Epica – The Holographic Principle

Una perfezione raggiunta passo dopo passo, album dopo album in un crescendo artistico che ha portato il gruppo a questo capolavoro.

Ecco il classico album che, ammettiamolo, mette in difficoltà chiunque si approcci all’ascolto con mire di giudizio da scrivere su di una pagina cartacea o quella virtuale di una webzine.

Non mancheranno le (a mio modo di vedere) scontate track by track e pure qualche giudizio non troppo positivo, rimane, sempre per il sottoscritto ovviamente, il sentore di essere al cospetto del disco symphonic metal definitivo, quello che in altre ere musicali, meno soggette all’usa e getta ormai abituale anche nel metal, si sarebbe posato sul gradino più alto del genere come esempio fulgido e spettacolare e ci sarebbe rimasto per sempre.
The Holographic Principle è un monumentale lavoro di settanta minuti, con il quale gli Epica sono andati oltre le più rosee aspettative: d’altronde, che la band della splendida sirena Simone Simons e dell’ex After Forever Marc Jansen avesse qualcosa in più lo si era capito già dai primi lavori, mantenendo un’ottima qualità in tutti gli album precedenti e alzando l’asticella ad ogni prova, fino ad arrivare al punto più alto, non solo della loro musica ma, probabilmente di tutto un genere.
Prodotto come al solito da Joost van den Broek assieme a Mark Jansen e mixato da Jacob Hansen, la nuova opera del gruppo olandese suscita emozioni, travolgendo con una valanga di note magniloquenti: le sinfonie registrate live dall’orchestra conferiscono un suono caldo, corposo e potente senza mettere in secondo piano le chitarre, anzi, le sei corde sono molto più presenti che sui lavori precedenti, grintose metalliche e affiancate da una sezione ritmica terremotante, così da esplodere all’unisono con la sontuosa parte orchestrale, la splendida voce della singer e chorus che entrano direttamente nell’anima.
I testi, che alternano argomenti terreni con la visione fisica e filosofica di Jansen, possono rappresentare un dettaglio per chi dà importanza solo all’aspetto musicale, ma nel contesto dell’album tutto appare perfettamente in equilibrio, una perfezione raggiunta passo dopo passo, album dopo album in un crescendo artistico che ha portato il gruppo a questo capolavoro.
La tradizione olandese che nel genere ha i suoi natali nei primi anni novanta, quando la scena dei Paesi Bassi sfornò le prime avvisaglie di quello che sarebbe diventato uno dei generi più amati dai fans, ha influito non poco sulla crescita degli Epica e non è un caso se ora incoroniamo proprio un gruppo di quelle parti come campione del metal sinfonico.
Se volete dei titoli di riferimento, questa volta lascio che sia The Holographic Principle a mostrarvi i suoi tesori, sappiate che siamo nella perfezione assoluta.
Disco dell’anno e tanti saluti dall’olimpo dove risiedono i grandi.

TRACKLIST
1. Eidola
2. Edge Of The Blade
3. A Phantasmic Parade
4. Universal Death Squad
5. Divide And Conquer
6. Beyond The Matrix
7. Once Upon A Nightmare
8. The Cosmic Algorithm
9. Ascension – Dream State Armageddon
10. Dancing In A Hurricane
11. Tear Down Your Walls
12. The Holographic Principle – A Profund Understanding Of Reality

LINE-UP
Mark Jansen – Guitars, Vocals
Coen Janssen – Keyboards
Simone Simons – Vocals
Ariën van Weesenbeek – Drums, Vocals
Isaac Delahaye -Guitars, Vocals
Rob van der Loo -Bass

EPICA – Facebook

Créatures – Le Noir Village

L’operato dei Creatures va assaporato come una vera e propria rappresentazione teatrale, per coglierne più efficacemente l’essenza.

Dopo alcuni anni di gestazione prende corpo il progetto solista di Sparda, i Créatures: il musicista francese, per questa sua prima uscita ufficiale, mette in scena un lavoro ambizioso ed articolato.

Le Noir Village è un concept album che narra di nefasti avvenimenti verificatisi nel corso del XII secolo in uno sperduto paesino, teatro delle efferate gesta di entità mostruose e di piccole grandi tragedie che vanno a sconvolgere la comunità.
La colonna sonora di un simile lavoro non può che essere un metal dalle connotazioni orrorifiche, che attinge a livello attitudinale a nomi quali King Diamond e Death SS, ma reso in maniera piuttosto personale grazie ad una componente black che rende ancor più dinamico il sound.
I rischi di rilasciare un’opera pomposa e frammentaria erano molti, ma Sparda sfugge abilmente a questa trappola grazie ad un buon songwriting, sempre volto alla costante ricerca della forma canzone nonostante la connotazione quasi teatrale del lavoro, conferita dalla presenza di diversi ospiti ai quali, proprio come in una rappresentazione, sono state affidate le parti vocali corrispondenti ai diversi personaggi che, di volta in volta, si ergono a protagonisti del racconto.
Le Noir Village scorre via, quindi, convincente in tutte le sue parti, avvalendosi anche di testi decisamente belli, spesso toccanti e comunque mai banali, con il solo difetto della stesura in lingua madre, il che rende sicuramente più semplice a Sparda tessere in maniera efficace la trama ma complicandone la comprensione immediata a quegli ascoltatori privi di dimestichezza con il francese.
Poco male, comunque, un pò’ perché non è difficile trovare il modo di tradurli in maniera più o meno coerente, e soprattutto perché la buona interpretazione di ciascun cantante alle prese con i diversi carattere riesce a trasmettere compiutamente la gamma di sensazioni che il musicista transalpino ben esprime con il suo lavoro.
Se vogliamo cercare davvero il pelo nell’uovo, non si può fare ameno di notare quanto i prime tre brani siano decisamente miglior dei restanti, che restano comunque di buon livello, senza però raggiungere la drammaticità di L’Horreur des Lunes Pleines e Martyre d’un Tanneur.
Le Noir Village è un disco affascinante ma non semplicissimo da digerire, alla luce delle sue atmosfere che cambiano sovente assecondando l’entrata in scena dei vari personaggi, ed è proprio come una rappresentazione teatrale che, alla fine, l’operato dei Creatures va assaporato per coglierne più efficacemente l’essenza.

Tracklist:
1- L’Horreur des Lunes Pleines
2- Cadavre abandonné
3- Martyre d’un Tanneur
4- À l’orée du Mal, le Pacte interdit
5- Il était un Monstre assoiffé de Cœur
6- Sous le Visage avenant de la Mort

Line-up:
Sparda – concept, composition, writing, recording guitars, bass, piano, organ, ocarina, dung chen, singing bowls, gong, interpretations of Lothar, celestial choirs

Guests:
Ehrryk (Gotholocaust) – battery
Sha’Ilùm (Ê) – Zarb, daf, dap, udu, darbuka
Cam.L – cello
LeksyK – violin
Hyvermor (Hanternoz) – Grimoald interpretation, writing support, medieval expertise
Lazareth (Ordo Blasphemus) – interpretation of the angel, trumpets
Josie Frost (Black Knight Symfonia) – interpretation of Eleanor
Arnev (Aezh Morvarc’h) – interpretation of Roderic
Oz (Electric Age) – interpretation of the Vampire
Geraud de Verenhe (Borgia) – interpretation of the Priest
Lokaeda (Hanternoz) – interpretation of Alaric
Haement – interpretation of Demon, guitar solo on « À l’orée du Mal, le Pacte interdit »
Aliunde (Grylle) – interpretation of Theodora

CREATURES – Facebook

Crystalmoors – The Mountain Will Forgive Us

I Crystalmoors hanno voluto offrire qualcosa in più rispetto ad un buonissimo e classico album, inserendo un secondo cd contenete le versioni folk di brani nuovi e vecchi

Non è così scontato imbattersi in band capaci di rendere in maniera così fluida e credibile la fusione tra la materia metal e quella folk: i cantabrici Crystalmoors ci riescono brillantemente con questo loro terzo full length intitolato The Mountain Will Forgive Us.

La band ha una genesi risalente ancora al secolo scorso ma il primo album su lunga distanza ha visto la luce nel 2008; a cinque anni dal precedente Circle of the Five Serpents, il gruppo di Santander presenta la propria personale interpretazione del pagan black metal che risulta avvincente ed accattivante, grazie alla dote non comune di costruire brani piuttosto aspri ma contenenti quelle linee melodiche che rimandano con decisione alla tradizione della musica popolare.
Non va dimenticato neppure che in questa occasione i Crystalmoors hanno voluto offrire qualcosa in più rispetto ad un buonissimo e classico album, inserendo un secondo cd contenete le versioni folk (ovvero scremate dalle loro componente metallica) di brani nuovi e vecchi; difficile quindi che gli appassionati al genere non possano apprezzare una simile scelta, in grado di accontentare tutti, al di là delle singole propensioni verso l’uno o l’altro genere.
La prima parte, intitolata The Sap That Feed Us, è fatta di nove brani di buona fattura, intensi e piuttosto diretti, tra i quali spicca l’anthemica Over The Same Land, tipica canzone capace di trascinare il pubblico in sede live, ma ottime sono anche Devotio Iberica e la più complessa When The Caves Spoke.
Il secondo cd, intitolato La Montaña, mostra il lato folk della band spagnola che, nonostante il ricorso a strumenti per lo più acustici, non rinuncia alle harsh vocals di Uruksoth Lavín, il che stende sul sound una patina ugualmente oscura, così come avviene nel cd, per così dire, più canonico. Nello specifico, come detto, vengono riproposte versioni di brani del passato, oltre ad una Over The Same Land sempre efficace anche nella sua nuova veste, tra le quali brilla di luce particolare la terna finale Greyland Lábaro, Crown of Wolves e Nabia Orebia.
Insomma, The Mountain Will Forgive Us si rivela un lavoro esaustivo e completo che, da un lato, rafforza lo status già soddisfacente raggiunto dai Crystalmoors con le precedenti opere, e dall’ altro ne fa emergere le doti di band capace di manipolare con disinvoltura la materia pagan folk black.

Tracklist:
CD 1: ‘The Mountain Will Forgive Us’
1. Memories
2. Devotio Ibérica
3. Over The Same Land
4. The Mountain
5. A Last Breath Of Peace
6. The Oldest One
7. The Eye Of The Tyrant
8. When The Caves Spoke
9. A Man Under Wolfskin

CD2: La Montaña
10. Over The Same Land (folk version)
11. The Mountain (folk version)
12. Defendiendo Amaia (folk version)
13. Since Old Times (folk version)
14. The Mountain Will Forgive Us (folk version)
15. Greyland Lábaro (folk version)
16. Crown of Wolves (folk version)
17. Nabia Orebia (folk version)

Line-up:
Uruksoth Lavín: vocals
Faramir: guitars, whistle, melodic vocals, bagpipes
Abathor: guitars, chorus
Thorgen: fretless bass, melodic vocals, chorus
Aernus: keyboards & samples, whistle, chorus
Gharador: drums & percussion

CRYSTLAMOORS – Facebook

Atom – Spectra

Rispetto ad altri progetti di stampo simile, Atom mantiene ben salde le radici nel black metal, genere che viene sviscerato un po’ in tutte le sue sfumature

Per la one man band Atom, l’ep Spectra arriva due anni dopo Horizons, un buon full length del quale avevo avuto l’occasione di parlare su IYE.

Rispetto a quel lavoro le coordinate stilistiche non cambiamo ma, semmai, vedono una valorizzazione dei loro aspetti migliori: il black metal atmosferico proposto da Fabio, musicista cesenate che è dietro il monicker Atom, è piuttosti diretto non perché banale, ma in quanto raggiunge lo scopo senza indulgere in tentazioni avanguardistiche o sperimentali.
Sia nelle parti più aspre, con le consuete accelerazioni ritmiche, sia in quelle più riflessive, il filo conduttore melodico è sempre in primo piano, rendendo questa mezz’ora scarsa di musica un’altra buona dimostrazione di capacità compositive.
Rispetto ad altri progetti di stampo simile, Atom mantiene comunque ben salde le radici nel black metal, genere che viene sviscerato un po’ in tutte le sue sfumature, operazione che avviene in maniera efficace in Night Sleeper, dove in un lasso di temo relativamente breve scorrono pulsioni depressive, postblack, epic e vocals che spaziano da evocative parti corali a stentorei passaggi pulite per arrivare, poi, al consueto screaming.
Proprio questo, come nel precedente lavoro, continua ad essere un aspetto dolente, rivelandosi di qualità inferiore al contesto strumentale nel quale viene inserito: talvolta viene esasperato in stile DSBM (Spectra), in altri momenti diviene più canonico ma stranamente risulta un po’ troppo effettato e relegato sullo sfondo a livello di produzione (Dasein).
Come in Horizons si rivela molto efficace il lavoro chitarristico nelle sue diverse sembianze, il che impreziosisce un album che denota un ulteriore passo avanti per un progetto in possesso di tutti i crismi per ritagliarsi un minimo di spazio vitale in un settore congestionato come non mai e nel quale, nonostante molti la pensino diversamente, il livello medio si sta decisamente alzando.

Tracklist:
1. Spectra
2. Night Sleeper
3. Dasein

Line-up:
Fabio – Vocals, Guitars, Drum programming

ATOM – Facebook

Lotus Thief – Gramarye

Gramarye è la manifestazione definitiva del talento musicale cristallino esibito dai californiani Lotus Thief.

L’ascolto di dischi di questa portata, composti da gruppi semi sconosciuti, non è solo una bella sorpresa ma costituisce, semmai, uno dei tanti buoni motivi per continuare tentare di scrivere di musica, visto che in caso contrario ben difficilmente avrei potuto imbattermici.

Qualcuno potrà obiettare con ragione che i Lotus Thief sono stati autori di un buonissimo album prima di Gramarye e che, per questo motivo, è strano che fino ad oggi io ne ignorassi l’esistenza, ma non ho alcuna remora ad ammetterlo e faccio, anzi, i complimenti più sinceri a chi li aveva già intercettati in occasione di Rervm; del resto, ciò che importa è quanto contenuto all’interno del disco oggetto della recensione, e parlare del passato di una band (facilmente reperibile in rete anche se ignota fino a quel momento) per lo più rappresenta un modo facile e indolore per allungare il brodo, quando gli argomenti da trattare scarseggiano.
Non è questo il caso, ovviamente, pertanto veniamo al dunque: Gramarye è la manifestazione definitiva del talento musicale cristallino esibito dai californiani Otrebor e Bezaelith, duo rodato ed integrato in quest’occasione dall’apporto di una Iva Toric che arricchisce ancor più i contenuti del lavoro, ridefinendo ancora un volta i confini del metal, un galassia in costante movimento ed espansione alla faccia dei detrattori e dei media italiani più importanti, i quali continuano a contrabbandarlo come una sorta di sub cultura appannaggio di drogati e disadattati.
Se costoro avessero orecchie per sentire forse cambierebbero radicalmente idea nello scoprire la bellezza e la profondità che i Lotus Thief riversano nel loro ultimo disco: Gramarye è un termine che in inglese arcaico stava ad indicare una forma di conoscenza occulta, ed infatti i cinque brani si ricollegano ad altrettante opere letterarie intrise di questa materia, in un viaggio millenario che parte dal Libro dei Morti dell’Antico Egitto per giungere fino all’era contemporanea, con The Book Of Lies di Aleister Crowley.
Un percorso magico ed affascinante, nel corso del quale la musa Bezaelith, sostenuta in più di un passaggio dal controcanto della Toric, ci guida supportata da un tappeto sonoro di inestimabile bellezza, per il quale è decisivo il contributo ritmico e compositivo offerto dal drummer Otrebor. Post black metal, space rock, ambient, dark, molte sono le etichette e le sfumature che si è tentati di affibbiare a queste sonorità: la verità è che nessuna di queste vi aderisce in maniera perfetta: se The Book Of Dead appare l’episodio più robusto e metallico, quindi definibile con più di una buona ragione post black, la più rarefatta Circe (qui il libro in questione è ovviamente l’Odissea) cambia il volto e l’umore del lavoro, mantenendo ugualmente elevata la tensione emotiva e lo spessore melodico.
Non viene meno tutto ciò neppure nelle successive The Book Of Lies, in una più ambientale Salem, dotata di una fase iniziale che crea la giusta attesa nei confronti di apertura graduale, ma sempre in qualche modo trattenuta, fino a giungere alla meravigliosa Idisi, brano memorabile per forza evocativa che, di fatto, arriva a finalizzare quanto preparato dalla canzone precedente.
Gramarye, seppure sia collocabile nello stesso segmento stilistico con una certa approssimazione, rischia seriamente di oscurare per valore un altro bellissimo lavoro come Kodama degli Alcest, anch’essi facenti parte di quella fabbrica inesauribile di tesori musicali meglio conosciuta come Prophecy Productions.

Tracklist:
1.The Book Of The Dead
2.Circe
3.The Book Of Lies
4.Salem
5.Idisi

Line-up:
Bezaelith – bass, synth, guitar, vox
Iva Toric – synth, backing vox
Otrebor – drums

LOTUS THIEF – Facebook

Seputus – Man Does Not Give

Per chi ha voglia di spingersi oltre la brutalità di facciata di certo metal estremo.

Primo album per gli statunitensi Seputus, la cui line-up è composta da tre quarti dei Pyrrhon, band piuttosto quotata e dedita ad un notevole technical death.

Con i Seputus, Stephen Schwegler, Doug Moore ed Erik Malave accentuano ancor più il lato estremo della loro proposta, finendo per offrire una mix frutto della sanguinolenta macinatura di death, grind, black e hardcore: l’esito finale non può che essere una devastante mattanza, che si regge saldamente in piedi grazie alla perizia dei musicisti ed un approccio alla materia che, se si va a guardare oltre alle apparenze, è tutt’altro che scontato.
L’alternanza in stile Brutal Truth di un growl catacombale e di uno screaming acido, morbosi rallentamenti che si avvicendano ad accelerazioni furibonde, il tutto attraversato e disturbato da dissonanze che rendono sicuramente più complessa ma altrettanto interessante la fruizione dei brani, è ciò che viene offerto dai quaranta minuti scarsi di Man Does Not Give, album che non riscrive la storia del metal estremo ma ne offre senza dubbio una visione brutalmente distorta e mai banale.
E’ evidente che tali sfumature sono percepibili e conseguentemente apprezzabili da chi frequenta abitualmente tali territori musicali, perché già per gli adepti del death classico la ricetta dei Seputus potrebbe risultare indigesta. Per quanto mi riguarda, ritengo che l’operato del trio newyorchese sia di assoluto valore e meritevole d’esser tenuto in considerazione da chi ha voglia di spingersi oltre la brutalità di facciata di certo metal estremo.

Tracklist:
1.The Fist That Makes Flesh
2.Downhill Battle
3.Soft Palates Rasp
4.Desperate Reach
5.Top Of The Food Chain
6.Two Great Pale Zeroes
7.Vestigial Tail
8.Attrition Tactics
9.Haruspex Retirement Speech
10.A erfect Gentleman
11.Wetwork Hangover
12.No Mind Will Enshrine Your Name

Line-up:
Stephen Schwegler – Guitars/Drums/Programming
Doug Moore – Lyrics/Vocals
Erik Malave – Bass

SEPUTUS – Facebook

Simulacro – Echi Dall’Abisso

Gli otto Echi vanno ascoltati come un flusso costante di suoni e parole che, alla fine, non può lasciare indifferenti

Ennesimo parto di una scena underground sarda afferente al black metal più misantropico ed introspettivo, i Simulacro costituiscono una parziale novità a livello di modus operandi, in quanto trattasi di una band vera e propria e non di un progetto solista come nella maggior parte dei casi trattati nel recente passato.

Echi Dall’Abisso è il loro secondo lavoro su lunga distanza ed è il primo interamente cantato in lingua italiana: un’ottima scelta, anche perché qui i testi rivestono un ruolo fondamentale nella comprensione dell’opera nel suo insieme.
La ricerca di sé stessi, tramite un travagliato percorso interiore, è l’argomento che viene trattato con un approccio lirico di grande spessore (ne è autore Thaniey, uno dei fondatori della band, che ora riveste un ruolo comunque fondamentale pur occupandosi solo dei testi); l’abisso in cui l’ascoltatore viene catapultato è reso tangibile da un sound costantemente pervaso da una spessa coltre di tensione emotiva, ben assecondata dalle vocals, aspre ma perfettamente intelligibili, di Xul.
Il black dei Simulacro è peculiare, intenso ed essenziale, privo come è di infiocchettature atmosferico-tastieristiche, e questo in fondo costituisce un altro dei punti di forza di un lavoro che avvince ed avvolge, con una negatività di fondo che lascia però aperto più di uno spiraglio di speranza, riferito alla possibilità di approdare alla meta dopo un lungo e tormentato tragitto introspettivo.
Gli otto Echi vanno ascoltati come un flusso costante di suoni e parole che, alla fine, non può lasciare indifferenti: se l’album è ricco di contenuti e di spunti di riflessioni dal punto vista lirico, si manifesta nella sua ruvida bellezza musicale in più di una traccia, tra le quali Eco IV e Eco VII (dove l’inserimento in un simile contesto della voce dell’ospite Gionata “Thorns “ Potenti fa balenare tracce dei mai dimenticati Cultus Sanguine) contengono gli spunti melodici che meglio si imprimono nella mente, mentre Echo VI, scelta come trama sonora per un video di prossima uscita, si avvale di una maggiore complessità e completezza compositiva.
I Simulacro sono l’ennesima testimonianza di un approccio differente alla materia black che, nel nostro paese, sta fornendo con grande continuità frutti prelibati quanto inusuali.

Tracklist:
1.Eco I
2.Eco II
3.Eco III
4.Eco IV
5.Eco V
6.Eco VI
7.Eco VII
8.Eco VIII

Line-up:
Xul – Lead Vocals, Guitars, Programming
Ombra – Bass
Anamnesi – Drums, Backing Vocals

Guests:
Thorns – Lead Vocals on “Eco VII”
Satya Lux Aeterna – Female Choirs

SIMULACRO – Facebook

Recitations – The First Of The Listeners

Partendo da un death black metal molto scandinavo, si dilatano i tempi e la composizione acquisisce un ampio respiro, fondendosi con l’elettronica più malata, fatta di neri droni e di oscuri loop.

The First Of The Listeners è un disco di sperimentazione metallica e non solo. Partendo da un death black metal molto scandinavo, si dilatano i tempi e la composizione acquisisce un ampio respiro, fondendosi con l’elettronica più malata, fatta di neri droni e di oscuri loop.

Pensate al seminale Perdition City degli Ulver, un disco davvero innovatore che ha rotto diversi muri, ecco, siamo in quella direzione, ma con molta più pazzia ed attitudine black metal. Il suono è malato e completo, possente e paranoico, con un’ottima produzione. Questo disco è la dimostrazione che l’elettronica può implementare molto il metal, diventando un altro codice per gridare il disagio. Quattro pezzi sono una giusta durata per questo disco sperimentale che porta il death black ad un altro livello. I componenti di questo gruppo sono tutti noti cospiratori della scena death black underground, che hanno voluto riunirsi in questo progetto per mette a fuoco territori musicali parzialmente inesplorati. Un grande lavoro è dietro questo disco, che è composto molto bene, con una scelta di strumentazione assai adeguata, e conferma che molti musicisti estremi hanno una capacità compositiva eccezionale. A suo modo questo disco è un rito moderno per richiamare antiche divinità, perché vi è un qualcosa di tribale qui dentro, ed questa è la sua essenza più vera. Un gran bel disco di avanguardia.

TRACKLIST
01 The First of the Listeners
02 Tongueskull Sacrament
03 Godspeak Halilu Lija
04 To Voice the Unutterable

SIGNAL REX – Facebook

Darkthrone – Arctic Thunder

Arctic Thunder è un riportare le cose a a casa, in maniera molto divertente e metallica, con tante sorprese sonore.

Recensire un disco dei Darkthrone è poco più di esprimere un’opinione.

Ognuno ha già la sua idea di musica, e poi in particolare ogni metallaro ha la sua idea sui Darktrhone. Io personalmente li amo, anche perché in questi anni seguendo sulla rete Fenriz ho potuto vedere e sentire la sua concezione di metal, e se volete del vero metal rivolgetevi a lui. E’ fondamentale, anche per capire questo ultimo disco dei Darkthrone, la parabola fenriziana in rete. Partendo dal presupposto che Fenriz è il deus ex machina del gruppo, ascoltando Arctic Thunder si possono sentire le influenze di Fenriz e le sue passioni metallare, che poi riconducono alla vera attitudine punk metal, in seguito diventata in una sua accezione il black metal. Qui troviamo pure il black metal, ma non solo. Arctic Thunder è anche speed metal, parti di post metal qui e là, ma soprattutto tonnellate di metal, senza tante menate, solo voglia di ubriacarsi, sentire musica ad alto volume e muovere la testa su è giù. Sicuramente questo ultimo disco è migliore del precedente, che personalmente considero il peggiore della loro discografia, ovvero Underground Resistance. Si può trovare un po’ di tutto, e spesso in trenta secondi si vira dal black metal allo speed metal anni ottanta, ed è tutto molto bello, alla maniera di Fenriz che è forse il più attento e devoto ascoltatore del metal nel mondo. Seguite anche la sua pagina su soundcloud, e ne avrete molte gioie. In definitiva Arctic Thunder è un riportare le cose a a casa, in maniera molto divertente e metallica, con tante sorprese sonore. Ascoltatelo, poi ognuno la pensi come vuole, ma per favore non fate i black metallers duri e puri, che Satana vi prenderebbe a calci in culo.

TRACKLIST
1.Tundra Leach
2.Burial Bliss
3.Boreal Fiends
4.Inbred Vermin
5.Arctic Thunder
6.Throw Me Through The Marshes
7.Deep Lake Tresspass
8.The Wyoming Distance

LINE-UP
Gylve Fenriz Nagell
Ted Skjellum

DARKTHRONE – Facebook

In Aeternum – The Blasphemy Returns

Un buon ep che lascia la speranza su un sospirato ritorno sulla lunga distanza

In bilico (a livello di popolarità) tra l’underground e uno status più consono al livello della propria proposta, gli svedesi In Aeternum hanno da sempre tenuto alta la bandiera del black metal svedese, con quella componente di thrash e melodia che hanno fatto di questo sound uno dei migliori e più conosciuti modi di suonare metal estremo.

Attivo dalla prima metà degli anni novanta, il gruppo di Sandviken ha licenziato solo quattro album, colmando la sua discografia di ep e split, ma la qualità delle uscite è sempre rimasta a mio parere molto alta, come confermato da questo nuovo ep che riprende nel titolo il primo bellissimo album targato 1999, Forever Blasphemy.
The Blasphemy Returns, licenziato per la Pulverised Records infatti riprende nel titolo il primo e famoso album del gruppo, è composto da quattro brani: due tracce inedite, più la nuova versione di Majesty of Fire, brano che apriva quel lavoro e la cover di I Am Elite dei conterranei War.
Siamo scaraventati ancora una volta nel suono che fece fuoco e fiamme nel nord Europa dai primi anni del decennio novantiano, e non poteva essere altrimenti, le quattro songs sono sparate a velocità della luce, premendo il pedale a tavoletta tra attitudine black e partiture thrash come da copione, ed il tutto funziona ancora molto bene.
Le due tracce inedite (Wolfpack e Stench of Victory) non mancano di far danni, devastanti, potenti e dal forte sentore di anticristianità, con la puzza di zolfo che esce copiosa dagli altoparlanti.
Il suono è quello storico, portato alla luce dai Dissection e personalizzato dal gruppo con iniezioni letali di thrash metal slayerano e robuste scudisciate alla Angelcorpse; d’altronde stiamo parlando di un gruppo che il genere lo sa suonare al meglio, confermando che dalle loro parti la fiamma nera è più accesa che mai.
Un buon ep che lascia la speranza su un sospirato ritorno sulla lunga distanza (l’ultimo Dawn of a New Aeon è ormai di undici anni fa).

TRACKLIST
1. Wolfpack
2. Stench of Victory
3. Majesty of Fire (2016 Version)
4. I Am Elite (War cover)

LINE-UP
David “Impious” Larsson – Guitars, Vocals
Perra Karlsson – Drums
Claes “Clabbe”- Ramberg Bass
Joel Lindholm – Guitars (lead)

IN AETERNUM – Facebook

Oniricide – Revenge Of Souls

Un concentrato di sinfonie orchestrali e riff prettamente metal che, fondendosi tra di loro, creano atmosfere e nuovi mondi in cui immergersi.

Gli Oniricide sono una band metal nata e cresciuta a Torino da qualche anno: il loro nuovo album Revenge Of Souls è un concentrato di sinfonie orchestrali e riff prettamente metal che, fondendosi tra di loro, creano atmosfere e nuovi mondi in cui immergersi e restare così sospesi a mezz’aria già dal primo ascolto.

All’interno dei dieci brani è possibile ascoltare, infatti, prog e power metal, il tutto contornato da orchestrazioni sinfoniche, ispirate a musiche dei film e videogiochi, senza dimenticare la notevole influenza della musica classica. Si possono trovare, inoltre, influenze più marginali come il folk di Becoming A Different Man, il pop-rock della ballad The Illusion of The Abyss, per finire nel rock-blues in alcuni assoli di chitarra.
Revenge Of Souls, uscito a febbraio 2016, si presenta come una buona opera che indica ben delineate traiettorie di crescita e che, senza ombra di dubbio, sarà un ottimo antipasto per tutto ciò che verrà dopo.

TRACKLIST
1. Oneiros
2. Revenge of Souls
3. Noxy
4. Vision from the Mirror
5. Gipsy and the Cards
6. A Good Place to Die
7. The Illusion of the Abyss
8. The Beast
9. Mother of Pain
10. Becoming a Different Man

LINE-UP
Luca Liuk Abate – Bass
Daniele Pelliccioni – Drums, Keyboards
Andrea Pelliccioni – Guitars
Mara Cek Cecconato – Vocals

ONIRICIDE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=lZKJlDjb96Y

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Il disco potrebbe essere la colonna sonora di un videogioco.

Il dibattito sull’intelligenza artificiale non è noto al grande pubblico, e qualcosa che molto probabilmente ci comanderà tra qualche umano, vive tra noi.

La progressiva deumanizzazione che ci avvolge ha partorito un disco che è il sogno ad orecchie aperte di ogni metallaro appassionato di colonne sonore dei videogiochi o dell’ 8 bit. Questo sottogenere di un sottogenere è qualcosa di orgogliosamente nerd, ma questo disco è meraviglioso, suona benissimo, con uno spirito punk synth metal davvero notevole. Il disco potrebbe essere la colonna sonora di un videogioco, e Masterboot Record sarà presto autore della colonna sonora di un videogioco cyberpunk della Theta Division Games, software house che regalerà parecchie gioie. La cura musicale messa in questa opera è notevole, e tocca diversi stili come il cyberpunk, ed il new retrowave, rimanendo sempre nell’ambito delle colonne sonore dei videogiochi. Dentro c’è anche tanto metal, quel metal elettronico che rene certi massacri su schermo così speciali, e rilassanti. Questo suono ci porta contemporaneamente nel passato e nel futuro, con quel retrogusto anni ottanta, che soltanto chi ha giocato con un floppy disk può capire. Questo è il futuro passato, un’ombra sul nostro futuro, ed un microchip emozionale dal passato. Ma soprattutto è un disco forte e potente, importante nella sua chiarezza e nella sua tremenda alterità.

TRACKLIST
1.O.SYS
2.MSDOS.SYS
3.XCOPY.EXE
4.CONFIG.SYS
5.AUTOEXEC.BAT
6.COMMAND.COM
7.FORMAT.EXE
8.NWOSHM.TXT
9.BAYAREA.BMP
10.VIRTUAVERSE.GIF

MASTER BOOT RECORD – Facebook

öOoOoOoOoOo – Samen

Un lavoro al quale l’appellativo di caleidoscopico sta persino stretto, per cui non resta che mettersi in testa le cuffie e provare a seguire, per quanto possibile, un percorso che non conosce un solo metro in rettilineo

L’iniziale colpo di genio da parte di questa band è riservato a solutori più che abili … che diamine di monicker potrà mai essere öOoOoOoOoOo, ci si chiede al primo impatto ?

Vabbé, poi dalle note biografiche scopri che una tale sfilza di O va pronunciata Chenille, che in francese significa bruco, e la lampadina improvvisamente si accende: cos’è infine öOoOoOoOoOo se non una buffa rappresentazione grafica del peloso insetto, realizzata utilizzando i caratteri disponibili sulla tastiera di un PC ?
La sensazione di avere a che fare con un a masnada di pazzoidi, sulla falsariga dei connazionali 6:33, si fa così strada ancor prima di iniziare l’ascolto, cosicché Rules Of The Show non impiega molto a far comprendere che ci si è preso addirittura per difetto: al confronto, la citata (ed immensa) band di Lille appare quasi un consesso di grigi impiegati del catasto, facendone sembrare la geniale follia un qualcosa di pericolosamente vicino alla normalità.
Gli öOoOoOoOoOo sono tra l’altro solo in due, la cantante Asphodel (attiva anche nella gothic band Penumbra e con saltuarie collaborazioni con miriadi di band, tra le quali i Carnival In Coal, il che ci aiuta a capire qualcosa in più) ed il funambolico polistrumentista Baptiste Bertrand, aiutati dal batterista Aymeric Thomas dei non meno schizoidi Pryapisme, ma in realtà sembrano in una quindicina, tra le molteplici voci e vocine proposte dalla cantante, strumenti di ogni genere che si palesano per un attimo per poi svanire nel nulla, growl minacciosi ed una percussività tentacolare.
Insomma, ce n’è abbastanza per prefigurare il classico quadro di amore od odio nei confronti del duo transalpino, per cui si tratta di decidere da quale delle due parti collocarsi: personalmente tendo ad essere, in maniera paradossale, più allergico all’avanguardismo applicato alla materia estrema mentre sono propenso a guardare favorevolmente esibizioni come queste, che sono sempre rischiosamente in bilico tra la genialità ed il ricorso al TSO.
Parlare di brani in un simile contesto è impresa ardua quanto superflua, tanto è sghembo l’andamento di un lavoro al quale l’appellativo di caleidoscopico sta persino stretto, per cui non resta che mettersi in testa le cuffie e provare a seguire, per quanto possibile, un percorso che non conosce un solo metro in rettilineo: Asphodel è una sorta di entità dai mille volti costantemente cangianti, con Diamanda Galas, Amy Lee, Edith Piaf, Bjork, Paperina (!), il Trio Lescano e chissà quante altre voci femminili evocate per un battito di ciglia o poco più.
Il sound segue questa schizofrenia inarrestabile che trova una parvenza di forma canzone nella sola Purple Tastes Like White, mentre nei restanti brani soul, gothic, symphonic metal, jazz, grind e “post tutto” si alternano e si aggrovigliano fino ad incatenare chiunque abbia voglia e pazienza di arrivare alla fine di Samen.
Già, perché a quel punto la giostra riparte, scoprendo ogni volta passaggi ignorati, perduti o che forse esistono solo nella nostra mente, vallo a sapere, fatto sta che questo lavoro degli öOoOoOoOoOo si rivela una piacevole follia che, non troppo casualmente, giunge dalla Francia e da un’etichetta come la Apathia che sembra aborrire tutto ciò che abbia una parvenza di normalità.
Ovviamente non per tutti, nemmeno per molti, sicuramente consigliato solo a chi non si arrende dopo l’ascolto delle prime stramberie …

Tracklist:
1. Rules Of The Show
2. Fucking Freaking Futile Freddy
3. Meow Meow Frrru
4. No Guts = No Masters
5. Bark City (A Glimpse Of Something)
6. Purple Tastes Like White
7. I Hope You Sleep Well
8. Well-oiled Machine
9. Chairleg Thesis
10. Fumigène
11. LVI
12. Hemn Be Rho Die Samen

Line-up:
Asphodel – Vocals, lyrics
Baptiste Bertrand – Guitars, Bass, Vocals,Programming
Aymeric Thomas (session) – Drums

Guests:
Germain Aubert on #11
Raphaël Verguin on #4 #5 #11
Adrien Cailleteau on #7 #8

öOoOoOoOoOo – Facebook

Legion – War Beast

I fratelli Adamo valorizzano con le loro trame chitarristiche i brani, ben interpretati dal cavaliere metallico Ralph Gibbons, singer di razza che gioca con toni cari a Dio e Ian Gillan

Tornano dopo più di dieci anni dall’esordio i Legion, band del New Jersey capitanata dai fratelli Adamo ed alfieri di un heavy metal classico, tra la tradizione europea di gruppi come Rainbow e Dio e quella statunitense U.S. Metal.

Il gruppo aveva già fornito un’ottima prestazione sul primo Shadow of the King, che aveva lasciato una buona impressione agli addetti ai lavori, purtroppo il lungo silenzio ha condizionato non poco la carriera del gruppo in anni in cui si fa fretta a dimenticare, travolti dalle centinaia di uscite mensili ed un approccio alla musica che, anche nel metal, sta prendendo la pericolosa strada dell’usa e getta.
La Pure Steel però non se li è fatta scappare e War Beast può così contare sulla label tedesca, madrina di innumerevoli realtà musicali dai rimandi old school e molto attenta al mercato statunitense.
Come nel primo lavoro, l’ascendente Rainbow è molto presente tra le trame dei brani, a tratti epici, ben assestati su mid tempo potenti ma eleganti e sfiorati da un vento power di estrazione americana che convince non poco.
I fratelli Adamo valorizzano con le loro trame chitarristiche i brani, ben interpretati dal cavaliere metallico Ralph Gibbons, singer di razza che gioca con toni cari a Dio e Ian Gillan, e che dà il suo personale tocco classic alla proposta del gruppo.
Si passa da brani più tirati e aperti da riff metallici di scuola ottantiana (Gypsy Dance), a bellissimi esempi di hard & heavy dove l’arcobaleno più famoso del metal viene glorificato, con Gibbons che si esalta nel capolavoro Bricks of Egypt, brano che sprizza epicità regale, un omaggio neanche troppo velato al grande Ronnie James.
Stand And Fight risulta un brano più diretto rispetto allo standard delle tracce, anche se non manca il refrain epico che riporta l’atmosfera sui lidi già descritti.
Arriviamo alla conclusiva Luna (ballad di genere), senza fatica accompagnati dal sound di questo ottimo gruppo che ripercorre strade storiche senza indugi, riportandoci tra i colori di un arcobaleno difficile da dimenticare, un album di hard & heavy classico sopra le righe, bella sorpresa.

TRACKLIST
1. On The Place Horse
2. Gypsy Dance
3. Bricks Of Egypt
4. When Life And Spirit Divide
5. War Beast
6. Stand And Fight
7. Future Passed
8. Luna

LINE-UP
Ralph Gibbons – vocals
Frank Adamo – guitars
Arthur Maglio – bass
John Soden – drums
Joe Adamo – guitars

LEGION – Facebook

True Werewolf – Death Music

Il black metal è una musica che deve dare fastidio, potendo e dovendo esprimere senza essere costretto o limitato da nulla.

True Werewolf è il progetto solista di black metal marcio di Graf Werewolf, la mente dietro Satanic Warmaster, che qui può dare liberamente sfogo al suo black metal più marcio, satanicamente acido.

Questo disco è uscito originariamente nel 2012, in un momento di pausa del progetto Satanic Warmaster che durante questi anni ha patito qualche problema. Quanto a volte Satanic Warmaster è ortodossia e pulizia, True Werewolf è medioevale marcescenza, come i canali di scolo oche passavano lungo e sopra le strade nelle epoche antiche. Questo disco è una raccolta di tracce originariamente uscite su sette pollici, dieci pollici e raccolte. Possiamo sentirci molto degli anni novanta, soprattutto per quel senso di velocità ed urgenza che ora è difficile trovare suonato in maniera spontanea. Death Music è un documento importante di un certo momento del black metal, del quale ora di solito si trova una mera riproposizione lo fi, che è notevole in ben pochi esemplari. Qui invece il marcio esce spontaneamente come il pus da una ferita, e stride facendo male. In certi momenti è quasi urtante questo black metal, ma è così che deve essere, deve essere fastidioso e malvagio, contro le pose, le mode e la commercializzazione, perché il black metal è questo, una musica che deve dare fastidio, potendo e dovendo esprimere senza essere costretto o limitato da nulla. Come Death Music il black metal deve essere ciò che è, senza mediazioni o giudizi. Qui c’è disagio e dolore, voi cosa cercavate ?

TRACKLIST
1.Vampyric Magick
2.Malevolent Ascension
3.Kreaturen der Nacht
4.Arkut
5.My Journeys Under the Battlemoon
6.The Grandeur of Death’s Palace
7.Bats Crawl from My Tower
8.Buried, Yet Mourning
9.Weeping Lord of the Majestic Plagues
10.In a Dark Dream

TRUE WEREWOLF – Facebook

Usurpress – The Regal Tribe

Una quarantina di minuti a prova di tedio con il suo frullato di death, thrash, black, doom e progressive che si rivela senz’altro appetitoso.

Terza prova su lunga distanza per gli svedesi Usurpress, band sulla scena dall’inizio del decennio con il suo sound che, poggiando su una base death, spazia con una certa disinvoltura lungo tutti i generi del metal estremo.

The Regal Tribe si pone come una prova di grande sostanza in cui gli ammiccamenti melodici sono solo sporadici e, di fatto, resi superflui da una prova di ottimo livello da parte della band di Uppsala.
Proprio questo rende l’operato degli Usurpress tutt’altro che un becero ricorso a tutti i luoghi comuni del metal estremo: i nostri optano per una forma musicale senz’altro poco immediata e con più di un passaggio ricercato (vedi gli strumentali The Halls of Extinction e On a Bed of Straw, tanto per citare due esempi), senza rendere il sound troppo frammentario.
Se un umore fondamentalmente più cupo pare pervadere l’intero album, probabilmente ciò è dovuto anche ai problemi di salute che hanno toccato da vicino membri della band nell’ultimo periodo, portando ad affrontare a livello lirico tematiche di un certo peso specifico e mai banali.
Così il quartetto svedese convince sia quando viaggia ad alta velocità, sia quando rallenta immergendosi con qualcosa più di un piede nel doom (The Mortal Tribes), riuscendo a comunicare efficacemente i contenuti tipici della scuola svedese senza esibirne in maniera didascalica gli standard.
Di sicuro la competenza riguardo al genere non può mancare all’interno di una band che annovera al basso Daniel Ekeroth, valente musicista ma soprattutto autore di diversi libri tra i quali Swedish Death Metal, opera fondamentale per capire l’importanza di tale movimento musicale.
Ma la di là di questa, che resta una mera curiosità, The Regal Tribe si rivela un buonissimo lavoro, grazie ad una quarantina di minuti a prova di tedio con il suo frullato di death, thrash, black, doom e progressive che si rivela senz’altro appetitoso.
Gli Usurpress alla fine sono la classica band che potrebbe reperire estimatori dal background piuttosto differente tra loro, un sinonimo chiaro di versatilità e dono della sintesi.

Tracklist:
1. Beneath the Starless Skies
2. The One They Call the Usurpress
3. Across the Dying Plains
4. The Mortal Tribes
5. The Halls of Extinction
6. Throwing the Gift Away
7. Behold the Forsaken
8. On a Bed of Straw
9. The Sin That Is Mine
10. In the Shadow of the New Gods

Line-up:
Stefan Pettersson – Vocals
Påhl Sundström – Guitars
Daniel Ekeroth – Bass
Calle Andersson – Drums

USURPRESS – Facebook

Satanic Warmaster – Black Metal Kommando / Gas Chamber

Pur essendo esecrabile, Satanic Warmaster è uno dei pochi del giro black metal a non essersi mai compromesso, nemmeno con sé stesso, continuando a rimanere credibile, e questo disco è l’inizio della sua avventura.

Ristampa da parte della finlandese Werewolf Recrods in combutta con la Hellsheadbangers Records.

Questa compilation fu originariamente pubblicata nel 2005, e contiene quello che sarebbe dovuto essere il primo disco del gruppo, Black Metal Kommando, mentre invece la sua prima uscita fu Strenght and Honour. In questi sei tracce si può sentire la dedizione totale di Satanic Warmaster al credo black metal. Questo è puro black metal, non è musica, né lo si deve intendere come tale. Il finlandese non rincorre le mode, le ammazza piuttosto, ed il suo suono è totalmente nero e misantropico. Pur essendo assai controverso, Satanic Warmaster è uno dei pilastri del black metal mondiale, con il suo suono grezzo e particolare, al di fuori della media del genere. Innanzitutto la produzione è abbastanza buona e i suoni son distanziati fra loro in sede di missaggio, e ciò porta la voce leggermente in primo piano, fatto non usuale per un gruppo black metal classico. In più il ritmo non è quasi mai ai mille all’ora, si predilige la narrazione sonora, pur essendo fedele l’esecuzione ai dettami del black. Il disagio e la misantropia satanica la fanno da padrone, radendo al suolo, ma proprio tutto, in nome di un nichilismo che resiste alla furia del tempo e anche a se stesso. Il black metal di Satanic Warmaster non ha età, è il tentativo di resistere al cambiamento intorno, sfornando un black metal intenso e genuinamente arrabbiato. Pur essendo esecrabile, Satanic Warmaster è uno dei pochi del giro black metal a non essersi mai compromesso, nemmeno con sé stesso, continuando a rimanere credibile, e questo disco è l’inizio della sua avventura. Black Metal Kommando si discosta leggermente da quello che poi troveremo in Strenght and Honour, e personalmente lo trovo migliore. I tre pezzi di Gas Chamber fotografano Satanic Warmaster con un taglio maggiormente noise e sperimentale. In questo ep l’inedito è solo uno, mentre gli altri due pezzi sono dei Beherit, gruppo che ha influenzato molto Satanic Warmaster.

TRACKLIST
1.Intro (2005 Remix)
2.Distant Blazing Eye
3.The Burning Eyes of the Werewolf
4.Black Metal Kommando
5.Wolves of Blood and Iron
6.Raging Winter
7.Macht & Ehre
8.The Blood of Our Fathers
9.D.S.O. 2000
10.Fish (Beherit cover)
11.Paradise (Part II) (Beherit cover)
12.The Seventh Oath of Demonomancy

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Enoid – Exilé aux confins des tourments

Molto interessante il progetto in questione con un album che risulta uno dei più riusciti nel genere quest’anno

Tra i monti innevati della vicina Svizzera non manca certo la voglia di suonare metal, d’altronde non sono pochi i gruppi che hanno dato il loro contributo alla causa metallica e che sono ormai considerati storici (due su tutti Celtic Frost e Samael) specialmente per quanto riguarda le sonorità estreme.

Così non mi meraviglia trovarmi al cospetto di un lavoro molto interessante e ben fatto ad opera di questa one man band chiamata Enoid, entità estrema del polistrumentista Ormenos, attivo con molte band della scena e dal 2005 portatore di morte con una serie di album giunti al cospicuo numero di sei con quest’ultima opera intitolata Exilé aux confins des tourments.
L’album si sviluppa su otto brani di black metal che deve molto alla scena norvegese degli anni novanta, ma un’ottima produzione gli conferisce un mood al passo coi tempi, esempio lampante di come si possa produrre musica vecchia scuola senza risultare per forza obsoleti ed alla lunga inascoltabili.
E’ così che l’album riscopre quelle atmosfere diaboliche e glaciali delle produzioni passate, valorizzandole con un buon songwriting ed un ottimo lavoro in sala.
Il polistrumentista svizzero accende la fiamma nera che risplende in questa raccolta di brani, agguerriti, e devastanti, le ritmiche per lunghi tratti con il pedale dell’acceleratore a tavoletta frenano su ottimi cambi di tempo che infondono alle tracce un’aura oscura.
Lo scream è perfetto, terribile e misantropico, da vero demone delle montagne, mentre l’atmosfera da armageddon della terrificante La lumière disparaît (con tanto di urla di pura disperazione di qualche anima dannata) insieme alla dannazione eterna in musica del piccolo capolavoro Ode à la haine, formano una coppia di brani che vanno a concludere l’album con il botto.
L’album risulta uno dei più riusciti nel genere in questo anno, perciò l’invito ai blacksters a non farselo sfuggire è d’obbligo.

TRACKLIST
1. Je t’arracherai les cieux
2. Ces cicatrices dans mon âme
3. Mangez ma chair, prenez ma douleur
4. La Croix de mon existence
5. Nouveau cycle destructeur
6. Sourire éternel sur mes lèvres
7. La lumière disparaît
8. Ode à la haine

LINE-UP
Ormenos – Drums, Guitars, Vocals

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