Cryostasium – Starbound

Siamo al cospetto di un’opera non deprecabile e nemmeno priva di spunti interessanti, ma caratterizzata dalla poca attrattiva, anche nei confronti dei più aperti alla fruizione di soluzioni sperimentali.

Cryostasium è il progetto solista di Cody Mallet, musicista di Boston decisamente prolifico.

Infatti, in poco meno di una quindicina d’anni di attività con questo monicker, Mallet ha assommato più di trenta uscite tra full length, split album ed ep, il che come sempre in questi casi lascia qualche dubbio sull’effettiva incisività di ciascuna di esse, stante il grande rischio di dispersione di idee.
Diciamo subito che il genere proposto dai Cryostasium è un black sperimentale, ritualistico e fortemente dissonante, il che non sarebbe affatto male se non fosse che lo schema compositivo è sempre piuttosto simile, con l’eccezione dell’incremento ritmico presente in The Eye.
Starbound è un ep indubbiamente coraggioso e anticonvenzionale ma è anche piuttosto difficile da digerire, perché diversamente dal canonico black ambient, la presenza di una base ritmica unita al tipico ronzio in sottofondo e di un vocalizzo lamentoso, riempie ben più del sopportabile i canali uditivi dell’ascoltatore.
In definitiva, siamo al cospetto di un’opera non deprecabile e nemmeno priva di spunti interessanti, ma caratterizzata dalla poca attrattiva, anche nei confronti dei più aperti alla fruizione di soluzioni sperimentali.

Tracklist:
01. Starbound
02. Magnetic
03. Melancholera
04. The Eye
05. Adventurine

Line-up:
Cody Maillet – everything

CRYOSTASIUM – Facebook

The Obsessed – The Obsessed

Grandiosa ristampa rimasterizzata del primo disco omonimo dei The Obesessed, uno dei gruppi più influenti nel campo del doom metal e non solo.

Grandiosa ristampa rimasterizzata del primo disco omonimo dei The Obsessed, uno dei gruppi più influenti nel campo del doom metal e non solo.

Il disco era fuori catalogo da vent’anni circa e la Relapse Records ne fa una ristampa di lusso in diversi formati, ma la vera chicca è la presenza del demo mai pubblicato Concrete Cancer, fondamentale per comprendere la genesi e gli sviluppi futuri del gruppo. Fondati dal dio del doom metal Scott Wino Wenirich nel 1975, gli Obsessed sono stati molto di più di un gruppo pionieristico del doom metal, poiché hanno aperto molte porte per diversi stili musicali, che poi in fondo sono una diversa declinazione del rock pesante e del blues, e lo si può capire ascoltando questo fondamentale disco. Gli Obsessed proseguono un discorso iniziato dai Black Sabbath e lo portano ad un altro livello, fondendo la tradizione americana con un suono pesante e lugubre che più tardi prenderà il nome di doom metal. Chitarre ribassate, riff potenti e sezione ritmica “ossessiva”, ma non è tutto così scontato, poiché il gruppo originario del Maryland ha molte frecce al suo arco e le tira fuori tutti. Ci sono accelerazioni improvvise, momenti nei quali la voce di Wino si erge al di sopra di tutto, e anche cavalcate impetuose, come pure momenti di glacialità assoluta, quasi un moto immoto. The Obsessed è un disco che mostra la strada per fare un metal diverso, certamente influenzato dai suoni dell’epoca, ma ci sono moltissimi elementi rock ed un sottobosco blues non indifferente. Il demo Concrete Cancer ci mostra la genesi di questo suono, è un documento preziosissimo testimoniando quanto questi ragazzi avessero le idee chiare fin dall’inizio. Questo disco farà impazzire chi ama un certo metal, in particolare il doom, mentre chi non conosce questo genere, qui troverà un tesoro da scoprire. Sentire questo capolavoro a distanza di anni rende ancora più manifesta la grandezza di un gruppo che ha aperto e asfaltato la strada per molte band che sarebbero venute dopo, pur mantenendo la continuità con la tradizione precedente. The Obsessed ha una forza incredibile, è come un sabba in una dimensione sconosciuta, è minimale, come sarà minimale l’altra creatura di Wino, i Saint Vitus, ma è ricchissimo ed è davvero una pietra miliare. Presente inoltre un Live At The Bayou molto valido e con una qualità audio al di sopra della media, per capire cosa fosse questa band in concerto.

Tracklist
1 Tombstone Highway
2 The Way She Fly
3 Forever Midnight
4 Ground Out
5 Fear Child
6 Freedom
7 Red Disaster
8 Inner Turmoil
9 River of Soul
10 Concrete Cancer (1984 unreleased Concrete Cancer demo cassette)
11 Feelingz (1984 unreleased Concrete Cancer demo cassette)
12 Mental Kingdom (1984 unreleased Concrete Cancer demo cassette)
13 Hiding Masque (1984 unreleased Concrete Cancer demo cassette)
14 Ground Out – Feelingz (live at The Bayou 4-15-1985)
15 Concrete Cancer (live at The Bayou 4-15-1985)
16 No Blame (live at The Bayou 4-15-1985)
17 Mental Kingdom (live at The Bayou 4-15-1985)
18 Tombstone Highway (live at The Bayou 4-15-1985)
19 Iron and Stone (live at The Bayou 4-15-1985)
20 Rivers of Soul (live at The Bayou 4-15-1985)
21 Sittin on a Grave (live at The Bayou 4-15-1985)
22 Freedom (live at The Bayou 4-15-1985)

Lineup:
Scott “Wino” Weinrich – Guitars, Vocals
Mark Laue – Bass
Ed Gulli – Drums

THE OBSESSED – Facebook

Soyuz Bear – Black Phlegm

Black Phlegm è un album che magari non brillerà per la sua varietà ma esibisce un impatto oggettivamente devastante in più di un frangente.

Sludge doom di nortevole impatto per l’esordio su lunga distanza dei francesi Soyuz Bear.

Black Phlegm prende le mosse dalle migliori band del settore (oltre alle dichiarate influenze di Eyehategod e Iron Witch, vanno aggiunti anche gli imprescindibili Dopethrone) e, fin dalle prime note della title track, si capisce che il quartetto di Tolosa non ha nessuna intenzione di indulgere in passaggi che non siano contrassegnati da un riffing di pesantezza non comune.
In poco più di mezz’ora i Soyuz Bear vanno avanti senza tentennamenti con il loro incedere pachidermico ma sempre abbastanza diretto, fatta eccezione per il breve episodio rumoristico intitolato S.W.T.V.M. e per la violenta accelerazione impressa a Scrub.
Per il resto, questo nero monolite si abbatte con violenza sull’ascoltatore senza lasciargli scampo: nei brani più rallentati (Swollen in primis) ogni riff è una martellata che inchioda il malcapitato al suolo, ribadendo che Black Phlegm è un album che forse non brilla per la sua varietà, ma esibisce in compenso un impatto oggettivamente devastante in più di un frangente.

Tracklist:
1. Black Phlegm
2. Human Vanity
3. Dying People
4. Scrub
5. S.W.T.V.M.
6. Swollen

Line-up:
Val – Bass
Pierrick – Drums
Yoann – Vocals
Bast – Guitars

SOYUZ BEAR – Facebook

Satan’s Children – Spiritual Abuse

Spiritual Abuse è una prova breve ma apprezzabile, soprattutto se si è amanti del doom classico ammantato da una consistente vena lisergica: la perfezione formale e compositiva risiede altrove, ma la mezz’ora scarsa dedicata all’ascolto di questo disco è tutt’altro che sprecata.

Doom metal psichedelico per i canadesi Satan’s Children, con il loro terzo atto intitolato Spiritual Abuse.

Ovviamente il nome della band non lascia adito a dubbi sul tipo di approccio da parte di questi musicisti di Vancouver, i quali offrono un’interpretazione del genere quanto mai vintage e genuina, nonché dal potenziale effetto dopante, a partire dalla stessa copertina.
Una voce leggermente stridula di osbourniana memoria guida brani sufficientemente coinvolgenti nella loro lisergica sporcizia, anche se le cose vanno meglio, paradossalmente, quando i ritmi vengono leggermente incrementati come nell’opener Cozmika.
I quattro brani successivi sono sghembi ma efficaci esempi di doom a tratti minimale, con suoni, produzione ed approccio molto naif ma, a modo loro, coinvolgenti, anche se gran parte dei riff appaiono già abbondantemente sentiti (in Melancholy Walls fanno capolino anche i nostri Doomraiser).
Dopo una serie di canzoni piacevoli ma nella media, i Satans’ Children segnano il classico gol di tacco all’ultimo minuto inventandosi un brano perfetto come Devil’s Breed, nel quale imbroccano un magnifico tema conduttore che si alterna ad una robusta e micidiale accelerazione psichedelica.
Spiritual Abuse è una prova breve ma apprezzabile, soprattutto se si è amanti del doom classico ammantato da una consistente vena lisergica: la perfezione formale e compositiva risiede altrove, ma la mezz’ora scarsa dedicata all’ascolto di questo disco è tutt’altro che sprecata.

Tracklist:
01. Cozmika
02. Voodoo Warrior
03. Melancholy Walls
04. Coffin Fever
05. Witches Fury
06. Devils Bread

Arkhon Infaustus – Passing The Nekromanteion

Death metal e black si uniscono per portare morte e distruzione, con un sound assolutamente estremo e senza compromessi: d’altronde le ispirazioni degli Arkhon Infaustus sono satanismo, perversione, oscenità e droghe, mentre il monumento al male che costruiscono avanza tra le macerie create da questi quattro terribili brani.

Tornano dopo dieci anni esatti dall’ultimo full length gli Arkhon Infaustus, band storica della scena estrema transalpina, con questo ep di quattro tracce dal titolo Passing The Nekromanteion.

Si ripresentano oggi come duo, composto da Deviant (voci, basso e chitarra) e Skvm (batteria), schiacciando gli ascoltatori con  la mole di questa cattedrale estrema ottimamente raffigurata in copertina, un’arma apocalittica che prende forza direttamente dall’inferno e distrugge senza pietà.
Death metal e black si uniscono per portare morte e distruzione, con un sound assolutamente estremo e senza compromessi: d’altronde le ispirazioni degli Arkhon Infaustus sono satanismo, perversione, oscenità e droghe, mentre il monumento al male che costruiscono avanza tra le macerie create da questi quattro terribili brani.
Il sound non è mai velocissimo e a tratti si fa marziale, ma in queste lunghe tracce è il caos a regnare, portato dalla terribile e drastica missione di morte ordita dalle truppe demoniache comandate dagli Arkhon Infaustus, in una guerra totale che Amphessatamine Nexion e, soprattutto, la conclusiva e malata Corruped Epignosis raccontano al meglio.
Un buon ritorno questo ep, che al giorno d’oggi si può certamente considerare come un full length, e che segna il ritorno di una band scomoda, consigliata con cautela agli amanti delle dissonanze black death.

Tracklist
1.Amphessatamine Nexion
2.The Precipice Where Souls Slither
3.Yesh Le-El Yadi
4.Corrupted Épignosis

Line-up
Deviant – All vocals, guitars and bass
Skvm – Drums

ARKHON INFAUSTUS – Facebook

Mz.412 / Trepaneringsritualen – X Post Industriale / Rituals 2015 e.v.

Il disco cattura dal vivo i rituali al X Post Industriale, perché di concerto non si può proprio parlare, di questi due gruppi che eseguono un qualcosa che va oltre la musica.

Split live tra due fra le maggiori realtà attuali dell’industrial dark ambient rituale svedese, gli Mz.412 ed i Trepaneringsritualen.

Il disco è stato registrato a Bologna al Club Kindergarten nell’ottobre, in occasione dell’evento X Post Industriale organizzato dalla storica etichetta Old Europa Cafe. Il disco cattura dal vivo i rituali, perché di concerto non si può proprio parlare, di questi due gruppi che eseguono un qualcosa che va oltre la musica. Le tracce dello split sono quattro, due per ogni gruppo e sono di lunga durata, e sono dei veri e propri rituali per espandere la nostra coscienza. Questa musica, come si diceva prima, va ben oltre il canonico scambio di emozioni fra ascoltatore e musicista, e punta a creare porte per arrivare in altre dimensioni, cambiando di significato al rumore e alla musica stessa. Le due esperienze sonore che sono opera degli Mz.412 sono maggiormente cariche di rumori ed interferenze, infatti questo è sempre stato un prodotto industriale fatto con attitudine black metal, molto improntato a far scaturire reazioni nell’ascoltatore, e con un forte tocco di marzialità. Rumori, feedback e altro ancora disturbano l’ascoltatore, proiettandolo in una dimensione di assenza e morte, in un limbo dove la vita non possiede le inutili maschere che le diamo e si rivela per quello che è, una fastidiosa frequenza di fondo. In queste due tracce il rituale serve a rivelare ciò che non vediamo, svelando una terribile verità. Gli altri due pezzi di Trepaneringsritualen sono diversi rispetto ai precedenti, perché qui ci addentriamo maggiormente nel dark ambient, le atmosfere si fanno più rarefatte, al contempo sono venefiche e riescono a penetrare la nostra scatola cranica, arrivando dritte nel cervello. Ci sono mondi ed esseri di altre dimensioni che vengono fuori richiamati da questi suoni, che sono davvero profondi e continuano la grande tradizione della dark ambient legata all’industrial, che racchiude molte cose. Questo split dal vivo è un documento incredibile e forse irripetibile, nel senso che catturare in tempo reale queste due entità è cosa davvero notevole, che riporta al massimo la forza di questi rituali, un qualcosa che è legato al nostro ancestrale e che risveglia forze sopite. Un assaggio e una documentazione imperitura di ciò che è stato il X Post Industriale.

Tracklist
01 SIDE A Akt I
02 SIDE B Akt II
03 SIDE C Akt I
04 SIDE D Akt II

ANNAPURNA – Facebook

Savage Annihilation – Quand s’abaisse la croix du blasphème

Maligno come non mai, l’album si sviluppa in una mezzora abbondante tra torture ritmiche, chitarre profonde e growl abissale: nessuna sorpresa, tutto perfettamente ordinario, ma anche assolutamente senza compromessi.

Progetto death metal molto vicino al brutal ed assolutamente old school quello del trio transalpino dei Savage Annihilation, gruppo con quindici anni di primavere sulle spalle ed una discografia che, fino ad oggi, era ferma al primo lavoro sulla lunga distanza licenziato cinque anni fa (Cannibalisme, hérésie et autres sauvageries) ed altre tre uscite tra demo, split ed ep.

Quand s’abaisse la croix du blasphème risulta quindi il secondo full length a partire dal lontano 2002, anno di nascita di questo mostro estremo, oscuro e profondamente legato alla scena statunitense.
Influenze ben in evidenza (Morbid Angel, Immolation) e tanta violenza in musica fanno di questo nuovo album dai testi in lingua madre un buon lavoro, specialmente per chi ama profondamente il death metal old school.
Maligno come non mai, l’album si sviluppa in una mezzora abbondante tra torture ritmiche, chitarre profonde e growl abissale: nessuna sorpresa, tutto perfettamente ordinario, ma anche assolutamente senza compromessi.
Dopo tanti ascolti di opere con un sound impegnato a dimostrare solo la bravura dei musicisti a livello tecnico, finalmente una sana bordata death metal che non lascia assolutamente la tecnica in secondo piano, ma la mette al servizio di un songwriting che punta sull’impatto e le atmosfere catacombali tanto care al vecchio death metal.
Quand s’abaisse la croix du blasphème risulta così una tranvata niente male, pesante e malata il giusto per non deludere i fans del genere, imprigionati nei più profondi abissi infernali, con le devastanti note di Par-delà les dunes de cadavres e la title track a fungere da mortali catene.

Tracklist
1. Dévorante dégénérescence anthropophage
2. Par-delà les dunes de cadavres
3. Quand s’abaisse la croix du blasphème
4. Organe après organe
5. Hyrreit
6. Le tombeau de l’atrocité

Line-up
Dave – Guitar & Vocals
Benoît – Bass
Mike – Drums

SAVAGE ANNIHILATION – Facebook

Beast In Black – Berserker

Produzione al top, suoni che esplodono dalle casse come fuochi d’artificio in una festa patronale, flavour epico e chorus scolpiti nell’acciaio, il tutto reso sfavillante da chitarre che, se ricordano non poco i Judas Priest, sono accompagnate da ritmiche power di chiara matrice power metal.

Da Battle Beast a Beast In Black il passo è breve, almeno lo è stato per il chitarrista finlandese Anton Kabanen, che, lasciata la band da lui fondata non ha perso tempo e si è buttato a capofitto in questa nuova avventura metallica.

Anche il sound non si discosta troppo da quello della sua precedente band, se non per un maggiore uso di synth e tasti d’avorio che rendono catchy e a tratti pomposo l’heavy/power metal di cui è composto Berserker, debutto ispirato dai manga giapponesi: produzione al top, suoni che esplodono dalle casse come fuochi d’artificio in una festa patronale, flavour epico e chorus scolpiti nell’acciaio, il tutto reso sfavillante da chitarre che, se ricordano non poco i Judas Priest, sono accompagnate da ritmiche power di chiara matrice power metal.
Berserker ha il suo asso nella manica nella prestazione del singer di origine greca Yannis Papadopoulos, un’animale metallico, davvero una figura mitologica metà uomo metà leone, come rappresentato nella copertina che più epica e battagliera di così non si può.
Per chi ama il genere l’album è una goduria metallica dall’inizio alla fine: grandi melodie, grinta heavy e cavalcate power fanno della title track, come di Blind And Frozen o Born Again, brani coinvolgenti e trascinanti e l’impressione di essere al cospetto di un album che, aldilà di frettolosi giudizi e pregiudizi è destinato a fare il botto, si fa sempre più forte all’ascolto della tracklist.
Papadopoulos, da grande singer, alterna urla metalliche a parti melodiche dal grande appeal e i brani si susseguono strappando a tratti applausi, specialmente nelle parti in cui le tastiere fanno il buono ed il cattivo tempo (The Fifth Angel, Crazy Mad Insane).
Si potrebbe parlare di heavy/power metal tra Judas Priest e Firewind, valorizzati da un flavour melodico e sinfonico tra l’hard rock dei Brother Firetribe ed il symphonic metal dei primi Nightwish, così da avere un quadro il più completo possibile di quello che troverete tra lo spartito di Berserker, e direi che non è poco.
Kabanen è ripartito e, da quanto ascoltato, si direbbe piuttosto bene, quindi se amate i generi classici e non disdegnate nel metal l’uso abbondante di melodie, l’album è assolutamente consigliato.

Tracklist
1. Beast In Black
2. Blind And Frozen
3. Blood Of A Lion
4. Born Again
5. Zodd The Immortal
6. The Fifth Angel
7. Crazy, Mad, Insane
8. Eternal Fire
9. End Of The World
10. Ghost In The Rain

Line-up
Yannis Papadopoulos – vocals
Mate Molnar – bass
Sami Hänninen – drums
Kasperi Heikkinen – guitars
Anton Kabanen – guitars, vocals

BEAST IN BLACK – Facebook

Svarthart – Emptiness Filling the Void

Una proposta come questa al giorno d’oggi non può essere minimamente competitiva, men che meno in un settore già di per sé di nicchia come quello del doom metal.

Emptiness Filling the Void è il disco d’esordio per questo duo di Anversa dedito a un death doom davvero minimale.

L’album è uscito nel 2016 ma viene riproposto ora dalla Sepulchral Silence, anche se sinceramente non vedo quale spazio possa trovare anche nell’ambito degli appassionati più accaniti del genere.
L’operato degli Svarthart è poco più che amatoriale: suoni scarni, produzione approssimativa e una coesione strumentale che pare essere tenuta assieme da colla scadente, senza che si abbia mai l’impressione di essere al cospetto di una costruzione musicale organica.
L’idea di death doom ci sarebbe pure, ma manca pressoché del tutto una trasposizione esecutiva all’altezza: il sound si trascina penosamente lungo le sette tracce, con le due chitarre che se ne vanno ognuna per proprio conto accompagnando un rantolo privo della minima espressività.
Spiace doverlo scrivere, perché comunque chi si dedica a questo genere riscuote la mia simpatia a prescindere, ma una proposta come questa al giorno d’oggi non può essere minimamente competitiva, men che meno in un settore già di per sé di nicchia come quello del doom metal.

Tracklist:
1 The Void
2 A Fading Image
3 Dark Visions From The Past
4 Almost Alive
5 Inside This Darkness
6 Deep Within
7 Disappearance
8 The Awakening

Line-up:
Zeromus – (Tom M) – All instruments
Svartr – (Dieter M)

SVARTHART – Facebook

Malphas – Incantation

Il pregio dei Malphas è quello di lasciar sfogare senza troppe remore una vena piuttosto orecchiabile, il che rende l’ascolto di Incantation molto fluido pur non risultano mai banale: un primo passo davvero incoraggiante per l’ottima band elvetica.

Anche se la Svizzera ha dato i natali ai Celtic Frost e, in subordine, ai Samael, non si può certo dire che sia una terra prolifica in quanto a band dedite al black metal.

Provano ad invertire questa tendenza i Malphas, gruppo di Losanna che esordisce su lunga distanza con Incantation: dopo in inizio un po’ farraginoso l’album prende decisamente quota con il procedere dei brani, grazie alla chitarre che iniziano a tessere con grande continuità melodie ben definite che fanno capo alla scuola scandinava, propendente a quella svedese, con gli Arckanum a fungere spesso quale potenziale termine di paragone. Ne deriva così un lavoro decisamente ispirato, con il quale i nostri esibiscono non solo grande padronanza del genere ma anche, a tratti, una sorprendente sensibilità melodica, inanellando uno dopo l’altro brani che avvolgono e avvincono sfuggendo tutto sommato anche al rischio della ripetitività.
Gli aspetti migliori dell’album vengono incarnati da una catchy title track, anche se il meglio i Malphas lo offrono nella magnifica e lunga Nahash Corruption, quasi nove minuti di black metal che si fa di volta in volta melodico, corrosivo ed evocativo nella sua parte conclusiva.
Il pregio dei Malphas è quello di lasciar sfogare senza troppe remore una vena piuttosto orecchiabile, il che rende l’ascolto di Incantation molto fluido pur non risultano mai banale: un primo passo davvero incoraggiante per l’ottima band elvetica.

Tracklist:
1. Contributor of the Light
2. Leviathan
3. Macabre Symphony Of Divine
4. Incantation
5. Nahash Corruption
6. Rebirth Of The Reign
7. Awaking Excelsi Lucifer

Line up:
Barbarian Whore – Bass
Machette – Drums
Xezbeth – Guitars
Raven – Guitars
Balaam Astaroth – Vocals

MALPHAS – Facebook

Voltumna – Dodecapoli

Per tutto Dodecapoli aleggia uno spirito antico che ha trovato il modo di esprimersi con una musica violenta e catartica, che ci mostra la magia e la forza di un popolo unico nella storia.

Nuovo e sempre più estremo assalto sonoro dei Voltumna, una delle band di punta del panorama black metal italiano.

Il gruppo viterbese usa il black death metal come linguaggio per raccontarci la storia di un popolo misterioso ai nostri occhi moderni ma molto più dentro di noi ai misteri che ci circondano. I Voltumna con Dodecapoli toccano, come dicono loro stessi, il punto più estremo della loro discografia, ma ne è sicuramente anche  la vetta più alta. Il disco possiede una bellissima furia black/death metal, spazza via tutto e accentra su di sé l’attenzione. Il percorso di questo gruppo non è mai stato comune o normale, con la musica e i testi ha sempre suscitato qualcosa di diverso: questa volta ci fa avventurare nella storia della federazione sacra delle dodici città etrusche, narrandoci avvenimenti ormai dimenticati di un’epoca che meriterebbe ben altra considerazione, perché gli Etruschi possedevano una sapienza che abbiamo perso, e questo è tra le cose all’origine della frattura fra noi e la nostra anima. La Dodecapoli etrusca è una storia davvero interessante e, narrata con la passione e la musica dei Voltumna, assume un significato ancora maggiore. Il disco è incredibile per intensità e forza di un black che si congiunge perfettamente con il death, e viceversa. Ci sono momenti di epicità notevoli, specialmente quando entrano in campo musiche tipiche del popolo etrusco, e il vortice dei Voltumna diventa un groviglio di magia antica. Per tutto Dodecapoli aleggia uno spirito antico che ha trovato il modo di esprimersi con una musica violenta e catartica che ci mostra la magia e la forza di un popolo unico nella storia. Semplicemente uno dei nostri migliori gruppi metal.

Tracklist
1.The Lion, The Goat, The Serpent
2.Itinere Inferi
3.Reading The Flames
4.In Principium Tarquinii
5.Criterion Of The Groma
6.Fanum Voltumnae
7.Lars Porsenna
8.Perdidit Veii
9.Cyclopean Walls
10.War Of Supremacy
11.Vessels Of Rasna
12.The Path To Our Twilight

Line-up
Zilath Meklhum – Vocal
Haruspex – Guitar
Augur Veii – Drums
Fulgurator – Bass

VOLTUMNA Facebook

Harmdaud – Blinda Dödens Barn

Con il monicker Harmdaud, Stenlund offre una buona prova all’insegna di un black death atmosferico che riporta senz’altro dalle parti degli Amon Amarth, ma se l’originalità non è la caratteristica principale di questo esordio, è innegabile che il suo ascolto si riveli alquanto gradevole e a tratti molto coinvolgente.

Blinda Dödens Barn è la prima testimonianza discografica di questo progetto solista del musicista svedese Andreas Stenlund.

Con il monicker Harmdaud, Stenlund offre una buona prova all’insegna di un black death atmosferico che riporta senz’altro dalle parti degli Amon Amarth, ma se l’originalità non è la caratteristica principale di questo esordio, è innegabile che il suo ascolto si riveli alquanto gradevole e a tratti molto coinvolgente.
Del resto, benché non ne risulti una particolare attività negli ultimi anni, il nostro è personaggio abbastanza conosciuto nell’ambiente estremo svedese, essendo membro di diverse band ed avendo ricoperto per un certo periodo il ruolo di chitarrista dal vivo per Vintersorg, e proprio il magnifico vocalist, famoso anche per la sua militanza nei Borknagar, si è occupato della produzione di Blinda Dödens Barn.
E’ un sentore epico, quindi, quello che aleggia all’interno di questi otto brani tra i quali spiccano i primi due, Vägens Slut e Själens Vanmakt e, soprattutto, il più evocativo Andetag, ma nel complesso l’album si rivela piuttosto uniforme per valore e, pur non toccando vette epocali, si rivela senza dubbio un ascolto ideale per chi ama questo tipo di sonorità.

Tracklist:
1. Vägens slut
2. Själens Vanmakt
3. Blinda Dödens Barn
4. Slagregn
5. Andetag
6. Till Glömskan
7. Vemodet
8. Memento Mori

Line-up:
Andreas Stenlund – Guitars, vocals, bass, programming, synthesizers

HARMDAUD – Facebook

Decryption – Gods Fallen

Dalla scena thrash siciliana nasce questa creatura metallica chiamata Decryption, al debutto con Gods Fallen, ep di cinque brani davvero belli che confermano quanto di buono arriva dalle assolate terre della Trinacria.

Dalla scena thrash siciliana nasce questa creatura metallica chiamata Decryption, al debutto con Gods Fallen, ep di cinque brani davvero belli che confermano quanto di buono arriva dalle assolate terre della Trinacria.

La band è formata da vecchie volpi della scena come Angelo Bissanti (Thrash Bombz e Bloodevil) e Carmelo Scozzari (Ancestral) ai quali si sono uniti il bassista Giulio Natalello ed il batterista Mauro Patti.
Gods Fallen, frutto di numerose jam, è stato mixato e masterizzato da Bissanti, chitarrista ma soprattutto cantante di razza alle prese con un thrash metal che, pur mantenendo una leggera impronta classica, viene valorizzato dalle ritmiche groove metal dal piglio più moderno e da chitarre che tanto sanno di death metal melodico.
Ne escono cinque bombe sonore notevoli, con il growl dal piglio death di Bissanti a troneggiare su un pesante metallo estremo che lascia il caldo territorio siciliano e si concede un viaggetto in Scandinavia.
Per semplificarvi la vita, voi che amate le etichette, pensate ad un buon mix tra death metal melodico (Arch Enemy) thrash statunitense (Exodus) e groove metal a dare quell’impronta moderna e personale a brani trascinati e nati per far male in sede live come la title track , che apre l’ep come meglio non potrebbe, The Eye Upon Us sorretta da un riff dannatamente coinvolgente e da un chorus melodico.
Bellissima è anche Set The Evil Free, fulgido esempio di ciò di cui sono capaci i Decryption tra riff mastodontici, solos che sanguinano melodia e la continua ricerca del chorus perfetto.
Ancora i due minuti acustici di Drowning In Fear fanno da preludio alla conclusiva Dust To Dust, primo brano scritto dal quartetto, con un sound che si concede quasi per intero al thrash metal e che mette fine a questi ventitré minuti di metallo incandescente; la band è già al lavoro su nuove composizioni, quindi aspettiamoci a breve di ritrovarci una nuova raccolta di brani battenti bandiera Decryption.

Tracklist
1.Gods Fallen
2.The Eye upon Us
3.Set the Evil Free
4.Drowning in Fear
5.Dust to Dust

Line-up
Angelo Bissanti – Guitars, Vocals
Carmelo Scozzari – Guitars
Mauro patti – Drums
Giulio Natalello – Bass

DECRYPTION – Facebook

Destruction – Thrash Anthems II

Per i vecchi fans Thrash Anthems II è un nuovo modo di ascoltare i vecchi Destruction, per i più giovani invece una raccolta di brani storici ed imperdibili ai quali la band ha dato una nuova veste e che risulta quindi molto appetibile.

E’ indubbio che un’operazione da molti considerata inutile e nostalgica come una raccolta, acquisti un diverso valore se viene valorizzata dall’inserimento di nuovi brani o dal restyling delle tracce più datate, come ormai è di moda in questi ultimi tempi.

C’è da dire che le opere delle icone del metal estremo nati negli anni ottanta, come i Destruction, si portano dietro produzioni deficitarie che ne fanno album ormai inascoltabili, magari pezzi pregiati per collezionisti o intoccabili reliquie per gli amanti dell’old school a prescindere dalla resa sonora.
I Destruction tornano dunque con la seconda parte di Thrash Anthems, dopo i fasti del bellissimo Under Attack licenziato lo scorso anno e la parentesi Panzer, progetto del leader Schmier tornato ultimamente con la bomba metallica Fatal Command.
Questione di punti di vista dunque, ma ascoltare le vecchie registrazioni con un nuovo look sonoro fatto di una sezione ritmica presente ed un suono pieno e cristallino, non può che far gioire gli amanti dell’estetica sonora, a mio avviso importantissima anche nel metal ed ancor di più in quello estremo come il thrash metal teutonico.
E se è vero che gallina vecchia fa buon brodo, con una ripulita ed una messa a punto, questi undici storici brani del gruppo, più la cover di Holiday In Cambogia dei Dead Kennedys, tornano a far male, confermando il momento d’oro del leader Schmier che ultimamente trasforma in oro qualsiasi cosa tocchi.
Ovviamente i fans accaniti del gruppo e del lato più acerbo, ruvido e selvaggio del thrash old school, non dovranno fare altro che ignorare l’uscita e riascoltare le versioni originali pubblicate tra il 1984 ed il 1986 sui vari Sentence Of Death, Infernal Overkill ed Eternal Devastation, anche se a mio avviso si perderebbero un’opera riuscita che onora il primo periodo del gruppo, nobilitando brani devastanti e cattivissimi come Confused Mind, Dissatisfied Existence, Black Death e The Antichrist.
Per i vecchi fans Thrash Anthems II è un nuovo modo di ascoltare i vecchi Destruction, per i più giovani invece una raccolta di brani storici ed imperdibili ai quali la band ha dato una nuova veste e che risulta quindi molto appetibile per tutti.

Tracklist
1.Confused Mind
2.Black Mass
3.Front Beast
4.Dissatisfied Existence
5.United By Hatred
6.The Ritual
7.Black Death
8.The Antichrist
9.Confound Games
10.Rippin’ You Off Blind
11.Satan’s Vengeance

Line-up
Schmier – vocals, bass
Mike – guitar
Vaaver – drums

DESTRUCTION – Facebook

Binary Creed – A Battle Won

A Battle Won è un ottimo esempio di power metal scandinavo dalle venature progressive con cui i Binary Creed costruiscono un muro di metallo, valorizzato da ottime e possenti ritmiche, da una chitarra dallo spirito neoclassico nei solos e da un vocalist che sa come far risplendere le trame create dai suoi compagni.

Chi di musica vive da qualche decennio sa come, anche nel metal e nelle sue ramificazioni, le mode dettino legge così che una band che fino a pochi anni fa risultava cool e di conseguenza meritevole d’attenzione e di recensioni positive, diventa inutile e criticata nel momento in cui il genere suonato non attira più le attenzioni della massa di ascoltatori soggiogati dai media di turno.

E’ successo con il metal classico o per esempio con il grunge, genere che nel periodo di massimo splendore vedeva le recensioni positive di gruppi al primo ed unico album fare bella mostra di sé, per poi finire nell’animato appena poco tempo dopo, tacciate come band obsolete.
Per il power metal sta succedendo la stessa cosa, essendo stato in questi anni surclassato dalle sinfonie gotiche e metalliche e, a parte i grossi nomi non ,valorizzato come una quindicina d’anni fa.
Eppure di album meritevoli se ne continuano ad incontrare girovagando virtualmente per l’underground, come questo a mio avviso bellissimo A Battle Won, secondo lavoro sulla lunga distanza degli svedesi Binary Creed, quintetto che con il power metal scandinavo dalle venature progressive costruisce un muro di metallo valorizzato da ottime e possenti ritmiche, da una chitarra dallo spirito neoclassico nei solos e da un vocalist che sa come far risplendere le trame create dai suoi compagni.
A Battle Won non si può considerare un capolavoro, ma semmai un gradito ritorno al sound che tanto ha fatto impazzire i fans del genere nella seconda metà degli anni novanta, avendo tutte le virtù richieste, come tenere l’ascoltatore legato alla poltrona con assoli tempestosi ma raffinati, buone melodie e cavalcate che si trasformano in bellissimi mid tempo epici e suggestivi di scuola Dio (A Better Man).
Il resto è un susseguirsi di riff e refrain sicuramente già sentiti ma piacevoli, tra Stratovarius, Pyramaze e quel tocco oscuro tipico del filone power progressivo scandinavo alla Morgana Lefay.
Questo è un album che, se fosse uscito sul finire del secolo scorso. avrebbe detto la sua: purtroppo non sono più quei tempi, ma noi di MetalEyes non ne facciamo un problema, buon ascolto.

Tracklist
01. Servants
02. Lurking in the Shadows
03. In a Time to Come
04. The Fallen King
05. The Ones to Bleed
06. Safer Than Now
07. A Better Man
08. Black Storm
09. These Hands
10. Journey Without End

Line-up
Robert Rasmussen Ahlenius – bass
Peter Widding – drums
Stefan Rådlund – guitars
Peo Olofsson – keyboards
Andreas Stoltz – vocals

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Motherslug – The Electric Dunes Of Titan

I Motherslug pubblicano uno dei migliori dischi dell’anno nel genere, e i contendenti non sono da poco, ma questo loro è veramente un bell’esempio di come si può riuscire a coniugare belle cose e pesantezza.

I Motherslug sono un gruppo che porta l’ascoltatore davvero lontano, con una proposta musicale fatta di stoner, sludge, ma soprattutto di un groove psichedelico pesante e costante, che continua a macinare eoni sonori.

La base di partenza può essere considerata lo stoner desert, e da lì si parte per un viaggio nello spazio. Il titolo nasce dalla notizia che su Titano le dune hanno una carica elettrica, e il gruppo di Melbourne rende tutto ciò in musica con un’opera maestra, un indicare vie sconosciute. I Motherslug pubblicano uno dei migliori dischi dell’anno nel genere, e i contendenti non sono da poco, ma questo lavoro è veramente un bell’esempio di come si può riuscire a coniugare belle cose e pesantezza. Ci sono pezzi che fluttuano in uno strano etere, altri momenti di durezza monolitica e tanta musica psichedelicamente dura. Questi australiani non hanno paura di sperimentare, e fanno quello che prefersicono, seguendo il loro stile e le loro viziose inclinazioni fino in fondo. Non ci sono cose trite o copiate, qui è tutto originale seguendo un percorso sonoro nato nel 2012 e che progredisce di disco in disco. Troppi dischi di questo genere sono simili fra loro e stereotipati, mentre questo album indica una via da seguire per viaggiare a pieni polmoni. Non c’è fretta, si deve solo calibrare la mente sulle vibrazioni degli Motherslug, e The Electric Dunes Of Titan farà il resto. Difficilmente in questo ambito si sente una tale completezza sonora, le composizioni nascono dalle jam, ma c’è molto di più, ed è tutto da sentire.

Tracklist
1.Electric Dunes of Titan
2.Downriver
3.Followers of the Sun
4.Stoned by the Light
5.Serpents
6.Staring at the Sun
7.Tied to the Mast
8.Cave of the Last God

Line-up
Regan: Guitar
Cyn: Bass
Nick: Drums
Cam: Vocals

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Nazghor – Infernal Aphorism

La band di Uppsala conferma quanto di buono fatto in passato, ribadisce l’approdo ad una tendenza maggiormente melodica già evidenziata nel precedente Death’s Withered Chants e, mirabilmente, continua a non deludere le attese, regalando un’altra ora di black inattaccabile per resa sonora, esecuzione e brillantezza compositiva.

Tenendo fede alle proprie ormai consolidate abitudini, gli svedesi Nazghor offrono al fans del black metal melodico di matrice svedese il loro annuale full length intitolato Infernal Aphorism.

Al sesto lavoro su lunga distanza in altrettanti anni di attività, i Nazghor si pongono quali ideali continuatori della tradizione del paese delle Tre Corone riguardo a questa derivazione del genere, che prende le mosse dagli imprescindibili Dissection, per arrivare fino ai giorni nostri ai Dark Funeral e ai Watain.
La band di Uppsala conferma quanto di buono fatto in passato, ribadisce l’approdo ad una tendenza maggiormente melodica già evidenziata nel precedente Death’s Withered Chants e, mirabilmente, continua a non deludere le attese, regalando un’altra ora di black inattaccabile per resa sonora, esecuzione e brillantezza compositiva.
Se l’originalità è qualcosa sulla quale, in determinati ambiti musicali, va messa sopra fin da subito una bella pietra (tombale), non si può fare a meno di salutare con favore un album come Infernal Aphorism, vero manifesto di un modo di interpretare il metal estremo in maniera impeccabile, con un brano emblematico quale The Darkness Of Eternity, esaltante nel suo incedere epico e solenne, con una magnifica impronta melodica che si staglia su ritmiche talvolta parossistiche.
Se vogliamo, queste sono le caratteristiche di tutti i brani, ma ciò non significa che il sound sia uniforme e senza variazioni sul tema: se il trademark resta comunque quello ampiamente descritto, troviamo comunque frequenti variazioni ritmiche e persino eleganti passaggi pianistici o tastieristici che, sovente, introducono i brani preparando sapientemente il terreno al deflagrare degli altri strumenti (emblematica in tal senso l’altra perla dell’album, Absence Of Light).
Nonostante i Nazghor si spingano oltre l’ora di durata, il loro Infernal Aphorism scorre via fluido e senza annoiare, facendosi al contrario ricordare per più di un episodio davvero riuscito: inutile dire che per i fans delle band citate quali termini di paragone o ispirazione, l’ascolto di quest’album è quanto meno doveroso.

Tracklist:
1. Opus Profanus
2. Malignant Possession
3. Decretion At Eschaton
4. The Darkness Of Eternity
5. Deathless Serpent
6. Rite Of Repugnant Fury
7. Ephemeral Hunger
8. Spawns Of All Evil
9. Absence Of Light
10. Infernal Aphorism

Line up:
Nekhrid – Vocals
Armageddor – Guitars
Angst – Guitars
Crowlech – Bass
Cosmarul – Drums

NAZGHOR – Facebook

Resistance – Metal Machine

La cover del classico Blackout degli Scorpions chiude in bellezza Metal Machine, album da spararsi senza ritegno o da usare come arma di disturbo per il vicino troppo attento ai rumori provenienti dallo stereo piazzato nella vostra stanza.

Una bomba metallica sta per esplodere sulla scena heavy/power metal mondiale, sulla fiancata porta la scritta Resistance ed è partita da Glendora, California.

La devastante portata dell’esplosione travolgerà una buona fetta dei paesi dove si suona e si ascolta heavy metal classico, forgiato nell’acciaio, duro come un incudine e travolgente come un tornado.
Judas Priest, Primal Fear e Vicious Rumors sono i padrini di questa miscela di otto brani arrembanti e taglienti, dalle ritmiche che alternano il tradizionale impatto priestiano di Painkiller con dosi mortali di power/thrash statunitense, arma in più del sound del gruppo californiano.
La carriera dei Resistance parte all’alba del nuovo millennio, anche se i protagonisti si aggirano nella scena metallica dalla seconda metà degli anni ottanta, con questo terzo full length licenziato dopo un paio di ep ed altre due prove sulla lunga distanza, uscite tra il 2004 ed il 2006 (Lies In Black e Patents Of Control) ed un altro ep uscito un paio di anni fa a rompere un silenzio di undici anni.
Poco male i Res,istance ritornano più grintosi che mai con questo Metal Machine, con guru del calibro di Bill Metoyer e Neil Kernon a dividersi produzione, masterizzazione e mix, ed otto brani incendiari che si alternano nel rimembrare ai metallari della vecchia guardia le scudisciate a suon di heavy metal dei gruppi di un tempo e con un accenno al metal stradaiolo alla W.A.S.P., che esce prepotentemente verso la fine e valorizza brani come Dirty Side Down e Heroes.
La cover del classico Blackout degli Scorpions chiude in bellezza Metal Machine, album da spararsi senza ritegno o da usare come arma di disturbo per il vicino troppo attento ai rumori provenienti dallo stereo piazzato nella vostra stanza.

Tracklist
1. Metal Machine
2. Hail to the Horns
3. Rise and Defend
4. Some Gave All
5. Time Machine
6. Dirty Side Down
7. Heroes
8. Blackout (Scorpions Cover)

Line-up
Robbie Hett – Vocals
Dan Luna – Guitars
Burke Morris – Guitars
Paul Shigo – Bass
Matt Ohnemus – Drums

RESISTANCE – Facebook