The Doomsday Kingdom – The Doomsday Kingdom

Questo nuovo capitolo della carriera di Leif Edling troverà spazio su molte delle classifiche di fine anno riguardanti il metal dalle sonorità classiche, c’è da scommetterci.

Torna Leif Edling, uno dei maestri indiscussi del doom metal mondiale: archiviata purtroppo la pratica Candlemass (vista la decisione degli altri membri di non pubblicare più nuovo materiale) si ripresenta con questa band nuova di zecca, che aveva fatto parlare di sé già lo scorso anno con la pubblicazione di un ep e ora pronta a sedersi direttamente sul trono del genere con un esordio mastodontico.

Il debutto omonimo su lunga distanza dei The Doomsday Kingdom infatti non lascia scampo: lo storico bassista ha messo in piedi una formazione di tutto rispetto con Andreas Johansson (Narnia, Rob Rock, Royal Hunt) alle pelli, Marcus Jidell degli Avatarium alla sei corde e Niklas Stålvind dei Wolf, straordinario interprete di questa raccolta di perle nere, al microfono.
Una prova sugli scudi di tutti i musicisti, con appunto un vocalist che non fa certo rimpiangere chi lo ha preceduto al fianco dell’immenso bassista svedese, alza non poco l’asticella di questo lavoro che riscuoterà sicuramente elogi ed applausi da parte di fans e addetti ai lavori
Un album di heavy/doom entusiasmante, come non se ne sentiva da tempo, ancora più bello a mio parere del primo gioiello targato Krux, (tanto per rimanere tra i progetti di Edling), proprio perché intriso di quell’heavy metal epico e old school, che ha le sue radici negli anni ottanta e che, unito al doom diventa una potente e devastante arma metallica
Epico, a tratti dannatamente affascinante nel dosare elementi settantiani ed atmosfere new wave of british heavy metal, The Doomsday Kingdom torna a far risplendere la stella del bassista dei Candlemass anche grazie ad un gruppo di musicisti spettacolari tra i quali spicca l’interpretazione fuori concorso di uno Stålvind sontuoso.
Edling si dimostra sempre in grado di scrivere grande musica: l’opener Silent Kingdom irrompe in tutta la sua carica, Never Machine (già apparsa sull’ep insieme a The Sceptre) si conferma come uno dei brani di punta dell’album, A Spoonful Of Darkness è una traccia heavy da antologia e la conclusiva The God Particle, con i suoi nove minuti, ci accompagna stravolti da tanta potenza alla fine di un’opera strepitosa.
Questo nuovo capitolo della carriera di Leif Edling troverà spazio su molte delle classifiche di fine anno riguardanti il metal dalle sonorità classiche, c’è da scommetterci.

TRACKLIST
1. Silent Kingdom
2. The Never Machine
3. A Spoonful Of Darkness
4. See You Tomorrow
5. The Sceptre
6. Hand Of Hell
7. The Silence
8. The God Particle

LINE-UP
Leif Edling – bass
Niklas Stålvind – vocals
Marcus Jidell – guitars
Andreas (Habo) Johansson – drums

THE DOOMSDAY KINGDOM – Facebook

Righteous Vendetta – Cursed

Purtroppo manca quel pizzico in più di estremismo sonoro che avrebbe attirato maggiormente i fans legati al deathcore, ma diamo atto ai Righteous Vendetta che l’uso di soluzioni richiamanti il nu metal di inizio millennio varia quanto basta l’atmosfera dei vari brani.

La ragazza dal cappuccetto rosso, ritratta sulla copertina del nuovo lavoro dei Righteous Vendetta, ci invita ad una camminata nel boschi del Wyoming, intanto con quello sguardo dubito che verremmo infastiditi dagli abitanti della foresta.

Scherzi a parte, tramite Century Media arriva Cursed, il nuovo arrivato in casa Righteous Vendetta, metalcore band statunitense che poco aggiunge al genere se non un ennesimo album di metal moderno, melodico, dai ritmi sincopati e che alterna umori nu metal e melodiche parti con una voce pulita che intona chorus strappalacrime puntati al cuore di ragazzine del nuovo millennio.
Non è neppure poco che il gruppo è in circolazione, siamo arrivati infatti al quarto full length di una carriera iniziata nel 2008, costellata da una discografia che conta pure tre ep.
Con queste premesse ci si aspettava un album capace di colpire nel segno e, sotto il punto di vista commerciale, si può dire che il gruppo abbia centrato l’obiettivo, grazie ad una raccolta di brani ineccepibili sotto il punto di vista della produzione, del suono e dell’appeal.
Purtroppo manca quel pizzico in più di estremismo sonoro che avrebbe attirato maggiormente i fans legati al deathcore, ma diamo atto ai Righteous Vendetta che l’uso di soluzioni richiamanti il nu metal di inizio millennio varia quanto basta l’atmosfera dei vari brani.
Oltre all’ottima Psycho, traccia che non lascia scampo con il suo muro di groove, Cursed qualche buono spunto lo lascia intravedere (la title track, Daemons, la devastante Doomed), ma l’uso smodato delle clean e qualche soluzione ripetuta lungo i brani, non danno all’album quel quid in più per andare oltre una prova più che sufficiente.
L’appeal è comunque buono ed è probabile che l’album faccia sicuramente vittime tra i giovani fruitori del metal moderno.

TRACKLIST
1.War Is Killing Us All
2.Cursed
3.Weight Of The World
4.Daemons
5.A Way Out
6.Defiance
7.Psycho
8.Never Say Never
9.Doomed
10.Burn
11.Halfway
12.Become
13.Strangers

LINE-UP
Ryan Hayes — Vocals
Justin Olmstead — Guitar
Justin Smith — Guitar
Zack Goggins — Drums
Riley Haynie — Bass

RIGHTEOUS VENDETTA – Facebook

Lucifera – Preludio Del Mal

Le canzoni che compongono questa lunga discesa nell’abisso dei Lucifera sono ricche di un’attitudine old school sia per quanto riguarda la parte black, sia quando il gruppo nobilita la propria musica con cavalcate heavy/thrash.

Ecco il classico album che cresce con gli ascolti e mostra, per la gioia dei blacksters dai gusti morbosi ed invasati per occultismo e testi macabri, una band convincente.

Loro sono i Lucifera, provengono dalla Colombia, e sono attivi da una decina d’anni con una discografia piuttosto prolifica: non sono pochi infatti, di questi tempi, sette uscite discografiche tra full length, ep, split, demo e live.
La proposta del gruppo è un black metal d’impatto sorretto da ritmiche thrash e chitarre che, a tratti, si possono tranquillamente definire maideniane per un connubio vincente.
L’album è cantato in lingua madre, ma è sulla musica che va concentrata l’attenzione: il gruppo ha davvero una marcia in più ed un songwriting che ne valorizza le energie, riuscendo nell’impresa di rendere piacevole un lavoro estremo che supera i sessanta minuti.
Bastano un paio di ascolti o magari i primi tre brani di questo Preludio Del Mal per entrare nel mondo oscuro dei Lucifera, dove la strega Alejandra Blasfemia ci accompagna con il suo scream maligno e posseduto in questa realtà fatta di occultismo, diaboliche possessioni e male.
Come accennato, le canzoni che compongono questa lunga discesa nell’abisso dei Lucifera sono pregne di un’attitudine old school sia per quanto riguarda la parte black, sia quando il gruppo nobilita la propria musica con cavalcate heavy/thrash che, a tratti, entusiasmano.
L’opener Esclavos de Dios, Tormentas de Sangre e la conclusiva Blasfemias (undici minuti di raggelante black doom) sono i brani che più colpiscono, ma questo lavoro merita la giusta attenzione nel suo insieme e i Lucifera un applauso per il lavoro svolto.
Se vogliamo trovare un difetto a Preludio Del Mal è forse nella produzione, un dettaglio per un’opera da non perdere assolutamente da parte di un altro gruppo che MetalEyes è felice di proporre ai suoi lettori.

TRACKLIST
1.Esclavos de Dios
2.Los Demonios de Loudun
3.Tiempos Siniestros
4.Alianzas de Acero y Metal
5.Tormentas de Sangre
6.Culto Ancestral
7.A Través de la Muerte
8.Preludio del Mal
9.Leyendas Mortuorias
10.El Señor de las Moscas
11.Letanías Infernales
12.Blasfemias

LINE-UP
David HellRazor – Owner, Guitarist, All Music & Compositions)
Alejandra Blasfemia – Manager, Bass, All Lyrics & Vocals
Acid Witch – Guitar
C. Commander – Drums

LUCIFERA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=pQZc1psXa5w

Revenience – Daedalum

Un debutto sulla lunga distanza che promette bene per il futuro di questa band nostrana: in un genere inflazionato come il gothic metal, i Revenience hanno le carte in regola per ritagliarsi il loro spazio.

Symphonic gothic metal da Bologna con Daedalum, il primo full lenght dei Revenience, quintetto facente parte della grande e varia famiglia Sliptrick Records.

Come tutte le band gothic che si rispettino, anche i Revenience possono contare su una cantante, Debora Ceneri, dall’ottimo talento, personale e bravissima nel variare la sua performance quel tanto che basta per modellare le canzoni regalando loro una propria anima.
Il sound di Daedalum risulta così molto vario ed alterna canzoni gothic metal dal piglio estremo, con tanto di voce in growl (Simone Spolzino) a duettare con la musa, altri eleganti ed elettronici ed altri ancora più sinfonici, ampliando il più possibile il proprio sound.
Le ispirazioni sono molte e di vario genere (si passa con disinvoltura da Edenbridge e Within Temptation ai Lacuna Coil) e l’album ne trae beneficio, convincendo e lasciando intravedere ottime potenzialità grazie ad una manciata di tracce molto intriganti.
Fra queste sicuramente spicca il singolo Shamble, brano dall’enorme appeal, e poi Flail, altro bellissimo esempio di gothic metal sinfonico, fino ad arrivare all’apice di questo Daedalum, l’emozionante Shadows And Silence, sunto della musica del gruppo, tra parti più ariose, potenti ritmiche, solos classici ed una prova sontuosa di Debora Ceneri.
Un debutto sulla lunga distanza che promette bene per il futuro di questa band nostrana: in un genere inflazionato come il gothic metal, i Revenience hanno le carte in regola per ritagliarsi il loro spazio.

TRACKLIST
1.In a Landascape of Winter
2.Blown Away by the Wind
3.Shamble
4.Flail
5.Lone Island
6.A-Maze
7.Not My Choice
8.Revenant
9.Shadows and Silence

LINE-UP
Fausto De Bellis – Bass, Guitars
Simone Spolzino – Drums, Vocals (harsh)
Michele Di Lauro – Guitars
Pasquale Barile – Keyboards, Synths
Debora Ceneri – Vocals

REVENIENCE – Facebook

The Obsessed – Sacred

“Signori” si nasce! Wino può ancora insegnare l’arte di fare grande musica.

Quando ho letto la notizia che Scott “Wino” Weinrich, attivo sin dagli anni ’80, aveva riattivato la sua prima storica band The Obsessed dopo 20 anni di silenzio, devo dire che il sangue ha iniziato a ribollire

Il ritorno della band che, con lavori come Lunar Womb e The Church Within, aveva tracciato una strada maestra per le generazioni figlie dei Sabbath con il suo suono doom ricco di antica atmosfera, non poteva che emozionarmi; non è che Wino in questi anni sia rimasto fermo, anzi è sempre stato immerso in diversi progetti, dai seminali Saint Vitus agli Spirit Caravan, alla super band Shrinebuilder e altri, in cui ha elaborato la materia doom contaminandola con stoner, psichedelia e altre belle cose. Ora per la Relapse Records il ritorno definitivo! Sempre in trio, chitarra (Wino), basso (Dave Sherman) e batteria (Brian Costantino), Sacred dimostra una volta di più la dedizione, la convinzione di un grande musicista che ama il suo lavoro e vuole rendere, con la sua musica, questo mondo un posto migliore.
L’opera è varia e non si nutre di solo doom ma incorpora e amalgama hard rock di classe, aromi punk, fragranze stoner e gocce acide a formare una dimensione spirituale difficilmente riscontrabile nelle nuove generazioni; la calda, vissuta voce di Wino non può non emozionare chi si alimenta da anni con queste sonorità.
Si parte alla grande con Sudden Jackal, che miscela hard rock e doom come solo i maestri sanno fare e dimostra la classe infinita di chi si è sempre dedicato anima e cuore a questo suono, di chi lo vive quotidianamente infischiandosene del passare del tempo; il secondo brano Punk Crusher mette in riga tutti quelli che si cimentano in questa arte, con il carisma, la classe di chi sa di aver osato oltrepassare le barriere del tempo e di non voler darsi per vinto: un sound perfetto dal vivo, con Wino invincibile a declamare ….star, lord, father give us strength to prevail… da suonare e risuonare in un loop infinito.
La title track e Perseverance of Futility spiegano una volta di più l’arte del riff che ti rimane in testa ipnotizzandoti; l’ inizio screziato di blues di Stranger Things conferma la grande conoscenza musicale di Wino, che riprende anche un vecchio brano del 1974 dei Thin Lizzy (It’s Only Money da Night Life), mentre Razor Wire e Haywire sono brevi assaggi punk da parte di chi ha una visione universale dell’arte musicale.
In definitiva, un bel ritorno, vario, suonato e cantato con passione e onestà, sperando di poter vedere presto i The Obsessed dal vivo anche nelle nostre terre.

TRACKLIST
1. Sodden Jackal
2. Punk Crusher
3. Sacred
4. Haywire
5. Perseverance of Futility
6. It’s Only Money (Thin Lizzy cover)
7. Cold Blood
8. Stranger Things
9. Razor Wire
10. My Daughter My Sons
11. Be the Night
12. Interlude

LINE-UP
Brian Costantino – Drums, Vocals
Dave Sherman – Bass
Scott “Wino” Weinrich – Guitars, Vocals

THE OBSESSED – Facebook

Dark Phantom – Nation of Dogs

Pensate al sound di Slayer e Testament più death oriented, ricamati dalla musica popolare che dà al tutto un tocco progressivo, ed avrete in mano la musica degli iracheni Dark Phantom.

Oltre alla soddisfazione nel trattare le opere di gruppi che nell’ambiente metallico sono delle icone, il bello di operare all’interno di una webzine è l’incontro con entità provenienti da paesi, in teoria, al di fuori della consueta scena musicale, soprattutto se parliamo di Iraq e l’abbiniamo al metal.

Così, solo come ascoltatore non avrei mai potuto conoscere i Dark Phantom, ed invece eccomi a raccontare a voi il primo full length di questo gruppo proveniente da Kirkuk, non proprio il luogo ideale per dei ragazzi con la passione del metal, il talento per suonarlo e il sicuro potenziale per imporsi.
Nella loro carriera troviamo un primo ep nel 2013 (Beta) e il debutto sulla lunga distanza dopo tre anni, ben spesi direi, visto la qualità di Nation Of Dogs, un album di thrash metal con atmosfere a tratti prese in prestito dalla musica popolare della loro terra per un risultato molto interessante.
Mezz’ora basta e avanza per il gruppo, che convince su tutta la linea dal thrash che si alimenta di death metal nel growl profondo del singer Mir, mentre le soluzioni arabeggianti più marcate nella title track e nella splendida Judgement Call, non fanno che lasciare una sensazione di maturità e personalità elevatissima da parte del combo.
Pensate al sound di Slayer e Testament più death oriented, ricamati dalla musica popolare che dà al tutto un tocco progressivo, ed avrete in mano la musica degli iracheni Dark Phantom: la band poi ci inserisce cavalcate di thrash metal old school e ne escono dieci brani che hanno il pregio di non risultare prolissi, sempre impostati come terribili fendenti, vari nella struttura, sorprendenti per la già ottima amalgama tra le influenze, e non così facile da proporre con una tale intensità.
Nation Of Dogs non vive del riflesso dei due brani menzionati ma risulta un ottimo lavoro nel suo insieme, con almeno altre due tracce che centrano il bersaglio, le devastanti O!Holocaust, una marcia metallica dal coro in clean arabeggiante e la conclusiva State Of War.
Solo complimenti per il gruppo iracheno e, anche se si può sempre far di meglio, il loro debutto si può già definire un album di culto, in bocca al lupo da MetalEyes.

TRACKLIST
1.Dark Ages
2.New Gospel
3.Nation of Dogs
4.Judgment Call
5.Unholy Alliance
6.O! Holocaust
7.Atomosphere
8.Confess
9.On the Brink of Terror
10.State of War

LINE-UP
MIR – vocalas
MURAD – Guitar
REBEEN – Guitar
MAHMOOD – Drums
SERMET – Bass

DARK PHANTOM – Facebook

Hteththemeth – Best Worst Case Scenario

Best Worst Case Scenario è un album che ha le carte in regola per trovare molti estimatori anche nel resto d’Europa, trattandosi di un’opera sorprendente per versatilità e creatività.

Hteththemeth è un progetto musicale che ha mosso i suoi primi passi alla fine del secolo scorso, per volere di Läo Kreegan and Jamm Klirk.

Risale al 1999, infatti, l’unico full length realizzato dal gruppo fino al 2016, anche se di fatto l’album di cui parleremo ora, Best Worst Case Scenario, ha iniziato a prendere vita nel 2000 per essere poi progressivamente completato e rifinito solo in questo decennio, quando Kreegan, perso per strada l’iniziale compagno di avventura, si è attorniato di un gruppo di validi e giovani musicisti.
Ciò ha consentito alla band rumena di farsi un nome in patria, suonando con una certa continuità dal vivo e partecipando con successo a diversi contest di prestigio (ultimo dei quali quello che ha consentito loro di salire sul palco di Wacken l’anno scorso).
Best Worst Case Scenario è un album che ha le carte in regola per trovare molti estimatori anche nel resto d’Europa, trattandosi di un’opera sorprendente per versatilità e creatività, in quanto spazia senza smarrirsi tra generi che, a tratti, si potrebbero considerare antitetici.
Il lavoro assume le sembianze di un concept, che è poi la soluzione più logica per giustificare i costanti cambi di tempo, stile ed umore che lo permeano: se la base del sound può essere ricondotta al prog metal, l’introduzione repentina di umori blues, soprattutto, spesso spariglia le carte senza che il tutto finisca per apparire frammentario.
Il racconto, così come la genesi della band ed il suo stesso impronunciabile monicker,  pare sia stato ispirato da un sogno fatto da Kreegan e verte sulle diverse fasi di un’esistenza che, progressivamente, da un’apparente perfezione giunge infine alla rovina: è sempre difficile interpretare tutto quanto abbia natura onirica, di certo però aiuta non poco ad immergersi nel clima del lavoro l’ottimo art work, visionario quanto la musica in esso contenuta.
Best Worst Case Scenario possiede così tutti i crismi per una messa in scena teatrale, che corrisponde  a quella proposta sia su disco sia dal vivo da Kreegan, che non è un vocalist con doti fuori dal comune ma riesce, comunque, a conferire il giusto pathos alla propria interpretazione: volendo fare un parallelismo un po’ azzardato si potrebbe considerare il vocalist di Brasov una sorta di Jon Oliva rumeno, sia fisicamente, sia per la timbrica da crooner che utilizza soprattutto nelle parti blues.
E sicuramente i Savatage, o ancor più forse la Transiberian Orchestra, appaiono quali naturali punti di riferimento iniziali per gli Hteththemeth, anche se l’album trova un accostamento ancor più logico ed attuale con il magnifico Maestro degli israeliani Winterhorde, sia pure collocandosi ancora un gradino sotto rispetto ad un simile capolavoro.
Una prima parte notevole, ma per certi versi più lineare, nella quale spiccano le ampie melodie di Light Truths e il prog metal nervoso di They Will Not Believe What I Will Say, viene letteralmente sovvertita da The Romantic Side of Paris, brano che in avvio sembra provenire da Cafè Bleu degli Style Council (ma cantato dal Mountain King invece che da Paul Weller) per poi trasformarsi in un torrido blues, nel quale un profondo segno viene lasciato da un hammond assassino, il tutto replicato poi dalla delirante Olga’s Little Secret, nella quale la commistione linguistica tra il rumeno e l’inglese si rivela del tutto vincente.
You Are My Last Girlfriend è il brano di punta dell’album, essendo dotato di spunti melodici difficili da rimuovere dalla mente, con tanto di splendido assolo di chitarra finale; da qui in poi l’album parrebbe riprendere un andamento più “normalmente progressivo” che viene nuovamente rivoltato da una I Get and I Give but I Never Forget and I Never Forgive all’interno della quale scorrono diverse sfumature musicali di ogni tipo senza che tutto ciò, incredibilmente, possa apparire illogico.
La bravura degli Hteththemeth è, paradossalmente, proprio quelle di preparare fin da subito l’ascoltatore al procedere caleidoscopico dell’album, facendo sì che ogni cambiamento di “scenario” (migliore o peggiore che sia, parafrasandone il titolo) non appaia qualcosa di inatteso, bensì di assolutamente naturale e strettamente connaturato ad un racconto delirante.
In definitiva, Best Worst Case Scenario si rivela un lavoro convincente dalla prima all’ultima nota: la “unhuman music” (come la ama definire Kreegan) viene eseguita dalla band con notevole perizia, andando ad aggiungere una nuova freccia all’arco di una scena metal rumena sempre più vivace. Considerando che gli Hteththemth hanno finalizzato solo oggi un lavoro che aveva preso vita praticamente all’inizio del secolo, prendendo slancio dai buoni riscontri ottenuti in patria potrebbero essere spinti, in un prossimo futuro, a produrre nuovo materiale altrettanto interessante: sicuramente, chi non ama complicarsi la vita mettendo paletti ovunque, troverà di che divertirsi con questo stimolante album.

Tracklist:
1. The Prophecy
2. They Will Not Believe What I Will Say
3. Light Lies
4. Light Truths
5. Happy to Be Sad
6. The Romantic Side of Paris
7. Best Worst Case Scenario
8. Olga’s Little Secret
9. You Are My Last Girlfriend
10. The Calm Before the End
11. I’m in Hate
12. I Get and I Give but I Never Forget and I Never Forgive
13. The Romantic Side of Perish
14. They Will Not Believe What I Have Done
15. Epiclogue

Line up:
Lao Kreegan – Vocals
Robert Cotoros – Guitars, Vocals (backing)
Costea Codrut – Drums
Lucian Popa – Guitars
Vlad Andrei Onescu – Keyboards
Koldr – Bass

HTETHTHMETH – Facebook

Hybrid Sheep – Hail To The Beast

Un buon lavoro che unisce la tradizione death melodica con il più moderno metalcore, mantenendo una violenza estrema di fondo che entrerà nei cuori anche dei deathsters dagli ascolti classici.

Death metal melodico con qualche spunto core e soprattutto una carica niente male, in poche parole ecco Hail To The Beast, nuovo lavoro del quintetto francese degli Hybrid Sheep.

Nato quasi una decina di anni fa, il gruppo transalpino proprone il suo secondo full length, di corta durata (poco più di mezzora) e che spara ad altezza d’uomo una serie di cannonate niente male: prodotto a meraviglia, Hail To The Beast non si fa mancare nulla, dalla doppia voce (growl e scream) a ritmiche che alternano la potenza del metalcore con più veloci approcci death metal che le sei corde, molro melodiche, avvicinano a quanto fatto in Scandinavia nel dopo Clayman.
Poi il quintetto transalpino non manca di imprimere la sua personalità che vive di influenze moderne e, aiutato da una buona tecnica, si fa apprezzare con un lavoro urgente, senza compromessi e diretto: un muro sonoro in cui la melodia è fondamentale per la riuscita di brani spaccaossa come Towards Ruins And Oblivion, The World Eater, il death thrash da distruzione totale di Premature Burial e la conclusiva Into The Lion’s Den.
Un buon lavoro che unisce la tradizione death melodica con il più moderno metalcore, mantenendo una violenza estrema di fondo che entrerà nei cuori anche dei deathsters dagli ascolti classici.

1.Warface
2.Towards Ruin and Oblivion
3.Following Blind Leaders
4.The World Eater
5.The Last Breath of a Dying Earth
6.Premature Burial
7.Hail to the Beast
8.Harvest of Humans
9.Into the Lion’s Den

LINE-UP
Arnaud – Vocals
Alex – Guitar
Andre – Guitar
Max – Bass
Jordan – Drums

HYBRID SHEEP – Facebook

D8 Dimension- ProGr 0

Sarebbe davvero semplicistico e fuorviante catalogare i D8 Dimension come un gruppo di industrial metal, perché qui possiamo trovare qualcosa di molto più importante dei generi, le idee.

Sarebbe davvero semplicistico e fuorviante catalogare i D8 Dimension come un gruppo di industrial metal, perché qui possiamo trovare qualcosa di molto più importante dei generi, le idee.

Gli italiani D8 Dimension ne hanno parecchie di idee, e le hanno messe in musica con questo disco che è particolare ed ha la grande attrattiva di trasportarci in molti mondi diversi. Il loro suono è un felicissimo connubio di metal moderno, industrial, nu metal, un tocco di ebm qui e là, e tante ottime melodie metal originali. ProGr 0 ha ha avuto una gestazione di tre anni, e non è tanto per la quantità di tempo ma per la qualità, poiché nel concepire questo disco sono venuti fuori anche problemi fa i componenti del gruppo. Ciò è normalissimo se si considera che in un insieme di persone che fanno musica ci sono più probabilità che sorgano conflitti, ma se poi producono dischi così, evviva i conflitti fra musicisti, anticamera della fertilità musicale. Post apocalisse o prima dell’apocalisse, cioè oggi, il mondo descritto in maniera molto efficace dai D8 Dimension è un qualcosa che ci è molto vicino, tecnologia fuori controllo, vite allo sbando, e gli alieni che sarebbero molto contenti di passarci sopra. I D8 Dimension descrivono tutto ciò con naturalezza ed un suono che riconduce ai Nine Inch Nails meno noiosi (è difficilissimo ma loro ci riescono) e a quel bel misto di metal ed elettronica che aveva un sacco di potenzialità ma forse gli attori sbagliati, rendendo il meglio di questo genere. ProGr 0 arriva dopo un demo del 2010 e Octocura del 2013, ed è uno di quei dischi che viene difficile da descrivere e molto più facile e piacevole da ascoltare. Melodie altre in bilico fra elettronica e metal, tra estinzione e felice malinconia, per un lavoro notevole e davvero bello, che se venisse da oltreoceano sarebbe idolatrato, e qui invece abbiamo gruppi come i D8 Dimension che si autoproducono e sono bravissimi: aiutiamoli.

TRACKLIST
01 – -39°C
02 – My Feast
03 – Matryoshka
04 – X: Bigger Boat
05 – Rollformer Gospel
06 – Astrokiller
07 – Anamnesis
08 – Industrial II
09 – Les Fleurs
10 – Y: Salt On Carthage

LINE-UP
Tepe – Voce
Alu.X – Synth/Samples + Basso
Tyo Crayon – Chitarra
Mik – Chitarra
Michael Mammoli – Batteria

DO DIMENSION – Facebook

Nightrage – The Venomous

Una multinazionale del death melodico che non tradisce neanche questa volta, anzi ci consegna un album a tratti esaltante, tra ritmiche thrash, solos melodici e chorus si stampano in testa al primo giro di giostra.

Benedetto (o maledetto) death metal melodico, quando credi che ormai solo l’underground possa regalare qualche ottima sorpresa, mentre le band storiche continuano a sfornare lavori discreti ma lontani anni luce dai sfavillanti album degli anni novanta, ecco che arriva a far cadere ogni certezza il nuovo lavoro dei Nightrage, gruppo greco/svedese che può tranquillamente essere inserito tra le band portanti del genere , almeno della seconda ondata (quella che portò il sound nato nella penisola scandinava nel nuovo millennio).

Perché The Venomous è davvero un gran bel disco, a metà strada tra il vecchio ed ormai classico sound ed un approccio leggermente più moderno, magari meno calcato che nel precedente album (The Puritan, uscito un paio di anni fa) e che porta la musica del gruppo a camminare perfettamente in bilico tra il death melodico classico dei primi In Flames e quello più moderno e thrash dei Soilwork.
Aggiungete un songwriting ispirato ed una prova sontuosa del buon Marios Iliopoulos alla sei corde, ed avrete uno degli album più riusciti in campo death melodico dell’ultimo anno solare.
I Nightrage hanno visto nel corso degli anni un via vai di musicisti del calibro di Tomas “Tompa” Lindberg e Gus G, altri che si sono dati il cambio dall’alba del nuovo millennio per tutti questi anni e per sette album, sempre diretti da Iliopoulos e dal bassista Anders Hammer .
Una multinazionale del death melodico che non tradisce neanche questa volta, anzi ci consegna un album a tratti esaltante, tra ritmiche thrash, solos melodici e chorus si stampano in testa al primo giro di giostra, ed un’atmosfera che, per chi ha vissuto gli anni d’oro del genere, risulta un ritorno al meglio che può offrire questo sound.
C’è poco da fare, il death metal melodico suonato a questi livelli rimane uno dei generi più esaltanti degli ultimi trent’anni, magari non sarà più una novità, ma brani come la title track, In Abhorrence, From Ashes Into Stone o Trail Of Ghosts riescono nell’impresa di farci tornare, almeno per una cinquantina di minuti, in quel di Göteborg, quando un album del genere era accolto come un regalo di Odino dai fans e dagli addetti ai lavori.

TRACKLIST
1. The Venomous
2. Metamorphosis/Day Of Wrath
3. In Abhorrence
4. Affliction
5. Catharsis
6. Bemoan
7. The Blood
8. From Ashes Into Stone
9. Trail Of Ghosts
10. Disturbia
11. Desolation And Dismay
12. Denial Of The Soul

LINE-UP
Marios Iliopoulos – Guitars
Anders Hammer – Bass
Ronnie Nyman – Vocals
Lawrence Dinamarca – Drums
Magnus Söderman – Guitars

http://www.facebook.com/nightrage/?ref=mf

Hellwitch – Syzygial Miscreancy

Che la band sapesse suonare non c’era alcun dubbio, chiaramente la proposta è più di quanto old school si possa trovare in giro, quindi questa ristampa è consigliata solo agli amanti dei suoni estremi di più datata derivazione.

Considerato dal gruppo come il loro primo full length, torna a tormentare le notti dei deathsters dai gusti old school questo piccolo gioiellino estremo uscito nel lontano 1990 targato Hellwitch.

Syzygial Miscreancy è composto da venticinque minuti di metal estremo di stampo death molto tecnico ed ovviamente di matrice statunitense.
D’altronde lo storico quartetto nasce addirittura a metà degli anni ottanta in Florida, seguendo le orme thrash metal degli Slayer ed in seguito aggiustando il tiro, così da creare un vortice di musica metallica dalla componente death.
La storia del gruppo ha visto vari stop nel corso degli anni, con una discografia incentrata su lavori minori (split e demo) ed un secondo album uscito nel 2009 dal titolo Omnipotent Convocation.
Tornata sul mercato quest’anno con un singolo licenziato dalla Pulverized records, la band che gira intorno allo storico cantante e chitarrista Patrick Ranieri, riporta in scena la sua porzione di violenza musicale, anche se solo con la ristampa del primo album, fatto di un death/thrash tecnico e marcio all’inverosimile, violentissimo, ancora orientato verso il thrash slayerano, ma tecnicamente ineccepibile, ricco di vortici ritmici composti all’inferno e solos taglienti.
Che la band sapesse suonare non c’era alcun dubbio, chiaramente la proposta è più di quanto old school si possa trovare in giro, quindi questa ristampa è consigliata solo agli amanti dei suoni estremi di più datata derivazione.

TRACKLIST
1.The Ascent
2.Nosferatu
3.Viral Exogence
4.Sentient Transmography
5.Mordirivial Dissemination
6.Pyrophoric Seizure
7.Purveyor of Fear

LINE-UP
Patrick Ranieri – Lead guitar/rhythm guitar/vocals
J.P. Brown – Rhythm guitar
Brian Wilson – Drums
Julian David Guillen – Bass (Live)

HELLWITCH – Facebook

VV.AA. – Metal Pulse: A Tribute To Dale Huffman

Bellissimo e sentito tributo della scena metal cristiana a Dale Huffman, proprietario di Metal Pulse Radio.

E’ da sempre luogo comune associare il metal con influenze sataniche ed aberrazioni di ogni sorta, specialmente se della cultura che sta dietro alla nostra musica preferita non si è informati e ci si convince degli stereotipi creati dall’ignoranza mediatica, mentre il movimento invece, in tutte le sue forme è sempre pronto a sostenere o commemorare chi, per essa, ci ha speso una vita intera.

La scena metal underground statunitense di matrice cristiana, per esempio, si è attivata per questo tributo ad un suo membro e fratello, Dale Huffman, proprietario di Metal Pulse Radio, deceduto nel febbraio di quest’anno dopo aver combattuto contro il cancro per due anni.
Rottweiler Records e Roxx Records, due delle maggiori etichette che si occupano di metal cristiano, hanno chiamato a rapporto una buona fetta dei gruppi del genere dando vita a questo tributo che non è solo un modo per ricordare la memoria di un personaggio importante in quell’almbito, ma anche un’occasione per far conoscere al mondo metallico una serie di ottimi gruppi che dell’heavy metal ne fanno una missione.
Di tutte le band che hanno risposto all’ appello, una buona parte sono finite su questo cd il cui il ricavato andrà alla famiglia di Huffman, mentre chi farà sua questa compilation avrà una panoramica esauriente su una scena cristiana che, aldilà dell’oceano, è molto sentita.
La raccolta parla chiaro, il metal cristiano è vivo e vegeto, perciò non solo Stryper (il gruppo più famoso), ma ottime realtà come i BioGenesis, ed il loro metal orchestrale rappresentato dalla monumentale Tears Of God, i Grave Robber con Fill The Place With Blood e la loro passione per Ronnie James Dio ed i power thrashers Join The Dead, devastanti ed aggressivi con la dirompente Walking In Darkness.
Una raccolta di brani selezionati con cura lascia un’ottima sensazione sul valore di questa scena che spazia dal thrash metal, all’heavy, dall’hard rock dei Messenger, al mid tempo tastieristico alla Savatage dei notevoli Promise Land.
Sarebbero da menzionare tutti i gruppi raccolti in questo tributo, però vi ricordo ancora gli heavy metallers Saint e la bellissima ballad The Chosen Few dei Worldview, ciliegine sulla torta musicale di questa grande iniziativa.
Se amate il metal classico la raccolta di brani e delle band è di altissima qualità, la voglia di conoscere realtà nuove delle scene in giro per il mondo è tanta, ed onorare un uomo che tanto ha fatto per il metal è il minimo.
R.I.P Dale.

TRACKLIST
1. Metal Pulse Radio Intro / Ultimatum ‘Heart of Metal’
2. Dynasty ‘Metal Pulse’ (Previously Unreleased)
3. Promise Land ‘Christ In Us (CIU)’
4. Join The Dead ‘Waiting In Darkness’ (Previously Unreleased)
5. Rainforce ‘Shine A Light’ (Previously Unreleased)
6. BioGenesis ‘Tears Of God’ (Previously Unreleased)
7. Sunroad ‘In The Sand’ (Previously Unreleased)
8. Messenger ‘Christian Rocker’
9. Worldview ‘The Chosen Few’
10. Grave Robber ‘Fill This Place With Blood’
11. Sweet Crystal ‘Even Now’
12. Stairway ‘Across The Moon’
13. Shining Force ‘Holy of Holies’
14. The World Will Burn ‘Brand New Song’
15. Titanic ‘Freak Show’
16. Saint ‘In The Night’

ROXX RECORDS – Facebook

Primal Age – A Silent Wound ep

I Primal Age hanno una struttura musicale sullo stile hardcore anni novanta, ma la cosa più notevole che fanno è quella di attualizzare molto bene il loro suono, e sono una cosa che noi ascoltatori di hardcore anni novanta ci siamo sognati per anni.

Provenienti dalla cittadina francese di Evreux, i Primal Age sono attivi dal 1993, sono uno dei primi gruppi europei ad aver fuso insieme hardcore e metal, dando vita a qualcosa di molto simile al metalcore, ma con maggiore groove.

Nello svilupparsi di questa lunga carriera i Primal Age non hanno perso un briciolo della loro potenza, anzi sono diventati più cattivi e sono alla guida del corteo del meglio metalcore che potete trovare in giro.
Questo ep arriva dopo due album ed uno split, e soprattutto dopo tantissima attività dal vivo che li ha portati in tutto il mondo, dal Messico al Brasile passando per il Giappone. A Silent Wound è un ottimo disco di hardcore e metalcore, spingendosi fino al groove metal, e coinvolge molto l’ascoltatore. I Primal Age hanno una struttura musicale sullo stile hardcore anni novanta, ma la cosa più notevole che fanno è quella di attualizzare molto bene il loro suono, e sono una cosa che noi ascoltatori di hardcore anni novanta ci siamo sognati per anni. Il suono dei Primal Age è davvero avviluppante e potente, porta pericolosamente all’headbanging e ci fa ricordare che fare musica così non è facile, oltre ad un certa tecnica ci vuole vera attitudine e qui ce n’è tantissima. Non sono rimasti in molti a fare questo suono che vive superando spesso i confini, e la quarta traccia dell’ep ne rende nota la paternità, essendo un medley di canzoni degli Slayer in omaggio a uno dei più grandi, Jeff Hannemann, tanto per far capire da dove vengono i Primal Age, e anche da dove veniamo tutti noi amanti di questo suono, perché gli Slayer sono una cosa megalitica. Un ottimo ep per un gruppo sempre molto interessante.

TRACKLIST
1.The Whistleblowers VS World Health Organization
2.A Silent Wound (ft Felipe Chehuan – CONFRONTO)
3.Counterfeiters of the Science
4.To Jeff (SLAYER medley – ft Julien Truchan/ BENIGHTED & Koba/ LOYAL TO THE GRAVE)

LINE-UP
Benoit: Guitar
Florian: Guitar
Mehdi: Drums
Dimitri: Bass & Vocals
Didier: Vocals

PRIMAL AGE – Facebook

Grog – Ablutionary Rituals

I Grog tornano con un nuovo massacro, una tortura ai padiglioni auricolari sotto forma di brutal death metal e grindcore.

Assolutamente devastante la proposta di questa storica band portoghese, attiva dai primi anni novanta.

I Grog tornano con un nuovo massacro, una tortura ai padiglioni auricolari sotto forma di brutal death metal e grindcore, ed un concept che rispecchia la musica prodotta con testi che parlano di morte, torture sessuali varie, porno e gore a manetta.
Quarto full length, più una manciata abbondante di demo compongono la discografia di questi quattro pazzi musicisti lusitani che, nel corso degli anni, hanno dovuto prendersi alcune pause anche relativamente lunghe dopo un decennio più prolifico come l’ultimo dello scorso secolo.
Per gli amanti del genere Ablutionary Rituals risulta il classico massacro, abituale di un genere che non trova grandi sbocchi creativi ma che punta tutto sull’impatto ed ovviamente sull’aggressione fatta di violenza senza compromessi, una serie di sevizie musicali che hanno nei blast beat l’arma micidiale, nelle chitarre che si distorcono in vortici di note maleodoranti e nel growl che, nel cliché del genere, racconta le nefandezze sulle quali la band innalza un muro sonoro di brutal death.
Hanno girato in lungo ed in largo suonando con i migliori gruppi del mondo estremo e si sente, l’esperienza è l’arma in più dei Grog, che come un serial killer sevizia ed uccide, chirurgico e freddo a colpi delle putride Revelation Pen Wound, intro claustrofobica che cede il passo alla devastante Uterine Casket e all’abisso brutale che si apre all’ascolto delle seguenti tracce.
Un’album assolutamente per fans del genere ma che sa come farsi apprezzare.

TRACKLIST
1.Revelation – Open Wound
2.Uterine Casket
3.Savagery
4.Sterile Hermaphrodite
5.Sarco-Eso-Paghus
6.Vortex of Bowelism
7.Cardiaxe
8.A Scalpel Affair
9.Gore Genome
10.Gut Throne
11….of Leeches Vultures and Zombies
12.Flesh Beating Continuum
13.From Disease to Decease
14.Katharsis – The Cortex of Doom and Left Hand Moon

LINE-UP
Alexandre Ribeiro – Bass
Rolando Barros – Drums
Ivo Martins – Guitars
Pedro Pedra “Aion” – Vocals

GROG – Facebook

Ruin – Ruin

L’opera prima dei Ruin è senz’altro valida, magari non ancora all’altezza delle migliori espressioni del genere, ma ricca di spunti interessanti che fanno ragionevolmente ritenere i due musicisti dell’Alberta in possesso di tutti i mezzi per incidere, con ancor più efficacia e convinzione, alla prossima occasione.

Prima apparizione per i canadesi Ruin, autori di un death doom melodico di buona fattura.

L’intento di offrire un’interpretazione molto più malinconica che non pervasa da umori drammatici, da parte del duo proveniente dall’olimpica Calgary, è piuttosto scoperto, per cui è più la gradevolezza dell’insieme a colpire l’ascoltatore anziché il ricorso a sonorità plumbee o venate di toni drammatici.
Questo, se da un lato conferisce una buona fruibilità al lavoro, dall’altro gli fa perdere un po’ in profondità, impedendogli forse di lasciare un segno più marcato.
Infatti, quando il sound si avvolge maggiormente di tonalità oscure ed inquiete, l’album subisce una notevole scossa: ne è esempio eloquente l’ottima The Core, il cui andamento decisamente più cupo ricorda non poco l’operato dei Doomed, specialmente nel suono della chitarra; resta comunque molto valido l’approccio dei due ragazzi canadesi nel suo complesso, proprio perché il lavoro appare ben costruito e sempre piacevole nella sua linearità (da non confondere con banalità).
Oltre al brano già citato, sono rimarchevoli gli spunti più robusti ed emotivamente impattanti, esibiti in Beyond Good and Evil e Withering of Gaia, e le melodie tenuamente funeree della conclusiva A Distant View; buono ed appropriato l’utilizzo alternato del growl e delle clean vocals, pur se quest’ultime perfettibili, mentre la prestazione strumentale è piuttosto limpida, avvalendosi anche di una produzione soddisfacente.
In definitiva, l’opera prima dei Ruin è senz’altro valida, magari non ancora all’altezza delle migliori espressioni del genere, ma ricca di spunti interessanti che fanno ragionevolmente ritenere i due musicisti dell’Alberta in possesso di tutti i mezzi per incidere, con ancor più efficacia e convinzione, rispetto a quanto già esibito positivamente in questa occasione

Tracklist:
1. Contagion I
2. Beyond Good and Evil
3. And She Wept
4. The Core
5. Cubensis
6. The Sleeper Awakens
7. Withering of Gaia
8. Chapter One
9. Contagion II
10. A Distant View

Line-up:
Zach Boser – Bass, Drum programming, Guitars, Piano, Synthesizers, Vocals
Adam Smith – Drum programming, Lyrics, Piano, Vocals

RUIN – Facebook

Au-Dessus – End Of Chapter

Un’opera nera e tragica, emozionante, colma di dolore e di quel senso di morte che gela il sangue ed il saperlo evocare è una prerogativa di chi suona il genere con talento.

Il ramo del black metal considerato da molti la parte più evoluta del genere passeggia su un filo sottilissimo che molte volte divide le opere dei suoi seguaci tra capolavori ed autentici flop.

Ma per chi ama il metal estremo oscuro, violento ma dall’animo intimista e progressivo, non mancano certo autentiche sorprese, gruppi che dal nulla escono tramite ottime label che si muovono tra i gironi infernali dell’underground metallico.
Les Acteurs De L’Ombre Productions è una delle etichette migliori nel campo del post black metal, impressione confermata dal primo lavoro sulla lunga distanza del quartetto lituano degli Au-Dessus, che sotto la label transalpina licenzia questa opera nera e tragica, emozionante, colma di dolore e di quel senso di morte che gela il sangue, prerogativa di chi suona il genere con talento.
End Of Chapter è un’opera oscura e tremenda, gelata dal freddo della morte come rappresentato sull’artwork, divisa in parti che sono l’ideale prosecuzione dell’omonimo ep di debutto.
Quindi dal capitolo VI al XII si alternano furiose parti black metal ed oscuri e raggelanti momenti di drammatica staticità, mentre l’irruenza metallica si scontra con uno stordente talento per armonie progressive che si può considerare una delle massime espressioni del post black.
Nella musica del gruppo ci sono sfumature che portano a considerare queste sette parti come metal estremo adulto, fortemente pregno di musica dark e post rock nascosta tra le trame violente di un sound sempre in bilico tra il mondo dei morti e quello di chi ancora soffre, a causa una vita obnubilata dalla sofferenza e ben rappresentata nelle parti VII, IX e nella devastante XI.
Un album bellissimo, un’altra grande opera oscura donata da Les Acteurs De L’Ombre.

TRACKLIST
1.VI
2.VII
3.VIII
4.IX
5.X
6.XI
7.XII : End of Chapter

LINE-UP
Mantas – Vocals/bass
Simonas – Guitar
Jokūbas – Guitar
Šarūnas – Drums

AU-DESSUS – Facebook

Calliophis – Cor Serpentis

Cor Serpentis è un lavoro di grande compattezza e di altrettanta qualità, al quale manca forse il picco emotivo capace di attrarre fatalmente l’appassionato, ma che regala ugualmente un’interpretazione della materia ben al di sopra della media.

Quello dei tedeschi Calliophis è, per quanto mi riguarda, un nome nuovo nell’ambito della scena death doom, non avendo intercettato all’epoca della sua uscita (il 2008) l’unica precedente prova discografica, il full length Doomsday.

In quasi un decennio molte cose inevitabilmente sono destinate a cambiare, anche se in un genere come il doom ciò avviene di norma in maniera meno marcata, per cui è più probabile assistere ad una maggiore focalizzazione del sound, unita ad una progressiva attenzione alla cura dei particolari .
Inoltre la firma per Solitude Productions è ovviamente un sintomo di qualità per qualsiasi band dedita al genere ed i Calliophis non fanno eccezione.
Il death doom di quest quartetto proveniente dalla Germania orientale è decisamente poco improntato alla melodia, puntando invece sull’impatto cadenzato dei riff senza disdegnare, comunque, buone soluzioni soliste: il growl del vocalist Thomas è più aspro che profondo e ben si addice ad un suono che scorre sempre sul filo della massima tensione, andandosi ad incuneare, tanto per fornire un riferimento, più o meno tra Doomed ed Ophis, sempre restando in ambito tedesco.
Le sei lunghe tracce portano Cor Serpentis a sforare abbondantemente l’ora di durata, un muro insormontabile forse per chi non ha familiarità con il genere, ma assolutamente in linea con le aspettative per gli ascoltatori abituali.
Personalmente preferisco i Calliophis quando si spingono maggiormente verso il lato funeral, come avviene nella magnifica Edge Of Existence, ma le cose non vanno affatto male neppure quando, su ritmi leggermente più accelerati, viene ugualmente evocato un certo pathos (Seven Suns). oppure allorché del doom viene mostrata essenzialmente la sua natura di heavy metal rallentato tramite i radi e misurati spunti melodici (The Cleansing e Isolation).
Cor Serpentis è un lavoro di grande compattezza e di altrettanta qualità, al quale manca forse il picco emotivo capace di attrarre fatalmente l’appassionato, ma che regala ugualmente un’interpretazione della materia ben al di sopra della media.

Tracklist:
1. The Cleansing
2. Yuki Onna
3. Edge Of Existence
4. Munk (Heart Of Stone)
5. Seven Suns
6. Isolation

Line up:
Thomas – Vocals
Matthias – Guitar |
Martin – Guitar
Marc – Bass
Florian – Drums

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Kaledon – Carnagus: Emperor Of The Darkness

Carnagus: Emperor Of The Darkness è un’opera dal taglio internazionale, in grado di non sfigurare rispetto ai prodotti stranieri, frutto di uno stivale ormai all’altezza della situazione in tutti i generi, anche grazie a band che negli anni hanno continuato a produrre musica con talento e passione e tra le quali i Kaledon sono una delle più accreditate

I romani Kaledon si possono considerare uno dei gruppi cardine dell’epic power made in Italy, essendo nati sul finire degli anni novanta ed entrati alla grande nel nuovo millennio con una serie di album dalle ovvie tematiche fantasy che hanno portato al gruppo un buon seguito, specialmente da parte di chi segue il genere ed non si accontenta (parlando di Italia) dei più famosi Rhapsody.

Con una discografia colma di buoni lavori, la band romana risulta una tra le più prolifiche, arrivando al traguardo della doppia cifra con questo nuovo album: dall’ultimo lavoro intitolato Antillius : The King Of The Light ed uscito tre anni fa, c’è da annotare l’entrata in formazione del bravissimo cantante degli Overtures Michele Guaitoli e del batterista Manuele Di Ascenzo (ex-Secret Rule), oltre al cambio di etichetta (dalla Scarlet alla Sleaszy Rider) e l’ausilio di Simone Mularoni per quanto riguarda masterizzazione e mixing in quel dei Domination Studios.
Al resto ci pensano i Kaledon, un gruppo consolidato e che dopo quasi vent’anni sulla scena è consapevole di non dover dimostrare niente a nessuno, andando per la sua strada fatta di epico metallo che rimane sempre a metà strada tra quello a tratti pacchiano dei Rhapsody e quello potente e devastante delle orde germaniche che conquistarono i fans nella seconda metà degli anni novanta.
Carnagus: Emperor Of The Darkness è un’opera dal taglio internazionale, in grado di non sfigurare rispetto ai prodotti stranieri, frutto di uno stivale ormai all’altezza della situazione in tutti i generi, anche grazie a band che negli anni hanno continuato a produrre musica con talento e passione e tra le quali i Kaledon sono una delle più accreditate, almeno per il genere suonato.
Nell’album c’è, essenzialmente, grande power metal, fiero, epico, melodico e roboante, e lasciatemi dire che le prove dei nuovi arrivati, una manciata di brani davvero intensi e devastanti (The Beginning Of The Night, The Evil Witch, The Two Bailouts e la bellissima e conclusiva The End Of The Undead) e il songwriting di alto livello, fanno di Carnagus un album imperdibile per tutti i defenders dalle spade affilate e dagli scudi luccicanti.
Giudicate quello che la band ha saputo realizzare a prescindere dal genere, ed avrete tra le mani e nelle orecchie un grande album metal; il resto sono chiacchiere, qui parla la musica.

TRACKLIST
1.Tenebrae Venture Sunt
2.The Beginning of the Night
3.Eyes Without Life
4.The Evil Witch
5.Dark Reality
6.The Two Bailouts
7.Trapped on the Throne
8.Telepathic Messages
9.Evil Beheaded
10.The End of the Undead

LINE-UP
Alex Mele – Guitars (lead)
Michele Guaitoli – Vocals (lead)
Tommy Nemesio – Guitars (rhythm)
Paolo Campitelli – Keyboards
Paolo Lezziroli – Bass
Manuele Di Ascenzo – Drums

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