melodici Hell’s Crows, in Germania (tanto per fare un esempio di terre metalliche) sarebbero sicuramente sulla bocca e nelle orecchie degli amanti dei suoni heavy power, di quelli ricamati come negli ultimi anni di parti progressive che non solo sottolineano la bravura dei musicisti ma donano un tocco nobile al sound dei gruppi.
Niente di nuovo, per carità, ma entusiasmante sì, specialmente quando si parla di schiacciare il pedale a tavoletta, partire sgommando con cavalcate heavy, colme di drammatica oscurità, mentre i corvi pasteggiano sui cadaveri dei più deboli di cuore.
Gli Hell’s Crows avevano già dato prova delle loro capacità nei primi due lavori , il demo licenziato nel 2008 e l’ep Screaming Death uscito due anni dopo, dunque sette anni sono passati prima che gli uccelli infernali tornassero a banchettare sulla terra, questa volta aiutati dalla Valery Records e da un album spettacolare: power heavy prog metal, perfettamente in bilico tra la tradizione europea e quella americana, un passato da band hard rock ed un futuro tra Symphony X, Iron Maiden e Judas Priest, mentre Back To The Future continua a girarmi nella testa, le atmosfere di drammatico metallo americano si alternano alle cavalcate maideniane e alle taglienti chitarre priestiane che animano brani come Fall Of The Divine e Nightmares.
Hanno vita facile gli Hell’s Crows, vista la qualità del songwriting, le intuitive parti progressive che tanto sanno di Symphony X, obbligata parentesi per entrare nei cuori dei defenders del nuovo millennio, ed un vocalist dal talento melodico sopra la media, senza perdere un grammo di quell’attitudine old school che mette d’accordo pure gli ascoltatori più avanti con gli anni (Across The Sea).
All’inno Hell’s Crows è lasciato il compito di concludere l’album e darci l’arrivederci sui palchi di un’estate calda, troppo calda, specialmente se gli uccelli di nero piumato si poseranno sul davanzale della vostra casa.

TRACKLIST
1.Prelude To Decadence
2.Fall Of The Divine
3.Back To The Future
4.Mechanical Quantum
5.Fist Of Steel
6.Sons Of The Wind
7.Nightmares
8.Executioner
9.Across The Sea
10.In The Eyes Of Raider
11.Hell’s Crows

LINE-UP
Randy Rush – Vocal, Guitar
Yuri Fetisov – Lead Guitar
Alan Johns – Bass
Johnny Pezzola – Drums

HELL’S CROWS – Facebook

Bastian – Back To The Roots

Torna il chitarrista Sebastiano Conti con il suo progetto Bastian, arrivato al terzo bellissimo lavoro: un album di hard rock classico suonato e cantato a meraviglia, che conferma il musicista e compositore italiano come uno dei migliori interpreti del genere negli ultimi anni.

Si torna a parlare del chitarrista nostrano Sebastiano Conti e del suo progetto Bastian, questa volta sulle pagine di MetalEyes, anche se il sottoscritto segue le avventure musicali di Conti da quando di metal e hard rock si parlava sul sito madre (InYourEyes).

Among My Giants, debutto licenziato nel 2014, vedeva il musicista e compositore siciliano cimentarsi con la musica che ha sempre amato, aiutato da una manciata di musicisti storici della scena metal rock mondiale, nonché idoli di Conti.
Gente del calibro di Vinny Appice, Mark Boals, Michael Vescera e John Macaluso, facevano da contorno prelibato al succulento piatto confezionato dal chitarrista, assolutamente a suo agio tra i suoi giganti e perfetta macchina hard rock con la sua sei corde.
Lo scorso anno Rock On Daedalus confermava quello che poteva non essere così scontato ed i Bastian tornavano ad incendiare lettori cd con un altro pezzo di granito hard & heavy, sempre con le partecipazioni di Macaluso e Vescera dietro al microfono.
Un anno esatto separa questa volta i due lavori, con Back To The Roots che porta un paio di novità importanti in seno alla band capitanata da Conti.
Al microfono, questa volta, troviamo nientemeno che Apollo Papathanasio, ex Firewind e, insieme al fido Corrado Giardina al basso, le bacchette di sua maestà Vinny Appice.
Il nuovo lavoro, licenziato dalla Sliptrick Records, porta una nuova ventata di hard rock, classicamente fresco e dannatamente bluesy, andando a colpire e spaccare il cuore dei rockers con una serie di brani sanguigni in cui il vocalist greco dimostra il suo talento per le atmosfere classiche e da crocicchi sperduti e presieduti dal diavolo in persona; la chitarra imperversa tra riff pesanti di rock duro, solos che sputano sangue, facendo l’occhiolino ad una sezione ritmica ora funkizzata, ora hard blues come si faceva nel regno unito dominato dal serpente bianco, ora appesantita dal groove che fa capolino tra lo spartito di meraviglie sonore come Rock Age, canzone capolavoro dell’album, un hard blues tra Whitesnake e Led Zeppelin con un finale in cui la chitarra ci scava dentro e arrivata al cuore lo sollecita con sfumature blues da applausi.
Papathanasio dà spettacolo, perfetto nel giocare con il Coverdale d’annata ma con piglio da vocalist metal e già dall’opener Goodbye To My Room si capisce che la sterzata è stata naturale, sentita e che non poteva essere altrimenti, anche perché Writing My Rock And Roll, il funky blues di Moth Woman, il riff di Spirit With The Hatchet ed il ritmo irresistibile di Poor Town, aiutano l’album a raggiungere una qualità strumentale ed espressiva straordinariamente alta.
Altro da aggiungere non c’è, a parte l’invito a non ignorare questo bellissimo e terzo centro del musicista siciliano, nel genere uno dei migliori interpreti degli ultimi anni.

TRACKLIST
1.Goodbye to My Room
2.Midsummer Night’s Dream
3.Writing My Rock and Roll
4.The Kite
5.Jasmine & Sebastien
6.Moth Woman
7.Warrior Friend
8.Dreamer
9.Rock Age
10.Little Angel
11.Spirit With the Hatchet
12.Poor Town
13.The Demon Behind Me
14.Jasmine & Sebastien

LINE-UP
Apollo Papathanasio – Vocals
Sebastiano Conti – Guitars
Vinny Appice – Drums
Corrado Giardina – Bass

BASTIAN – Facebook

Malignance – Architects Of Oblivion

Un gran ritorno per un gruppo fedele al metal e che, senza tanti proclami e pose, fa un disco da riascoltare spesso, mentre fuori scorre la vera battaglia chiamata quotidianità.

Dopo quattordici da Regina Umbrae Mortis tornano i genovesi Malignance e lo fanno con prepotenza.

Nato nel 2000 dall’incontro del chitarrista Arioch, del bassista Achemar e del cantante Krieg, il gruppo muove i primi passi con un suono death thrash che lascia ben presto spazio all’attuale black, ma le influenze originarie, come potrete ascoltare nel disco, non vanno affatto perse. Nel 2001 viene rilasciato l’ep Ascension To Obscurity, per poi firmare per BOTD e pubblicare il full length Regina Umbrae Mortis, che vi consiglio di andare a recuperare perché è un disco notevole. Nel 2005 i Malignance partecipano allo spilt De Vermis Misteris, che fin dal titolo mi sembra sia chiaro di cosa si tratti, e Arioch in quel momento decide di sospendere le attività dei Malignance per dedicarsi ad altri progetti. Nel 2015 Arioch e Krieg danno nuovamente vita ai Malignance per arrivare a questo nuovo Architects Of Oblivion . I Malignance usano generi conosciuti ma li rielaborano alla loro maniera per arrivare a quello che definirei Genoan Battle Metal, perché sarebbe piaciuto ai balestrieri medioevali genovesi che andavano a conquistarsi fama e morte in battaglie lontane. Il cantato è quasi sempre pulito, a parte qualche momento di maggior concitazione, e la musica è molto potente, con composizioni di notevole intensità che hanno il gusto di metal antico e moderno allo stesso tempo. Architects Of Oblivion non si esaurisce certo in quanto detto poco sopra ed ha molte sfumature, anche melodiche, ma è sopratutto un forte concentrato di lucida potenza metal, e di quest’ultimo ne è un ottimo distillato. Basso slappato come nella vecchia scuola, chitarre che avanzano come falangi e la batteria che lancia dardi infuocati. Un gran ritorno per un gruppo fedele al metal e che, senza tanti proclami e pose, fa un disco da riascoltare spesso, mentre fuori scorre la vera battaglia chiamata quotidianità.

TRACKLIST
1.Architects of Oblivion
2.Iron of Janus
3.Nakedness of Evil
4.Hekate Kleidoukos
5.Thy Raven Wings
6.Industrial Involution
7.Hailstorm of Malignance
8.Gods of the Forsaken
9.The negative spiral of Self Indulgence
10.And then I shall fall

LINE-UP
David Krieg – Vocals
Arioch – Guitars, bass, drum programming

Live Members:
Lord of Fog – drums
Eligor – Guitars
Actaeon – Bass

MALIGNANCE – Facebook

Figure Of Six – Welcome To The Freak Show

La potenza e la rabbia vengono incanalati attraverso vari sottogeneri della bestia metallica, partendo da una base deathcore, per arrivare al djent e a cose tecniche, con inserti di elettronica che potenziano maggiormente il tutto.

Benvenuti allo spettacolo dei freak, gentilmente offertoci dai Figure Of Six.

Questi ragazzi italiani ci offrono un buon concentrato delle mutazioni accadute nel metal negli ultimi anni. La potenza e la rabbia vengono incanalati attraverso vari sottogeneri della bestia metallica, partendo da una base deathcore, per arrivare al djent e a cose tecniche, con inserti di elettronica che potenziano maggiormente il tutto. I Figure Of Six non lasciano nulla di inesplorato per stupirci e rendere questo ascolto un’esperienza totale. Il cantato rimane sempre melodico, con qualche punta di asprezza, e il resto del gruppo fa un lavoro egregio. Ci sono nuove vie per esprimere i propri sentimenti in ambito metallico, e i Figure Of Six ce ne mostrano alcune. Ascoltando il disco si capisce che questi ragazzi hanno l’attitudine giusta, hanno fatto molti ascolti e curano bene ciò che fanno, infatti sono stati scritturati dalla tedesca Bleeding Nose, un’etichetta attenta alle nuove tendenze in ambito metal. Gli episodi migliori del disco accadono quando i Figure Of Six si lasciano andare, mollando il freno e correndo liberi, perché a briglie sciolte sono un gruppo di notevole livello. Prendiamo ad esempio la canzone Monster, nella quale fanno ascoltare tutta la gamma delle loro possibilità, mentre a mio avviso la canzone scelta per il video ufficiale, The Mirror’s Cage, funziona meno. Ma le mie sono opinioni che lasciano il tempo che trovano, ed il tempo è meglio impiegarlo ascoltando Welcome To The Freak Show.

TRACKLIST
1. Welcome To The Freak Show
2. The Man In The Dark
3. The Weak One
4. Edward Mordrake
5. The Tightrope Walker
6. The Mirror’s Cage
7. Monster
8. The King And The Servant
9. Clown
10. But Deliver Us From Evil

LINE-UP
Alessandro “Hell” Medri -Vocals
Peter Cadonici – Guitar
Matteo Troiano – Guitar
Stefano Capuano – Bass
Michele Mingozzi – Keyboard
Antonio Aronne – Drums

FIGURE OF SIX – Facebook

Athlantis – Chapter IV

Un album che si fa ascoltare dall’alto di una freschezza compositiva d’alto rango, ricco di suadenti linee vocali e composto di un lotto di brani che mantengono alta l’attenzione dell’ascoltatore

La scena metal ligure di stampo classico gira attorno ad una manciata di musicisti dal gran talento che, a distanza di poco tempo uno dall’altro, creano grande musica con progetti nuovi o ritorni di un certo spessore come gli Athlantis di Steve Vawamas, bassista di Mastercastle, Ruxt, Bellathrix, ed ex Shadows Of Steel.

Il gruppo nacque per volere del bassista nell’ormai lontano 2003, aiutato da un paio di nomi storici della scena come Roberto Tiranti e Pier Gonella con un debutto licenziato dalla Underground Symphony.
Nel corso degli anni il progetto si è avvalso delle performance di Trevor e Tommy Talamanca dei Sadist, oltre ad altri musicisti che hanno dato il loro contributo, arrivando così ai giorni nostri e alla realizzazione di un nuovo album, questo gioiellino power / hard dal titolo Chapter IV.
Insieme allo storico bassista e mente del progetto troviamo quella macchina da guerra che corrisponde al nome di Pier Gonella, infaticabile ed insostituibile guitar hero, il batterista degli Extrema Francesco La Rosa, Gianfranco Puggioni alla chitarra ed il bravissimo singer dei Lucid Dream Alessio Calandriello.
Ma le sorprese non finiscono qui, ed in qualità di ospiti Chapter IV si avvale delle performance di Roberto Tiranti, Dave (Drakkar) e Francesco Ciapica.
Registrato ai Music Art Studio di Pier Gonella e pubblicato dalla Diamonds Prod, l’album nulla aggiunge e nulla toglie alla qualità delle opere che questo gruppo di musicisti ha creato nel corso del tempo, aggiungendo un altro affresco di musica metallica raffinata e nobile, straordinariamente melodica ed assolutamente sopra la media.
La musica degli Athlantis a mio parere è quella che si avvicina di più a quella che porta la firma dei Labirynth, anche se sapientemente i musicisti la modellano con atmosfere hard rock e qualche spunto riconducibile al power metal melodico scandinavo di metà anni novanta.
Su Pier Gonella abbiamo sprecato inchiostro per tesserne le lodi relativamente ai numerosi progetti a cui ha partecipato, ma questa volta mi piace sottolineare, oltre all’ottimo songwriting, la prova di Calandriello, splendido interprete sugli album dei Lucid Dream e qui ancora una volta ispiratissimo, tanto da non sfigurare vicino a colleghi più famosi come per esempio Roberto Tiranti.
Un album che si fa ascoltare dall’alto di una freschezza compositiva d’alto rango, ricco  di suadenti linee vocali e composto di un lotto di brani che mantengono alta l’attenzione dell’ascoltatore, ancora una volta messo all’angolo dalla bravura di questi musicisti della riviera ligure.
Il singolo Master Of Fate, la successiva e trascinante Ronin, l’heavy metal classico che accompagna la cavalcata power The Endless Road, le chitarre hard rock di Reset sono gli attimi più avvincenti di un album bello e trascinante, un altro gioiello nato in riva al Mar Ligure.

TRACKLIST
01 – The Terror Begins
02 – Master Of My Fate
03 – Ronin
04 – Our Life
05 – The Endless Road
06 – Crock Of Moud
07 – Face Your Destiny
08 – Just Fantasy
09 – Reset
10 – The Final Scream

LINE-UP
Steve Vawamas – Bass
Pier Gonella – Guitars
Francesco La Rosa – Drums
Ginfranco Puggioni – Guitars
Alessio Calandriello – Vocals

ATHLANTIS – Facebook

Fallen – No Love Is Sorrow

No Love Is Sorrow travalica l’idea dell’ambient come musica di mero sottofondo, rendendola soprattutto appagante per l’ascoltatore, in quanto capace di schiudere ad ogni passaggio sensazioni uditive sempre differenti.

A due anni di distanza dalla prima uscita, Lorenzo Bracaloni ritorna con il suo progetto ambient Fallen.

Come ebbi occasione di scrivere in occasione di un lavoro riuscito come Secrets Of The Moon, il musicista toscano continua a sviluppare quel discorso che, in qualche modo, prendeva le mosse da Hidden Tales And Other Lullabies, uno dei dischi uscito con il monicker The Child Of A Creek; la forma di ambient che ritroviamo in No Love Is Sorrow non differisce nella sostanza da quanto contenuto nel disco precedente, essendo nuovamente ispirata alla lezione della Kosmische Musik degli anni 70 (forse non è un caso se l’etichetta che pubblica l’album, la AOsmosis Record, sia proprio tedesca) ma appare, se possibile, ancor meglio focalizzata.
Da vecchio estimatore di quel genere musicale e, in seguito, delle opere di Brian Eno, specialmente in compagnia del duo Moebius/Roedelius (alias Cluster), non posso non apprezzare ogni singola nota presente in questo lavoro.
Negli ultimi tempi ci stanno giungendo all’attenzione diversi album che confermano quanto sia stata azzeccata la scelta, da parte di MetalEyes, di creare una sezione denominata “altri suoni”, in modo da non precluderci la possibilità di poterci occupare anche di musica che di metal e rock non ha nulla, se non il tratto comune d’essere rivolta ad un’audience piuttosto selezionata.
Quella esibita da Fallen, però, ha una marcia in più e No Love Is Sorrow è degno erede delle opere dei grandi del passato: chi ne dubita ascolti la title track, traccia che, dopo una avvio segnato da una cupa vena elettronica, si apre in un finale dai toni struggenti, oppure la stupenda Shimmering, che sarebbe stata degna di far parte di quel capolavoro semplicemente intitolato Cluster & Eno.
Questo è solo un esempio di quante frecce il musicista abbia nella sua ampia faretra, a garanzia del fatto che questo approccio travalica l’idea dell’ambient come musica di mero sottofondo, rendendola soprattutto appagante per l’ascoltatore, in quanto capace di schiudere ad ogni passaggio sensazioni uditive sempre differenti.
Difficile fare di meglio, davvero, perché No Love Is Sorrow riluce di una bellezza dalle radici antiche che non merita d’essere offuscata da qualsiasi paragone od accostamento, seppure calzante: la sensibilità musicale di Lorenzo Bracaloni si rivela ancora una volta superiore alla media, rendendolo oggi uno degli autori di musica ambient più credibili, non solo nel ristretto ambito nazionale.

Tracklist:
1.Echoes And Sin
2.Eyes Like Windows
3.No Love Is Sorrow
4.Soft Skin, Eternal Verses
5.Shimmering
6.A New Beginning

Anewrage – Life Related Symptoms

Il disco è molto melodico senza perdere in potenza, con una produzione che fa risaltare al massimo i suoni precisi e ben composti degli Anewrage.

Nuovo disco per i milanesi Anewrage, fautori di un metal moderno e melodico.

Nati nel 2014, con il loro ottimo debutto Anr sono arrivati ad essere conosciuti oltre i confini patri e hanno suonato con grandi gruppi, facendo sempre una bella figura. La band milanese torna con questo nuovo disco che punta ancora più in alto, per far decollarne definitivamente la carriera. La melodia è ovunque ed imperante in Life Related Symptoms, e guida l’ascoltatore in un disco di metal davvero moderno e più che mai attuale: ascoltandolo ci si trova come sospesi in una piacevole bolla, composta di suoni ruvidi ma dolci, con repentini cambi di tempo, come girarsi nel liquido amniotico. Il disco è molto melodico senza perdere in potenza, con una produzione che fa risaltare al massimo i suoni precisi e ben composti degli Anewrage. Il genere non è ben definito e questo è già un notevole pregio, si scorrazza fra vari stili, ma l’impronta principale è quella degli Anewrage.
Il disco funziona ottimamente e andrà benissimo, specialmente fuori dall’Italia, dove gli ascoltatori sono di mentalità ben più aperta di noi. Nel frattempo, se vi capita, dal vivo meritano molto e date loro una possibilità, perché a breve diventeranno un grosso nome della scena.

TRACKLIST
1. Upside Down
2. My Worst Friend
3. Dancefloor
4. Tomorrow
5. Evolution Circle
6. Floating Man
7. The 21st Century
8. Life Is You
9. Outside
10. All The Way
11. Insight
12. Clockwork Therapy
13. Wolves And Sirens

LINE-UP
Axel Capurro: Vocals/Guitars
Manuel Sanfilippo: Guitars/Backing Vocals
Simone Martin: Bass
Alessandro Ferrarese: Drums/Backing Vocals

ANEWRAGE – Facebook

The Big South Market – Muzak

Sfuggendo ai facili stereotipi ai quali la lineup ridotta potrebbe portare, i TBSM propongono una miscela moderna di hard rock e post grunge con un buon tiro.

Il termine “Muzak” definisce quella musica piuttosto informe che viene diffusa in ambienti quali aeroporti, centri commerciali, sale d’attesa e simili.

Non è dispregiativo, ma sottolinea che è un tipo di musica a cui si può anche non prestare attenzione, perché è di puro sottofondo, riempitivo.
Questo non si può certo dire dell’EP che porta questo titolo, prima prova autoprodotta del nuovo combo a nome The Big South Market. I due, già musicisti con esperienze invidiabili, si lanciano qua in bordate chitarra e batteria di buon gusto e bel tiro. Sfuggendo ai facili stereotipi ai quali la line -up ridotta potrebbe portare, i due propongono una miscela moderna di hard rock e post grunge ben amalgamata, con ritmiche serrate e suoni moderni e accattivanti.
L’esordio fa ben sperare, e le prove dei live e soprattutto della maturità su disco lungo ci potranno confermare se saranno speranze ben riposte.

TRACKLIST
1 – Big Deal
2 – Before (You Make It Deeper)
3 – Moodrink
4 – Red Carpet
5 – Desert Motel

LINE-UP
Giuseppe Chiumeo – Chitarra, Voce
Ruggiero Ricco – Batteria

THE BIG SOUTH MARKET – Facebook

www.youtube.com/channel/UCuiu4-pLEzhY5TJvjY5p02w