Prophets Of The Apocalypse – War Metal

War Metal è un esempio di metal estremo old school che resta confinato ad uno status di nicchia, rivelandosi consigliabile quindi ai soli agli amanti del più nascosto sottobosco metallico.

I Prophets Of The Apocalypse sono una one man band americana proveniente dal Tennessee, una creatura death/thrash metal creata da Pete Serro (ex-Strychnine, ex-Beyond Deranged).

Quella dei Prophets Of The Apocalypse è una proposta assolutamente old school ed ultra underground, una dichiarazione di guerra al mondo con otto tracce incentrate su un thrash metal tra Slayer e primi Kreator, potenziato da iniezioni death e qualche spunto black.
L’intro d’ordinanza con le sue armonie semiacustiche crea un crescendo atmosferico che sfocia nella thrashy Battle Eyes, mentre nella lunga Storm The Gates il thrash metal viene accompagnato da sfumature black care all’Abbath solista.
La produzione è in linea con il concept classico del sound, dignitosa nelle parti death/thrash, un po’ troppo piatta nelle fasi in cui la guerriglia black metal si fa più feroce.
Bleed To Death torna su sentieri insanguinati dal thrash metal anni ottanta, Breath risulta un intermezzo atmosferico prima che Step Into Your Mind ci travolga, ultima vera canzone di War Metal, chiuso da Exit Eternity, outro che nulla aggiunge all’economia dall’album.
Il lavoro è un esempio di metal estremo old school che resta confinato ad uno status di nicchia, rivelandosi consigliabile quindi ai soli agli amanti del più nascosto sottobosco metallico.

Tracklist
1.A Prelude to War
2.Battle Eyes
3.Storm the Gates
4.Bleed to Death
5.Breathe
6.Step into Your Mind
7.Exit Eternity

Line-up
Pete Serro – All instruments, Vocals

PROPHETS OF THE APOCALYPSE – Facebook

From Ashes Reborn – Existence Exiled

Il sound offerto è quanto di più classico ci si possa attendere: il quintetto torna alla fonte del melodic death, quindi ci si possono dimenticare partiture folk, prog o ispirate ai suoni del nuovo continente, al limite la band inserisce qualche accelerazione thrash, ma l’atmosfera che si respira è quella degli storici esordi dei primi anni novanta che diedero il via alla propagazione di queste sonorità.

Il melodic death metal di matrice scandinava continua a regalare ottimi lavori per i fans che, fin dai primi anni novanta, sono rimasti legati a questo sottogenere.

Sono passati ormai quasi trent’anni da quando le icone scandinave muovevano i primi passi, idolatrate dagli addetti ai lavori come nuova frontiera del metal e seguite dagli amanti dei suoni estremi, tra un lavoro di death metal classico e uno divorato dalla fiamma nera del black metal.
Nel corso degli anni il melodic death metal ha fagocitato più di un genere e ha dato i natali a gruppi che lo hanno portato in lidi progressivi e folk, senza dimenticare la strada moderna presa e seguita da molti colleghi degli In Flames.
Questa giovane band tedesca chiamata From Ashes Reborn debutta con Existence Exiled, una mezzora di death melodico prodotta in collaborazione con Markus Stock (Empyrium, The Vision Bleak, Sun of the Sleepless) e registrata ai Klangschmiede Studio.
Il sound offerto è quanto di più classico ci si possa attendere: il quintetto torna alla fonte del melodic death, quindi ci si possono dimenticare partiture folk, prog o ispirate ai suoni del nuovo continente, al limite la band inserisce qualche accelerazione thrash, ma l’atmosfera che si respira in brani come Fight For The Light, The Essence Of Emptiness o la title track, è quella degli storici esordi dei primi anni novanta che diedero il via alla propagazione di queste sonorità.
E’ brava la band a risparmiarci clean vocals tanto di moda oggigiorno, aggredendoci invece con brani strutturati sul gran lavoro delle chitarre dall’anima classica, con solos e ritmiche che mantengono una velocità di crociera da ritiro immediato della patente.
Fortunatamente non si viaggia con mezzi a quattro o due ruote, ma con il lettore sempre pronto a spingerci indietro nel tempo, mentre Skydancer dei Dark Tranquillity, A Velvet Creation degli Eucharist o Lunar Strain degli In Flames, come per magia cominciano a brillare di una luce intensa in mezzo alla raccolta di cd in bella mostra vicino al vostro stereo.

Tracklist
01.The Onerous Truth
02.Fight For The Light
03.Follow The Rising
04.The Essence Of Emptiness
05.Infected
06.Existence Exiled
07.Homicidal Rampage
08.The Splendid Path

Line-up
Ronni – Vocals
Dirk – Lead & solo guitar
Sebastian – Rhythm guitar & backing vocals
Tobias – Bass
Thomas – Drums

FROM ASHES REBORN – Facebook

Behemoth – I Loved You At Your Darkest

I Loved You At Your Darkest è un album magnifico, vera arte estrema dall’appeal altissimo anche per chi è solito ad ascolti più melodici, orchestrato a meraviglia, prodotto perfettamente e composto da dieci brani, più intro ed outro, del tutto inattaccabili.

Tornano, a pochi mesi di distanza dal notevole Messe Noire (live che immortalava la band nel tour del precedente capolavoro The Satanist), i Behemoth, probabilmente il più famoso e controverso gruppo estremo attualmente in circolazione.

Nergal oltre ad essere un ottimo musicista e songwriter, è un infallibile manager di sé stesso e del gruppo, tanto che la pubblicazione di questo nuovo I Loved You At Your Darkest è seguita ad un periodo di polemiche e trovate assurdamente geniali che poco hanno a che fare con la musica e molto con il business.
Ma qui siamo su MetalEyes, quindi poco inclini ai pettegolezzi e concentrati su quello che i gruppi hanno da offrire in termini musicali e l’ultimo lavoro dei Behemoth, da questo punto di vista, non delude le aspettative.
Ovviamente Nergal e soci non sono più la black metal band di inizio carriera o quella che di fatto, ha contribuito allo sviluppo del blackened death in tutto il mondo, ma si sono trasformati in una creatura satanicamente gotica, magniloquente e a suo modo teatrale, puntando molto sull’impatto visivo (basti vedere i curatissimi, ultimi video) senza perdere un’oncia dell’attitudine diabolica che ne ha incrementato la fama.
Fin dai primi due singoli e video (God = Dog e la magnifica ed evocativa Bartzabel) si evince che la band ha ormai cambiato registro, limitando rispetto al passato le devastanti accelerazioni di stampo black per avvolgerci in un nero drappo gothic/death, ed il risultato farà sicuramente storcere il naso a molti fans della prima ora, ma ha del clamoroso per la sua resa finale.
I Loved You At Your Darkest è dunque un album magnifico, vera arte estrema dall’appeal altissimo anche per chi è solito ad ascolti più melodici, orchestrato a meraviglia, prodotto perfettamente e composto da dieci brani, più intro ed outro, del tutto inattaccabili.
Nergal, Orion ed Inferno hanno saggiamente optato per un sound di facile presa, almeno per i canoni del genere, creando un sound che unisce a quel poco di blackened death metal rimasto, gothic metal ed atmosfere dark rock in una versione estrema feroce ed orchestrale di Fields Of The Nephilim e Sisters Of Mercy.
I brani non lasciano spazio a indecisioni strutturali, tutto funziona a meraviglia e I Loved You At Your Darkest rappresenta l’ennesimo imperdibile centro di un artista a suo modo geniale.

Tracklist
1. Solve (Intro)
2. Wolves Ov Siberia
3. God = Dog
4. Ecclesia Diabolica Catholica
5. Bartzabel
6. If Crucifixtion Was Not Enough
7. Angelvs XIII
8. Sabbath Mater
9. Havohej Pantocrator
10. Rom 5 8
11. We Are The Next 1000 Years
12. Coagula (Outro)

Line-up
Nergal – Vocals, Guitars
Orion – Bass, Vocals
Inferno – Drums

BEHEMOTH – Facebook

Atomicide – Furious And Untamed

Il sound prodotto sui due lati del disco risulta travolgente, il growl brutale racconta di morte e devastazioni su ritmiche che si rivelano vortici di musica violentissima.

La scena estrema sudamericana è una delle più prolifiche per quanto riguarda l’underground mondiale, pregna com’è di maligna attitudine che non lascia spazio a compromessi e viaggia spedita verso la dannazione eterna.

Il Cile, come gli altri paesi, ha un sottobosco metallico da cui escono mostruose realtà estreme come gli Atomicide, band attiva dalla prima metà del nuovo millennio, un trio di death/thrash metal devastante che torna sul mercato con Furious And Untamed, 7″ rigorosamente in vinile prodotto dalla Iron Bonehead Productions.
La discografia consta di un buon numero di ep, split e demo e di due lavori sulla lunga distanza usciti tra il 2013 ed il 2015 (Spreading The Cult Of Death e Chaos Abomination) per questo trio di musicisti estremi che si cimentano in un massacro sonoro, un vortice di caos in musica, una micidiale e terrificante guerra che porta morte e distruzione, un vento atomico che spazza via uomini e cose e lascia solo apocalittiche visioni intorno a se.
Sono estremamente furiosi i tre deathsters sudamericani, il sound prodotto sui due lati del disco risulta travolgente, il growl brutale racconta di morte e devastazioni su ritmiche che si rivelano vortici di musica violentissima; qualche accenno di frenata è la scusa per affondare il colpo, potente ed imperioso, mentre il caos regna tra le note della title track e di Flagellant Rust.
Morbid Angel, Bolt Thrower e Slayer sono lo spunto primario per descrivere gli scenari di morte e le apocalittiche visioni di cui gli Atomicide sono perfetti cantori: non resta che attendere il prossimo capitolo sulla lunga distanza.

Tracklist
1.Intro/Furious And Untamed
2.Flagellant Rust/Outro

Line-up
Atomized – Bass, Vocals
A.Prophaner – Drums
Deathbringers – Guitars

ATOMICIDE – Facebook

MaYaN – Dhyana

Monumentale e violento, Dhyana incolla l’ascoltatore per oltre un’ora come farebbe un’epica pellicola cinematografica, contraddistinto come sempre da un sound all’insegna di un pesantissimo death/black progressivo.

In un ipotetico derby tra la scena sinfonica scandinava e quella olandese, quella che fino a poco tempo fa poteva essere pronosticata come una facile vittoria nordica, si è trasformata negli ultimi tempi in una partita senza esclusione di colpi, con quella olandese a primeggiare, forte delle prestazioni degli Epica ed ora dei MaYaN che con i primi hanno in comune Mark Jansen, creatore con Jack Driessen (After Forever) di questo straordinario progetto arrivato con Dhyana al terzo lavoro dopo gli ottimi risultati in termini qualitativi ottenuti con Quarterpast (2011) e Antagonise (2014).

Dhyana porta la band su di un altro livello, ed il death metal gotico e sinfonico del gruppo diventa un magniloquente, titanico ed impressionante esempio di musica pesantissima, orchestrale ed debordante.
Assicuratesi le prestazioni dell’orchestra filarmonica di Praga e delle splendide voci di Marcela Bovio (Stream Of Passion) e del soprano Laura Macrì, i due olandesi danno vita ad una magnifica opera estrema, che non indugia nel mostrare il lato sinfonico ed orchestrale della propria musica, e lo amalgama in modo talmente perfetto da risultare la colonna sonora di una battaglia tra gli dei.
Monumentale e violento, Dhyana incolla l’ascoltatore per oltre un’ora come farebbe un’epica pellicola cinematografica, contraddistinto come sempre da un sound all’insegna di un pesantissimo death/black progressivo.
Ovviamente la calma tra le tempeste di note è lasciata alle voci delle due regine di questo mondo fuori dal tempo in cui eleganza e raffinate melodie vanno a braccetto con un metal estremo violento e orchestrale.
Pur apprezzando gli ultimi Nightwish e la scena nata in scia al successo del gruppo finlandese, qui siamo su un altro pianeta, vicino alle ultime esaltanti prove degli Epica soprattutto per l’alta qualità della musica proposta.
Tra death, doom, sinfonie orchestrali, trame gotiche, squarci black e magniloquenti trame operistiche, Dhyana alza ancora di un po’ l’asticella per quanto riguarda il genere con una serie di brani (The Rhythm Of Freedom, Rebirth From Despair, The Illusory Self, Maya (The Veil Of Delusion) che rapiscono, scuotono ed esaltano in un delirio di atmosfere estreme, epiche e progressive da applausi: sicuramente disco dell’anno per quanto riguarda questo tipo di sonorità.

Tracklist
01. The Rhythm of Freedom
02. Tornado of Thoughts (I Don’t Think Therefore I Am)
03. Saints Don’t Die
04. Dhyana
05. Rebirth from Despair
06. The Power Process
07. The Illusory Self
08. Satori
09. Maya (The Veil of Delusion)
10. The Flaming Rage of God
11. Set Me Free

Line-up
Mark Jansen – Vocals (harsh), orchestrations
Jack Driessen – Keys, orchestrations, vocals
Henning Basse – Vocals (clean)
Laura Macrì – Vocals (soprano)
George Oosthoek – Vocals (grunts)
Marcela Bovio – Vocals (female)
Frank Schiphorst – Guitars
Merel Bechtold – Guitars
Roel Käller – Bass
Ariën van Weesenbeek – Drums, vocals

MAYAN – Facebook

Ossuary Anex – Holy Blasphemition

La band di Ufa votata ad un brutal death metal di matrice statunitense offre solo violenza e morte, scaricando male in musica, torturando strumenti, lacerando carni in un delirio di blast beat, rallentamenti quadrati , growl disumano e chitarre urlanti dolore.

Dieci anni sono passati da quando i russi Ossuary Anex hanno iniziato la loro devastante missione.

Attiva dal 2008 infatti, la band nel 2012 esordì con il full length Awakening, per poi tornare sul mercato due anni fa con il secondo lavoro sulla lunga distanza intitolato Mutilation Through Prayer.
Dieci anni festeggiati con un nuovo lavoro, Holy Blasphemition, ep composto da cinque devastanti brani di death metal brutale ed assolutamente vecchia scuola, un massacro senza compromessi che ovviamente ha nell’impatto la sua migliore arma.
Un’atmosfera cavernosa, un sound di matrice statunitense che evoca demoni e angeli morbosi in un contesto brutale, caverne inesplorate dove si respira a fatica e si rintanano orribili creature tenute a bada e poi scatenate da sanguinari sacerdoti del male.
Tutto questo viene espresso senza perdersi in inutili orpelli: la band di Ufa offre solo violenza e morte, scaricando male in musica, torturando strumenti, lacerando carni in un delirio di blast beat, rallentamenti, growl disumano e chitarre urlanti dolore.
Morbid Angel, Suffocation ed Incantation sono i gruppi da considerare come ispiratori per il quartetto russo, brutale e convincente fin dalle prime battute di questo pezzo di granito estremo.

Tracklist
1.Revelation Of The Inquisition
2.Divine Chastisement
3.Blasphemous Apparition
4.Werewolves in Cassocks (re-recorded)
5.Revelation Of The Inquisition (instrumental)

Line-up
Kirill – vocals
Max – guitars
Azamath – bass
Sergey – drums

OSSUARY ANEX – Facebook

Eternal Rot – Cadaverine

Cadaverine è una prova tutt’altro che trascurabile, forte di un’ortodossia stilistica che mai come in questo caso appare inattaccabile quanto gradita.

Cadaverine è il primo album per gli Eternal Rot, autori di un death doom che tiene totalmente fede alla ragione sociale e alla copertina per le sonorità offerte.

I quattro brani, infatti, si snodano lungo una linea di putridume sonoro, con sonorità distorte e ribassate ed un growl degno del brutal più verace; se la varietà sonora latita, come contraltare troviamo una capacità non così scontata di evocare sensazioni quanto mai morbose, rendendo il tutto un prodotto in grado di soddisfare gli amanti di entrambi i generi dai gusti più vintage.
Mayer e Grindak sono due musicisti polacchi (anche se il secondo vive nel Regno Unito) il cui primo e unico parto risale ad un demo datato 2013, prima che i connazionali della Godz Ov War li inserissero nel loro mefitico roster; in mezz’ora scarsa, Cadaverine lascia la sua riprovevole scia di putrefazione senza che il duo molli mai la presa, chiudendo anzi a doppia mandata i cancelli del cimitero che hanno eletto quale loro dimora concettuale.
La formula è per certi versi semplice e ampiamente battuta, ma anche per questo non è affatto scontato renderla avvincente e relativamente appetibile per una cerchia seppure ristretta di ascoltatori.
Parlare dei singoli brani è superfluo, perché dalla prima nota di Undying Desolation fino all’ultima di Slough of Despond gli Eternal Rot ci tengono rinchiusi senza cedimenti o pentimenti nella cripta che hanno creato usando materiale grezzo, ma capace di resistere lungamente all’usura del tempo.
Cadaverine è una prova tutt’altro che trascurabile, forte di un’ortodossia stilistica che mai come in questo caso appare inattaccabile quanto gradita.

Tracklist:
1. Undying Desolation
2. In Their Decaying Eyes
3. Putrid Hallucination
4. Slough of Despond

Line-up:
Mayer – Vocals, Guitars, Bass, Drum programming
Grindak – Vocals, Lyrics

ETERNAL ROT – Facebook

Cast The Stone – Empyrean Atrophy

Il non essere proprio dei novellini fa dei Cast The Stone un esempio assolutamente credibile, lasciando che la passione per il genere unita all’esperienza produca swedish death di altissimo livello.

I deathsters statunitensi Cast The Stone sono attivi dal lontano 2002 come progetto nato dalle menti di Derek Engemann (Scour, ex-Cattle Decapitation), Mark Kloeppel (Misery Index) e Jesse Schobel (Scour).

Il loro unico lavoro Dark Winds Descending fu licenziato nel 2005 e la speranza di rivedere sul mercato estremo un altro album targato Cast The Stone si era affievolita col passare degli anni.
Invece i tre musicisti, accompagnati dall’ottimo vocalist Andrew Huskey e con Dan Swanö alla produzione, tornano con questa mezz’ora di death metal scandinavo che si rifà in toto a quanto fatto dal guru svedese con gli Edge Of Sanity nella prima parte di carriera (Unorthodox, The Spectral Sorrow).
Ovviamente, il non essere proprio dei novellini, fa dei Cast The Stone un esempio assolutamente credibile, lasciando che la passione per il genere unita all’esperienza produca swedish death di altissimo livello.
In mezz’ora scarsa ma intensa, la band americana si lascia indirizzare verso la giusta via dal maestro svedese e ne esce un granitico pezzo di metal estremo scandinavo, rigorosamente marchiato a fuoco dai primi anni novanta, estremo e melodico come nella migliore tradizione.
Ottimo e convincente il growl di Huskey, in effetti simile a quello di Swanö del periodo citato, di gran classe le parti melodiche che ricamano oscure tracce death metal come The Burning Horizon, commovente la somiglianza con i leggendari Sanity nella diretta A Plague Of Light e dura e pura la title track, swedish death di origine controllata.
La cover di JesuSatan, originariamente incisa dagli Infestdead, chiude questo ep assolutamente da archiviare come lavoro old school e genuino tributo ad un genere che continua, malgrado lo scorrere del tempo, a regalare grande musica estrema.

Tracklist
1.As the Dead Lie
2.The Burning Horizon
3.Standing In the Shadows
4.A Plague of Light
5.Empyrean Atrophy
6.Jesusatan (Infestdead cover)

Line-up
Andrew Huskey -vocals
Derek Engemann-bass/vocals
Jesse Schobel-drums
Mark Kloeppel-guitar/vocals

CAST THE STONE – Facebook

Malthusian – Across Deaths

Un album difficile, non aiutato da una produzione che ne soffoca il suono e troppo impegnata a risaltare i bassi, magari anche voluta ed in linea con l’assoluto mood estremo di un sound che alterna (nei momenti più intensi e riusciti) furia death/black e litanie doom.

Un vento freddo e terribile spira da nord, portando con se la musica dei death/blacksters Malthusian, gruppo estremo di Dublino che mette in musica le teorie di Thomas Malthus, sotto la spinta di un metal estremo che risulta un caos primordiale, una tempesta di suoni death metal resi ancora più estremi e caotici da sferzate black metal.

I Malthusian sono un quartetto attivo dal 2012 che ha già espresso il proprio concept con un demo ed un ep uscito tre anni fa (Below the Hengiform).
Con musica e tematiche di difficile digeribilità anche per chi non è nuovo ad ascolti estremi, Across Deaths si sviluppa su cinque brani per quaranta minuti di tsunami musicale, tra brani medio lunghi che raggiungono durate importanti come i dodici minuti abbondanti di Primal Attunement-The Gloom Epoch, cuore di questo lavoro che ci riserva una varietà nel songwriting più accentuata, con atmosfere che rallentano fino a toccare lidi doom/death.
Un album difficile, non aiutato da una produzione che ne soffoca il suono e troppo impegnata a risaltare i bassi, magari anche voluta ed in linea con l’assoluto mood estremo di un sound che alterna (nei momenti più intensi e riusciti) furia death/black e litanie doom.

Tracklist
1. Remnant Fauna
2. Across the Expanse of Nothing
3. Sublunar Hex
4. Primal Attunement – The Gloom Epoch
5. Telluric Tongues (Roaring Into the Earth)

Line-up
PG – Bass, Vocals
JK – Drums
AC – Guitars, Vocals
MB – Guitars, Vocals

MALTHUSIAN – Facebook

Deathcall – Eternal Darkness

Prodotto assolutamente underground e di interesse per i fans accaniti del genere, Eternal Darkness supera abbondantemente la sufficienza e porta così all’attenzione il giovane gruppo di Dunedin.

Le vie del death metal sono infinite e ci portano in Nuova Zelanda per fare la conoscenza dei Deathcall, quartetto di Dunedin con un ep omonimo licenziato nel 2016 e questo full length uscito lo scorso anno dal titolo Eternal Darkness.

Accompagnato da una copertina che ispira fantasie doom, l’album risulta invece un esempio discreto di death metal old school, un macigno estremo che di cimiteriale ha il growl, oscuro e cavernoso (la copertina raffigura una gentil donzella seduta su di una tomba con tanto di teschio tra le mani) e poi tira dritto verso lidi estremi dove velocità e potenza la fanno da padrone.
Qualche accenno di groove nelle ritmiche e tanto death metal ispirato ai primi anni novanta, macabro e composto da una serie di brani che non lasciano soluzioni diverse se non qualche mid tempo a variare una proposta che se convince nei primi brani (l’opener Modified ed Enslaved), alla lunga perde in freschezza, faticando leggermente in dirittura d’arrivo.
Un peccato che si perdona al gruppo neozelandese, comunque da premiare per l’onda d’urto creata da tracce in cui il growl brutale ed animalesco del singer Dean Anderton (anche alla chitarra) ricorda come fonti di ispirazione Macabre e Morbid Angel.
Prodotto assolutamente underground e di interesse per i fans accaniti del genere, Eternal Darkness supera abbondantemente la sufficienza e porta così all’attenzione il giovane gruppo di Dunedin.

Tracklist
1.Modified
2.Imbecile
3.Enslaved
4.Halls Of Assumption
5.Burning hatred
6.Blood And Steel
7.Control
8.Cauldron Of Conspiracy
9.Repercussions
10.Eternal darkness
11.The Widow
12.Wargames

Line-up
Euan anderton – Bass
Shayne Roos – Drums
John Parker – Guitars
Dean Anderton – Vocals, Guitars

DEATHCALL – Facebook

Apophis – Virulent Host

Virulent Host è un’opera di death metal melodico a cui non manca nulla se non la voce, di cui non si sente comunque la mancanza grazie al talento di Cibich nel saper far parlare la sua chitarra, assoluta protagonista nei vari episodi che si susseguono, emozionanti e trascinanti lungo tutta la sua durata.

Ci eravamo occupati degli Apophis lo scorso anno in occasione dell’uscita del primo lavoro, Under A Godless Moon.

Dietro a questo oscuro monicker (Apophis è il dio serpente, divinità che incarna il male e le tenebre nelle credenze dell’antico Egitto) si cela il polistrumentista australiano Aidan Cibich, talentuoso musicista e songwriter che con Virulent Host conferma le ottime impressione suscitate con l’album precedente.
Questo nuovo lavoro è un’opera mastodontica, con più di un’ora di death metal melodico strumentale che non lascia scampo, il dosaggio perfetto di una tecnica strumentale assolutamente ragguardevole, ma concentrata sulla forma canzone: dodici brani medio lunghi, un’attitudine progressiva ben marcata ed una raccolta di brani strutturati come cavalcate metalliche dalle melodie che passano con disinvoltura ad atmosfere epiche, bellissimi intermezzi acustici grazie ad un lavoro chitarristico curato nei minimi dettagli, fanno di Virulent Host un album affascinante, da ascoltare con la dovuta calma ma comunque adatto anche a chi non è in confidenza con gli album strumentali.
In ultima analisi, Virulent Host è un’opera di death metal melodico a cui non manca nulla se non la voce, di cui non si sente comunque la mancanza grazie al talento di Cibich nel saper far parlare la sua chitarra, assoluta protagonista nei vari episodi che si susseguono, emozionanti e trascinanti lungo tutta la sua durata.
Appunto, non fatevi spaventare dalla lunga durata di Virulent Host, il musicista australiano ha creato una raccolta di brani che hanno il pregio di non stancare affatto, tra accelerazioni metalliche, cavalcate in crescendo e trame atmosferiche, ora acustiche, ora levigate da sfumature tastieristiche.
La straordinaria Engulfing Tranquility, Memory Cove e la conclusiva e progressiva Wherein Wolves Die sono tra le più splendenti perle strumentali di questo bellissimo lavoro, assolutamente da non perdere.

Tracklist
1.Sunlight Drowns In Apathy
2.Virulent Host
3.Cyclothymic
4.Beyond Fathomless Depths
5.Memory Cove
6.Seas Of Fervent Wings
7.The Widowmakers 06:06
8.Calignosity
9.Engulfing Tranquility
10.Abandoned Kingdom From The Sky
11.Demons Of Derailment
12.Wherein Wolves Die

Line-up
Aidan Cibich – All instruments

APOPHIS – Facebook

Dakhma – Hamkar Atonement

Questo disco è un’espressione del metal estremo, una della sue facce migliori, nella quale molti generi si incontrano per fare un qualcosa che va oltre la musica e si incontra con la ricerca filosofica e spirituale.

Gli svizzeri Dakhma sono uno di quei pochi gruppi al mondo che fanno per davvero musica rituale, ovvero usano la musica nel suo senso primordiale, quello di accompagnamento ad un rito, un qualcosa che secondo certi codici cambia la realtà intima dell’uomo e dell’ambiente che lo circonda.

Il nome Dakhma vuol dire Torre del Silenzio nella religione zoroastriana: erano torri con uno spazio circolare dove venivano posti i cadaveri per essere mangiati dagli animai selvatici, in una sorta di circolo naturale e perfetto. Il gruppo svizzero fa un death ritual con forti tinte black, in un perfetto bilanciamento di musiche diverse che hanno tutte un loro momento ben specifico. L’argomento principale della loro poetica è la religione zoroastriana che è di davvero difficile spiegazione, anche se ha tratti in comune con quella più diffusa alle nostre latitudini. Per molti anni fu il culto più diffuso in Medio Oriente, e ancora adesso annovera un buon numero di seguaci, tanto per intenderci Freddie Mercury era uno zoroastriano convinto, certo non sulla stessa linea dei Dakhma. Il gruppo di Zurigo è una delle migliori espressioni del death metal totalmente underground contemporaneo, riuscendo benissimo in tutto ciò che vogliono fare. Le loro canzoni sono tutte di ampio respiro, perché lo sviluppo è il fulcro di tutto, anche quando fanno pezzi prettamente death riescono a non ripetersi mai ed hanno un tiro micidiale. Ancor meglio sono poi i pezzi maggiormente votati al ritual, e capita anche che i due brani si mescolino per creare un’atmosfera credibile e molto intensa. Questo disco è un’espressione del metal estremo, una della sue facce migliori, nella quale molti generi si incontrano per fare un qualcosa che va oltre la musica e si incontra con la ricerca filosofica e spirituale. Si rimane stupiti di fronte a tanta potenza e capacità creativa, e soprattutto questo è un disco che riesce ad essere estremo senza assumere pose assurde e senza lanciarsi in esperimenti poco piacevoli. I Dakhma fanno inoltre parte dell’Helunco, aka Helvetc Underground Commitee: come si può leggere sul sito del comitato “… H.U.C. is dedicated to the advancement of grotesque, vile, depraved and putrid audio torment originating from Switzerland …” e lì dentro ci sono gruppi molto interessanti come i Lykaheon e i Despotic Terror Kommando.

Tracklist
1. The Glorious Fall of Ohrmazd (Hail Death, Triumphant)
2. Akhoman (Spill The Blood)
3. Varun (Of Unnatural Lust)
4. Nanghait (Born Of Fire)
5. Spendarmad (Holy Devotion)
6. Gannag Menog (Foul Death, Triumphant)
7. …Of Great Prophets

Line-up
Kerberos – Howls of Druj and Rites of Purification
H.A.T.T. – Thunderstorm of Daeva

DAKHMA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=PRgddctB3-s – Traduci questa pagina

Ashen Fields – Ashen Fields

Inutile fare paragoni con il passato, gli Ashen Fields sono in tutto e per tutto una nuova realtà che si muove sempre nel panorama estremo melodico, ma con un’attenzione particolare per gli arrangiamenti sinfonici ed epici.

Un paio di anni fa, la Genova metallica regalava uno degli esordi più incisivi in campo estremo di quell’anno almeno per quanto riguarda la scena underground tricolore, Fearytales dei genovesi Path Of Sorrow.

La band, dopo molti concerti e tanti complimenti, si separa da tre dei suoi componenti, i chitarristi Davide e Jacopo ed il batterista Alessandro e, di fatto, nel 2017 nascono gli Ashen Fields.
I tre musicisti vengono in seguito raggiunti dal cantante Julio e dal bassista Fabio con i quali registrano i tre brani che vanno a formare questo ep omonimo.
Inutile fare paragoni con il passato, gli Ashen Fields sono in tutto e per tutto una nuova realtà che si muove sempre nel panorama estremo melodico, ma con un’attenzione particolare per gli arrangiamenti sinfonici ed epici, unendo al melodic death metal di matrice scandinava soluzioni symphonic power, in un crescendo di atmosfere epiche e suggestive.
Moonlit Ashes è uno strumentale, che funge da intro ai due brani seguenti, con il quale band riempie di aspettative l’ascoltatore grazie ad orchestrazioni dal sapore cinematografico, prima di entrare nel vivo della proposta con The Darkness That I Command, traccia che evidenzia l’importanza della parte sinfonica nel sound di un quintetto che si muove a suo agio tra soluzioni melodic death e power.
E’ splendida The Gods’ Vessel, epica, magniloquente, efficace sia nella parti orchestrali che in quelle metalliche, con una parte atmosferica che ne eleva tremendamente il tasso suggestivo, prima di accelerare e chiudere al meglio questo primo lavoro targato Ashen Fields.
Tracce di Amon Amarth, Omnium Gatherum, ultimi Nightwish nelle parti orchestrali, ma anche dei leggendari Bal Sagoth, si intravedono nel sound del gruppo genovese, una nuova realtà estrema da seguire con attenzione.

Tracklist
1.Moonlit Ashes
2.The Darkness That I Command
3.The Gods’ Vessel

Line-up
Davide – Guitars
Jacopo – Guitars
Alessandro – Drums
Julio – Vocals
Fabio – Bass

ASHEN FIELDS – Facebook

Aeolian – Silent Witness

Silent Witness sorprende per come gli Aeolian riescano, nella loro ferocia, a mantenere un tasso melodico elevatissimo, pregno di orgogliosa e suggestiva epicità.

Questo straordinario esempio di death metal melodico di matrice scandinava arriva dalla Spagna.

Ebbene sì, anche il sottoscritto per un attimo ha avuto il dubbio che il debutto degli Aeolian, fosse un album perso nel tempo e ritrovato in qualche gelida foresta della penisola scandinava, magari lasciato ai posteri da una delle band nate in quelle terre, prima che il successo portasse in parte via l’atmosfera leggendaria che regnava sui lavori creati nei primi anni novanta.
Invece gli Aeolian sono spagnoli, addirittura originari dell’arcipelago delle Baleari e precisamente di palma di Maiorca, ma il tepore dei venti mediterranei non ha frenato la voglia di metal estremo di origine nordica del quintetto che, con questo magniloquente, melodico ed epico lavoro brucia la concorrenza, almeno per quanto riguarda gli esordi di questo 2018.
Silent Witness è un album magnifico, un’autentica tempesta sonora di death/black melodico, che ricorda quello di una manciata di band storiche, a giudicare dal sound esibito in questi dodici spettacoilari brani: Dark Tranquillity, Naglfar, Dissection, Primi In Flames, Amorphis e Amon Amarth, il festival melodic death per eccellenza riassunto in un unico devastante esempio di metal dalla bellezza che lascia senza fiato.
Silent Witness sorprende per come il gruppo riesca, nella sua ferocia, a mantenere un tasso melodico elevatissimo, pregno di orgogliosa e suggestiva epicità, ben rappresentata dai fuochi pirotecnici che si stagliano nel cielo al suono delle varie tracce tra cui citiamo Chimera, Return Of The Wolf King e Going To Extinction, ma che sono in toto meritevoli di un plauso.
Un album sorprendente e bellissimo, nel genere il debutto più convincente dell’anno.

Tracklist
1.Immensity
2.The End of Ice
3.Chimera
4.My Stripes in Sadness
5.Return of the Wolf King
6.Going to Extinction
7.Elysium
8.Wardens of the Sea
9.The Awakening
10.Black Storm
11.Witness
12.Oryx

Line-up
Daniel Perez – Vocals
Raúl Morán – Guitars
Gabi Escalas – Guitars
Toni Mainez – Bass
Alberto Barrientos – Drums

AEOLIAN – Facebook

Karmian – Surgere et Cadere

Con il proprio death metal duro e puro, offerto accantonando inutili orpelli, i Karmian ci danno dentro come in una sorta di sanguinaria battaglia a suon di metal estremo.

Lo swedish death viene rappresentato al meglio nel debutto sulla lunga distanza dei Karmian, band originaria di Modena attiva addirittura dal 2005 con il monicker di When the Storm Broke, cambiato in quello attuale dopo una serie di vicissitudini riguardanti i tanti cambi di line up e relative ripartenze.

Il primo scossone del gruppo con l’attuale nome risale all’ep Ways Of Death, licenziato dalla band nel 2012, poi ancora cinque anni prima che questo primo lavoro sulla lunga distanza veda la luce.
Surgere Et Cadere è un concept su di un popolo di origine celtica, i Boii, scesi nel nord Italia invadendo la Pianura Padana e conquistando Bologna nel 390 ac, per essere poi sconfitti dall’impero romano dopo eroiche battaglie.
La band racconta queste vicende con il suo death metal di matrice scandinava nel quale, ovviamente, prevale un’atmosfera epica e battagliera, conquistando con il suo approccio senza compromessi.
Con il proprio death metal duro e puro, offerto accantonando inutili orpelli, i Karmian ci danno dentro come in una sorta di sanguinaria battaglia a suon di metal estremo, tra ripartenze furiose, ottimi accenni melodici ed un impatto che ricorda band che con il genere hanno familiarità (Ex Deo).
Il sound di genere non concede alcun tipo di novità o variante, lasciando che sia la tradizione l’ispirazione maggiore di brani convincenti come The Burn, Shadow The Eagle o le notevoli Druids In The Forest e Mutina Capta Est, un crescendo drammatico e degno finale di un album promosso per impatto, attitudine e padronanza dei propri mezzi.

Tracklist
1.They Burn
2.Conquering The Plain
3.Shadows Of The Eagle
4.The Gaul
5.The Alliance
6.Total War
7.Druids In The Forest
8.Sacred Selva
9.Mutina Capta Est

Line-up
Andrea Bertolazzi – Vocals
Andrea Baraldi – Lead Guitar
Mauro Leone – Guitar
Nicholas Badiali – Drums
Gabriele Gabrieli – Bass

KARMIAN – Facebook

Deicide – Overtures of Blasphemy

Dodicesimo album della storica death metal band floridiana, più brutale e tecnica che mai, a cinque anni di distanta dall’ultimo disco.

Tornano a farsi sentire i Deicide, ad un lustro di distanza da In the Minds of Evil, mentre tutto il loro catalogo 1990-2001 è ora in corso di riedizione e mentre sta per essere finalmente ristampato anche quanto fatto dagli Amon, nella loro poco nota ma interessante storia parallela.

Il nuovo disco della creatura del malefico Glenn Benton conferma, di fatto, in termini di sonorità la svolta impressa dopo Legion (1992): grande velocità, blast beats, scenari musicali (e lirici) estremi, produzione stellare e la conferma di quante e quali doti tecniche servano per suonare brutal death, soprattutto oggi. Basta ascoltare, al riguardo, songs come l’opener One With Satan, All That Is Evil, Seal the Tomb Below, il singolo Excommunicated o Crawled From the Shadows. Ma anche la seconda parte del CD, forte di brani quali Anointed in Blood, Defying the Sacred e Flesh Power Dominion non appare di certo da meno. Tutto è molto e volutamente old school – come nel caso degli Slayer, dei Cannibal Corpse, e dei ritrovati Morbid Angel – e la cosa non dispiace affatto. Senza dubbio, qualcuno potrà affermare che senza variazioni questo genere può risultare tedioso e ripetitivo, oppure che questo nuovo disco non aggiunge nulla di nuovo a quanto sinora fatto dai Deicide. In realtà, la band americana dimostra una volta di più integrità e coerenza artistiche. Che cosa si vuole che facciano? Che virino, di colpo, verso altri lidi? Che si rimettano in discussione, a ventotto anni dall’esordio? Sarebbe, a mio avviso, del tutto assurdo. I Deicide continuano a fare quello che meglio sanno fare, da sempre. Ed è per tale motivo che il loro pubblico li ama. Ricordiamo che quando i Morbid Angel si sono spostati verso un sound più industrial, con il controverso e discusso Illud Divinum Insanus, hanno finito soltanto per scontentare tutti: i vecchi fans si sono sentiti traditi e l’attenzione da chi ascolta generi (e suoni) più moderni non è arrivata. Anche per questo i Morbid Angel sono tornati alle origini, con il loro ultimo lavoro. Sono anche queste le ragioni che magari devono avere spinto i Deicide a confermare il loro profilo, sotto ogni punto di vista. Questo è il brutal death metal, di maestri che hanno fatto la storia, ed altro non ha senso chiedere o aspettarsi.

Tracklist
1- One With Satan
2- Crawled From the Shadows
3- Seal the Tomb Below
4- Compliments of Christ
5- All That Is Evil
6- Excommunicated
7- Anointed in Blood
8- Crucified Soul of Salvation
9- Defying the Sacred
10- Consumed By Hatred
11- Flesh, Power, Dominion
12- Destined to Blasphemy

Line up
Glenn Benton – Bass, Vocals
Steve Asheim – Drums
Kevin Quirion – Guitars
Mark English – Guitars

DEICIDE – Facebook

Evilon – Leviathan

Melodic death metal ed inserti folk sono il connubio vincente per gli amanti del genere, in virtù di un sound che in Leviathan risulta travolgente e di una serie di brani che non danno tregua.

La firma per Wormholedeath e gli svedesi Evilon possono partire alla conquista dei cuori guerrieri dei death metallers dai gusti melodici e folk.

La band, fondata tre anni fa dalla coppia di chitarristi Kenneth Evstrand e Jonny Sjödin, si affaccia sul mercato estremo con Leviathan, album di debutto su lunga distanza dopo Shores of Evilon, ep di cinque brani uscito lo scorso anno.
Melodic death metal ed inserti folk sono il connubio vincente per gli amanti del genere, in virtù di un sound che in Leviathan risulta travolgente e di una serie di brani che non danno tregua, pregni di sfumature classiche, solos incisi sui manici delle spade e ritmiche che sono venti che spazzano il mare del nord in tempesta.
L’album ha una partenza fulminea con l’opener Eye Of The Storm e non si ferma più: uno dietro l’altro i brani si susseguono in un mare in burrasca di suoni metallici; a tratti l’anima folk avvolge di epica eleganza le note battagliere di brani trascinanti come la title track o la coppia di gioiellini melodic/folk/death come Sounds Of The Tomb e The King Of The Thousand Suns, con il singer Joel Sundell a radunare le truppe sul ponte del drakkar.
Leviathan risulta un gran bel disco, rappresentando il death metal melodico nella sua forma tradizionale, valorizzato da inserti folk epici e richiamando primi In Flames e Dark Tranquillity, così come Amorphis ed Eluveitie.
Grazie ad un songwriting eccezionale, Leviathan è una raccolta di brani perfetti nella loro natura estrema, melodica e guerriera; gli Evilon sono un gruppo di cui sentiremo sicuramente parlare ancora: ancora un grande colpo in casa Wormholedeath.

Tracklist
1. Eye of the storm
2. Sound of the tombs
3. Leviathan
4. Souldrainer
5. The king of a thousand suns
6. In the shadow of my grief
7. Welcome home
8. The sacred
9. Serpent eye
10. When the leaves are falling

Line-up
Kenneth Evstrand – Guitar/Choir
Jonny Sjödin – Guitar/Choir
Björn Wildjärn – Bass/Choir/Lead-Clean Vocals
Joel Sundell – Lead-Growling Vocals
Anders Hagen – Drums

EVILON – Facebook

Aborted – TerrorVision

Quest’ultimo parto firmato Aborted risulta un mastodontico, granitico e straordinario lavoro presentato perfettamente dalla title track, ma che non cede per tutti i suoi quarantacinque minuti di durata, formando un’opera estrema di livello assoluto, imperdibile.

Uno dei lavori più riusciti ed intensi di questo 2018 in campo death/grind porta la firma dei belgi Aborted, tornati con il decimo album di una discografia di altissima qualità, confermato da questo funambolico TerrorVision.

Il gruppo che, di fatto, ha tutti i crismi di una band internazionale capitanata dal singer Sven de Caluwé, con questo nuovo lavoro ci consegna un capolavoro di musica estrema violentissima, una spettacolare prova di forza sorretta da una tecnica ineccepibile e da un songwriting esaltante.
Caluwè da letteralmente spettacolo con una prestazione al solito varia, personalissima e a tratti davvero mostruosa, ed i suoi compari non sono da meno, invitando l’ascoltatore sull’ottovolante impazzito chiamato TerrorVision.
L’album è una continuo sorpresa, le soluzioni in mano al gruppo sono le più svariate anche nell’arco dello stesso brano, così che a tratti la violenza iconoclasta e l’atmosfera apocalittica passano in secondo piano davanti a tanta perizia, nel passare dal death/grind a soluzioni ritmiche di stampo groove e sferzate black metal, il tutto valorizzato da un approccio tecnico e progressivo di valore assoluto.
Difficile fare dei paragoni con altre realtà, perché nell’album ci si ritrova nel mondo Aborted, già ampiamente messo in evidenza con il precedente e bellissimo Retrogore, uscito un paio di anni fa, ma portato qui ad un livello ancora superiore.
Quest’ultimo parto firmato Aborted risulta un mastodontico, granitico e straordinario lavoro, presentato perfettamente dalla title track, ma che non mostra cedimenti per tutti i suoi quarantacinque minuti di durata, formando un’opera estrema imperdibile e di livello assoluto.

Tracklist
1. Lasciate Ogne Speranza
2. TerrorVision
3. Farewell To The Flesh
4. Vespertine Decay
5. Squalor Opera
6. Visceral Despondency
7. Deep Red
8. Exquisite Covinous Drama
9. Altro Inferno
10. A Whore D’oeuvre Macabre
11. The Final Absolution

Line-up
Sven De Caluwè – Vocals
Mendel Bij De Leij – Guitar
Ian Jekelis – Guitar
Ken Bedene – Drums
Stefano Franceschini – Bass

ABORTED – Facebook

Infuriate – Infuriate

Un buon lavoro, diretto e senza fronzoli, una mazzata death metal old school suonata ottimamente e perfetta da portare live per un massacro promesso ed assolutamente mantenuto.

Gli Infuriate sono un gruppo estremo composto da vecchie conoscenze della scena death metal texana, provenienti da gruppi come Sarcolytic, Sect Of Execration, Images of Violence, ID and Whore Of Bethelem.

Infuriate è composto da nove brani, per mezzora di death metal tempestoso ed assolutamente old school, licenziato dalla Everlasting Spew, e segue il demo uscito un paio di anni fa.
Il sound si sviluppa su coordinate death metal tradizionali: veloce e dall’impatto devastante, l’album mette in mostra la buona tecnica esecutiva dei nostri unita all’esperienza per un risultato interessante.
Assolutamente senza compromessi fin dalle prime battute dell’opener Juggernaut Of Pestilence, Infuriate non lascia scampo tra accelerazioni vertiginose, rallentamenti e devastanti ripartenze: queste sono le armi con cui i quattro deathsters americani procurano battaglia, uno scontro sulle note delle varie Slaughter For Salvation, Only Pain Remains e Matando.
La sezione ritmica è un tornado, Alan Berryman al basso e Sterling Junkin alla batteria sono furie senza controllo, mentre Steven Watkins e Jason Garza (anche al microfono) torturano le loro sei corde che urlano dolore sia in fase ritmica che nei laceranti solos.
Ci si avvicina alla violenza del brutal in certi frangenti, accompagnata da ottime parti in cui affiora l’ottima tecnica esecutiva dei nostri, così che Infuriate riesce a convincere, compatto, estremo e marcissimo.
Un buon lavoro, diretto e senza fronzoli, una mazzata death metal old school suonata ottimamente e perfetta da portare live per un massacro promesso ed assolutamente mantenuto.

Tracklist
1.Juggernaut Of Pestilence
2. Slaughter For Salvation
3.collective Suffering
4.Engastration
5.Only Pain remains
6.Matando
7.Mori Terrae
8.Surrogate
9.Cannibalistic Gluttony

Line-up
Jason Garza – Guitar/Vocals
Steven Watkins – Guitar
Alan Berryman – Bass
Sterling Junkin – Drums

INFURIATE – Facebook