Starbynary – Dark Passenger

Grandissimo esordio su Bakerteam per gli Starbynary con “Dark Passenger”, capolavoro di power/prog metal.

Magniloquente, esaltante, metallico nella concezione più pura e tecnica, elegante, raffinato: insomma, questo straordinario debutto ha tutte le carte in regola per piacere ai fan del metallo nobile, risultando una cascata di melodie fra accelerazioni power e tecnica prog al servizio di una decina di brani bellissimi.

Loro sono gli Starbynary e l’album si intitola Dark Passenger: nati come trio, composto dal bravissimo vocalist Joe Caggianelli e dai funambolici Leo Giraldi alla sei corde e Luigi Accardo alle keys, si avvalgono in quest’occasione della collaborazione di Diego Ralli alle pelli e nientemeno che di Mike Lepond dei Symphony X al basso.
L’album è un concept tratto dall’opera “La Mano Sinistra Di Dio” dello scrittore Jeff Lindsay (dalla quale è stata poi tratta la serie televisiva Dexter), ed è un monumento al genere di rara bellezza, tra fughe tastieristiche, cavalcate power e momenti in cui la vena prog del gruppo ammalia tra fantastiche melodie, non perdendo mai di vista il nostro amato metal anzi, nobilitandolo, con un songwriting sopra le righe.
La musica della band non dà tregua, le parti in cui l’ascoltatore è travolto dall’onda anomala creata dal terremoto di note create dal gruppo si susseguono senza soluzione di continuità, per più di un’ora di metallo che scorre alla velocità della luce, suonato divinamente e marchiato a fuoco da atmosfere neoclassiche spettacolari.
Impossibile non rimanere affascinati: la band infila una dietro l’altra perle che risplendono, incastonate in questo gioiello di musica che definire grandiosa è un puro eufemismo.
Le prove dei musicisti sono da manuale, con Joe Caggianelli che si dimostra vocalist superlativo, mettendo in fila più di un collega, assecondando lo strapotere di tastiere e chitarra, che si dividono gli applausi dello stupito (e meravigliato da cotanta classe) ascoltatore di turno.
Le influenze, in un genere in cui non è sicuramente l’originalità il principale punto di forza, ci sono ma vanno ricercate nel meglio del power nazionale, dai Labyrinth ai Vision Divine, passando per l’epicità elegante e neoclassica dei gruppi scandinavi e un gusto strutturale dai rimandi progressive che spinge l’album tra i capolavori di un anno da ricordare per il metal nazionale: Dark Passenger si attesta tra le migliori uscite in assoluto, spinto da brani fantastici come …Dawn Of Evil, la title-track, Codex, The Ritual e l’ultima grandiosa mezzora composta da Look Around Turn Away e la conclusiva The End Begins.
Disco da avere assolutamente, Dark Passenger è un’opera eccezionale che ci consegnandoci una band che alo stato attuale nel genere ha pochi eguali.

Tracklist:
1. Before The Dawn…
2. …Dawn Of Evil
3. Dark Passenger
4. Blood
5. Reflections
6. Codex
7. My Enemies
8. The Ritual – Modus Operandi
9. Turn Around, Look Away!
10. The End Begins

Line up:
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo – Keyboards

Guests:
Mike Lepond – Bass
Diego Ralli – Drums
Bea Sinigaglia – Soprano on “Dawn Of Evil”

STARBYNARY – Facebook

Apneica – Pulsazioni…Conversione

Prova formidabile per gli Apneica, altra gemma nascosta che merita d’essere portata alla luce.

C’è decisamente qualcosa che non quadra, dopo aver ascoltato questo Ep dei sardi Apneica, e non sto parlando della qualità del lavoro che, come vedremo, è assolutamente al di sopra della media, ma del fatto che fino ad oggi ben pochi paiono essersi accorti del potenziale enorme di questa band.

Probabilmente il fatto di non esser supportati da una label o da qualche agenzia che curi la promozione dell’Ep influisce non poco al riguardo, e questo è un vero peccato, visto che ho perso il conto delle band che non valgono un’unghia degli Apneica e che, nonostante questo, vivacchiano sotto le comode ali protettive di etichette anche di un certo nome.
Così, chi si attende di dover ascoltare un prodotto artigianale o ancor peggio, raffazzonato, si ritrova folgorato da un primo brano come Alba Artificiale che, in qualche modo, smentisce parzialmente l’etichetta death-doom che accompagna i ragazzi di Sorso: personalmente ritrovo anche un notevole influsso del post metal più nobile, che sposta il sound verso lidi per certi versi inconsueti, ma forse più consoni ai quei mondi alieni descritti dalle ottime liriche rigorosamente in italiano .
Anche se lo stile della band del sassarese è sicuramente molto personale (e in un genere come questo, credetemi, è tutt’altro che scontato riuscirci) il primo nome che mi viene in mente a livello di contiguità stilistica è un altra giovane realtà nostrana, ovvero i bresciani (EchO).
L’ottima alternanza tra growl e voce pulita esibita da Ignazio Simula è l’ideale mezzo espressivo per assecondare le doti compositive di Alessandro Seghene, mastermind del gruppo ed impeccabile chitarrista; il passaggio da progetto solista a band a tutti gli effetti è coinciso con l’approdo a sonorità più focalizzate rispetto al death-doom sperimentale e strumentale contenuto nel lavoro omonimo uscito nel 2011, risultato al quale ha contribuito ovviamente anche la coppia ritmica costituita da Francesco Pintore (basso) e Luigi Cabras (batteria).
In effetti, questa differenza è riscontrabile ascoltando proprio il brano di chiusura, la title-track, uno strumentale perfettamente eseguito e di indubbia qualità al quale, però, l’assenza del contributo vocale che ci aveva accompagnato nei primi venti minuti dell’Ep, finisce per non rendere del tutto giustizia.
Assenza di Gravità e In Orbita, infatti, sono altre due tracce dall’enorme impatto e non c’è dubbio che il growl del buon Ignazio contribuisce ad inasprire i suoni tanto quanto la sua voce pulita ne ingentilisce i tratti, evitando così che il sound assuma connotazioni interlocutorie.
Se Pulsazioni … Conversione rappresentava una sorta di test voluto da Alessandro per verificare la resa degli Apneica in questa loro nuova veste, direi che gli esiti sono andati ben oltre le più rosee aspettative: il lavoro è un vero proprio gioiello che deve finire al più presto sulla scrivania di qualche label lungimirante (e in Italia ce ne sono, sicuramente) in grado di aiutare i nostri a raggiungere, con la loro musica, più persone possibili anche al di fuori dei confini nazionali, laddove la ricettività verso questo tipo di suoni è di gran lunga superiore.

Tracklist:
1.Alba Artificiale
2.Assenza di Gravità
3.In Orbita
4.Pulsazioni…Conversione

Line-up:
Ignazio Simula-Vocal
Alessandro Seghene-Guitars
Francesco Pintore-Bass
Luigi Cabras-Drum

APNEICA – Facebook

Southern Drinkstruction / Carcharodon – Pizza Commando

“Pizza Commando” è un disco che nasce dall’amicizia e dalla voglia di fare musica e, infatti, i risultati sono ottimi grazie a queste grandi premesse.

Devastante split con due gruppi fra i più potenti e divertenti in Italia.
Uniti da una sincera amicizia e stima, nonché dagli stessi vizi ed abusi, i Southern Drinkstruction e i Carcharodon convolano finalmente e giustamente a nozze con questo disco equamente diviso.

Pizza Commando è una mazzata declinata in diverse maniere e stili, ma fondamentalmente si parla di metal e bassezze umane.
I due gruppi fanno un metal diverso ma che sta bene anche messo nello stesso disco, facendo apprezzare maggiormente la bravura e l’originalità di questi gruppi.
I Southern Drinkstruction, già recensiti su queste pagine, sono un gruppo romano nato nel 2005, grazie al chitarrista Pinuccio Ordnal, per suonare southern metal, thrash e death: hanno al loro attivo un Ep e due ottimi dischi tra cui il bellissimo “Drunk Till Death” del 2012.
I Carcharodon, anch’essi già da trattati da Iyezine in occasione del loro ultimo album “Roachstomper”, sono una band ligure che fa un metal molto affascinante ed originale, ricco di varie influenze e tante idee nuove.
Questo disco non si può propriamente definire uno split, poiché è vero che i due gruppi si dividono lo spazio, ma c’è anche un pezzo suonato insieme, Zuppa Romana, cover del grande gruppo tedesco anni ottanta Schrott Nach 8, oltre al fatto che come detto si tratta di due realtà molto coese.
Il risultato è un disco che il metal italiano, e non solo, non aveva mai sentito, qualcosa di davvero originale e godurioso, derivante non solo dall’addizione di due gruppi ma proprio dal loro comune sentire.
I Southern Drinkstruction si sono un po’ allontanati dal southern metal e si sono parecchio induriti, diventando ancora meglio di prima se possibile.
I Carcharodon, invece, sono uno strano animale a trenta teste e quattro apparati riproduttivi, con un suono nemmeno lontanamente paragonabile a qualche altro gruppo ed un futuro che saprà stupire.
Due gruppi che, quindi, sono cresciuti molto in questi anni e che non è esagerato definire grandi band.
Pizza Commando è un disco che nasce dall’amicizia e dalla voglia di fare musica e, infatti, i risultati sono ottimi grazie a queste grandi premesse.
Un bagno di sangue e pomodoro.

Tracklist:
1. Southern Drinkstruction – The South Face
2. Southern Drinkstruction – Cadillac Mammoths
3. Carcharodon – The Hornet and the Hunter
4. Carcharodon – From North to South
5. Southern Drinkstruction / Carcharodon – Zuppa Romana
6. Southern Drinkstruction – Vultur Montain
7. Southern Drinkstruction – My Only Words
8. Southern Drinkstruction – The Cursed Track
9. Southern Drinkstruction – Suck, Duck, Truck, Fuck
10. Southern Drinkstruction – Southern Drinkstruction
11. Carcharodon – Champagne and Caviar
12. Carcharodon – Cadillac Grinder
13. Carcharodon – Zombie Jesus
14. Carcharodon – Pit of Mammoths

Line-up:
Southern Drinkstruction
Francesco Basthard – Voce
Pinuccio Ordnal – Chitarra
Carlo Zorro – Basso
Andrea Eddie Vegenius – Batteria

Carcahrodon
Pixo – Voce e Basso
Boggio – Chitarra
Max – Chitarra
Zack – Batteria

SOUTHERN DRINKSTRUCTION – Facebook

CARCHARODON – Facebook

The Shiver – The Darkest Hour

Ottimo terzo lavoro per i The Shiver con il loro alternative rock dalle digressioni darkwave.

I The Shiver sono una band italiana che fa un rock alternativo impregnato di suoni dark wave, nata nel 2005 da un’idea della cantante e compositrice Federica Sciamanna e dal batterista Francesco Russo.

Arrivano, con The Darkest Hour, al terzo album dopo aver dato alle stampe l’esordio “Inside” nel 2008 e “A New Horizon” nel 2010, oltre ad un Ep acustico dal titolo “The Acoustic Experience”. La band in questi anni ha raggiunto una buona popolarità specialmente fuori dai confini nazionali, esibendosi live con band del calibro di The Misfits, Papa Roach, The Ark e Negramaro. Il nuovo album, prodotto e arrangiato da Mario Cristi, conferma la vena compositiva della band, la loro musica si approccia alla materia rock con buon gusto ed ottimo senso melodico, i brani spaziano dall’alternative alla dark wave; il connubio di queste sonorità con l’elettronica, presente in modo massiccio, unito alla bellissima voce della Sciamanna, crea atmosfere malinconiche, anche se la new wave ottantiana rimane un sentiero sicuro per il viaggio musicale della band, che fa dell’eleganza compositiva e di esecuzione il prprio punto di forza. Non spingono mai troppo i The Shiver, le chitarre non affondano i colpi, ma piuttosto accompagnano la vena della vocalist in questo viaggio tra i mali di un’umanità in disfacimento. L’album parte alla grande con la bellissima Ocean, da cui è stato estratto un video, presentandoci un gruppo collaudato; i brani si susseguono e ci avvolgono in un abbraccio sonoro: The Key, Forgotten Soul e Into The Darkest Hour ammaliano, ma è tutto l’album che si dimostra maturo in ogni frangente. L’alternative rock degli ultimi vent’anni viene nobilitato in questo lavoro dai The Shiver, i quali, aggiungendovi un’ottima miscela di Depeche Mode e Placebo, riescono a regalare un album davvero sopra le righe, dove sugli scudi sale prepotentemente la classe sopraffina di questi splendidi musicisti. Sarebbe l’ora che la band raccogliesse i suoi frutti anche nel proprio paese, lampante esempio dell’umanità descritta in The Darkest Hour.

Tracklist:
1.Ocean
2.The Key
3.Little Lonely Boy
4.Forgotten Soul
5.Bury
6.The Secret
7.Into the Darkest Hour
8.Runaway
9.Anything
10.Over

Line-up:
Federica Faith Sciamanna – Vocals
Francesco Finch Russo – Drums
Michele Colantuoni – Bass
Vincenzo Lodolini – Guitars

THE SHIVER – Facebook

Lilyum – Glorification of Death

I Lilyum preferiscono essere piuttosto che apparire e questo loro quinto album convince per l’adesione ad uno stile consolidato ma reso affascinante da un’interpretazione sentita e personale

I Lilyum sono parte integrante dello zoccolo duro del black metal, quello fatto di sonorità dirette, ritmiche veloci, suoni crudi e privi di particolari fronzoli, il tutto inserito in un contesto pervaso da un’aura fortemente oscura e misantropica.

Per molti questo può costituire un limite dovuto alla riproposizione di sonorità indubbiamente datate, ma molto più prosaicamente ritengo che la musica debba trasmettere qualcosa all’ascoltatore e ciò va ben oltre gli stili e gli spunti innovativi.
Sperimentare senza andare in una direzione precisa è inutile e talvolta serve solo per gettare fumo negli occhi e mascherare persino carenze tecniche o compositive; molto meglio, allora, fare nel migliore dei modi musica priva di particolari sorprese, ma proposta con competenza e con la giusta attitudine. I Lilyum preferiscono essere piuttosto che apparire e questo loro quinto album convince per l’adesione ad uno stile consolidato ma reso affascinante da un’interpretazione sentita e personale, capace di regalare brani trascinanti come Dark Holocaust e Veins Of Stone, senza dimenticare una traccia più avvolgente, con i suoi ritmi meno parossistici, come la title-track; Kosmos Reversum e Lord J. H. Psycho svolgono il loro lavoro in maniera ottimale, mentre Xes (vocalist anche dei potentini Infernal Angels) fornisce un minimo elemento di discontinuità rispetto agli stilemi del genere rinunciando all’abusato screaming e optando invece per un efficacissimo growl. Alla fine qualcuno si potrà chiedere se sia utile pubblicare oggi lavori con queste caratteristiche: la mia risposta è sì, perché il valore di un album non si misura con un ipotetico “novitometro” bensì attraverso ben altri parametri, gran parte dei quali ovviamente del tutto soggettivi, come lo è per esempio il fatto che io consideri tempo decisamente ben speso quello impiegato per ascoltare Glorification Of Death

Tracklist:
1. Transgressus Absconditus / Through Gateways Unseen
2. Christ Will Fall
3. Mater Pestis
4. Dark Holocaust
5. Glorification of Death
6. Veins of Stone
7. Torchbearer of the Cadaverous Dawn
8. Extinction
9. Necrosis
10. Todessendung 013

Line-up:
Kosmos Reversum – Guitars, Percussion, Programming
Lord J. H. Psycho – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards
XeS – Vocals

LILYUM – Facebook

Thrash Bombz – Dawn

Tornano i Thrash Bombz, alfieri del thrash metal old school, con questo ottimo Ep intitolato Dawn.

Tornano i siciliani Thrash Bombz, alfieri del thrash metal ottantiano, con un nuovo Ep che, seppur seguendo la strada intrapresa nel precedente full-length di inizio anno, porta con sé, un’importante novità in seno alla band.

Causa la defezione del vocalist Leonardo Botta, infatti, la band ha deciso di affidare le parti vocali al bassista Angelo “Destruktor” Bissanti, già al microfono sull’album della sua “creatura” Blood Evil (“Infection”, pubblicato all’inizio di quest’anno), singer di razza e protagonista di un’ottima prova, tra vocals agguerrite in puro stile ottantiano, ricche di vari spunti e di debordante personalità.
Venti minuti circa nei quali i Thrash Bombz confermano quanto di buono fatto sul precedente album: i brani sono quanto di più coinvolgente potete trovare in ambito old school, chiaramente ispirati alle band che hanno fatto grande il genere oltre vent’anni fa, ma suonati con ottima tecnica e personalità, il che li rende una delle realtà più convincenti della nostra penisola in questo ambito musicale.
La coppia d’asce formata dalla ritmica di Giuseppe “UR” Peri e la solista di Salvatore “Skizzo” Li Causi mietono vittime come un mitragliatore sferragliante nell’ambito di uno scontro a fuoco: Li Causi, in piena forma, sforna solos straordinari, sostenuto dalla seconda chitarra di Peri ed un lavoro della sezione ritmica (lo stesso Bissanti al basso e Vincenzo “Vihol” Lombardi alle pelli) potente, veloce, ma oltremodo elegante laddove la band si concede passaggi dall’alto tasso melodico, come lo struggente strumentale che dà il titolo all’album.
Con sei brani notevoli, i Thrash Bombz nobilitano il genere continuando la loro tradizione che li vuole fautori di un thrash che alterna sfuriate metalliche (grandiose a mio parere … Presence ed Eternal Punishment) ad un talento mostruoso nel saper inserire parti strumentali tecnicamente ineccepibili e dal grande impatto emotivo, aspetto che ne rende vario e maturo il sound.
Ottimo lavoro, dunque, consigliato non solo ai fan del genere ma adatto anche a chi ha confidenza con i suoni metallici più classici: per il gruppo potrebbe essere una sorta di ripartenza vista l’importanza del cambio di vocalist nel contesto di una band; dal mio canto consiglio, per chi ancora non l’avesse ascoltato, anche il bellissimo album “Mission Of Blood”.

Tracklist:
1. Unknown…
2. …Presence
3. Drown in Your Misery
4. Eternal Punishment
5. Dawn
6. Human Obliteration

Line-up
Giuseppe “UR” Peri – Guitars
Angelo “Destruktor” Bissanti – Vocals, Bass
Salvatore “Skizzo” Li Causi – Guitars
Vincenzo “Vihol” Lombardi – Drums

https://www.facebook.com/ThrashBombzOfficial

In Tormentata Quiete – Cromagia

Ciò che stupisce in “Cromagia” è un senso melodico che non viene mai meno,trasformandosi nel vero filo conduttore di un lavoro che è spettacolare tanto musicalmente quanto a livello lirico.

Il terzo album degli In Tormentata Quiete si rileverà una delle consuete croci per chi tenta chi catalogare la musica come se si trattasse di riordinare dei libri in una biblioteca, rispettando un rigoroso ed ineluttabile ordine alfabetico.

L’ensemble bolognese, ed è questo ciò che conta, regala l’ennesima perla di una carriera che, come spesso accade dalle nostre parti per chi tenta di fare musica nella sua accezione artistica più elevata, è destinata più allo status di culto che non a quello di realtà di successo.
Del resto, non credo che gli In Tormentata Quiete si siano mai posti prioritariamente quest’ultimo obiettivo, soprattutto operando e vivendo in un paese come l’Italia nel quale se non appari non esisti e dove, se proponi musica che costringe ad essere ascoltata e non semplicemente sentita, sei irrimediabilmente destinato a restare nel cuore di pochi fortunati.
All’interno di Cromagia possiamo trovare folk, prog, black e cantautorato italiano, una ricetta che parrebbe, messa giù così, dannatamente intricata, eppure tutto scorre senza che nessuna di queste componenti prevarichi mai l’altra, stupendo per l’equilibrio raggiunto, quasi come quando si osservano quei folli funamboli che attraversano i canyon camminando su una sottile fune tesa sopra baratri profondi centinaia di metri …
Per una volta mi trovo piuttosto d’accordo con le note di presentazione, nelle quali si accenna a nomi quali Solefald, Ulver e Devil Doll, riferimenti che, francamente, potrebbero risultare controproducenti al momento del dunque: nonostante ciò i nostri si rivelano del tutto degni, se non proprio a livello di sonorità sicuramente per attitudine, dell’accostamento a questo manipolo di geniali sperimentatori.
Ciò che stupisce ulteriormente, con tali premesse, è un senso melodico che in Cromagia non viene mai meno, trasformandosi nel vero filo conduttore di un lavoro che è spettacolare tanto musicalmente quanto a livello lirico, con il suo concept incentrato sulle emozioni ed i sentimenti associati ai singoli colori.
L’intreccio vocale è un ulteriore aspetto capace di elevare gli In Tormentata Quiete sul resto della concorrenza: due voci pulite, l’una maschile, l’altra femminile, si scambiano continuamente i ruoli “disturbate” da uno screaming acido che opera per lo più con la funzione di controcanto, quasi a voler sporcare, con le sue efferate incursioni, quelle tessiture melodiche che, a lungo andare, si insinuano nella mente e nel cuore di chi ascolta.
Bastano dodici minuti, quelli nei quali si sviluppa l’accoppiata iniziale Blu / Il Profumo del Blu, a chi non avesse mai ascoltato una nota degli ITQ, per capire d’essere al cospetto di una realtà unica nel panorama italiano e per attendersi ulteriori meraviglie sonore (tra le quali spiccano l’elegia di Verde ed il black/folk di La Carezza Del Giallo) nel corso dei restanti tre quarti d’ora.
Ma, intanto, il destino di talenti trasversali come questi è quello d’essere capiti da pochi: troppo colti per chi ha bisogno di musica usa e getta, troppo metallici per i tolemaici del progressive (mi pare di sentirli “ …. ah, quella voce gracchiante …”), troppo melodici per i metallari, infine troppo superiori alla media per poter diventare, anche solo per sbaglio, un fenomeno di massa.
Quei pochi che, appunto, non si sono mai adeguati al minimalismo spastico degli sms e riescono a leggere almeno tre righe di una mail senza avvertire un calo di attenzione, provino a dare una chance agli In Tormentata Quiete

Tracklist:
1. Blu
2. Il Profumo del Blu
3. Rosso
4. Il Sapore del Rosso
5. Verde
6. Il Sussurro del Verde
7. Giallo
8. La Carezza del Giallo
9. Nero
10. La Visione del Nero
11. InVento

Line-up:
Maurizio D’Apote – Bass
Francesco Paparella – Drums
Lorenzo Rinaldi – Guitars
Antonio Ricco – Keyboards
Marco Vitale – Vocals (harsh)
Irene Petitto – Vocals
Simone Lanzoni – Vocals

IN TORMENTATA QUIETE – Facebook

https://soundcloud.com/mykingdommusic/itq-lvdn

Cadaveria – Silence

Al quinto album di una discografia che negli anni non ha accusato alcuna caduta di tono, Cadaveria con la sua band continua a regalare opere oscure con disarmante naturalezza.

Torna la regina del metal estremo, Cadaveria, con la sua band omonima.

Ormai lontani gli esordi con gli Opera IX, la vocalist dal 2002, anno dell’esordio (“The Shadow’s Madame”) con il progetto a suo nome, continua imperterrita a sfornare opere di metallo estremo dalle sfuriate black e fascino gotico di assoluta qualità, ed il nuovo parto dal titolo Silence non tradisce le attese, confermando la band biellese come una delle realtà più floride del panorama nazionale nonché una tra le più conosciute anche fuori dai patri confini.
Al quinto full-length di una discografia che negli anni non ha accusato alcuna caduta di tono, il gruppo continua a regalare opere oscure con disarmante naturalezza, ormai modello per qualsiasi giovane band si avvicini al genere, capitanata dalla regina nera sempre in piena forma.
Silence offre quanto di meglio la band poteva donare ai propri fan, rivelandosi un album sempre in bilico tra gotiche atmosfere, cavalcate death/black e sfuriate thrash, il tutto sostenuto da emozionanti ed oscuri passaggi, nei quali cala la violenza ma nel contempo l’aria si fa gelida e i brividi fanno tremare corpi e menti, tale è il clima orrorifico che si respira tra i solchi di queste nuove undici canzoni.
Cadaveria è sempre qui, tra un growl da strega malefica ed ambigue parti nelle quali le nenie terrorizzano ancora di più: spettacolare nella sua teatralità, rende questo viaggio nel mondo oscuro un incubo dal quale, però, non ci si vuole svegliare, ammaliati, affascinati, ipnotizzati come in un incantesimo da tanto malefico rituale.
I musicisti che accompagnano la singer, formano come sempre un team ultravincente, con la sezione ritmica composta da Killer Bob al basso e Marcelo Santos (ovvero Flegias dei Necrodeath) alla batteria, perfetti dove le ritmiche accelerano vertiginosamente, e la coppia d’asce Frank Booth e Dick Laurent i quali, ispiratissimi, sono protagonisti di una prova spettacolare colmando di solos melodici e riffoni thrash il sound dell’album.
Ottimamente prodotto, Silence regala perle di metallo oscuro come Carnival Of Doom e Free Spirit, e va in crescendo con il passare dei minuti, regalando il meglio di se nelle ultime tre tracce, Almost Ghostly, Loneliness e Strangled Idols, in un’orgia di suoni estremi ed atmosfere dark davvero da antologia.
Un album che conferma il talento di Cadaveria e dei suoi degni compari, tornati per riprendere il trono tra le band del genere ed il ruolo di guida ed influenza per qualsiasi realtà nostrana che voglia approcciarsi al metal più oscuro.

Tracklist:
1. Velo (The Other Side of Hate)
2. Carnival of Doom
3. Free Spirit
4. The Soul That Doesn’t Sleep
5. Existence
6. Out Loud
7. Death, Again
8. Exercise1
9. Almost Ghostly
10. Loneliness
11. Strangled Idols

Line-up:
Cadaveria – Vocals
Killer Bob – Bass
Marcelo Santos – Drums
Frank Booth – Guitars
Dick Laurent – Guitars

CADAVERIA – Facebook

BLACK THERAPY

I romani Black Therapy, dopo l’ottimo album d’esordio hanno pubblicato di recente l’Ep The Final Outcome, contenente quattro brani di death metal melodico di livello straordinario.
A questo punto il prossimo disco su lunga distanza diventa una tappa fondamentale per la band: ne abbiamo parlato con il chitarrista e fondatore Lorenzo Carlini.

iye Ciao Lorenzo, vuoi raccontare ai lettori di Iyezine come è nato il progetto Black Therapy ?

Ciao! E’ nato tutto dalla lunga amicizia che lega me all’altro chitarrista Daniele: avevamo deciso di suonare la nostra prima cover, ma lo stesso giorno in cui l’abbiamo provata per la prima volta abbiamo subito capito che non era cosa per noi (era pessima!).
Abbiamo visto che suonando cose nostre funzionavamo molto di più, così abbiamo composto 4 brani da inserire in una demo. La ricerca degli altri musicisti non so per quale assurdo motivo è stata rapida e fortunata! 4/5 di quella band sono ancora membri attivi dei Black Therapy e ne siamo più che soddisfatti!

iye Il vostro primo full-length, “Symptoms Of A Common Sickness”, era già di ottimo livello ma nonostante
ciò siete riusciti a compiere un ulteriore passo avanti; siete soddisfatti del lavoro svolto oppure appartenete alla categoria degli incontentabili e pensate che avreste potuto fare ancora meglio ?

Secondo me “Symptoms of a Common Sickness” è un ottimo album di esordio, racchiude i nostro sogni di adolescenti e molti altri valori classici di quell’età, “The Final Outcome” invece, lo trovo più maturo e più “nostro”, diciamo che è la svolta verso il consolidarsi del nostro stile, anche la produzione è esattamente quello che avevamo in mente.

iye La cover del brano “Mad World” (che, ricordo, fa parte della colonna sonora del film Donnie Darko), è un
brano eccezionale, molto vicino alle sonorità dei Dark Tranquillity epoca “Projector”. Da dove è scaturita
una scelta così atipica?

Molte band inseriscono nei loro repertori delle cover, sia dal vivo che in studio, ma personalmente ho capito col tempo che non sono un ottimo esecutore di cose altrui, motivo per il quale non ho mai avuto una cover band, ho sempre pensato che arrangiare metal un brano di tutt’altro genere sarebbe stata l’unica scelta funzionale.
La ricerca è stata una cosa strana, avevo chiaro in mente come sarebbe stato il risultato finale prima ancora di scegliere il pezzo, per cui dovevo trovare un brano che avesse i requisiti giusti per portarmi a quelle sonorità. Questo mi ha estremamente ridimensionato le alternative, mi ha reso la scelta più lunga e complicata ma contemporaneamente non avrei avuto modo di sbagliare, era solo questione di tempo e il pezzo prima o poi sarebbe passato davanti alle mie orecchie che l’avrebbero sicuramente riconosciuto, ed ho avuto ragione!

blacktherapybig2

iye L’impressione che fornite è di una band matura e dalle potenzialità enormi, ma devo dire che mi ha
colpito molto il lavoro delle due chitarre affidate a te a Daniele Rizzo: ci spieghi quali sono le vostre
modalità di lavoro in studio?

Oggi non è più come un tempo, quando si entrava in studio, si componeva e si incideva lì. Per quella che è la nostra esperienza è necessario entrare in studio con il 99% del disco già pronto.
Prima registriamo il tutto a casa per sentire con calma se suona bene o c’è qualche modifica da fare, poi proviamo in sala e infine siamo pronti per entrare in studio.
Nella fase di registrazione ci limitiamo a riprodurre le parti nel miglior modo possibile seguendo i consigli del nostro fonico Stefano Morabito (Eyeconoclast), poi durante il mix ci divertiamo a scegliere i suoni e i vari effetti, questa è l’unica parte artistica del lavoro!

iye Chi è di voi è il maggior responsabile della scrittura dei brani?

La stesura dei brani è una fase a cui pensiamo esclusivamente io e Daniele, ognuno per conto suo compone dei riff, poi ci incontriamo e amalgamiamo il tutto completando prima le due tracce di chitarra e poi gli altri strumenti. A questo punto Alessandro (basso) e Luca (batteria) aggiungono le ultime sfumature alle loro linee e infine Giuseppe (voce) crea le linee vocali e aggiunge le liriche.

iye Il death metal melodico ha perso molta della sua popolarità anche perché le band più famose (a parte i
Dark Tranquillity) hanno virato su sonorità più mainstream, ma è vivo e vegeto nell’underground: che idea
ti sei fatto di questo tipo di svolte, In flames e Soilwork su tutte?

Io penso che ci siano due tipi di band: quelle geniali che hanno la fantasia di inventare qualcosa di nuovo e le altre che poi, alcune differenziando un po’, altre diventando la loro brutta copia, li seguono o si evolvono proseguendo da dove hanno lasciato i primi.
Ultimamente vedo una nuova scintilla all’interno del death metal melodico, è il filone che include Insomnium, Omnium Gatherum, ecc., che, a mio parere, hanno attinto dalle classiche band del ‘95 ma hanno saputo diversificarsi, raccogliere il testimone e portarlo altrove.
Rispetto molto le svolte di In Flames e Soilwork, questi sono due esempi di band geniali che non si sono limitate ad inventare un genere (il melodic death metal), ma anni dopo ne hanno inventato un secondo che non sarà prediletto dagli amanti del primo, me compreso, ma non si può di certo mettere in discussione il loro valore e percorso musicale.

iye Quali sono le tue band preferite? E cosa ascoltate abitualmente in seno ai Black Therapy?

Sono partito dall’heavy e dal thrash (Iron Maiden, Megadeth, Metallica, Testament), poi sono passato al power (Stratovarius, Sonata Arctica, Nightwish), i Children of Bodom sono stati il mio collegamento con il melodic death (Dark Tranquillity, In Flames, Soilwork, At The Gates) e al death classico con i Death su tutti. Ascolto anche molto black, soprattutto quello melodico (Dimmu Borgir, Dissection), ma anche non (Belphegor, Dark Funeral). Ultimamente mi sono appassionato al nuovo filone del melodic death (Insomnium, Omnium Gatherum, Ne Obliviscaris, Flashgod Apocalypse) e al post-depressive-black. Mi piace ascoltare anche la musica classica, il rock’n’roll e il rock settantiano.

iye La scena della capitale è ricca di band di livello assoluto un po’ in tutti i generi del metal estremo, avete
contatti con altri gruppi romani?

E’ ovvio che frequentando la scena abbiamo avuto diversi contatti e scoperto tante band valide, citerei Shores of Null, Eyeconoclast, Lahmia, Ade, Lykaion, Southern Drinkstruction, Lunarsea, Stormlord, Nerodia, Black Motel Six e tante altre!

iye Domanda d’obbligo: cosa ne pensi della scena metal italiana in generale e come vanno per voi le cose in
sede live?

Sappiamo tutti che culturalmente il genere non è molto diffuso rispetto ad altri paesi, oggi viviamo una vita frenetica e purtroppo c’è poco spazio per l’arte e gli hobby in generale, le proposte e le distrazioni sono molteplici e solo chi ha una forte passione riesce a partecipare attivamente alla scena.
Nonostante questo panorama generale, in Italia si sono creati diversi centri in cui spesso passano grandi tour e altri dove si possono fare date più piccole ma sempre piacevoli.

iye Chiaramente dopo un ep di questo livello, le aspettative per il nuovo album salgono vertiginosamente,
avete già programmato il successore di “Symptoms …” ?

Sì, abbiamo già del materiale pronto anche se non vogliamo fare cose affrettate e preferiamo curarlo nei minimi dettagli per evitare passi falsi. La linea generale sarà proprio quella sentita nel nuovo EP, ma per ora dobbiamo concentrarci a promuovere questo lavoro in tour, poi ci chiuderemo ad ultimare il nuovo disco. Per ora ci si vede on stage!

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HaatE / Chiral – Where The Mountains Pierce The Nightsky

“Where The Mountains Pierce The Nightsky” è un’operazione decisamente riuscita, che può rivelarsi utile per provare a far conoscere ad ancor più persone questi due progetti guidati da musicisti dotati di una sensibilità compositiva non comune.

HaatE e Chiral sono i progetti solisti di due musicisti italiani che dovrebbero essere già conosciuti a chi si aggira su queste pagine, visto che abbiamo avuto occasione di commentare nei mesi scorsi i loro recenti lavori.

Ben venga, quindi, questo split album che consente in un sol colpo di ascoltare due realtà differenti ma ugualmente contigue, più orientata verso un dark/ambient la prima e catalogabile come black atmosferico la seconda.
Per l’occasione i due sfruttano in parte il materiale già edito: HaatE, infatti, ripropone la splendida Crystal e la prima parte di As The Moon Painted Her Grief, tratte dall’omonimo album, regalando comunque una buona traccia inedita quale The Crystal Pathway, mentre Chiral, di fatto, rielabora in maniera decisamente interessante alcuni dei temi già proposti in “Abisso”, presentandoli in una sola lunga traccia di venti minuti intitolata Everblack Fields of Nightside.
Appare inevitabile, quindi, parlare positivamente di questi due musicisti, sia per la qualità del loro operato, ribadita in quest’occasione, sia per la tenacia e la convinzione con la quale cercano di proporre al pubblico generi musicali sicuramente non per tutte le orecchie .
Per HaatE c’è la conferma di un modus operandi molto vicino a nomi quali Lustre o i Wolves In The Throne Room sperimentali dell’ultimo “Celestite”, mentre Chiral mostra un volto più atmospheric/ambient riducendo di molto rispetto ad “Abisso” la componente estrema del suo sound, quasi in ossequio al compagno di split e, soprattutto, ad un concept che viene ben rappresentato da queste due diverse entità: se la prima parte (HaatE) verte sul viaggio di un essere spirituale, la seconda (Chiral) narra del peregrinare terreno di una creatura mortale ma, per entrambe, nonostante diverse finalità e modalità, la fine del percorso coincide con il termine dell’esistenza.
Where The Mountains Pierce The Nightsky è un’operazione decisamente riuscita, che può rivelarsi utile per provare a far conoscere ad ancor più persone queste due realtà musicali guidate da musicisti dotati di una sensibilità compositiva non comune.

Tracklist:
HaatE
1. The Crystal Pathway
2. Crystal
3. As The Moon Painted Her Grief

Chiral
4. Everblack Fields of Nightside

HAATE – Facebook

CHIRAL – Facebook

Hell In The Club – Devil On My Shoulder

Spettacolare secondo lavoro degli Hell in The Club, super band italiana, con membri di Death SS,Secret Sphere e Elvenking.

E c’è ancora qualcuno che, quando si parla di metal nel nostro paese, arriccia il naso come se lo tsunami di talenti che, fortunatamente, il nostro caro e vecchio stivale può contare, fosse invisibile.

Per chi non avesse avuto il piacere di ascoltare il primo album di questa spettacolare band tutta italiana (“Let The Games Begin”), ricordo che gli Hell In The Club non sono altro che l’unione di musicisti appartenenti a band che hanno dato e danno tuttora lustro alla musica metallica italiana, quali Andrea Buratto al basso (Secret Sphere), Davide Moras alla voce (Elvenking), Federico Pennazzato alle pelli (Death SS, Secret Sphere), più Andrea Piccardi alla chitarra. Progetto? Band a tutti gli effetti? Poco importa, visto che i musicisti si cimentano un genere lontano anni luce da quello proposto con le band di provenienza, dando vita ad un hard rock incandescente, dalla forte impronta street ma, allo stesso tempo, moderno ed enfatizzato da una produzione spettacolare (Simone Mularoni, ovviamente) e dal songwriting stratosferico. Evitate di sedervi per ascoltare disco, intanto non durerete con il fondo schiena appoggiato sul divano per più di un minuto, sotto il bombardamento di questi tredici brani di hard rock stradaiolo tremendamente divertente. La band si diverte e ci fa divertire, puro rock’n’roll da arena, musica da lasciarsi andare e cantare a squarciagola, dimostrazione che, non esistono generi più o meno datati o cool, perché quando il livello della qualità si alza a questi livelli si può solo omaggiare i protagonisti, dal talento mostruoso, da far impallidire sia i mostri sacri degli anni ottanta, che le nuove leve scandinave da cui la band prende spunto per questo ennesimo party album. Dall’opener Bare Hands è un susseguirsi di hit, da far resuscitare cadaveri, che si trasformeranno in zombie affamati al ritmo della sensazionale Beware The Candyman, ultra rock’n’roll da infarto. Ci deve essere per forza lo zampino del diavolo, Proud esalta nel suo incedere alla Bon Jovi, le songs si alternano in un grandioso omaggio a quello che è puro divertimento in musica, Whore Paint, Pole Dancer consacrano la band e questo lavoro come uno dei più riusciti in ambito hard rock di quest’anno. Impatto e attitudine, legati insieme da soluzioni geniali, fanno di Devil On My Shoulder una risposta efficace ai sordi che continuano a sostenere che il rock è morto e, anche quando tira il freno e consegna le immancabili ballad (We Are The Ones e Muse), la band regala brividi con due brani da pelle d’oca. Spettacolare ritorno dunque per il quartetto alessandrino, protagonista di questo album che si piazza sul podio delle migliori uscite discografiche nel genere a livello internazionale.

Track list:
01. Bare Hands
02. Devil On My Shoulder
03. Beware Of The Candyman
04. Proud
05. Whore Paint
06. Pole Dancer
07. We Are The Ones
08. Save Me
09. Toxic Love
10. Muse
11. Snowman Six
12. No More Goodbye
13. Night

Line-up:
Andrea “Andy” Buratto – Bass
Federico “Fede” Pennazzato – Drums
Andrea “Picco” Piccardi – Guitars (lead)
Davide “Dave” Moras – Vocals

HELL IN THE CLUB – Facebook

Black Therapy – The Final Outcome

I romani Black Therapy sfornano un Ep clamoroso a base di melodic death metal

Scandinavian melodic death metal: quante realtà , quante band, in tutto il mondo, si avvicinano al genere che più di ogni altro, dalla metà degli anni novanta, ha donato popolarità al metal estremo? Una marea.

Ma quante di queste possono vantarsi d’essere legittimamente eredi a livello di qualità, delle band che di questo genere hanno fatto la storia? Poche.
E se, senza andare a cercare troppo in là, una di queste fosse proprio qui in Italia?
Arrivati al terzo lavoro dopo un demo, “Through This Path” del 2010, ed il full-lenght “Symptoms Of A Common Sickness” dello scorso anno, i romani Black Therapy licenziano questi stupefacenti quattro brani, racchiusi nell’ep The Final Outcome, uno scrigno contenente quattro brani da antologia, esaltanti, devastanti, ultramelodici, ottimamente prodotti e, ovviamente, dal tiro pazzesco.
Mad World è una delle più belle canzoni sentite ultimamente nel genere (cover di un brano presente nella colonna sonora del film “Donnie Darko”), brano spettacolare nel quale un giro di piano ultramelodico accompagna la band sul podio del genere, collocandosi molto vicino ai Dark Tranquillity di “Projector”.
Seguono la pianistica ed emozionante Sunset Of The Truth e l’accoppiata Black Crow / The Final Outcome che manda in visibilio l’ascoltatore di turno grazie alla prova straordinaria della band, che esibisce grandi ritmiche, solos melodici, doppie vocals ad alternare growls alla Stanne e scream, il tutto impregnato di una vena oscura tale da far impallidire la band scandinava.
Quindici minuti di melodic death metal semplicemente perfetto che, se dovessero essere confermati con il prossimo full-length, potrebbero portare la band a raggiungere vette fino a ieri considerate irraggiungibili.

Track list:
1. The Final Outcome
2. Black Crow
3. Mad World
4. Sunset of the Truth

Line-up:
Luca Soldati – Drums
Daniele Rizzo -Guitars
Lorenzo “Kallo” Carlini – Guitars
Giuseppe Massimiliano Di Giorgio – Vocals
Marco Cattaneo – Bass

BLACK THERAPY – Facebook

Black Capricorn – Cult of Black Friars

Chi è alla ricerca di sonorità leccate e iperprodotte passi oltre, i Black Capricorn fanno musica per chi è come loro, e ciò che ne scaturisce è uno dei migliori album italiani dell’anno.

Il terzo album in poco più di 3 anni consacra definitivamente i Black Capricorn come una delle band guida del doom nazionale.

Non era facile riuscire a migliorare il già ottimo “Born Under The Capricorn” e il tutto pareva reso ancor più difficile dal ritorno alla formazione a tre degli esordi, con il solo Kjxu ad occuparsi di voce e chitarra, coadiuvato dall’accompagnamento ritmico delle sorelle Piras. In effetti, la rinuncia alla voce più abrasiva di Matteo Carta poteva comportare qualche scompenso per la band cagliaritana, ma il barbuto leader, pur avendo una tonalità di minore impatto, riesce a fornire una prestazione credibile dietro il microfono, compensata in ogni caso nel migliore dei modi dal suo operato alla chitarra, con la quale sforna riff su riff senza disdegnare anche riuscite digressioni soliste. Rachela e Virginia fanno il loro consueto ottimo lavoro, ma non sono certo le doti tecniche del trio a rendere imperdibile questo lavoro, quanto la capacità di sfornare quasi un’ora di doom dalle ampie sfumature psichedeliche senza che queste divengano preponderanti, con il rischio di attenuare l’impatto più propriamente metallico del sound. Semmai, un mood più lisergico si manifesta soprattutto nel finale, dapprima con lo stoner/grunge al rallentatore di Arcane Sorcerer e poi con la più soffusa traccia conclusiva, To the Shores of Distant Stars, cantata da Rachela. Ma il cuore pulsante dell’album risiede particolarmente in tracce dalla magnifica resa quali la title-track, Hammer Of the Witches, e For The Abyss, e forse ancor più nella parte composta dalle tre tracce strumentali che arrivano una dopo l’altra, con le ritmate Riding the Devil’s Horses e Cat People a fare da ancelle al brano più coinvolgente, la splendida ed evocativa Anima Vagula Blandula, dall’incipit affidato al flauto, a richiamare i Cathederal di “Forest of Equlibrium” per staccarsene subito proseguendo con un arpeggio acustico ed un assolo di vibrante emotività. Come detto, qui non si va alla ricerca di suoni cristallini e virtuosismi assortiti: il trio fa nel migliore dei modi ciò che meglio gli riesce, ovvero proporre un sound che affonda radici profonde nelle origini del genere senza mai scadere nel manierismo; non c’è un solo passaggio inutilmente interlocutorio in Cult of Black Friars, ogni brano possiede una propria definita struttura che si giova dell’essenzialità priva di qualsiasi orpello messa in campo dalla band. Qualche purista troverà probabilmente difetti sparsi qua e là ma, francamente, chi se ne importa, questo è doom, non progmetal, e chi lo ascolta vuole godere di di sonorità plumbee, pastose, distorte e condividere passione e sudore con i musicisti. Chi è alla ricerca di sonorità leccate e iperprodotte passi oltre, i Black Capricorn fanno musica per chi è come loro, e ciò che ne scaturisce è uno dei migliori album italiani dell’anno.

Tracklist:
1. Atomium
2. Cult of Black Friars
3. Hammer of the Witches
4. Riding the Devil’s Horses
5. Animula Vagula Blandula
6. Cat People
7. From the Abyss
8. Arcane Sorcerer
9. To the Shores of Distant Stars

Line-up:
Fabrizio “Kjxu” Monni – voce, chitarra
Virginia Piras – basso
Rachela Piras – batteria, voce (traccia 9)

Guests:
Luca Catapano – chitarra (traccia 3)
Mr. Toro – chitarra (traccia 9)
Alessandra Cornacchia – flauto (traccia 5)

BLACK CAPRICORN – Facebook

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Sedna – Sedna

Questo è un disco che non vi farà stare meglio e non potrà consolarvi mentre state male, è sale sulle ferite, è un dolore lento ed insinuante che vi penetra in profondità senza lasciarvi requie.

Se il nome della band prende spunto da Sedna, dea del mare per gli Inuit, raffigurata nella copertina di questo debutto omonimo, mi piace pensare che ci possa essere in parte anche un rifermento al planetoide di scoperta relativamente recente, al quale è stato attribuito questo stesso nome e che compie un’orbita ellittica attorno al Sole impiegandoci circa 11.000 anni.

La musica dei Sedna, in fondo, ben rappresenta la furia della dea ma si nutre anche dell’inquietudine provocata dalla comparazione tra la nostra limitata permanenza su questo pianeta ed il moto pressoché eterno di tutti i corpi celesti, in quello spazio sterminato che ogni uomo è incapace di immaginare senza restare schiacciato dalla propria insignificanza.
Il black/sludge metal della band romagnola è l’ideale colonna sonora del tormento, del disorientamento, con le sue sfuriate alternate a momenti di calma che sottendono quasi sempre una riesplosione di riff violenti, di urla impietose che vanno ad infrangersi nella nostra incapacità di comprendere tutto ciò che è incommensurabilmente più grande di noi.
Questo è un disco che non vi farà stare meglio e non potrà consolarvi mentre state male, è sale sulle ferite, è un dolore lento ed insinuante che vi penetra in profondità senza lasciarvi requie.
Proprio quando il chiodo conficcato nella carne pare essersi arrestato nel suo tentativo di farsi ulteriore spazio, arriva in Life _ Ritual la voce dell’ospite Stefania Pedretti, sorta di Diamanda Galas portata alle estreme conseguenze, a far ripiombare nella più cupa alienazione anche l’ascoltatore più disincantato.
A parte quest’episodio a sé stante, i tre Sons (Of The Ocean, Of Isolation, Of The Ancients) sono brani di un’intensità difficilmente descrivibile, nei quali le rare aperture melodiche sono l’ultimo vano respiro per chi sta annegando o l’illusoria visione di un’oasi per chi si è perso nel deserto.
Certo, questo genere musicale ad alcuni potrà anche apparire ripetitivo e privo di sbocchi, ma tutto sta nell’avere ben chiaro cosa si vuole ascoltare dalle band alle prese con queste sonorità; per quanto mi riguarda, ciò che propone il trio cesenate con questo suo primo passo su lunga distanza, è esattamente ciò che serve per intraprendere un opprimente viaggio nelle più recondite profondità, che siano queste rappresentate da abissi oceanici oppure da quelle ben più perigliose della psiche umana, poco importa: i Sedna hanno meravigliosamente assolto a questo loro compito.

Tracklist:
1.Sons of the Ocean
2.Sons of Isolation
3.Life _ Ritual
4.Sons of the Ancients

Line-up:
Taio – Drums
Nil – Guitars, Vocals
Elyza – Bass, Vocals

SEDNA – Facebook

Aevum – Impressions-Il Palcoscenico Della Mente

Impressions letteralmente incanta, trattandosi di una vera e propria opera rock/metal, nella quale l’elemento elettrico supporta il suono classico in un un vortice di stili e generi, mantenendo sempre in buona evidenza una componente oscura che trascina l’ascoltatore nel mezzo di un duello all’ultimo sangue tra i vari strumenti e tra le diverse voci.

Un’opera quanto mai ambiziosa, questo viaggio musicale degli Aevum, un affascinante tuffo in atmosfere da “fantasma del palcoscenico”, misteriose come quelle di un vecchio teatro abbandonato, nel quale gli unici abitanti sono gli spettri di un mondo ormai lontano e dimenticato.

Il gruppo nasce in quel di Torino da un’idea della cantante Evelyn Moon e del pianista Richard ai quali, dopo vari avvicendamenti di line-up, si uniscono altri musicisti per formare l’assetto definitivo che consta di ben sette elementi.
Prima di questo album d’esordio, la band ha realizzato due Ep autoprodotti, “Celestial Angels” e “Nova Vita”, rispettivamente nel 2008 e 2012. Impressions letteralmente incanta, trattandosi di una vera e propria opera rock/metal, nella quale l’elemento elettrico supporta il suono classico in un un vortice di stili e generi, mantenendo sempre in buona evidenza una componente oscura che trascina l’ascoltatore nel mezzo di un duello all’ultimo sangue tra i vari strumenti e tra le diverse voci (liriche, teatrali e scream e growl), come se i vari abitanti spettrali si dessero il cambio su un palcoscenico in disuso, per vivere ancora una volta la gloria artistica di un tempo che fu.
L’etichetta gothic sta un po’ stretta a quest’album, perché a mio parere siamo davanti ad un rock sinfonico dalle forti connotazioni dark, ma pur sempre con una precisa impronta operistica, con i brani che si susseguono senza interruzioni, inframmezzati da camei strumentali che chiudono e riaprono lo scontro titanico tra i vari protagonisti del lavoro, che siano essi strumenti o voci poco importa, mantenendo l’attenzione dell’ascoltatore altissima e costringendolo a restare in balia della musica del gruppo per tutta la durata dell’album.
Sono grandiose le parti più metalliche, autentiche cavalcate nelle quali classico e moderno si fondono per regalare attimi di musica esaltante (Lost Soul), se vogliano un po’ sulla scia dei Therion ma, laddove la band svedese, specialmente nei primi album, affiancava il classico al death metal, gli Aevum sono più vicini al symphonic black, sia nelle ritmiche sia nell’uso della voce in scream.
I nove minuti di To Be Or … To Be sono da standing ovation e mi fermo qui, perché questo lavoro è composto da undici movimenti che devono essere solo ascoltati e che, tutti insieme, danno vita ad un capolavoro dal titolo Impressions, album che vola sul podio dei migliori di quest’anno che va a concludersi.

Tracklist:
1. Il palcoscenico della mente
2. Blade’s Kiss
3. Intermezzo
4. The Battle
5. Il lamento della ninfa
6. Impressioni
7. Lost Soul
8. To Be or…to Be
9. Aevum
10. Monsters
11. Adieu à la scène

Line-up:
Matt – Drums
Violet – Bass
Lord of Destruction – Guitars (lead)
Richard – Piano, Vocals (backing), Growls
Evelyn Moon – Vocals (female opera clean )
Ian – Synth and Keyboards
Hydra – Vocals (opera clean and scream)

AEVUM – Facebook

Necroart – Lamma Sabactani

Musica oscura,adulta, i Necroart ci consegnano un album da ascoltare senza riserve, per i fans di Sadness,Samael e My Dying Bride.

Fautori di un metal estremo che negli anni novanta spopolava, i Necroart arrivano al terzo full-length di un percorso artistico iniziato all’alba del nuovo millennio, che li ha portati a licenziare tre demo nei primi quattro anni e due album, “The Opium Visions” nel 2005 e “The Suicidal Elite” nel 2010. Lamma Sabactani punta su un sound più diretto e aggressivo, pur mantenendo le coordinate stilistiche del combo lombardo, votate ad un dark metal doom, a tratti progressivo e dalle sfuriate black, oscuro e malato, una manna per i fan orfani di tali sonorità che, diciamolo, ridicolizzano tante gothic band di questi anni, con i loro suoni puliti e dalle belle fanciulle in copertina ma, in quanto ad attitudine, neanche paragonabili a gruppi come i Necroart.

Iniziando dalla copertina, di una semplicità pari ad un impatto blasfemo disarmante, la band vomita suoni oscuri e voci malate dall’impatto dark e scream di matrice black che si rincorrono su tutto l’album, le melodie toccano emozioni ormai sopite, travolte dai suoni bombastici di questi ultimi anni, come solo le grandi band di metà anni novanta sapevano regalare, ancora influenzate dal dark ottantiano e dal doom/death. E’ un piacere riscoprire tra i solchi della title-track, di Agnus Dei, di Redemption, echi dei Sadness di “Ames De Marbre” e “Danteferno”, il dark doom dei My Dying Bride e le sfuriate black dei primi Samael; teatrali e malvagiamente neri come la pece, i brani di questo album conquistano fin da subito, anche per una vena progressive che rende il tutto molto maturo. Con la loro musica oscura e adulta, i Necroart non scherzano e ci consegnano un lavoro da ascoltare e far vostro senza riserve, degni eredi di un modo di suonare musica estrema che continua ad affascinare, in barba alle mode dettate dalle regole del mainstream!

Tracklist:
1. Lamma Sabactani
2. Magma Flows
3. The Demiurge
4. Agnus Dei
5. Redemption
6. Joining the Maelstrom
7. Stabat mater
8. Of Ghouls, Maggots and Werewolves
9. Cyanide and Mephisto

Line-up:
Francesco Volpini – Bass
Marco Binda -Drums
Filippo Galbusera – Guitars
Davide Zampa – Guitars
Davide Quaroni – Keyboards
Massimo Finotello – Vocals

NECROART – Facebook

Midnight Sin – Sex First

“Sex First” è un altro ottimo esempio di come l’hard rock dai suoni sleazy stia tornando a far danni.

Dopo la fine degli anni d’oro ottantiani, l’hard rock dall’impronta street e glam aveva perso appeal nel mercato discografico, sostituito dal successo mondiale del grunge e dei suoni alternative.

Relegato nel sottobosco dell’underground, il genere ha cominciato a risalire la china già da un pò di anni, grazie alle sferzate rock’n’roll provenienti dal nordeuropa, che non hanno lasciato indifferenti né i paesi a sud del vecchio continente né gli Stati Uniti. Vero è che molte delle band storiche votate ai suoni del Sunset Strip si sono lanciate in reunion più o meno riuscite, trascinando agli onori della cronaca anche le nuove leve. I Midnight Sin arrivano all’esordio sotto l’ala della Bakerteam con questo divertente Sex First, che percorre la strada già intrapresa da ottime band che sono balzate agli onori della cronaca negli ultimi tempi (Steel Panthers), con questo riuscito esempio di street/sleazy grintoso e dai riff metallici graffianti che faranno la gioia di chi ancora si diverte con l’hard rock da party, selvaggio e mai domo, e dall’attitudine dannatamente rock’n’roll. Suonato davvero bene dai cinque ragazzacci italiani, Sex First si rivela a tratti esaltante, grazie a songs che entrano in testa al primo ascolto e che ci costringono a trattenerci dal saltare come grilli tra le mura domestiche in piena trance da festa, totalmente sopraffatti dalla carica che la band immette in dosi massicce in brani come l’opener Midnight Revolution, squarciata da ottimi riff metallici e trascinante come un fiume in piena, ‘Till It’s All Gone Away, Rise And Yell e 2 Words, brani dall’impatto debordante e veri inni al rock’n’roll iper vitaminizzato. Non mancano momenti da lacrimucce, avvinghiati alla metal girl d’ordinanza, con le classiche ballad che stemperano il clima selvaggio dell’album e ci fanno riprendere fiato (You Piss Me Off e la conclusiva Sweet Pain). Sex First è un altro ottimo esempio di come il genere stia tornando a far danni, noi non possiamo che rallegrarci di ciò e premere per l’ennesima volta il tasto play del nostro lettore, rituffandoci nel party organizzato per noi dai Midnight Sin.

Tracklist:
1. Snake Eyes
2. Midnight Revolution
3. Feed Me With Lies
4. No Matter
5. ‘Till It’s All Gone Away
6. You Piss Me Off
7. Rise & Yell
8. Code: 69
9. 2 Words
10. Sweet Pain

Line-up:
Albert Fish – vocals
LeStar – lead guitar
Maurice Flee – rhythm guitar
Acey Guns – bass
Dany Rake – drums

MIDNIGHT SIN – Facebook

Plateau Sigma – The True Shape Of Eskatos

Questi ventimigliesi hanno una superiore capacità di comporre e stanno crescendo moltissimo da un disco all’altro.

A stretto giro di posta tornano i liguri Plateau Sigma con i loro doom che aveva impressionato positivamente già nel 2013 con “White Wings Of Nightmares”

Il loro secondo disco si addentra ancora di più nell’antro dell’umana disperazione, ovvero la nostra vita, girando il coltello nella piaga: The True Shape Of Eskatos è un disco molto bello, lungo e seducente in maniera tossica
Le composizioni sono lente ma non claustrofobiche e l’incedere è epico e di grande effetto; le voci di Manuel e Francesco si fondono mirabilmente e, in The River 1917, Efthimis Karadimas dei Nightfall compare alla voce offrendoci una grande prova.
Il disco, rispetto all’esordio, che già era un bel pezzo di inferno, è prodotto meglio ed i suoni appaiono maggiormente definiti e ulteriormente appesantiti, mostrandosi più monolitici e forti.
I Plateau Sigma sono uno dei migliori gruppi doom metal in circolazione non solo in Italia: questi ventimigliesi hanno una superiore capacità di comporre e stanno crescendo moltissimo da un disco all’altro.
In The True Shape Of Eskatos siamo sempre in territori doom ma, a mio avviso, questo lavoro è più pesante del primo che era più invece più orientato verso il lato classico.
Chi apprezza la lentezza e la pesantezza fatte a regola d’arte, qui troverà un gran disco, e non serve essere americani.
A Ventimiglia fanno un grande doom.

Tracklist:
1. The Initiation
2. Satyriasis and the Autumn Ends
3. Stalingrad
4. Ordinis Supernova Sex Horarum
5. The River 1917
6. Angst
7. Amber Eyes

Line-up:
Nino Zuppardo – Drums
Manuel Vicari – Guitars, Vocals
Francesco Genduso – Guitars, Vocals
Maurizio Avena – Bass

PLATEAU SIGMA – Facebook

Dominhate – Towards The Light

Ottimo esordio per i Dominhate: il loro “Towards the Light” sorprende rivelandosi un ottimo esempio di puro death metal.

Continuano imperterrite ad affiorare in tutto il mondo realtà dedite al puro death metal sound senza compromessi: i semi sono gettati dalle band che infiammarono gli anni novanta, quando il genere ere al massimo della popolarità, e che sono arrivate al nuovo millennio ancora cariche di energia ma, soprattutto, affiancate da notevoli discepoli che portano avanti il verbo con totale devozione al re di tutti i generi estremi.

L’Italia non è da meno, riservandoci praticamente ad ogni uscita piccoli gioielli estremi come questo devastante Towards The Light, album di debutto dei friulani Dominhate. Quaranta minuti scarsi di massacrante death metal imputridito da malsane esalazioni di Morbid Angel e Nile, foriero di dannazione eterna, estremo nella più pura concezione del termine, violentato da scariche adrenaliniche e rallentamenti di quel doom/death alla Asphix che ha fatto scuola. Il gruppo si avvale di una sezione ritmica sugli scudi per tutto l’album (Steve, basso e voce, e Slippy, batteria), con il growl ultra cavernoso di Steve che comanda le danze e che pare uscito direttamente dagli inferi, mentre le chitarre ricamano riff su riff (Alex e Jesus), impossessate dai demoni che via via attraversano il songwriting della band, ribaltato vorticosamente da sferzate d venti freddi provenienti dal mondo dei vari Nile, Morbid Angel, Hate Eternal e dei maestri olandesi. Dopo un’intro dalle gelide atmosfere, l’album entra subito nel vivo con The Light of the Last Legion, dove indiavolate accelerazioni e rallentamenti pregni di pathos evocativo ci danno il benvenuto nel mondo di Towards The Light: di qui in avanti si sale sulla giostra infernale messa in piedi dalla band che, senza tregua e con la sicurezza del gruppo navigato, mitraglia da par suo conquistandoci con la sua efferata violenza sonora. The New Wave of Domination, The First Seed (dall’intro micidiale), la furiosa Perception, King without Crown elargiscono tremende bordate estreme, sempre con una naturalezza che sorprende per un combo al primo passo su lunga distanza. Questo dei Dominhate si rivela uno dei debutti più riusciti nel genere da un po’ di mesi a questa parte, tralasciando completamente sonorità modaiole e facendo propria l’attitudine e l’impatto delle band regine del death metal.

Tracklist:
1. Towards the Light
2. The Light of the Last Legion
3. In the Principle the Great Sleep
4. The New Wave of Domination 03:30
5. The Essence of the Choice
6. The First Seed
7. Obscure the Call of Salvation
8. Perception
9. King without Crown

Line-up:
Steve – Bass, Vocals
Slippy – Drums
Alex – Guitars
Jesus – Guitars

DOMINHATE – Facebook