Echelon – The Brimstone Aggrandizement

Un pezzo di meteorite death metal in caduta sui vostri stereo portando distruzione, morte e grande musica, come ormai ci ha abituato da tempo quel gigante estremo di Rogga Johansson.

La Transcending Obscurity e Rogga Johansson hanno scritto con il sangue un patto per portare nel mondo il verbo del metal estremo, death metal per l’esattezza efferato, crudele ed assolutamente old school.

Avevo previsto che l’anno era lungi da essere finito per il musicista svedese, un personaggio monumentale per tutto il panorama estremo mondiale, sempre in prima linea con i suoi numerosi progetti sempre di ottima qualità.
Signore e signori, vi presento gli Echelon, ennesima creatura estrema di Rogga e di cui fanno parte lo storico singer Dave Ingram (Down Among the Dead Men, Hail of Bullets, ex-Downlord, ex-Strangler, ex-Benediction, ex-Eyegouger, ex-Bolt Thrower) ed il batterista Travis Ruvo (Among the Decayed, Cropsy Maniac, Goatsoldiers, Wormfood, Akatharta, ex-Blood Freak ).
Giunto al secondo album dopo il debutto Indulgence over Abstinence Behind the Obsidian Veil uscito lo scorso anno, il trio di stakanovisti del death metal, spara altre otto mitragliate estreme, per un’altra mezzora di death metal pesante veloce, a tratti melodico, suonato e cantato alla grande.
Johansson (qui alle prese con tutti gli strumenti a parte ovviamente, lo spaccare tutto con la batteria), torna al death metal che sa suonare meglio, quel tipo di suono che nel suo paese hanno inventato e sviluppato e che ha segnato in modo indelebile la storia del genere, dunque, niente che non sia accostabile alle band di riferimento (per il sottoscritto il musicista svedese rimane il miglior erede del sound dei primi Edge Of Sanity), ma tremendamente coinvolgente, devastante e perfetto nella sua anima estrema.
Detto di una prova maiuscola di Ingram al microfono, The Brimstone Aggrandizement vive di impatto e attitudine, con solos che si scagliano violenti e melodici, su ritmiche pressoché a velocità sostenuta e tremende ripartenze sulle piste che hanno visto gareggiare, i migliori act del genere.
Un pezzo di meteorite death metal in caduta sui vostri stereo portando distruzione, morte e grande musica, come ormai ci ha abituato da tempo quel gigante estremo di Rogga Johansson.

TRACKLIST
1.Plague of the Altruistic
2.The Forbidden Industry
3.Lex Talionis
4.Of Warlocks and Wolves
5.The Brimstone Aggrandizement
6.Vital Existence
7.The Feared Religion
8.Monsters in the Gene Pool/Sonic Vortex

LINE-UP
Travis Ruvo – Drums
Rogga Johansson – All instruments
Dave Ingram – Vocals

ECHELON – Facebook

Black Oath – Litanies In The Dark

Litanies In The Dark offre una ventina di minuti dall’indubbia qualità che servono a tenere viva l’attenzione nei confronti degli ottimi Black Oath

Nuovo Ep per i Black Oath, una delle migliori band italiane dedite al doom nelle sue sembianze più classiche.

Litanies In The Dark esce esattamente un anno dopo l’ottimo To Below and Beyond, lavoro che aveva consolidato lo status del gruppo milanese quale interprete credibile della musica del destino nella sua essenza più pura. In quest’occasione i nostri ci regalano tre brani inediti oltre ad una magnifica cover (Reincarnation Of The Highway Cavalier) che in realtà è molto di più, trattandosi del medley di due brani contenuti in The Time Lord, ep dei Pagan Altar  del 2004.
Detto dell’ottima riuscita di questa versione, va rimarcato sopratutto il brano d’apertura, …From Here, vero marchio di fabbrica dei Black Oath, sempre guidati dalla voce stentorea di A.Th, cerimoniere che ha il compito di introdurci in un mondo parallelo in cui l’occulto ed il sacrilego vanno a braccetto, provocando brividi ed inquietudine senza dover nemmeno ricorrere a particolari artifici.
Davvero una magnifica canzone, questa, alla quale fanno da corollario gli altri due inediti strumentali, la più composita Funeral Alchemy e una A Song To Die With che sfuma misteriosamente sul più bello dopo due minuti, proprio quando stava prendendo corpo un coinvolgente crescendo.
In sintesi, Litanies In The Dark offre una ventina di minuti dall’indubbia qualità che servono a tenere viva l’attenzione nei confronti degli ottimi Black Oath, in attesa di una prossima prova su lunga distanza.

Tracklist:
1. …From Here
2. Funeral Alchemy
3. Reincarnation Of The Highway Cavalier
4. A Song To Die With

Line-up:
A.Th – Vocals, Guitars
Chris Z. – Drums
B. R. – Guitars

BLACK OATH – Facebook

Annisokay – Devil My Care

Devil In My Care è un album ben confezionato, prodotto benissimo, un lavoro professionale insomma, ma, come ormai ci ha abituato la scena metalcore melodica, inadatto ai maggiori di 18 anni …

Post hardcore o metalcore fate voi, fatto sta che il modern metal dai rimandi core continua a sfornare giovani band dalle indubbie capacità tecniche ma raramente supportate da buone idee, ed il mercato si satura di album tutti uguali, magari perfetti per i gusti dei teenagers dai pruriti metallici ma, invero, freddi come il ghiaccio.

La verità è che il genere è inflazionato ed ascoltare qualcosa di veramente interessante diventa sempre più un’impresa.
Il nuovo lavoro dei tedeschi Annisokay si posiziona nel mezzo delle due verità: da una parte il terzo album del gruppo di Halle vive di tutti i cliché triti e ritriti del genere, doppia voce (clean e scream), ritmi sincopati, alternanza continua tra parti rabbiose e melodie ruffiane; dall’altra, d alzare le quotazioni di questo Devil My Care, è l’ottimo uso dell’elettronica che avvolge tutto l’album in atmosfere pop rock, a tratti al limite del danzereccio, ma pur sempre ben inserite nel contesto dei brani.
Il giovane quintetto tedesco con due album ed una manciata di lavori alle spalle, vanta già una buona esperienza, virtù che si evince dalla raccolta di brani, tutti con l’appeal giusto per essere apprezzati dai loro coetanei.
Devil In My Care è un album ben confezionato, prodotto benissimo, un lavoro professionale insomma, ma, come ormai ci ha abituato la scena metalcore melodica, inadatto ai maggiori di 18 anni …

TRACKLIST
1. Loud
2. What’s Wrong
3. Smile (feat. Marcus Bridge of Northlane)
4. D.O.M.I.N.A.N.C.E.
5. Blind Lane
6. Thumbs Up, Thumbs Down (feat. Christoph von Freydorf of Emil Bulls)
7. Hourglass
8. Photographs
9. Gold
10. The Last Planet

LINE-UP
Dave Grunewald – Shouts
Christoph Wieczorek – Guitar & Vocals
Philipp Kretzschmar – Guitar
Norbert Rose – Bass
Nico Vaeen – Drums

http://www.facebook.com/annisokay/about/

Everlasting Blaze – Everlasting Blaze

Un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere ma anche a chi, senza paraocchi, rivolge il proprio orecchio anche alle produzioni del sottobosco nostrano.

L’underground metal/rock nostrano si arricchisce ogni giorno di nuove ed eccellenti proposte, nate in giro per le città della penisola in ogni genere, formando un universo musicale che non patisce più la sudditanza verso le scene oltreconfine.

Gli Everlasting Blaze, per esempio, sono una giovane band genovese fuori con il primo lavoro, molto ben curato e dai suoni moderni, alternativo nel saper bilanciare rock, metal ed atmosfere dark, grazie soprattutto alla splendida voce della singer Marwa.
E l’ottimo uso di ritmiche e chitarre dai toni aggressivi, ammorbiditi dalla dolce ed espressiva voce di Marwa, è l’arma letale con cui il gruppo genovese ammalia ed ipnotizza l’ascoltatore in questi suggestivi ed intensi minuti di musica, valorizzata da ottimi arrangiamenti e da una produzione sul pezzo, così da consegnare un lavoro professionale e coinvolgente.
La virtù principale che affiora a più riprese dall’ascolto delle tracce è una sfumatura poetica che affiora anche nei brani più grintosi, ed esplode nella bellissima Freedom, l’anima più delicata degli Everlasting Blaze si scontra con quella metallica, mentre If Only, Life of Crime e Zombie Town mostrano gli artigli, acciaio rovente e moderno che si sfida singolar tenzone con l’introspettività dark ed appunto poetica del sound creato dal combo genovese.
Ad un primo ascolto troverete molte similitudini con gli Evanescence e i gruppi alternative dalle tinte dark/gothic di qualche anno fa, ma rimanendo nell’underground ho trovato la musica del gruppo sulla linea degli spagnoli Rainover, anche se la band genovese mantiene un approccio alternativo molto più marcato.
In conclusione, Everlasting Blaze risulta un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere ma anche a chi, senza paraocchi, rivolge il proprio sguardo anche alle produzioni del sottobosco nostrano.

TRACKLIST
1.Misery
2.If Only
3.Freedom
4.Life of Crime
5.Alone
6.Scream
7.No Mercy
8.Zombie Town
9.Memories
10.Obey
11.Searching
12.The Wasted Soul

LINE-UP
Marwa – vocal,guitar
Sadem – guitar
Youssef – bass
Fabio – drums

EVERLASTING BLAZE – Facebook

Teodasia – Metamorphosis

Basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle melodie di brani entusiasmanti

Puntuale come promesso e di cui vi avevamo parlato nella recensione di Reloaded, arriva sul finire di questo sountuoso anno per il metal nazionale, il nuovo lavoro di inediti targato Teodasia.

La band, dopo averci presentato la nuova line up sul lavoro precedente, che vedeva i nostri riprendere vecchi brani e darli in pasto alla splendida voce di Giacomo Voli, torna con Metamorphosis, album ambizioso, vario e perfettamente in bilico tra il metal sinfonico e l’ hard rock, sia classico che moderno, con una vena progressiva sottolineata da molti cambi di ritmo ed un quid elettronico che rende il lavoro completo sotto ogni punto di vista.
Metamorphosis conquista, e non poteva essere altrimenti, d’altronde l’arrivo di Voli e del chitarrista Alberto Melinato ha portato nuova linfa ed entusiasmo, percettibili già su Reloaded, ma qui evidenziati da un lavoro di inediti che è pura arte metallica.
Quella musica dura, così bistrattata nel mondo delle sette note, trova nel talentuoso gruppo veneto quella nobiltà molte volte negata anche da chi invece dovrebbe supportarla, nonché splendidi interpreti di emozionanti e sognanti viaggi che l’ugola del cantante rende reali, basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle melodie di brani entusiasmanti, uno diverso dall’altro, uno più bello dell’altro.
Partendo da tutto ciò, Metamorphosis conferma che l’attesa per l’ascolto di nuovi brani non è stata delusa,  e i Teodasia riescono nell’intento (non facile) di far emergere tutte le loro ispirazioni ed influenze, passando da un genere all’altro come un ape sui fiori: l’album si trasforma in un caleidoscopio di sonorità che vanno dall’hard rock di Release Yourself al power prog della potente Rise, per spostarsi su mirabolanti sinfonie nella bellissima #34 , far sognare di castelli medievali persi nel tempo con Crossroads To Nowhere, od emozionarci con dolci ballate come Two Worlds Apart, in cui Voli duetta con Chiara Tricarico dei Temperance.
Un album bellissimo per il quale la parola d’ordine è emozione, per una band che entra di diritto nelle eccellenze musicali dello stivale metallico, sempre più protagonista nella scena europea con una serie di talenti sopra le righe. Imperdibile.

TRACKLIST
1. Intro
2. Stronger Than You
3. Release Yourself
4. Rise
5. Just Old Memories
6. Idols
7. #34
8. Two Worlds Apart
9. Diva Get Out
10. Gift Or Curse?
11. Redemption
12. Crossroads To Nowhere
13. Metamorphosis

LINE-UP
Francesco Gozzo – drums, piano
Giacomo Voli – lead vocals
Alberto ‘Al’ Melinato – guitar
Nicola ‘Fox’ Falsone – bass

TEODASIA – Facebook

Tygers Of Pan Tang – Tygers Of Pan Tang

Una fantastica cavalcata nell’immortalità di un genere musicale

Sono passati trentasei anni da Wild Cat, debutto dei Tygers Of Pan Tang, una delle band più importanti uscite dalla new wave of british heavy metal e da un po’ di anni rinati sotto il segno del cantante Jacopo Meille, italiano di nascita ma dal sangue britannico, almeno a giudicare dalle prestazioni con lo storico gruppo dall’attitudine felina.

Doppia cifra raggiunta e superata con questo lavoro, almeno per quanto riguarda gli album di inediti, una carriera all’ombra dei nomi che occuparono le classifiche del vecchio continente (Def Leppard in primis), ma un livello qualitativo che non ha mai visto passi falsi clamorosi e si rinvigorisce con questo ennesimo album omonimo, davvero ispirato e travolgente nel saper sfruttare al meglio i cliché del vecchio hard & heavy britannico.
I Tygers Of Pan Tang del nuovo millennio sono nelle ottime mani del vocalist e del solo superstite Robb Weir, axeman di un’altra categoria, splendido nel rendere fresco ed attuale un genere che, nel 2016, vive in bilico tra capolavori ed opere stantie, ma che sa regalare musica metal di alto rango se a suonarlo sono gruppi come le tigri anglosassoni.
Si parte a razzo, con hard rock ed heavy metal che si rincorrono tra lo spartito con una serie di brani dall’impatto di un treno in corsa, perfettamente bilanciati tra grinta e melodia e radiofonici , se solo le radio non fossero invase dalla non musica di questi brutti tempi in cui viviamo e che si riflettono pure sulle sublime arte.
Si perché cosa sono, se non arte metallica, i quattro morsi con cui la band ci aggredisce (Only The Brave, Dust, Glad Rags e Never Give In), per poi farci rabbrividire con la semi ballad The Reason Why e ripartire con ancora più foga con la spettacolare Do It Again?
Detto di una prova clamorosa del “nostro” Jacopo e del sontuoso songwriting con cui è rivestito questo undicesimo album, vi lascio con le ultime quattro canzoni, la perfezione metallica data in pasto a noi, poveri cultori del bello aldilà di trend, mode ed altre amenità: una fantastica cavalcata nell’immortalità di un genere musicale. Bentornate tigri.

TRACKLIST
01. Only The Brave
02. Dust
03. Glad Rags
04. The Reason Why
05. Never Give In
06. Do It Again
07. I Got The Music In Me
08. Praying For A Miracle
09. Blood Red Sky
10. Angel In Disguise
11. The Devil You Know

LINE-UP
Robb Weir – guitars
Jacopo Meille – vocals
Micky Crystal – guitars
Gav Gray – bass
Craig Ellis – drums & percussion

TYGERS OF PAN TANG – Facebook

Wolves Den – Deus Vult

Il lavoro è l’ennesimo ottimo esempio di black teutonico, con qualche venatura epica proveniente dal retaggio dei musicisti, ed una serie di brani dal grande impatto

Da diverso tempo sostengo che il black metal esprime il meglio possibile oggi in terra tedesca, laddove la maggior parte delle band pare riuscire con grande naturalezza ad imprimere al proprio sound un che di solenne che, spesso, viene accompagnato anche da un pregevole gusto melodico.

A suffragare questa tesi giunge il primo album dei Wolves Den, gruppo formato da due ex-Equlibrium , il vocalist e bassista Helge Stang ed il batterista Manuel Di Camillo, e dal chitarrista Mexx Steiner; quindi non parliamo certo di neofiti o di musicisti inesperti ed il risultato si sente eccome: il lavoro è l’ennesimo ottimo esempio di black teutonico, con qualche venatura epica proveniente dal retaggio dei musicisti, ed una serie di brani dal grande impatto per tre quarti d’ora di musica ineccepibilmente composta e suonata.
Linee ben capaci di imprimersi nella memoria vengono accompagnate dai vocalizzi estremi di un versatile Stang, mentre Steiner si dimostra chitarrista capace di esprimersi con una certa creatività, senza dimenticare un drumming dinamico come quello di Di Camilo: il quadro complessivo depone così a favore di un opera del tutto riuscita e che minimizza la naturale carenza di originalità proprio grazie ad un gradito connubio tra destrezza esecutiva ed una scrittura coinvolgente.
Le liriche in lingua madre impiantate su una struttura che può rimandare, a grandi linee, alla scuola svedese meno arcigna (Dark Funeral e Naglfar) donano quella punta di fascino in più ad un lavoro che trova la sua sublimazione in due brani magnifici come Schwarzes Firmament e Mortis, mentre, stranamente, è proprio la title track a mostrarsi l’episodio meno convincente, apparendo piuttosto fuori contesto per ritmi ed atmosfere.
Considerando che questo primo full length dei Wolves Den risale ormai ad un anno e mezzo fa, i nostri dovrebbero essere auspicabilmente già al lavoro per dagli un seguito che, alla luce di questa prova positiva, attendiamo con una certa curiosità.

Tracklist:
1. Via lustorum
2. Gedeih und Verderb
3. Schwarzes Firmament
4. Deus Vult
5. Grau wird Nebel
6. Dysterborn
7. Sieche
8. VobisCum
9. Mortis

Line-up:
Manuel Di Camillo – Drums
Mexx Steiner – Guitars
Helge Stang – Bass, Vocals

WOLVES DEN – Facebook

Necroven – Primordial Subjugation

Un album che piacerà agli amanti di queste sonorità, ma difficilmente troverà in tutti gli altri buoni riscontri.

Si continua imperterriti a parlare di death metal old school sulle pagine di MetalEyes.

Quello che sembra un ritorno a tutti gli effetti delle sonorità classiche, anche nel metal estremo sta riempiendo la scena underground di gruppi dall’attitudine e dai suoni vecchia scuola.
Le ristampe delle vecchie opere di band più o meno conosciute ed i nuovi lavori di chi segue la corrente classica non si contano più e, come in queste occasioni, in mezzo si possono trovare album meritevoli ed altri meno.
Rimane una piacevole invasione di creature estreme, una goduria per gli ingordi fans del genere e specialmente per chi segue le vicende musicali della scena underground.
La Memento Mori, per esempio, licenzia Primordial Subjugation, secondo lavoro sulla lunga distanza dei Necroven, duo spagnolo composto da JR (chitarra, basso, batteria e voce) e FC (basso e tastiere), attivo da una manciata di anni e con alle spalle Worship of Humiliation, album uscito quattro anni fa.
Un lavoro di death metal che per impatto ed attitudine risulta 100% old school, macabro e maligno, prodotto con tutti i crismi per non intaccare l’atmosfera classica dei lavori usciti a cavallo tra il decennio ottantiano e quello successivo, terremotante ed oscuro il giusto per rientrare nelle atmosfere cimiteriali delle opere uscite in quel periodo.
Si viaggia sempre sostenuti da ritmiche veloci tra le tombe del cimitero, mentre i riff brulicano di vermi, il growl è soffocato dalla non morte ed il songwriting odora di decomposizione.
I mid tempo non sono poi così male, quando il sound frena dal cilindro la band tira fuori momenti di oscuro e pesante death metal (Esoteric Entropy), ma sono attimi, prima che i morti ritornino a camminare sulla terra e la caccia ricominci in un turbinio di maligno e malato death old school.
Un album che piacerà agli amanti di queste sonorità, difficilmente troverà in tutti gli altri buoni riscontri.

TRACKLIST
1.Sacrificial Deliverance
2.The Pyre Cycle (Burn in Solitude)
3.Primordial Subjugation
4.The Ethereal
5.Esoteric Entropy (Gateway to the End)
6.Martyrs of Repentance
7.Serpents Crawl Stealthy

LINE-UP
JR-Guitars, Bass, Drums, Vocals.
FC- Bass, Keyboards, Effects.

NECROVEN – Facebook

Sorguinazia – Sorguinazia

Tutto è al servizio di una furia demoniaca, perché il black metal ti possiede, non lo suoni, ne vieni suonato.

Black metal primordiale velocissimo e senza controllo, sgorga dalle casse come sangue dalle vene. Ortodosso nella sua visione del black metal, questo misterioso duo confeziona uno dei migliori demo dell’anno in ambito nero, con una furia ed una marcezza senza pari.

Non esiste tregua, non c’è scampo alla caccia satanica, verrete presi e squartati appesi a quattro cavalli. Accelerazioni, concentrazioni magmatiche di black metal, grida belluine, e parti cantate in maniera classica, il tutto con una qualità molto alta. Anche la registrazione, pur essendo virata al black metal classico è fatta molto bene,facendo risaltare ancora di più il lavorio incessante del duo.
I Sorguinazia riescono a creare un’atmosfera particolare, sempre tetra e tesa, ed il loro black metal non cala mai di intensità e di forza. Non si sa praticamente nulla del duo, ma sicuramente sono persone che hanno una particolare dimestichezza col black metal. Ciò è confermato anche dal sapiente uso di parti maggiormente mid tempo, ma alla fine tutto è al servizio di una furia demoniaca, perché il black metal ti possiede, non lo suoni, ne vieni suonato.
Demo uscito ora in cassetta, poi a marzo 2017 uscirà in vinile, anticipando quello che sarà il futuro full length del gruppo sempre su Vault Of Dried Records.
Una delle uscite dell’anno per il black metal.

TRACKLIST
1.VI
2.I
3.II

Tytus – Rises

Un album coinvolgente, ispirato e suonato con cuore e passione, hard & heavy alla massima potenza consigliato senza riserve e che farete fatica a togliere dal vostro lettore anche dopo mesi.

Boom!: il botto che sentirete al primo accordo di questo bellissimo debutto, è l’esplosione metallica della Terra al letale avvicinamento del Sole, una deflagrazione tremenda a colpi di heavy hard rock dei Tytus e del loro Rises.

Ma prima di perdervi tra le macerie, risultato dell’ armageddon sonoro creato dal gruppo, presentiamo per bene questo quartetto friulano, risultato dell’alleanza di un manipolo di musicisti provenienti da varie band già attive nella scena underground come Gonzales, La Piovra, Eu’s Arse e Upset Noise, e che, dopo la recente firma con la Sliptrick Records ci bombardano con una pioggia di meteore hard rock e di spumeggiante heavy metal, per una cinquantina di minuti dall’alto tasso adrenalinico.
Chitarre che vomitano acciaio fuso, ritmiche potenti che, pur guardando alla tradizione, mantengono un approccio fresco, una produzione che valorizza il sound senza risultare troppo patinata e un singer di razza, fanno di Rises un album imperdibile per gli hard rockers dalle mire metalliche.
Le influenze del gruppo sono da ricercare nella storia dell’hard & heavy, anche se l’album ha una sua anima, prepotente, diretta, dannatamente coinvolgente, per cui spogliatevi di inutili riverenze all’originalità e fatevi capovolgere da questi dieci martelli sparati da Asgard, caduti sul sole e colpevoli di spingere la nostra fonte naturale di luce verso il nostro pianeta.
Enorme la forza di queste tracce, un continuo susseguirsi di inni che nel metal classico sono stati plasmati e che nell’hard rock hanno trovato il perfetto alleato.
La tempesta di suoni che travolge ogni cosa, trova la sua forza nel suo insieme ed è difficile ascoltare un brano che non sia eccellente per potenza, con solos di stampo maideniano e grandi linee melodiche.
La tensione non scende, almeno fino alla conclusiva Blues on the Verge of Apocalypse, strumentale che vede i quattro rockers camminare nella desolazione lasciata dal disastroso impatto con un tappeto di suoni tastieristici di scuola Uriah Heep (quelli leggendari di Very ‘Eavy Very ‘Umble e Salisbury).
Un album coinvolgente, ispirato e suonato con cuore e passione, hard & heavy alla massima potenza, un lavoro consigliato senza riserve e che farete fatica a togliere dal vostro lettore anche dopo mesi.

TRACKLIST
1.Ode to the Migthy Sun
2.New Frontier
3.Haunted
4.325 A.D.
5.White Lines 04:48
6.Omnia Sunt Communia
7.Inland View
8.Desperate Hopes
9.New Dawn’s Eve
10.Blues on the Verge of Apocalypse

LINE-UP
Bardy – Drums
Mark Simon Hell – Guitars
Markey Moon – Vocals, Bass
Ilija Riffmeister – Vocals, Guitars

TYTUS – Facebook

Inflikted – Sineater

Nuovo ep per i thrashers svedesi Inflikted, in attesa che le polveri si riaccendano con il prossimo lavoro su lunga distanza.

Tra i tanti generi metallici di cui si cura la WormHoleDeath , il thrash è uno dei più rappresentati e gli svedesi Inflikted ne incarnano la frangia più tradizionale del genere.

Al debutto tre anni fa con il primo lavoro omonimo sulla lunga distanza, tornano con questo ep di quattro brani, Sineater, confermando tutta la carica metallica che possiede il loro grezzo e potente sound.
Rispetto al primo album il tiro dei brani lascia in parte quel mood motorheadiano che ne contraddistingueva l’opera prima, questa volta mitragliandoci di buon vecchio thrash metal tout court vicino alla tradizione statunitense.
E Sineater, infatti, parte all’attacco con l’opener Worldpolice/Isis e ci scaraventa nel più classico sound d’oltreoceano, tra fughe chitarristiche su pendolini lanciati sui binari del genere a gran velocità; Mikael Karlsson, Fredrik Gard e soci mantengono alta la tensione con solos di estrazione hard & heavy, chorus urlati dall’alto di un palco dove ai suoi piedi, thrashers di ogni età rivendicano la loro orgogliosa appartenenza al mondo metallico.
La loro attitudine rock è comunque ben in evidenza dalla cover Fire, brano di Jimi Hendrix posto in chiusura e che suggella questo mini cd, in attesa che le polveri si riaccendano con un il prossimo lavoro sulla lunga distanza.

TRACKLIST
1. Worldpolice/Isis
2. Sineater
3. Isolation devastation
4. Fire(Jimi Hendrix cover)

LINE-UP
Mikael Karlsson – Bass, Vocals
Fredrik Gard – Drums, Vocals (backing)
Vardan Saakian – Guitars, Vocals (backing), Vocals (lead) (track 4)
Cristian Abarca – Guitars, Vocals (backing)

INFLIKTED – Facebook

Witchunter – Back On The Hunt

Sembra facile riuscire a scrivere una serie di brani diretti e trascinanti, trovare un singer efficace e suonare heavy metal tripallico meravigliosamente vecchia scuola, ma dirompente e distruttivo come un treno all’entrata in stazione con i freni rotti, ma non è così.

Sonorità old school come se piovesse dall’underground italico, ormai assolutamente sul pezzo per quanto riguarda i suoni metallici in ogni genere e, come in questo caso, ad uso e consumo dei true defenders.

I Witchunter sono un gruppo abruzzese attivo da quasi una decina d’anni e con un primo album alle spalle di ormai sei anni fa, quel Crystal Demons che fece girare il nome del gruppo tra gli addetti ai lavori e gli amanti dell’heavy metal, quello vero, classico, in your face e suonato semplicemente con chitarre, basso e batteria.
Sembra facile riuscire a scrivere una serie di brani diretti e trascinati, trovare un singer efficace e suonare heavy metal tripallico, meravigliosamente vecchia scuola, ma dirompente e distruttivo come un treno all’entrata in stazione con i freni rotti, ma non è così.
Beh, cari i miei defenders amanti del palla lunga e pedalare, nemici di orchestrazioni e orpelli quando si parla di metal, il gruppo italiano (sì italiano … problemi?) vi farà spaccare la testa contro il muro di casa a suon di heavy rock a metà strada tra la new wave of british heavy metal e i Motorhead di san Lemmy, con una serie di brani travolgenti, come l’irresistibile Hounds Of Rock, brano che, per averlo sui loro patinati lavori, gruppi da un milione di dollari avrebbero regalato anche il fegato.
Back On The Hunt è bello che spiegato, anzi ci penserà la band con la sua musica a convincervi che qui si scherza, ma fino ad un certo punto, d’altronde i riff che, uno dietro l’altro, compongono e valorizzano Lady In White, Midnight Sin e Lucifer’s Blade sono scolpiti sulle tavole della legge dell’heavy metal.
Poi, quando la versione maideniana di Achilles Last Stand del dirigibile più famoso della storia del rock, lascia che l’album si avvii alla fine con Are You Ready dei Thin Lizzy piazzata prima dei titoli di coda, non ci rimane che toglierci il cappello e fare gli onori a Steve Di Leo (un cantante metal…punto) e soci.

TRACKLIST
1.Back on the Hunt
2.Lady in White
3.Vultures Stalking
4.Hounds of Rock
5.Nightmare
6.Midnight Sin
7.Loosing Control
8.Lucifer’s Blade
9.Achilles Last Stand (Led Zeppelin cover)
10.Are You Ready (Thin Lizzy cover)

LINE-UP
Silvio “Chuck” Verdecchia – Bass, Vocals, Guitars
Federico “Ace” Iustini – Guitars (lead), Vocals
Steve Di Leo – Vocals
Bastià “BloodOilDrinker” – Bass, Vocals
Luca Cetroni – Drums

WITCHUNTER – Facebook

Soliloquium – An Empty Frame

An Empty Frame è un album sorprendente, se non per spunti innovativi, sicuramente per la qualità compositiva esibita da musicisti capaci di spaziare, con grande disinvoltura, fra diverse sfumature ed umori.

An Empty Frame è il full length d’esordio degli svedesi Soliloquium, un duo attivo dall’inizio del decennio e che, dopo l’accordo con la label americana Transcending, qualche mese fa aveva pubblicato una compilation (Absence) nella quale venivano racchiusi i brani contenuti nel demo e nei due ep usciti tra il 2012 ed il 2013.

Stefan Nordström e Jonas Bergkvist sono attivi anche in due death band, i Desolator e gli Ending Quest, e con i Soliloquium spostano il loro raggio d’azione verso suoni ben più malinconici, andandosi a muovere su terreni cari a connazionali quali Katatonia, October Tide e When Nothing Remains, senza perdere di vista ovviamente la scuola inglese del death doom.
Ciò che ne scaturisce, An Empty Frame, è così un album sorprendente se non per spunti innovativi, sicuramente per la qualità compositiva esibita da musicisti capaci di spaziare, con grande disinvoltura, fra diverse sfumature ed umori.
Così si passa in un attimo dall’opener Eye of the Storm, in pieno stile Novembers Doom, quindi una cavalcata death doom piuttosto arcigna, alle atmosfere liquide e rarefatte di Earthly Confine, canzone splendida nella quale si possono apprezzare le clean vocals di Nordström, per poi proseguire con brani che fondono sapientemente i due aspetti, attingendo ovviamente alla tradizione scandinava ma senza disdegnare appunto sconfinamenti oltreoceano, tra Novembers Doom e Daylight Dies (The Sorrow Path, With or Without, The Observer e Procession) e chiudere infine con lo strumentale Fear Not, dai tratti sognanti che ne spingono le note ai confini del postmetal.
An Empty Frame è un lavoro di grande pulizia esecutiva, ben costruito e ricco di ottimi spunti disseminati in ciascuna traccia: ci sono tutti i motivi, quindi, per ascoltarlo e farlo proprio.

Tracklist:
1. Eye of the Storm
2. Earthly Confine
3. The Sorrow Path
4. With or Without
5. The Observer
6. Procession
7. Fear Not

Line-up:
Stefan Nordström – vocals, guitars
Jonas Bergkvist – bass
Mortuz – drums
Mike Watts – electronics

SOLILOQUIUM – Facebook

Urfaust – Empty Space Meditation

Empty Space Meditation è un lavoro davvero convincente: profondo ma non per questo troppo ostico da recepire, da parte di un nome magari poco noto ma in grado di ritagliarsi uno spazio importante tra gli estimatori di sonorità metalliche meno scontate.

Il duo olandese Urfaust è attivo da oltre un decennio e, nel corso di questo arco temporale, ha prodotto un numero elevato di uscite dal minutaggio ridotto (ep e split album) e tre full length, tra i quali l’ultimo è questo Empty Space Meditation.

L’etichetta di atmospheric black ambient che accompagna la musica IX e VRDRBR è piuttosto appropriata ma, tutto sommato, anche riduttiva, visto che il sound è decisamente composito e volto alla creazione di passaggi ariosi ed evocativi, a volte screziati da violente accelerazioni alle quali fanno da contraltare pulsioni droniche che, comunque, non appesantiscono affatto il lavoro nel suo complesso.
Empty Space Meditation è composto da sei brani intitolati Meditatum, numerati da I a VI, e ci fornisce l’idea di un album che, comunque, va ascoltato come un unico flusso sonoro nel quale convergono sensazioni svariate e spesso contrastanti, laddove spiritualità e nichilismo vanno di pari passo senza elidersi a vicenda.
Da tutto questo ne viene fuori una quarantina di minuti di enorme spessore, nei quali l’emotività deriva dal un incedere atmosferico e sovente rallentato ai confini del doom, con l’accento posto su un’interpretazione vocale da parte di IX magari non sempre ortodossa, ma dalle indubbie doti comunicative.
A brano simbolo eleggo il sulfureo srotolarsi di Meditatun IV, con il suo procedere quasi tetragono, accompagnato dai vocalizzi di IX che si fanno via via più sgraziati e disperati: questi sono gli Urfaust nella loro espressione meno immediata ed accomodante, in grado di puntellare ulteriormente un disco eccellente con V, brano che sembra a tratti una rielaborazione in veste metallica di Bauhaus e Christian Death dei tempi d’oro, e con la conclusiva, magnifica, VI, nella quale è il sitar che dona un’aura davvero particolare ad atmosfere già di loro sufficientemente introspettive.
Detto d IX, che si occupa praticamente di tutto il lavoro strumentale e vocale, va rimarcato il fondamentale operato di VRDRBR alla batteria, un aspetto spesso sottovalutato nei lavoro di matrice prevalentemente solista, venendo affidato ad una più fredda drum machine.
L’elemento umano qui si sente e fa la differenza, conferendo varietà e ritmiche non banali ad un sound che veleggia ispirato e dotato di un’oggettiva peculiarità.
Empty Space Meditation è un lavoro davvero convincente: profondo ma non per questo troppo ostico da recepire, da parte di un nome magari poco noto ma in grado di ritagliarsi uno spazio importante tra gli estimatori di sonorità metalliche meno scontate.

Tracklist:
1. Meditatum I
2. Meditatum II
3. Meditatum III
4. Meditatum IV
5. Meditatum V
6. Meditatum VI

Line-up:
VRDRBR – Drums
IX – Guitars, Vocals

URFAUST – Facebook

Pestilence – Reflections Of The Mind

Reflections Of The Mind rimane un’opera comunque di valore, specialmente per i fans accaniti del gruppo olandese e della importantissima scena che si creò in quel periodo.

L’importanza di una band come gli olandesi Pestilence sullo sviluppo delle sonorità estreme è risaputo, basterebbe nominare un album come il capolavoro Spheres per mettere in riga una bella fetta di storia del death metal.

Il gruppo capitanato da Patrick Mameli, specialmente nei suoi primi anni di attività si può considerare come un gruppo cardine del metal estremo, sperimentatore di sonorità lontane dai soliti cliché estremi e, nei primi anni novanta insieme ai Cynic precursore di tutto un movimento che cercava altre vie per l’evoluzione di tali sonorità.
La Vic Records mette sul mercato questa compilation di demo e brani in fase embrionale che andarono poi a comporre i tre album della prima fase del gruppo proveniente dal paese dei tulipani: Consuming Impulse, Testimony of the Ancients e appunto il capolavoro Spheres.
Rimasterizzato dal guru Dan Swanö con il supporto dell’artwork creato da Roberto Toderico, firma prestigiosa anche in casa Asphyx e Sinister, la raccolta riprende il titolo della storica compilation uscita dopo lo split del gruppo nel 1994 (Mind Reflections).
Si torna così ai primi anni novanta e le registrazioni, pur con il supporto del musicista e produttore svedese, non sono delle migliori, molti brani soffrono il passare inesorabile del tempo, anche se le chicche non mancano, con canzoni nella loro versione primaria poi riveduta e corretta al momento di inserirle negli storici lavori.
Reflections Of The Mind rimane un’opera comunque di valore, specialmente per i fans accaniti del gruppo olandese e della importantissima scena che si creò in quel periodo, primi sussulti di un metal estremo divenuto in seguito uno dei generi più importanti della musica moderna.

TRACKLIST
1 Reflections of the Mind
2 Searching the Soul
3 Times Demise
4 Changing Perspectives
5 Level of Perception
6 Multiple Being
7 Spheres
8 Land of Tears
9 Stigmatized
10 Presence of the Dead
11 Prophetic Revelation
12 Twisted Truth
13 Pat & Pat
14 Echoes of Death
15 Secrecies of Horror
16 Testimony
17 Omens of Revelations
18 Testimonial Ideas

LINE-UP
Patrick Mameli – Bass, Guitars,Vocals
Patrick Uterwijk – Guitars
David Haley – Drums
Georg Maier – Bass

PESTILENCE – Facebook

Karg – Weltenasche

Il black metal avrà sempre un senso e, soprattutto, vita ancora molto lunga, finché verrà interpretato da chi possiede la sensibilità compositiva di V. Wahntraum.

Karg è la creatura solista di V. Wahntraum, conosciuto anche come J.J. all’interno degli ottimi Harakiri For The Sky: un progetto travagliato nel suo decennale snodarsi, così come la personalità del musicista che lo conduce e che, tra varie vicissitudini,anche personali, pare aver trovato oggi una sua nuova dimensione con l’uscita di questo bellissimo Weltenasche.

Dopo i primi dischi , contraddistinti da un black metal dalle ampie sfumature ambient prima, e depressive poi, il musicista austriaco è approdato ad una forma che solo apparentemente si può considerare più canonica ma che, semmai, è solo maggiormente efficace e capace di colpire nel segno senza dover percorrere vie traverse.
E’ difficile, infatti, imbattersi nel genere in un lavoro così lungo eppure privo di momenti di stanca o di riempitivi: anche quando il nostro rallenta o varia la velocità di crociera, abbandonandosi a momenti acustici o più rarefatti, tutto appare perfettamente inserito in un disegno compositivo focalizzato su un costante scambio emotivo tra musicista ed ascoltatore.
D’altronde è percepibile dall’intensità di brani che, ad eccezione dell’acustica Spuren im Schnee, sono marchiati da un crescendo di pathos, mix tra rabbia, disperazione e rassegnazione, quanto in Weltenasche non ci sia nulla di costruito essendo ogni nota il naturale sbocco della creatività di un’anima tormentata.
Talvolta pare addirittura di ascoltare una versione dall’impatto più esasperato dei primi lavori degli Alcest, laddove melodie sognanti si sposano fluidamente con le sfuriate in blast beat (Solange das Herz schlägt…), in altri momenti è un afflato poetico a prendere la scena (MMXVI/Weltenasche) ma è soprattutto una reazione liberatoria ad un disagio interiore che prepara il terreno a brani splendidi come Crevasse, Alles wird in Flammen stehen e …und blicke doch mit Wut zurück.
Non è certo il genere musicale a fare il musicista, ma semmai il contrario, ed il black metal avrà sempre un senso e, soprattutto, vita ancora molto lunga, finché verrà interpretato da chi possiede la sensibilità compositiva di V. Wahntraum.

Tracklist:
1. Crevasse
2. Alles wird in Flammen stehen
3. Le Couloir des Ombres
4. Tor zu tausend Wüsten
5. Spuren im Schnee
6. Solange das Herz schlägt…
7. …und blicke doch mit Wut zurück
8. (MMXVI/Weltenasche)

Line-up:
V. Wahntraum Guitars, Vocals

KARG – Facebook

Rod Sacred – Submission

Il gruppo mantiene intatta la sua vocazione alle sonorità metalliche classiche e continua a dispensare ottima musica

Nel ritorno di fiamma per le sonorità old school, si inserisce prepotentemente la label tedesca Pure Steel, da anni ormai in missione per riportare in auge i classici suoni metallici.

Composta da varie sotto etichette, assecondando la musica suonata dai gruppi, la Pure Steel pesca da tutti i paesi del mondo nuove proposte e vecchie glorie dell’underground metallico e, come in questo caso con la sublabel Pure Underground, una vecchia conoscenza nata nel nostro paese negli anni ottanta.
I Rod Sacred infatti sono una band nata in Sardegna nei primi anni del decennio d’oro per la nostra musica preferita, con un primo album omonimo che ebbe un discreto successo all’epoca dell’uscita (1989), seguito da cambi di formazione e stop forzati, un secondo lavoro registrato nel 1997 (Sucker of Souls) e il silenzio fino ad oggi primna della firma con la piovra tedesca.
La rinascita per il gruppo del bassista Franco Onnis si chiama Submission e vede la nuova formazione in ottima forma alle prese con sette nuovi brani, in aggiunta alla ristampa dello storico primo album, un salto temporale nell’heavy metal classico, tra new wave of british heavy metal e hard & heavy.
Rivivrete così un altro pezzo di storia del metal tricolore, chiaramente ispirato ai maestri internazionali, ma assolutamente illuminato da luce propria, di notevole impatto, in molti tratti e suonato con ottima padronanza dei mezzi.
I vecchi brani, posti nella seconda parte del cd, vedono confermate le buone impressioni che suscitarono all’epoca dell’uscita, pregni di heavy metal robusto, tra tracce veloci e dirette e anthem metallici dal flavour emotivo altissimo che facevano del gruppo un sunto della proposta di gruppi come Rainbow, Black Sabbath del periodo Tony Martin, Iron Maiden e Scorpions … e scusate se è poco.
Tra tutte spiccano le splendide The Mistery Of Quid e la ballatona Dreaming, brani emotivamente sopra la media, con in gran spolvero il vocalist Antonio “Tony” Deriu , cantante che ricorda a più riprese Klaus Meine degli scorpioni tedeschi.
I nuovi brani non tradiscono le attese, il gruppo mantiene intatta la sua vocazione alle sonorità metalliche classiche e continua a dispensare ottima musica, alternando tracce dirette come Hiper Drive, mid tempo sabbathiani (la title track) e sontuose song di scuola Rainbow/Scorpions (Stop Fear), così da regalare un ottimo lavoro ai fans dei suoni classici, assolutamente obbligati a far proprio questo cd per fare la conoscenza con una band storica del panorama italiano.
Per chi ha qualche capello grigio in più sulla lunga ma rada chioma, l’acquisto merita per l’ottimo lavoro del gruppo sulla nuove composizioni, insomma fatelo vostro senza se e senza ma.

TRACKLIST
1. Submission
2. Hiper Drive
3. Stop Fear
4. Let Yourself Go
5. Rod Sacred
6. Strange Life
7. Radio
8. Don’t Fear the Rain
9. Live Your Life Again
10. Lonely Between Mass of Puppets
11. The Mistery of Quid
12. Crazy For You
13. Circle of Lust
14. The Enter
15. Dreaming
16. Will of Living Total

LINE-UP
Tonio Deriu – vocals
Luca Mameli – guitars
Peppo Eriu – guitars
Franco Onnis – bass, backing vocals
Andrea Atzeni – drums

ROD SACRED – Facebook