Hertz Kankarok – Livores

Livores racchiude venticinque minuti di musica di enorme spessore qualitativo e, soprattutto, molto personale, segno che un approccio artistico meno convenzionale spesso può portare frutti prelibati

Il progetto musicale ideato da Hertz Kankarok si rivela anomalo fin da un monicker che, a primo acchito, lascia sensazioni strane, fino a giungere al modus operandi, che vede il nostro comporre brani senza essere di fatto un musicista nel senso vero del termine e, infatti, a parte la voce, tutto il lavoro strumentale è affidato a Dario Laletta.

Ma, come tutto ciò che ultimamente arriva dalla Sicilia in campo rock e metal, c’è da aspettarsi qualcosa di particolare ed anticonvenzionale: Hertz Kankarok con questi tre brani lo conferma, offrendo un compendio di musica a tratti entusiasmante e andando ad esplorare i diversi spettri sonori del metal e non solo.
Se Our Will Injection sembra un ideale incrocio i tra i King Crimson ed il djent (sotto genere del quale non è difficile reperire una ipotetica genesi ascoltando i tre dei dischi frippiani degli anni ottanta) ma con l’enorme pregio di mantenere sempre in primo piano l’aspetto melodico, tenendosi alla larga dallo sterile tecnicismo, We Are the Ghosts sposta la barra su sonorità più cupe ed evocative, esprimendo un robusto prog metal dalla ampie sfumature gothic. Fin qui nulla da eccepire sui due brani, impreziositi dall’indubbio talento esecutivo di Laletta, ben assecondato da un interpretazione vocale molti varia e personale da parte di Kankarok.
A mio avviso, però, il vero fulcro del lavoro è la conclusiva Occvlta Plaga Inferorvm, canzone che racchiude efficacemente non solo il pensiero dell’autore sui temi religiosi, veicolato in lingua italiana tramite un testo magnifico, ma riesce a sintetizzare mirabilmente diversi aspetti del sound, che si fa via via più oscuro e riflessivo, racchiudendo in un colpo solo il gothic doom di tipica scuola italiana (con bagliori degli indimenticabili Cultus Sanguine) e pulsioni cantautorali che non possono non rimandare all’illustre corregionale Franco Battiato (difficile non fare questo accostamento quando Kankarok intona “… in quest’epoca infame e d’acquiescenza …“).
In buona sostanza, Livores racchiude venticinque minuti di musica di enorme spessore qualitativo e, soprattutto, molto personale, segno che un approccio artistico meno convenzionale spesso può portare frutti prelibati, proprio per una minore propensione ad abusare di schemi consolidati.
L’ep è stato diffuso ormai un anno fa e, benché sia stato accolto in genere con un certo favore, ho la sensazione che non sempre gli sia stato dato quel risalto ancora maggiore che avrebbe meritato. Resta solo da godersi questo ottimo esempio di creatività musicale, in attesa che il misterioso Hertz Kankarok si rifaccia vivo, magari con un lavoro su lunga distanza.

Tracklist:
1. Our Will Injection
2. We Are the Ghosts
3. Occvlta Plaga Inferorvm

Line Up:
Dario Laletta – All instruments
Hertz Kankarok – Vocals, Lyrics

HERTZ KANKAROK – Facebook

Iron Curtain – Guilty As Charged

Un candelotto letale di dinamite metallica, composto da una serie di brani che deflagrano e travolgono, fieri figli di un’era molto spesso dimenticata ma importantissima per lo sviluppo del metal sound.

Tornano gli spagnoli Iron Curtain con un nuovo album e il salto nel più terremotante metal old school è assicurato.
Guilty As Charged è il terzo lavoro a tre anni di distanza dal precedente Jaguar Spirit, in uscita in questo autunno per la solita piovra metallica Pure Steel a cui non sfugge un colpo, specialmente se si parla di metal classico.

La band, con l’entusiasmo che la contraddistingue e l’assoluta devozione per i suoni tradizionali, ci fa salire sulla sua macchina del tempo, così da tornare indietro fino ai primi anni ottanta.
Guilty As Charged continua a condensare , come ormai ci ha abituato il gruppo spagnolo, heavy speed metal europeo e power con targa statunitense, esplosivo nei riff, vario nelle ritmiche ed irresistibile in quanto a songwriting.
Mi capita spesso di scrivere riguardo alle opere di gruppi dediti alle sonorità classiche, molte volte imbattendomi in lavori discreti rovinati da produzioni demenziali, mi ritrovo al cospetto finalmente di un album che, nella sua completa attitudine old school, si impreziosisce di un lavoro alla consolle perfetto, mantenendo le caratteristiche peculiari del genere impreziosito da suoni al passo coi tempi.
Ne esce un candelotto letale di dinamite metallica, composto da una serie di brani che deflagrano e travolgono, fieri figli di un’era molto spesso dimenticata ma importantissima per lo sviluppo del metal sound.
D’altronde, tra i solchi del fenomenale uno-due Into The Fire, Lion’s Breath o dai riff scolpiti nell’olimpo della New Wave Of British Heavy Metal di Relentless e della motorheadiana Wild & Rebel, vi scontrerete con richiami storici del metal che ha segnato un’epoca e non solo, come Iron Maiden, Judas Priest, Raven e Motorhead, fino ad attraversare l’oceano ed abbracciare il power americano creando un sound incandescente ed esaltante, almeno per chi con queste sonorità ci è cresciuto e diventato grande.
Un album old school degno di entrare di diritto nella discografia dei metallari dai gusti tradizionali, bravi Iron Curtain.

TRACKLIST
1. Into The Fire
2. Lion’s Breath
3. Take It Back
4. Relentless
5. Iron Price
6. Outlaw
7. Wild & Rebel
8. Guilty As Charged
9. Turn The Hell On

LINE-UP
Mike Leprosy – vocals, guitar
Joserra – bass
Alberto – drums
Cachorro – guitar

IRON CURTAIN – Facebook

Warfist – Metal To The Bone

La band fa bene e con assoluta sincerità il proprio sporco lavoro, solo che per abbattere il muro della normalità ci vorrebbe ben altro.

Di norma, al nostro interno, tendiamo ad occuparci naturalmente dei generi che più ci piacciono e che di conseguenza meglio conosciamo.

Non è male però derogare ogni tanto fa questa regola non scritta, proprio per vedere quale sia lo stato dell’arte in altri settori provando ad osservarli da un’angolazione inevitabilmente diversa.
Era da un po’ che non mi occupavo di thrash metal, ma la necessità di evadere la mole di materiale da recensire mi ha fatto pescare dal mazzo questo secondo full length dei polacchi Warfist.
Il thrash è, tra i generi estremi, quello che ritengo più atrofizzato e meno predisposto ad aperture o contaminazioni, e se proprio voglio ascoltare qualcosa la scelta è limitata tra i giganti della della Bay Area e qualcosa della vecchia scuola teutonica; quindi, essendo proposto per lo più in maniera fedele alla linea, mi appare piuttosto ripetitivo, anche se, rispetto per esempio al death o al black, è più difficile imbattersi in dischi davvero inascoltabili ma, per converso, lo è anche reperire al giorno d’oggi qualcosa di memorabile.
Una descrizione che si addice a Metal To The Bone, album che fa scapocciare il giusto e che sarebbe esattamente ciò che vorrei sentire ad un concerto da parte di una sconosciuta band di supporto, avendo la garanzia di godermi una mezz’oretta di sano furore metallico, il problema è che risulta difficile andare a scegliere il disco degli Warfist tra la montagna di musica che si ha oggi a disposizione.
I polacchi maneggiano la materia con buona predisposizione, aderendo con competenza a tutti gli stilemi del genere, ma alla fine dell’ascolto resta davvero pochino ad li là del fatto di non essersi annoiati.
E’ evidente che un lavoro come questo, al contrario, sarà apprezzato sicuramente da chi vive a pane e thrash, e non c’è nulla di male né di sbagliato in questo, sia chiaro, anche perché la band fa bene e con assoluta sincerità il proprio sporco lavoro, solo che per abbattere il muro della normalità ci vorrebbe ben altro.

Tracklist:
1. Pestilent Plague
2. Written with Blood
3. Convent of Sin
4. Tribe of Lebus
5. Breed of War
6. Metal to the Bone
7. NecroVenom
8. Playing God
9. Reclaim the Crown

Line-up:
Mihu – Vocals, Guitars
Wrath – Bass
Pavulon – Drums

WARFIST – Facebook

Myriad Lights – Kingdom Of Sand

Per gli amanti del power metal, Kingdom Of Sand può senz’altro considerarsi un buona alternativa ai soliti nomi

Attivi da una decina d’anni e con un primo lavoro licenziato quattro anni fa (Mark of Vengeance), tornano i lombardi Myriad Lights con il secondo album, Kingdom Of Sand, album che dimostra quanto la scena nazionale sia ormai patrimonio del metal europeo.

Anche a livello underground infatti il metal italiano dimostra di avere molte frecce al proprio arco, molte ancora da scoccare direi, visto la qualità dei prodotti made in Italy, anche quelli meno conosciuti.
Costruito su fondamenta che ricordano il power metal raffinato ed elegante al quale lo stivale ha dato un fondamentale contributo con Labyrinth, Shadows Of Steel ed in parte Vision Divine: il sound di Kingdom Of Sand è un ottimo e vario esempio di quello che le sonorità metalliche di stampo classico hanno dato in questi ultimi anni, con la band che non si ferma agli illustri colleghi ma spazia tra melodie, aggressività e varie soluzioni stilistiche, così da non essere solo figlia di un unico approccio.
Tra i brani che compongono l’album , oltre ad orchestrazioni dal mood orientaleggiante, è forte lo spirito power nato nelle terre germaniche, che non fa altro se non indurire il sound, quel tanto che basta per accontentare anche i defenders che mal digeriscono qualche orchestrazione di troppo.
Così ci troviamo al cospetto di un buon lavoro, che non manca di brani davvero interessanti (Mirror) ed un’ottima altalena tra il neoclassicismo nazionale ed il power dirompente di scuola tedesca, valorizzata da un’interpretazione su buoni livelli di Andrea Di Stefano, vocalist dalle grandi potenzialità, ed una prova strumentale tutta grinta e passione.
Una band che crede in quello che fa, ne escono così i Myriad Lights, e non è poco in un mercato virtuale che abbonda di proposte di tutti i generi, fortunatamente molte buone, ma anche con troppe sotto la media.
Per gli amanti del power metal, Kingdom Of Sand può senz’altro considerarsi un buona alternativa ai soliti nomi, molti dei quali ormai lontani dalle opere che hanno scritto la storia del genere.

TRACKLIST
1.Desert Nights
2.Kingdom of Sand
3.Abyssal March
4.The Deep
5.The Grave Chant
6.039 Lights
7.Mirror
8.The Waves
9.Deathbringer
10.Ascension

LINE-UP
Francesco Lombardo-Guitars
Jeff Lombardo-Bass
Andrea Di Stefano-Vocals
Simone Sgarella-Drums
Emanuele Salsa-Keyboards

MYRIAD LIGHTS – Facebook

VIII – Decathexis

Black avanguardista, death tecnico e progressivo, ambient, tutto scorre e cambia vorticosamente in Decathexis, un lavoro con il quale gli VIII provano in maniera decisa a staccarsi dalle convenzioni

Poco più di due anni fa mi ero trovato ad elogiare il primo full length dei sardi VIII, autori in quel frangente, con il loro Drakon, di un black metal dalle ampie sfumature doom e ricco di passaggi evocativi e melodici.

Le cose sono cambiate non poco nel lasso di tempo intercorso tra quell’uscita ed il qui presente Decathexis, non tanto dal punto di vista qualitativo che, come vedremo, non ha subito alcun contraccolpo, bensì da quello riferito all’approccio stilistico: gli VIII sono oggi una realtà dedita ad un black avanguardista che può essere avvicinabile ai parti più recenti della scuola francese, reso però con una personalità ed un tocco di follia che ne accentua la peculiarità.
Ed è proprio da un concept basato su stati di alterazione mentale (Decathexis significa, a grandi linee, ad una forma patologica di progressivo disinteresse e distacco nei confronti della realtà circostante) che DrakoneM, sempre aiutato dal fido drummer Mark, prende le mosse per sviluppare un lavoro impressionante per come la materia viene plasmata a piacimento senza che, alla fine, il risultato finale ne risenta particolarmente a livello di fluidità.
Non era semplice, infatti, concentrare in un solo album una simile quantità di influssi, corrispondenti ad altrettanti cambi di scenario ed atmosfera, mantenendo saldo il controllo delle composizioni senza farsi sopraffare dalla propria vis sperimentale.
Fin dall’incipit di Symptom, infatti, si intuisce che Decathexis offrirà una cinquantina minuti all’insegna di un’imprevedibilità, abbinata ad un’estremizzazione del suono che va oltre i semplici canoni del black o del death: gli VIII suonano quello che si può definire a buon titolo avantgarde metal, senza che tale definizione appaia pomposa o inadeguata
Così le incursioni del sax, strumento che da chi ascolta metal estremo viene normalmente visto come il fumo negli occhi, sono solo uno dei simboli del disagio che gli VIII traducono in musica: i tre brani, la cui delimitazione appare più una necessità che non una conseguenza logica, per cui potrebbero essere anche dieci od uno soltanto, non lasciano punti di riferimento certi ed è quasi impossibile prevedere quale direzione prenderà il sound.
Black avanguardista, death tecnico e progressivo, ambient, tutto scorre e cambia vorticosamente in Decathexis, un lavoro con il quale gli VIII provano in maniera decisa a staccarsi dalle convenzioni, rischiando del loro con l’abbandono di strade più confortevoli ma ottenendo un risultato davvero soddisfacente, che lascia quale unico interrogativo la reazione di chi ha seguito le prove del passato al cospetto di una sterzata così decisa e violenta inferma al proprio modus operandi.
Poco male, visto che auspicabilmente DrakoneM e Mark dovrebbero ottenere nuovi e numerosi consensi per un album che va assaporato, comunque, mantenendo un’ampia apertura mentale.

Tracklist:
1. Symptom
2. Diagnosis
3. Prognosis

Line-up:
DrakoneM – Guitars, Bass, Synth, Vocals (additional)
Mark – Drums

VIII – Facebook

Firmam3nt – Firmament

Siamo negli ormai classici territori del prog metal moderno, perciò troverete pane per i vostri denti specialmente se siete fans accaniti di Opeth e Porcupine Tree.

Sempre bilanciata tra progressive rock e post metal moderno, la musica di questo quartetto madrileno arriva a noi come un fiume di note tragiche, dal mood oscuro ed intimista, attraversata da umori metallici che gli conferiscono un buon appeal per gli amanti del prog di ultima generazione.

I Firmam3nt licenziano il loro primo album omonimo e si ritrovano catapultati nel calderone delle ormai tantissime proposte del genere, ma con un po’ di attenzione da parte dell’ascoltatore quest’opera dedicata ai quattro punti cardinali (i brani infatti si intitolano North, East, West, Sud) alla fine vi convincerà.
Un album strumentale è già di per sé alquanto ostico se non si è fans accaniti della musica che racconta, se poi la stessa si riveste di abiti vari che passano dal metal progressivo, al post rock, dal prog tradizionale a puntate elettriche dal gusto estremo, diventa difficile da assorbire completamente.
Il buon songwriting, unito ad una tecnica assolutamente obbligatoria nel genere e una buona produzione, fanno però di Firmament un lavoro da applaudire, anche per la durata non eccessiva.
I brani scorrono discretamente, le atmosfere plumbee, violentate da rabbiose impennate metalliche e non troppo lunghe pause espressive, lasciano che la musica sgorghi senza trovare grossi intoppi: gli attimi dove il sound risulta di ottima fattura non mancano, mentre le influenze del gruppo giocano a rimpiattino tra lo spartito delle quattro tracce.
Siamo negli ormai classici territori del prog metal moderno, perciò troverete pane per i vostri denti specialmente se siete fans accaniti di Opeth e Porcupine Tree.
Classico album da prendere con le pinze, curarlo e coccolarlo, alla larga amanti del rock usa e getta.

TRACKLIST
1.North
2.East
3.West
4.Sud

LINE-UP
Jorge Santana – Drums & Percussion
Alberto Garcia – Guitars
Txus Rosa – Guitars
Sergio González – Bass

FIRMAM3NT – Facebook

Septem – Living Storm

I Septem fanno metal con il cuore e non con il mixer o con le pose, perché la loro musica di metallari inveterati parla direttamente al cuore, muovendo le corde del metallico amore, e se ascolterete questo disco capirete cosa voglio dire.

Per i metallari più attenti e vogliosi di nuove sonorità e di gruppi meritevoli, i Septem avevano già colpito al cuore con il precedente album omonimo che era stata una delle migliori uscite del 2013.

Con questo Living Storm, i Septem si superano e pubblicano un grandissimo disco di heavy metal che viene dal cuore, mantenendo ben salde le radici e innovando anche tra NWOBHM e i migliori In Flames, ma andando oltre le ultime uscite degli svedesi. La voce di Daniele Armanini ci porta lontano verso un’epicità sicuramente estranea a questa nostra società. Il gruppo suona compatto e coordinato come un’orchestra, prodotto in maniera eccellente da Tommy Talamanca ai Nadir Studios. I Septem cambiano più volte registro musicale all’interno della stessa canzone, e la loro bravura tecnica e compositiva li porta ad esplorare diversi luoghi musicali. In Living Storm troviamo l’heavy metal inglese degli anni ottanta così come i fondamentali Helloween, ma si ascolta anche un suono risalente alla moderna scuola svedese, oltre ad una straordinaria melodia che è tutta dei Septem. Il disco è davvero godibile e ha dei momenti in cui si viene trasportati lontano. Una delle cose che colpiva maggiormente del disco precedente era stata scoprire che i Septem fanno metal con il cuore e non con il mixer o con le pose, perché la loro musica di metallari inveterati parla direttamente al cuore, muovendo le corde del metallico amore, e se ascolterete questo disco capirete cosa voglio dire. Rispetto al disco d’esordio questo Living Storm è, come promette il titolo, più brutale e veloce ed è ancora, come accaduto per il precedente disco, una delle migliori uscite dell’anno. Questi ragazzi parleranno al vostro cuore metallico, ascoltateli.

TRACKLIST
1. Lord of the Wasteland
2. Living Storm
3. Midnight Sky
4. Milestones
5. Cielo Drive
6. Waiting for Dawn
7. Montezuma II
8. The Crystal Prison

LINE-UP
Daniele Armanini – vocals
Francesco Scontrini – guitar, vocals
Enrico Montaperto – guitar
Andrea Albericci – bass guitar
Matteo Gigli – drums

SEPTEM – Facebook

Deranged – Struck by a Murderous Siege

Otto monumenti al genere più estremo della corrente death, niente di più, niente di meno … ma è un bel sentire.

Gruppo cult della scena estrema svedese, i Deranged tornano con un nuovo devastante lavoro tramite Agonia Records e sono dolori.

Non solo black e death melodico, dal lontano 1991 i Deranged portano alta la bandiera insanguinata del death metal brutale, la loro discografia conta (oltre a qualche lavoro minore) ben nove full length, compreso questo nuovo album, registrato presso Berno Studio di Malmö (Amon Amarth, The Crown, Witchery).
Struck by a Murderous Siege segue le coordinate stilistiche che da anni sono le caratteristiche del gruppo, un brutal dath metal efferato, tecnicamente sopra la media contraddistinto da una velocità tenuta a freno da muri di potentissimo metal estremo.
In città sgorga sangue, le acque del fiume si colorano di rosso porpora e in questa visuale distruttiva il quartetto di Hjärup ci va a nozze, infliggendo colpi mortali, pesanti deflagrazioni di metal estremo sulla scia dei soliti nomi affiancati al genere.
Il sound come al solito si avvicina alla tradizione statunitense e per i fans di Cannibal Corpse, Malevolent Creation anche questo nuovo album non può che riservare una quarantina di minuti di pura e violenta goduria.
Il gruppo, anche se sempre all’ombra delle band di punta, ha raggiunto un’esperienza tale da non sbagliare un colpo, il livello medio si mantiene buono e per chi predilige cambi di ritmo, pesanti mid tempo, solos urlati e growl da orso ferito, non può perdersi questo brutale ed ennesimo capitolo di una storia lunga più di venticinque anni.
Otto brani, otto cannonate senza soluzione di continuità, otto monumenti al genere più estremo della corrente death, niente di più, niente di meno … ma è un bel sentire.

TRACKLIST
1. The Frail Illusion of Osteology
2. Hello from the Gutters
3. Reverent Decomposition
4. Shivers Down Your Broken Spine
5. Cold Icy Hands
6. Struck by a Murderous Siege
7. Toy Box Torture Chamber
8. Undead Instrument by Grim Ascendancy

LINE-UP
Rikard Wermén – Drums
Thomas Ahlgren – Guitars
Andreas Johansson – Bass
Anders Johansson – Vocals

DERANGED – Facebook

Hierophant – Mass Grave

Mass Grave è la realizzazione delle promesse seminate nelle precedenti uscite, ed è un disco davvero notevole.

A chi ha occhi e soprattutto voglia di vedere la situazione appare in tutta la sua chiara gravità: siamo fottuti, e bisogna che qualcuno come gli Hierophant ce lo ricordi.

Il gruppo ravennate è in giro dal 2010 e fa musica violenta, pesante e maledettamente affascinante, musica catartica. Nel loro terzo disco gli Hierophant raggiungono forse la loro maturazione definitiva, anche se si spera che le loro sepolture di massa continuino per molto tempo ancora. Il loro stile è un misto di death metal, hardcore furioso e un’aggressività simile a quella dei compianti The Secret ma più intelligibile e maggiormente metal. Il loro intento è quello di scuotere l’ascoltatore, e di farlo muovere per tutta la durata del disco o del concerto. La bravura degli Hierophant ha già da tempo travalicato i confini patri, ed infatti sono molto apprezzati sia in Europa che nel mondo. Maggiore effetto ed efficacia al massacro è data dalla produzione di Taylor Young, uno che con Nails ed altri gruppi ha già provocato diversi denti rotti in giro per il mondo. Rispetto ai precedenti e già ottimi album degli Hierophant questo forse è il più strutturato, il più violento ed il più death metal, e non c’è davvero un attimo di tregua. Mass Grave è la realizzazione delle promesse seminate nelle precedenti uscite, ed è un disco davvero notevole.
Tenebre, cenere e rumore, è quello che siamo.

TRACKLIST
01. Hymn of Perdition
02. Execution of Mankind
03. Forever Crucified
04. Mass Grave
05. Crematorium
06. In Decay
07. Sentenced to Death
08. The Great Hoax
09. Trauma
10. Eternal Void

LINE-UP
Giacomo – Bass, Vocals
Ben – Drums
Lollo – Guitars, Vocals
Steve – Guitars

HIEROPHANT – Facebook

Crossbones – Crossbones

Un’iniziativa assolutamente consona al valore dell’opera in questione

Siamo ancora negli anni ottanta, anche se ormai il decennio successivo è alle porte, ed i venti alternativi spingono il rock verso una nuova frontiera: nell’Italia metallica, ancora lontana dai fasti degli ultimi anni e difesa da un manipolo di eroi contro l’esterofilia dilagante di fans e molti addetti ai lavori , continuano ad affacciarsi gruppi che, con un po’ di ritardo, dei suoni heavy metal fanno il loro credo, in un paese ancorato alla canzone popolare ed al progressive del decennio precedente.

Molti rockers con meno primavere sulle spalle, del chitarrista ligure Dario Mollo ricorderanno le collaborazioni con Tony Martin nel progetto The Cage (The Cage 1998, The Cage2 2002 e The Third Cage 2012) e con Glenn Hughes nei Voodoo Hill (Voodoo Hill nel 2000, Wild Seed of Mother Earth del 2004 e Waterfall uscito lo scorso anno).
Il talentuoso musicista e produttore nostrano, oltre ad altre importanti collaborazioni ha un passato nei Crossbones, autori di questo ottimo lavoro licenziato nel 1989 e oggi ristampato dalla Jolly Rogers Records per la gioia degli amanti dell’hard & heavy old school.
Prodotto da Kit Woolven (Thin Lizzy, UFO) e con alle tastiere il contributo dell’ospite internazionale Don Airey, l’esordio omonimo dei Crossbones aveva tutte le carte in regola per tatuarsi nel cuore degli amanti dei suoni scolpiti nell’acciaio: una produzione che per quei tempi soddisfaceva non poco, una serie di canzoni superlative e l’enorme talento (senza nulla togliere alla precisa ed efficiente sezione ritmica composta da Ezio Secomandi alle pelli e Fulvio Gaslini al basso) dei due indiscussi protagonisti, Dario Mollo con la sua sei corde che sprigionavano suoni blackmoriani a profusione ed il cantante Giorgio Veronesi, grande interprete dei suoni duri e regali del gruppo.
Diventato in breve tempo un oggetto di culto, anche per non aver avuto un seguito (almeno fino ad oggi), Crossbones segue le coordinate stilistiche del metal/rock britannico, aggressivo, raffinato e con quelle sfumature epiche avvicinabili proprio ai Rainbow, messe in evidenza da un Mollo straordinario alla sei corde ed un songwriting di altissimo livello.
L’opener Fallen Angel, la diretta Rock ‘n’ roll , il metallo epico della gloriosa The Promised Land, l’omaggio a Vivaldi nella classica Winter sono solo fiocchi di un pacco regalo confezionato alla perfezione dal gruppo ligure che, all’epoca, con questo lavoro, salì sul podio dei migliori lavori usciti dalla ancora bistrattata ( metallicamente parlando) penisola.
Bene ha fatto la Jolly Roger ha curare questa ristampa in cd, un’iniziativa assolutamente consona al valore dell’opera in questione, da non perdere.

TRACKLIST
1.Fallen Angel
2.Iron in the Soul
3.Rock ‘n’ Roll
4.Cry from the Heart
5.The Promised Land
6.Venom
7.Bad Dreams
8.Winter
9.Fire

LINE-UP
Fulvio Gaslini – Bass
Ezio Secomandi – Drums
Dario Mollo – Guitars
Giorgio Veronesi – Vocals

Netherbird – The Grander Voyage

La mancanza di spunti innovativi è ampiamente compensata dalla capacità di comporre brani avvincenti, orecchiabili ma non banali, trasportando con un certo agio l’ascoltatore dall’inizio alla fine senza fargli avvertire alcun sintomo di stanchezza.

Gli svedesi Netherbird sono una band attiva ormai da una dozzina di anni, con una produzione già piuttosto corposa alle spalle senza che, purtroppo, il loro nome sia mai spiccato in maniera particolare nell’affollata scena estrema scandinava.

Potrebbe giungere a cambiare le cose questo loro quarto full length intitolato The Grander Voyage, con il quale vengono riportate in auge sonorità che trovarono un certo spazio all’inizio del millennio.
Per rinvenire dei possibili punti di riferimento per i Netherbird è opportuno spostarsi nella vicina Finlandia dove, nello scorso decennio, band come Catamenia e Norther diedero alle stampe lavori di un certo spessore al’insegna del death black melodico.
Va detto, a onor del vero, che la genesi del gruppo svedese è di poco posteriore rispetto ai nomi citati e, quindi, parlare di influenze vere e proprie non è corretto, mentre appare più lecito segnalarne le affinità al fine di inquadrarne al meglio il sound.
Il sottogenere in questione, per sua natura, deve coinvolgere ed emozionare, avvalendosi di cavalcate in crescendo nelle quali gran parte del lavoro viene affidato dal punto di vista melodico al tremolo delle chitarre, mentre le tastiere svolgono un ruolo importante ma limitato all’accompagnamento, senza debordare come avviene nella variante sinfonica.
Tutto ciò si palesa in maniera perfetta nel lavoro dei Netherbird, i quali sciorinano una quarantina di minuti impeccabili, nei quali la mancanza di spunti innovativi è ampiamente compensata dalla capacità di comporre brani avvincenti, orecchiabili ma non banali, trasportando con un certo agio l’ascoltatore dall’inizio alla fine senza fargli avvertire alcun sintomo di stanchezza.
Detto che, per gusto personale, ho sempre prediletto questo tipo di sonorità rispetto al più canonico death melodico, trovo che The Grander Voyage sia un magnifico album, impreziosito da alcuni gioielli come la cangiante The Silvan Shrine, dalle superbe linee melodiche, e Windwards, che si snoda in maniera splendida tra pulsioni folk e maideniane.
Non so se ciò possa bastare ai Netherbird per migliorare in maniera sensibile il loro attuale status: dal mio punto di vista lo meriterebbero, ma ho il timore che un bellissimo album come The Grander Voyage sia, a modo suo, leggermente fuori tempo massimo, anche la buona musica di norma dovrebbe esulare da queste considerazioni.

Tracklist:
1. Pale Flames on the Horizon
2. Hinterlands
3. Dance of the Eternals
4. Windwards
5. Pillars of the Sky
6. The Silvan Shrine
7. Emerald Crossroads

Line-up:
Bizmark (PNA) – Guitars, Keyboards, Vocals (backing), Bass
Nephente – Vocals
Nord – Guitars, Vocals (backing)
Tobias Jacobsson – Vocals (backing)
Micke André – Vocals (backing)

NETHERBIRD – Facebook

Source – Return To Nothing

L’album fa la sua figura e merita l’attenzione degli amanti del prog alternativo e moderno.

Nel mondo del progressive metal le sonorità moderne hanno preso il sopravvento su quelle classiche, almeno nelle preferenze degli ascoltatori e come in tutti i generi ad un periodo di moderato successo e popolarità le uscite del genere si moltiplicano così come le nuove band.

I Source sono un terzetto statunitense proveniente dal Colorado, Return To Nothing è il loro debutto licenziato dalla Pavement Entertainment, un’opera lunga ed ambiziosa che, partendo da un concept legato alle esperienze di meditazione, filosofia e yoga ci consegna un’opera matura, elegante e moderna.
I brani, leggermente prolissi a dire il vero, mantengono comunque una buona scorrevolezza, tra metal moderno e prog concettuale, cambi di ritmo, frenesie elettriche ed atmosfere ariose viziate da chiari riferimenti a viaggi mentali e fughe meditative.
Il sound mantiene questa caratteristica per tutta la durata del disco che passa gli ottanta minuti, tanti per far vostra la musica del combo in pochi ascolti.
Infatti l’album va curato senza fretta, le armonie prog si alternano con l’alternative metal di matrice statunitense, i richiami alla musica orientale accentuano l’atmosfera concettuale che il disco emana, una terapia tooliana vera e principale influenza dei Source.
La band di Undertow e Ænima è presente in dosi massicce nel songwriting della band, meno tragico e drammatico e più solare ma sempre specchiato nel gruppo di Maynard James Keenan.
In generale il livello qualitativo si mantiene su livelli alti, i Source non si dimenticano di essere una band metal e quando i brani lo richiedono ci vanno pesante, ma come d’incanto si torna a viaggiare su nuvole disegnate dalla mente che suo malgrado viaggia invitata dal gruppo statunitense ad esplorare gli angoli più reconditi del proprio mondo.
L’opener Forgiveness è probabilmente il brano più diretto di Return To Nothing, ma dalla successiva Memories Of Yesterday si comincia a fluttuare, accompagnati e presi per mano dalle varie The Essence, Return To Nothing e il piccolo gioiello tooliano The Serpent, picco più alto e brano più duro e metallico del disco.
Nel genere l’album fa la sua figura e merita l’attenzione degli amanti del prog alternativo e moderno, a cui va il consiglio di pazientare e lasciare che la musica creata dai Source arrivi piano a toccare le giuste corde, poi non vi lascerà più.

TRACKLIST
01. Forgiveness
02. Memories of Yesterday
03. The Essence
04. The Word Source
05. Return to Nothing
06. Complaisance
07. Consumed
08. The Serpent
09. Quadrant
10. Veil of Doubt (CD Bonus Track)

LINE-UP
Ben Gleason- Vocals, Guitar
Georges Octobous- Drums
Dan Crisafulli- Bass

http://www.facebook.com/listentosource/videos/10153789684960617/

Lectern – Precept Of Delator

I Lectern si confermano come una delle migliori realtà estreme nate sul nostro territorio

Una schiera di demoni inviati da Satana riesce ad impossessarsi del segreto dell’onnipotenza di Dio , i seguaci del bene vengono cancellati e il male assoluto domina per l’eternità.

Tornano i mastodontici e ferocissimi Lectern, band proveniente dalla capitale che Iyezine aveva già avuto modo di conoscere con il precedente e devastante Fratricidal Concelebration, uscito lo scorso anno.
Al secondo full length il gruppo conferma tutto il bene scritto al riguardo, mettendo in mostra una vena compositiva fuori dal comune, tanta belligeranza, ed un’attitudine malvagia che sprigiona in tutta la sua blasfema cattiveria in questo monumentale Precept Of Delator.
Registrato ai The Outer Sound Studios, l’album vede alla produzione Giuseppe Orlando come avvenuto in passato, perciò aspettatevi un disco dal taglio internazionale, con suoni che escono puliti senza essere troppo cristallini, in perfetta linea con il metal estremo suonato dalla band, un death metal classico di matrice statunitense, con l’ottima tecnica strumentale in evidenza, straordinario nella sua potenza distruttiva, e con una forma canzone che entusiasma.
Una mazzata metallica che equivale ad uno tsunami, con brani veloci, furiosi, pregni di malsana attitudine old school al servizio delle legioni del male, in un vortice di cambi di tempo, solos che strappano le carni come uncini appesi alle pareti di celle nella torre dove Satana guida i suoi demoni per la destabilizzazione totale del bene.
Con Gabriele Cruz che prende il posto di Enrico Romano alla seconda chitarra, i Lectern sono pronti a conquistare gli appassionati a colpi di death metal, con una serie di brani eccezionali (Palpation of Sacramentarian, l’oscura e devastante Distil Shambles e la title track sono di un’altra categoria), ed un secondo lavoro che riesce nella non facile impresa di superare il già ottimo debutto.
Oscuri, brutali e senza compromessi, i Lectern si confermano come una delle migliori realtà estreme nate sul nostro territorio.

TRACKLIST
1.Gergal Profaner
2.Palpation of Sacramentarian
3.Fluent Bilocation
4.Distil Shambles
5.Pellucid
6.Diptych of Perked Oblation
7.Garn for Debitors
8.Precept of Delator
9.Discorporation with Feral

LINE-UP
Fabio Bava- vocals, bass
Pietro Sabato- guitar
Gabriele Cruz- guitar
Marco Valentine- drums

LECTERN – Facebook

Ceremony – Tyranny From Above

Un’opera per deathsters che vogliono conoscere le varie scene che si sono susseguite nel corso degli anni

Tempi di ristampe in casa Vic Records, intenta a riesumare storici album estremi come questo Tyranny From Above, primo ed unico full length dei Ceremony, band proveniente dalla scena olandese che all’alba degli anni novanta dettava legge in campo death metal.

Nati nel sul finire del decennio precedente il gruppo di Peter Verhoef (per un periodo anche nei Phlebotomized) e che ha visto devastare bassi da Ron van de Polderm, membro originario dei Sinister, ha lasciato ai posteri, oltre a questo lavoro, un demo, un ep ed un promo.
Erano altri tempi ed anche un solo album poteva regalare una sorta d’aura di culto ai gruppi estremi, in un periodo in cui le uscite discografiche erano ancora limitate all’uscita nei negozi e non vomitate dal web.
La band olandese si creò quindi questa sorta di immortalità artistica, sicuramente meritata con questo album, un ottimo esempio di death metal dell’epoca, oscuro, soffocante pregno di ritmiche al limite del thrash, growl brutale e rallentamenti doom/death.
Death metal cupo, reso ancora più oscuro da una produzione old school che ne aggrava la componente estrema, all’epoca riassunta in vortici di musica dal mood dark e mitragliate in blast beat.
Nel disco troviamo come bonus l’ep del 1992 Inclemency e il demo, ultimo vagito della band del 1994.
Un’opera ad esclusiva dei deathsters che vogliono conoscere le varie scene che si sono susseguite nel corso degli anni, ed una band storica del death metal suonato nei Paesi Bassi, genere che ha fatto scuola anche alle nuove legioni sparse per il mondo.

TRACKLIST
1. Inner Demon
2. Drowned in Terror
3. Solitary World
4. Ceremonial Resurrection
5. When Tears Are Falling
6. Humanity
7. Beyond the Boundaries of This World
8. Tribulation Foreseen
9….Humanity…
10. Tribulation Foreseen
11. Essence of Alteration
12. Immortality of the Gods
13. Tyranny from Above

LINE-UP
Micha Verboom-vocals
Johan van der Sluijs-guitar
Patrick van Gelder-drums
Peter Verhoef-guitar

CEREMONY – Facebook

Chemistry-X – Click Less And Jam Mo’

Il gruppo ricorda alcune delle band che fecero fuoco e fiamme sul mercato dell’epoca, anche se le ottime intuizioni ritmiche e l’assoluta padronanza dei mezzi fanno dei Chemistry-X una realtà del tutto personale.

Ebbene si, c’è ancora nel 2016 chi ha il talento e la voglia di suonare nu metal, quello vero, il genere che sul finire degli anni novanta e per i primi anni del nuovo millennio spodestò il grunge dal trono delle preferenze degli appassionati di tutto il mondo e, a colpi di ritmiche potenti, chitarre sature e rap, conquistò il mondo della musica rock/metal.

Non siamo in America, ormai aldilà dell’oceano nessuno si sognerebbe di registrare un album come Click Less And Jam Mo’, ma in Italia, precisamente in Abruzzo (Sulmona) e la posse in grado di farci saltare come grilli psicopatici si chiama Chemistry-X.
Il gruppo, un quintetto, muove i primi passi nel 2008 nascendo dalle ceneri dei Bad Pudge dove militavano Fuckin’ FiL (voce), D-Exp (chitarra) e Batterio (batteria).
La band, completata dal percussionista Turco e dall’inumano bassista Dild-1, nel 2011 licenzia l’ep First Lady Takes Time, dunque cinque anni separano questo primo lavoro sulla lunga distanza dal precedente lavoro, tanti, ma ne è valsa la pena visto l’ottimo lavoro che vi vado a presentare.
Nu metal dicevamo, quindi dimenticatevi tutto ciò che di core vi è stato proposto in questi ultimi anni: di suoni cosiddetti moderni, ormai lanciati verso l’oblio da un mercato saturo di proposte, su Click Less And Jam Mo’ non ne troverete neanche una nota, la musica del gruppo appartiene in tutto e per tutto alla scena statunitense di una ventina di anni fa, ma impreziosita da una serie di varianti musicali che fanno di queste composizioni un bellissimo caleidoscopio di colori e suoni.
Salsa, ritmi tribali, funky, metal e rap si danno daf are in un’orgia di crossover, davvero intrigante, a tratti irresistibile, con il basso che pulsa impazzito, la voce che, diciamolo, mette in fila molti dei colleghi dell’epoca, mentre le percussioni creano vortici di ritmi ipnotici e la chitarra urla metallica la propria nobile origine.
Ne esce un album bellissimo, magari fuori tempo massimo, ma a chi non frega niente di mode ed altre amenità un esempio fulgido di cosa si creava ai tempi sotto l’etichetta di crossover/nu metal.
Girate la manovella del volume al massimo e cominciate a saltare sotto i letali colpi delle varie Venomous Inside, Day Off, Viral, la devastante Compulsive Liar e la spettacolare cover di Galvanize dei The Chemical Brothers che, accompagnate da una track listdi gran livello, vi regaleranno un tuffo sontuoso nel più scatenato sound dove rap e metal trovarono la loro perfetta alchimia.
Il gruppo ricorda alcune delle band che fecero fuoco e fiamme sul mercato dell’epoca, anche se le ottime intuizioni ritmiche e l’assoluta padronanza dei mezzi fanno dei Chemistry-X una realtà del tutto personale.

TRACKLIST
01. Intro
02. Venomous Inside
03. Y’all Bounce
04. Day Off 0
05. Sex Hides The Way
06. Jam Mo’
07. Viral
08. Galvanize (The Chemical Brothers cover)
09. Compulsive Liar
10. Taste My Payback
11. All But Real
12. Outro

LINE-UP
Fuckin’ FiL – voice
D.3xp – guitars
Turco – percussions
Dild-1 – bass
Batterio – drums

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Fil Di Ferro – Hurricanes / Fil Di Ferro

Due buone ristampe, sicuramente importanti per conoscere una band storica del panorama italiano o per i rockers dal capello grigio, un incontro con dei vecchi amici mai dimenticati.

Tempi di ristampa per la Jolly Roger che tributa una delle band storiche del panorama heavy metal nazionale, torinesi i Fil Di Ferro.

Dal 1979 band che accomuna l’hard & heavy con la cultura biker, in mano al batterista Michele De Rosa, fondatore ed unico membro ancora attivo nel gruppo, i Fil Di Ferro fanno parte di quel manipolo di eroi della prima ondata di gruppi nazionali passati addirittura sul piccolo schermo dalla molto più seria RAI, che (sembra un paradosso) risultava all’epoca molto più libera culturalmente, se vero è che passarono all’epoca anche i Maiden ancora in mano a Paul Di Anno.
I due album in questione, venduti singolarmente, sono il debutto Hurricanes uscito nel 1986 ed il seguente full length omonimo di due anni dopo.
Il gruppo, diede poi alle stampe altri tre album, Rock Rock Rock del 1992 e poi, dopo tredici anni di silenzio, entrarono nel nuovo millennio con It Will Be Passion del 2005 e It’s Always Time, licenziato quattro anni fa.
Il titolo del primo album tributa il mondo dei bikers, Hurricanes infatti è il gruppo di motociclisti che De Rosa contribuì a fondare: il sound acerbo, ma dall’ottimo impatto, risulta New Wave Of British Heavy Metal al 100% con almeno un paio di brani divenuti in seguito dei classici della discografia del gruppo piemontese come la title track, Burning Metal e Get Ready.
La Jolly Roger ci ha messo del suo aggiustando le pecche di una produzione deficitaria, senza togliere l’atmosfera old school che aleggia sui brani e regalando ai fans un album storico ormai introvabile se non nei banchetti dell’usato.
Nel 1988 la band torna più decisa che mai con il lavoro omonimo: Fil Di Ferro cambia non poco le carte in tavola, con una produzione in linea con le uscite dell”epoca, curata da Guy Bidmead, già al lavoro con Lemmy ed i suoi Motorhead .
Il sound del gruppo acquista una piega più internazionale, non sfigurando certo con i lavori degli allora dei del metal britannico, anche grazie ad una line-up ormai rodata in cui il solo chitarrista Michele Fiorito risulta la novità rispetto al primo album.
Una serie di brani rocciosi, che hanno in Licantropus, Street Boy e Wanted degli splendidi esempi di cavalcate metalliche, questa volta su roboanti motociclette delle quali Fil Di Ferro portano fieri la cultura ed il messaggio della vita da bikers.
In conclusione due buone ristampe, sicuramente importanti per conoscere una band storica del panorama italiano o, per i rockers dal capello grigio, un incontro con dei vecchi amici mai dimenticati.

TRACKLIST
Hurricanes
1. Hurricanes
2. Rock Fever
3. The Fox
4. Burning Metal
5. King Of The Night
6. Over The Light
7. Get Ready
8. Fil Di Ferro

Fil di Ferro
1. Hurricanes
2. Crazy Horse
3. Street Boys
4. Nightmare
5. I’m Free
6. Licantropus
7. Wanted
8. Ambush
9. Professional Meeting
10. Dropping Down

LINE-UP
Hurricanes
Michele De Rosa-Drums
Bruno Gallo Balma-Bass
Claudio De Vecchi-Guitars
Sergio Zara-Vocals

Fil di Ferro
Michele De Rosa-Drums
Bruno Gallo Balma-Bass
Miky Fiorito-Guitars
Sergio Zara-Vocals

FIL DI FERRO – Facebook

Kingdom – Sepulchral Psalms from the Abyss of Torment

Siamo lontani dai gruppi estremi che vanno per la maggiore, il sound dei Kingdom è underground nel vero senso della parola, onesto e blasfemo nella sua natura, devoto alla parte più malvagia ed estrema del genere.

Dalle fredde lande polacche tornano, tramite la Godz Ov War Productions, i Kingdom con il loro terzo lavoro sulla lunga distanza, un abominio sonoro, tutto odio ed anticristianità dal titolo Sepulchral Psalms from the Abyss of Torment.

Ed è in un abisso di tormenti che ci scaraventano i tre polacchi, con il loro death metal old school, potenziato da furiose accelerazioni thrash ed efferata attitudine black.
Produzione scarna, suono marcatamente classico, impatto da tregenda, l’album risulta così senza compromessi, un lavoro che non concede tregua in un delirio estremo senza soluzione di continuità.
Siamo lontani dai gruppi estremi che vanno per la maggiore, il sound dei Kingdom è underground nel vero senso della parola, onesto e blasfemo nella sua natura, devoto alla parte più malvagia ed estrema del genere.
I riferimenti allo stile nato nel loro paese non sono poi così scontati, vero che l’aggressione sonora ad un primo ascolto porta inevitabilmente ai gruppi storici della scena est europea, ma i Kingdom mantengono un approccio marcatamente old school, rimando confinati nel buio abisso dove le anime tormentate non trovano pace, ma solo la dannazione eterna.
La furia sprigionata da brani come Monolith of Death o Black Rain upon the Mountain of Doom, l’atmosfera maligna e doomy della raggelante Abyss Of Torment, danno al disco quel tocco diabolico e cattivo insito nel gruppo, e fanno di Sepulchral Psalms from the Abyss of Torment un’opera oscura, marcia, soffocante e, di conseguenza, rivolta agli appassionati più fedeli al genere.

TRACKLIST
1. Sepulchlar Psalms
2. Monolith of Death
3. Forsaken Tribe
4. Kaplica Ducha Zgniłego
5. Abyss of Torment
6. Black Rain upon the Mountain of Doom
7. Whispering the Incantation of Eternal Fire
8. Cromlech (Darkthrone cover)

LINE-UP
SLW – Drums
LWN – Vocals, Guitar
STH – Bass

KINGDOM – Facebook

Wargame – Sick Of Italy

Mezz’ora di thrash metal di scuola statunitense, con particolare riferimento agli Anthrax prima maniera, uno spirito punk che aleggia sul sound e tanta voglia di divertirsi e divertire.

Uno, due, tre e via a tutta velocità dalla Brianza alla conquista dei locali della penisola dove suonare divertente, irriverente ed alcolico thrash metal.

Wargame, ovvero sei ragazzi di Monza e dintorni riunitisi sotto questo monicker quattro anni fa e con un demo ed un ep (Acid Barf) all’attivo, ora al debutto con il primo album licenziato dalla Earthquake Terror Noise, label nostrana specializzata nei suoni estremi ed attenta in modo particolare al thrash.
Qui troviamo appunto Mezz’ora di thrash metal di scuola statunitense, con particolare riferimento agli Anthrax prima maniera, uno spirito punk che aleggia sul sound e tanta voglia di divertirsi e divertire: Sick Of Italy è tutto qui e non è poco.
Brani che superano i tre minuti in qualche occasione, una serie di scariche di adrenalina, pugni nello stomaco che arrivano, ben assestati in un turbinio di ritmiche velocissime, chitarre lanciate in inseguimenti alla 007 e chorus da cantare sotto il palco dopo l’ennesima pinta di bionda, in un live incandescente ed esplosivo.
Il metal degli Wargame è puro divertimento, ignorante, esagerato, volgare ma terribilmente irresistibile, roba da pazzi, roba da thrashers, prendere o lasciare.
Sick Of Italy non ha l’ambizione di far apparire il gruppo brianzolo come la new sensation del genere, ma sicuramente quella di far male in live dove il pogo diventa l’unica via per sfogare tutta l’adrenalina accumulata con botte di vita come Small Soldier, Drink Beer, A.C.A.M. e tutte le altre scatenate tracce.
Incontrarli dal vivo è puro massacro, nel frattempo ci prepariamo ad affrontare il sestetto con Sick Of Italy.

TRACKLIST
1 – Intro
2 – Small Soldier
3 – Mud ‘n Blood
4 – Drink Beer
5 – Slasher
6 – Sick of Italy
7 – A.C.A.M.
8 – Nuke Lovers
9 – Not for Me!
10 – Kickflip in Hell
11 – Fear
12 – Black Rambo / U.ASS.A.

LINE-UP
Federico “Defo” De Filippo – Vocal
Alessandro “Ale Freaks” Frigerio – Vocal
Lorenzo “Rello” Marelli – Guitars
Massimo “Max” Costanzi – Guitars
Luca “Toxic Tony” Tonietti – bass
Tommaso “Tommy” Frigerio – Drums

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