Faal – Desolate Grief

Desolate Grief è un lavoro ottimo, che rafforza nei Faal lo status di band di spessore ed emblema di una maniera coerente, efficace e non scontata di interpretare la materia funeral/death doom.

Gli olandesi Faal appartengono ad una scena che, in ambito funeral/death doom, conta su una tradizione consolidata.

L’ultima uscita della band di Breda risale al 2015, quando occupò la seconda meta di uno split album in compagnia degli Eye Of Solitude.
Il brano offerto in quell’occasione, Shattered Hope, era piuttosto rappresentativo del sound dei Faal, una band che, seppure ascrivibile a pieno titolo all’interno del funeral melodico, non rinuncia a a proporre spunti più robusti ed aspri, rendendo sicuramente meno prevedibile la proposta.
Restano però quale fulcro del lavoro le dolenti armonie che i Faal, mai come questa volta, riescono a rendere nel migliore dei modi, avvolgendo l’ascoltatore di una cappa di tristezza che non sfocia mai nella disperazione, lasciando spazio ad una malinconia che si sublima in una brano magnifico come Grief.
No Silence, invece, è esempio lampante di quanto il gruppo olandese riesca a fare quando aumenta i giri del motore, mantenendo alta la tensione e senza smarrire la componente melodica che sarà nostra fedele compagna fino al termine di Desolate Grief: è bellissimo in questa traccia (vicino ai dieci minuti così come le altre tre, escludendo l’intro) il lavoro chitarristico che punteggia prima un notevole crescendo emotivo e poi si lascia andare a quelle litanie funebri, che tanto amano gli appassionati del genere.
Una buona ma meno intensa (nonostante il titolo) Evoking Emotions fa da cuscinetto prima della degna conclusione dell’album con The Horizon, con il growl di William Nijhof che fa vibrare anche le casse, mentre fanno capolino gradite sfumature post metal che vanno ad intrecciarsi con ritmiche ingannevolmente rallentate, visto che a metà brano arriva una sfuriata che rappresenta un ultimo sussulto, quasi una reazione scomposta all’ineluttabile e penosa discesa agli inferi coincidente con la fine di un lavoro ottimo, e che rafforza nei Faal lo status di band di spessore ed emblema di una maniera coerente, efficace e non scontata di interpretare la materia funeral/death doom.

Tracklist:
1. Intro
2. Grief
3. No Silence
4. Evoking Emotions
5. The Horizon

Line-up:
William Nijhof – Vocals
Gerben van der Aa – Guitars
Pascal Vervest – Guitars
Remco Verhees – Drums
Vic van der Steen – Bass
Cátia Uiterwijk Winkel-André Almeida – Synths

FAAL – Facebook

Anatomia – Cranial Obsession

Cranial Obsession, se riferito a questa particolare interpretazione del death doom, è una delle cose migliori ascoltate ultimamente, nonostante le uscite di qualità nel settore non manchino di certo, e questo la dice lunga sul valore intrinseco dell’album e di chi l’ha concepito.

I giapponesi Anatomia sono in circolazione ormai da oltre quindici anni e, anche se Cranial Obsession è solo il loro terzo full length, hanno una discografia disseminata di split album che ne testimoniano un’incessante e non solo quantitativa attività.

Cranial Obsession dovrebbe riconciliare chiunque con il death doom, non quello melodico e intriso di malinconia tipico del vecchio continente, bensì con quello più aspro e diretto proveniente dall’altra parte dell’oceano: il malefico terzetto nipponico ci costringe ad un headbanging furioso con brani killer come Morbid Hallucination. per poi subito dopo rallentare i ritmi fino all’asfissia con Excarnated.
Se vogliamo, in questi quindici minuti centrali dell’album risiede la chiave di lettura dell’operato degli Anatomia, i quali, da una matrice death nel solco degli Autopsy, spaziano a loro piacimento in universo doom mai così distorto, cupo, ossessivo e poco rassicurante: tutto quanto viene fatto con una cura tipicamente giapponese senza che per questo la ruvidezza e la sporcizia ne risultino attenuate  a livello d’impatto sonoro.
Il sound dei nostri è istintivamente malsano, ma possiede una misteriosa capacità di avvolgere l’ascoltatore nelle proprie minacciose spire fino a renderne vana ogni possibile difesa: se Vanishment e Uncanny Descension sono l’equivalente di una navigazione a vista piena di mortali insidie , Absymal Decay descrive un’idea di funeral doom priva di spazio per recriminazioni o atti misericordiosi, mentre la dronica e sperimentale Recurrence ci anticipa il pianto e lo stridore di denti che attende tutti, si spera il più tardi possibile.
Cranial Obsession, se riferito a questa particolare interpretazione del death doom, è una delle cose migliori ascoltate ultimamente, nonostante le uscite di qualità nel settore non manchino di certo, e questo la dice lunga sul valore intrinseco dell’album e di chi l’ha concepito.

Tracklist:
1. Necrotic Incisio
2. Fiend
3. Vanishment
4. Morbid Hallucination
5. Excarnated
6. Uncanny Descension
7. Abysmal Decay
8. Recurrence

Line-up:
Jun Tonosaki – Bass, Vocals
Takashi Tanaka – Drums, Vocals
Yukiyasu Fukaya – Guitars, Vocals (backing)

ANATOMIA – Facebook

Totenwagen – Notte Di Guai

Tutto è originale e molto molto partenopeo: Napoli è una città ricca e dalle tantissime contraddizioni, perché è piena di vita, e la vita porta conflitto, come questo disco meravigliosamente unico.

Gli Squallor del metal, ma nemmeno del metal, sono proprio una cosa mai vista questi napoletani.

Squallor per l’attitudine assolutamente senza compromessi e libera. Come ebbe a dire la mai abbastanza famosa Susanna Messaggio, questi ragazzi sono così metal che lo fanno senza chitarre, ed è proprio vero, non hanno le chitarre. Cantano in tedesco ed in napoletano e ci portano nel loro potentissimo circo musicale e non solo. Detta così sembrerebbe un’operazione un po’ vaga, ma bisogna davvero sentire il disco per capire, tanto più che i Totenwagen lo regalano in download libero. C’è di tutto qui dentro, come una folle corsa in una notte di guai per i vicoli partenopei, ma soprattutto troviamo la musica vera, quella sentita e senza pose. Attraversando Notte di Guai si passa per tantissimi territori, davvero troppi da elencare, ma è la sintesi dei Totenwagen quella che conta. Notte di Guai potrebbe essere una storia gothic punk metal, dove il lo fi incontra la qualità intellettuale, e seguite molto bene i testi perché sono interessanti. Strane chitarre, batteria che pulsa, un basso che indica la via, organo che entra sempre benissimo ed un cantato collettivo che sale al cielo come un sol uomo. Notte di Guai è davvero un’esperienza unica sia da sentire che da vivere tout court. Tutto il disco è bellissimo, ma ci sono momenti di pura genialità come Spit And Run per dirne una, un veloce rock italiano anni 80. Ma qui tutto è originale ed unico, e molto molto partenopeo, perché Napoli è una città ricca e dalle tantissime contraddizioni, perché è piena di vita, e la vita porta conflitto, come questo disco meravigliosamente unico. Per me uno dei dischi più belli dei primi mesi del 2018.

Tracklist
1.Bestialische Friedenlust
2.Nocturno punk
3.Quando cala la notte… Allor’ si te ne fotte
4.Spit and run
5.Beschmutzer
6.Nduvosck
7.Notte di guai
8.Audacess
9.Funerale all’ italiana

TOTENWAGEN – Facebook

Burning Leaf – And The Fire Burns Inside

Nuova band per il batterista Steve Foglia, al debutto con i quattro brani racchiusi in questo primo ep dal titolo And The Fire Burns Inside.

Steve Foglia torna dopo Steve In Wonderland, il bellissimo secondo lavoro solista che l’ex batterista dei Jennifer Scream licenziò nel 2014: il musicista sannremese si ripresenta oggi con una nuova band, i Burning Leaf, e quattro brani racchiusi nell’ep d’esordio And The Fire Burns Inside.

Il quartetto è composto (oltre che da Steve Foglia alla batteria), da Federico Motta alla chitarra, Eric Locci al basso e Francesca Foglia al microfono.
Le quattro canzoni alternano hard rock, frustate street e sfumature dark anni ottanta, per una miscela esplosiva di generi ed influenze racchiuse in un sound che, a ben sentire, non manca di quel tocco di originalità necessario per non farlo passare inosservato.
Ovviamente è presto per dire dove potranno arrivare i Burning Leaf, sicuramente si può affermare che la loro musica nasce dall’interazione di musicisti dal passato differente, unito in un rock duro che non disdegna passaggi intimisti e strutture alternative, così da valorizzare brani come l’opener Wonderer (la più glam rock del lotto), l’alternativa So Slowly, l’hard rock che tanto sa di Who di You See I’m Free e la semi ballad Your Drum Still Shine, pezzo conclusivo nel quale spicca la prestazione della cantante.
Diamo il bentornato a Steve Foglia, augurandogli una buon proseguimento con la sua nuova band, e godiamoci And The Fire Burns Inside attendendo ulteriori buone nuove dai Burning Leaf.

Tracklist
1.Wonderer
2.So Slowly
3.You See, I’m Free
4.Your Drum Still Shine

Line-up

Steve Foglia – Drums
Francesca Foglia – Voclas
Federico Motta – Guitars
Eric Locci – Bass

BURNING LEAF – Facebook

https://youtu.be/voaisX5Z-p4

Drawn And Quartered – Feeding Hell’s Furnace

Con i suoi tre quarti d’ora torturati da colpi di death metal vecchia scuola, Feeding Hell’s Furnace è consigliato ai fans del genere che ancora amano i vecchi e un po’ romantici nastri magnetici.

Altra ristampa licenziata dalla label francese Krucyator Productions questa volta dedicata ad un combo storico della scena death metal statunitense, i Drawn And Quartered.,

Il trio si forma a Seattle nel lontano 1993, diventando una band di culto nel panorama estremo con una serie di lavori di ispirazione old school e molto vicino al brutal.
Sei lavori sulla lunga distanza ed una manciata di opere minori sono l’eredità che i Drawn And Quartered hanno lasciato fino ad ora agli amanti del genere, questo brutale assalto estremo dal titolo Feeding Hell’s Furnace uscì cinque anni fa sotto l’ala dell’etichetta greca Nuclear Winter Records, ed ora è reso disponibile dalla label transalpina anche in musicassetta.
Con due bonus track come piccolo regalo per i fans tratte dall’ep Conquerors of Sodom del 2011 (la title track e Seed Of Insanity), Feeding Hell’s Furnace è ancora una volta pronto a brutalizzare i padiglioni auricolari dei deathsters dai gusti old school.
Il trio americano è una macchina da guerra, la tensione è altissima, l’oscurità regna sovrana e l’album non concede tregua tra furiosi blast beat, atmosfere maligne ed eterne cadute negli abissi più profondi dove regna il male.
Vecchie volpi del genere, i tre musicisti sanno come manipolare la materia, portando un attacco frontale che non conosce pause, di chiara scuola Bay Area tra Cannibal Corpse, Morbid Angel e Massacre.
Con i suoi tre quarti d’ora torturati da colpi di death metal vecchia scuola, Feeding Hell’s Furnace è consigliato ai fans del genere che ancora amano i vecchi e un po’ romantici nastri magnetici.

Tracklist
1. Stabwound Invocation
2. Feeding Hell’s Furnace
3. A World in Ashes
4. Mutilated Offerings
5. Lustmörder
6. Horde of Leviathan
7. Gravescape
8. Cryptic Consecrations
9. No Absolution
10. Conquerors of Sodom
11. Seed of Insanity

Line-up
Kelly Kuciemba – Guitars
Herb Burke – Bass, Vocals
Dario Derna – Drums

DRAWN AND QUARTERED – Facebook

Bunkur / Mordor – Split LP

Gli olandesi Bunkur e gli svizzeri Mordor, prendono due brani a loro modo storici e li stravolgono piegandoli alla loro deviata idea di metal estremo.

Affermare a proposto di questo split album che non si tratta di musica alla portata di tutti è quantomeno un eufemismo: le due band coinvolte, gli olandesi Bunkur e gli svizzeri Mordor, prendono due brani a loro modo storici e li stravolgono piegandoli alla loro deviata idea di metal estremo.

I Bunkur vedono la loro genesi nei primi anni del secolo, ma a parte un certo attivismo tra il 2002 ed il 2004, le loro ultime tracce risalgono al full length Nullify, del 2009.
Dopo tutto questo tempo il quartetto di Tilburg torna a resettare certezze ed alimentare inquietudini, ripescando The
Subhuman
, terza traccia del demo d’esordio dei Carnivore del mai abbastanza compianto Peter Steele; se l’originale sbatteva in faccia all’ascoltatore un sentire misantropico e politicamente scorretto, che per l’epoca (si era nel 1984) era senza’altro una rarità, i Bunkur ne esaltano e dilatano la negatività deformandolo, destrutturandolo e restituendone l’impatto sotto forma di un doom dronico e penoso nel suo trascinarsi, tra una voce che vomita disperazione e un percussivismo malato che punteggia il rumoristico rombo creato dagli altri strumenti.
In sintesi, oltre venti minuti pressoché inascoltabili con più di un buon motivo per la maggior parte delle persone e, quindi, assolutamente e genialmente unici per una probabilmente risibile minoranza (della quale faccio parte).
Dopo essere usciti da quest’esperienza il passaggio al mondo dei Mordor diviene paradossalmente più semplice, anche se pure qui l’idea condivisa di musica viene accartocciata e cestinata quasi subito: questa band di Losanna ritorna addirittura sulle scene dopo oltre vent’anni, avendo alle spalle una manciata di split e demo usciti tra il 1991 ed 1994.
Gli elvetici prendono In League with Satan dei Venom, ne cambiano il titolo consacrandola a Wotan e la trasfigurano rendendola un grottesco coacervo di black, doom e industrial a suo modo affascinante, ma che ha il solo difetto d’arrivare dopo la prova di forza impartita dai Bunkur, per cui il tutto finisce per impressionare inevitabilmente molto meno. A loro va dato il merito, così come per i compagni di split, di avere stravolto e deformato un brano, portando avanti un’idea di cover che ha, comunque, molto più senso di chi si limita a prendere il pezzo originale cambiandone più o meno solo l’arrangiamento ma mantenendone intatta la struttura musicale.
Qui sta alla fine il motivo per cui questo split album acquisisce un valore notevole, a maggior ragione tenendo conto del fatto che l’imprevedibilità e la sporadicità delle apparizioni di queste due band non forniscono alcuna garanzia sul fatto che le si possano nuovamente incontrare in tempi ragionevolmente brevi.

Tracklist:
1. Bunkur – The Subhuman (Carnivore cover)
2. Mordor – In League with Wotan (Venom cover)

Line-up:
Bunkur
S. van Bussel – Bass
T13 – Drums, Vocals
G.J. – Broers Keyboards
M07 – Vocals, Bass

Mordor
Dam Gomhory – Bass, Vocals, Percussion
S3th – Guitars
Opale Ablasorh – Vocals
Scorh Anyroth – Vocals, Guitars, Machines

Paroxsihzem – Paroxsihzem

I canadesi Paroxsihzem tornano dall’inferno grazie alla Krucyator Productions che ristampa in formato musicassette il loro unico lavoro sulla lunga distanza in dieci anni di attività, uscito originariamente autoprodotto nel 2010, poi ristampato due anni dopo dalla Dark Descent Records e nel 2013 licenziato in vinile dalla Hellthrashers Productions.

La loro discografia viene completata da una manciata di lavori minori tra cui l’ultimo diabolico parto uscito lo scorso anno in formato ep, dal titolo Abyss Of Coiling Atrocities.
I Paroxsihzem sprigionano caos in musica, e il loro metal estremo, misantropico e marcio fino al midollo risulta davvero insostenibile se non si è avvezzi ai generi di cui sopra estremizzati da piaghe di disagio notevoli.
Questo album omonimo rispecchia la totale mancanza di speranza e luce, con la band avvolta nell’oscurità ed ispirata da filosofie diaboliche in un contesto di musica primordiale, pesantissima e senza compromessi: un macabro esempio di metal estremo senza soluzione di continuità, brutale ed oscuro che ne esce come una lunga litania estrema divisa in sette terribili e maligni capitoli.
Gli estimatori della band canadese, in attesa del prossimo capitolo dopo l’ep dello scorso anno, nel frattempo si possono gustare questa sofferenza in musica targata Krucyator Productions.

Tracklist
1.Intro
2.Vanya
3.Nausea
4.Deindividuation
5.Godot
6.Tsirhcitna Eht
7.Aokigahara

Line-up
Album Line Up:
Impugnor — Guitar/Bass
Krag — Vocals
Frog — Drums

Current Line Up:
Impugnor — Guitars/Bass
Krag — Vocals
Abhorr — Guitar
Abyss — Drums
Subjugator — Bass

PAROXSIHZEM – Facebook

AElementi – Una Questione Di Principio

L’ennesima buona proposta dell’attivissima etichetta Andromeda Relix parla il linguaggio progressivo dei romani AElementi, quartetto romano nato una decina d’anni fa e solo ora giunto all’attenzione degli amanti del genere grazie al debutto Una Questione Di Principio.

L’ennesima buona proposta dell’attivissima etichetta Andromeda Relix parla il linguaggio progressivo dei romani AElementi, quartetto romano nato una decina d’anni fa e giunto solo ora all’attenzione degli amanti del genere grazie al debutto Una Questione Di Principio.

La band vede all’opera quattro ottimi musicisti come Daniele Lulli (chitarra), Francesca Piazza (voce), Manuele D’Anastasio (batteria) e Angelo Celani (basso), con la collaborazione di Dario Pierini (tastiere) creatori di un sound che pesca da varie correnti del mondo progressivo per un risultato apprezzabile.
Il cantato nel nostro idioma non inficia la resa di questi sei brani più intro, eleganti e sempre in bilico tra la tradizione italiana e le storiche band degli anni settanta, ed un più roccioso prog metal che modernizza e rende al passo coi tempi il sound di brani maturi e dalle gustose melodie come Lontananza, Straniero o Voce.
Le melodie, importantissime nella musica degli Aelementi, consemtono di fare agevolmente presa sull’ascoltatore, anche quello meno abituato alle impegnative sonorità del progressive rock, con il gruppo che, a camei strumentali dalle atmosfere settantiane e fughe strumentali che strizzano l’occhio al metal più raffinato, aggiunge linee vocali tradizionali nella musica tricolore: non solo rock quindi, ma anche piccoli passi nel pop d’autore.
P.F.M. e Le Orme vanno a braccetto con i più giovani e metallici Shadow Gallery e Threshold tra le trame di Vuoto e Addio, senza andare scalfire la spiccata personalità del gruppo capitolino.
Una Questione Di Principio è un buon lavoro rivolto non solo agli amanti del rock progressivo, ma sicuramente in grado di soddisfare una più vasta gamma di ascoltatori.

Tracklist
1.Principio
2.Lontananza
3.Vuoto
4.Straniero
5.Delirio
6.Voce
7.Addio

Line-up
Daniele Lulli – Guitars
Francesca Piazza – Vocals
Manuele D’Anastasio – Drums
Angelo Celani – Bass

Dario Pierini – Keyboards
Giordana Sanfilippo – Chorus
Carlotta Sanfilippo – Chorus

AELEMENTI – Facebook

Wrath Sins – The Awakening

The Awakening stupisce ed esalta, dalla produzione al songwriting, dalla tecnica con cui è suonato fino all’atmosfera che rimane di tensione estrema dalla prima all’ultima nota.

I Wrath Sins sono una band portoghese attiva dall’inizio del decennio e messasi già in luce con il full length d’esordio Contempt over the Stormfall del 2015.

Il quartetto lusitano torna a deliziare gli ascoltatori con The Awakening, un album di nobile heavy metal che non rinuncia a mitragliate devastanti di thrash classico e di chiara ispirazione statunitense, valorizzato da aperture progressive ed atmosfere drammatiche in una tempesta di metallo incandescente.
Siamo nel mondo dei mostri sacri del genere, Testament, Exodus e primi Metallica, lasciati a familiarizzare con i Dream Theater quel tanto che basta per dar vita ad una sequela di brani di una potenza imbarazzante.
Se volete potete chiamarlo prog metal, ma di quello cattivissimo e ruvido come la schiena di un caimano affamato tanto da divorare tutto quello che incontra, lasciando pochi brandelli di carne ed ossa.
The Awakening stupisce ed esalta, dalla produzione al songwriting, dalla tecnica con cui è suonato fino all’atmosfera che rimane di tensione estrema dalla prima all’ultima nota e che fa di brani come Collision, Shadows Kingdom e la title track delle autentiche bombe sonore dall’impatto di un’atomica.
Il quartetto si avvale di una padronanza strumentale di altissimo livello, ma che non va ad intaccare una forma canzone che, nella sua estrema natura, ha quasi del miracoloso; un album di una bellezza ed una forza che impressionano e quindi da custodire gelosamente tra i gioielli metallici di questi ultimi tempi.

Tracklist
1.Beneath Black Clouds
2.Unquiet Heart
3.Shadow’s Kingdom
4.Collision
5.The Sun Wields Mercy
6.Fear of the Unseen
7.Strepidant Mist
8.Between Deaths Line
9.The Awakening
10.Silence from Above

Line-up
Mike Silva – Vocals & Guitars
Rui Coutinho – Guitars
Ricardo Nora – Bass & Back Vocals
Diego Mascarenhas – Drums

WRATH SINS – Facebook

Auroch – From Forgotten Worlds

Ispirato nei testi dall’immaginario lovecraftiano, From Forgotten Worlds è un furioso assalto senza soluzione di continuità, oscuro e mefistofelico, estremo e profondo, tanto da lasciare un’impressione notevole nell’ascoltatore specialmente per l’impatto devastante del sound.

Uscito originariamente nel 2012, From Forgotten Worlds è il primo full length dei canadesi Auroch, ristampato dalla Krucyator Productions in versione musicassetta.

La band, attiva dal 2008, dopo altri due lavori sulla lunga distanza (Taman Shud del 2014 e Mute Books, uscito lo scorso anno) ed una manciata di lavori minori, ha avuto nel frattempo qualche cambio in line up, ora composta da Sebastian Montesi (chitarra e voce), Shawn Hache (basso e voce) e Zack Chandler (batteria).
From Forgotten Worlds ai tempi dell’uscita confermava le ottime impressioni suscitate dai due precedenti demo, con il loro metal estremo che prendeva forza tanto dal death metal quanto dal black, sconfinando addirittura nel grind.
Ispirato nei testi dall’immaginario lovecraftiano, From Forgotten Worlds è un furioso assalto senza soluzione di continuità, oscuro e mefistofelico, estremo e profondo, tanto da lasciare un’impressione notevole nell’ascoltatore specialmente per l’impatto devastante del sound.
Licenziato dalla Hellthrashers Productions in cd, l’album fu ristampato in vinile lo scorso anno via 20Buckspin e ora in musicassetta, a ribadire l’assoluta attitudine underground del progetto.
Siamo al cospetto di un sound senza compromessi, marcio ed estremo, occulto e misantropico, un muro sonoro attraverso il quale la luce non passa ed il buio regna sul mondo governato dagli Auroch.
Morbid Angel e Deicide, rafforzati da tempeste di thrash e black metal, sono gli ispiratori di brani davvero mostruosi come Fleshless Ascension (Paths Of Dawn) e Terra Akeldama, i migliori di un lavoro sicuramente da non perdere per gli amanti del metal estremo più oscuro e maligno.

Tracklist
1. From Forgotten Worlds
2. Fleshless Ascension (Paths of Dawn)
3. Slaves to a Flame Undying
4. Dregs of Sanity
5. Pathogenic Talisman (For Total Temporal Collapse)
6. Terra Akeldama
7. Bloodborne Conspiracy
8. Tundra Moon

Line-up
ALBUM LINEUP:
Sebastian Montesi — Guitars, Vocals, Bass, Lyrics
Paul Ouzounov— Guitars, Vocals
Zack Chandler— Drums

Current Line Up :
Sebastian Montesi — Guitars, Vocals
Shawn Hache— Bass, Vocals
Zack Chandler— Drums

AUROCH – Facebook

Esoteric – Esoteric Emotions-The Death of Ignorance

Riedizione in formato cd, da parte della Aesthetic Death, del demo d’esordio degli Esoteric, rimasterizzato dallo stesso Greg Chandler e rivestito di una nuova veste grafica: come si vede, non mancano i motivi di interesse per gli appassionati di doom.

Se ogni tanto la riedizione dei primi passi discografici di una band può risultare superflua se non addirittura fuorviante, sia a causa di suoni non ottimali sia perché poco rappresentativa dello stile musicale sviluppato in seguito, di certo lo stesso non si può dire riguardo alla riproposizione in formato cd del primo demo degli Esoteric, intitolato Esoteric Emotions – The Death Of Ignorance.

E’ stata una serie di favorevoli coincidenze, tra le quali la ricorrenza del venticinquesimo anno di attività della band e l’unità di intenti da parte di Greg Chandler e Stu Gregg (proprietario della Aesthetic Death), a rendere nuovamente disponibile sul mercato un lavoro che ormai era reperibile solo sotto le sembianze di bootleg dallo scadente rapporto qualità/prezzo, offrendolo al contrario in un formato curato anche dal punto di vista grafico e sonoro.
Al di là della bontà dell’opera, che per assurdo andrebbe ascoltata senza conoscere la successiva produzione di uno dei gruppi monumento del doom, in modo da poterla apprezzare senza subire una percezione distorta del suo valore, preme rimarcarne l’importanza storica, dato che uscì in un periodo, l’inizio degli anni novanta, nel quale diverse band stavano cominciando a proporre quella forma diluita e rallentata all’inverosimile di death metal che sarebbe poi divenuta il funeral.
A differenza di molti altri musicisti, Greg Chandler non rinnega affatto quanto composto e pubblicato agli inizi della carriera e, nonostante gli Esoteric sia siano con il tempo trasformati in una band giustamente oggetto di culto per la sua interpretazione del genere che ne rifugge gli stilemi tipici , la scelta di riproporre il demo in versione rimasterizzata dimostra più di tante parole quanto egli stesso ritenga quella prima uscita un passo importante, non solo dal punto di vista storico, ma anche da quello dello sviluppo futuro del sound del suo gruppo.
D’altra parte Esoteric Emotions – The Death of Ignorance non appare neppure oggi così obsoleto, a ben vedere, perché non di rado capita di ascoltare lavori di band che si rifanno senza troppe remore a quelle sonorità, a tratti crude ed essenziali, che racchiudono i prodromi di quel funeral doom dei quali gli Esoteric, assieme a Thergothon, Skepticism, Evoken, Mournful Congregation  e Disembowelment, hanno dettato alcune delle principali linee guida.
Per chi nutrisse qualche dubbio, l’ascolto di due brani magnifici come Scarred e Eyes of Darkness (non a caso i due più lunghi e “funerei” dell’opera) dovrebbe dissipare ogni residua perplessità, rendendo l’acquisto di questo frammento di storia del metal estremo qualcosa in più di un semplice atto dovuto.

Tracklist:
1. Esoteric
2. In Solitude
3. Enslavers of the Insecure
4. Scarred
5. Eyes of Darkness
6. Infanticidal Fantasies
7. Expectations of Love
8. The Laughter of the Ignorant

Line-up:
Original line-up
Bryan Beck – Bass
Stuart – Guitars
Gordon Bicknell – Guitars, Keyboards
Greg Chandler – Vocals
Darren Earl – Drums
Simon Phillips – Guitars

ESOTERIC – Facebook

Thal – Reach For The Dragon’s Eye

I Thal sono un gruppo che attira con immediatezza, provocando sensazioni molto forti e che non ti aspetteresti da un suono così minimale ma potente.

Un interessante composto sonoro minimale che ha come attori la chitarra e la batteria e che, attraverso una particolare alchimia, ci porta lontano.

Al primo ascolto questo debutto dei Thal potrebbe sembrare particolarmente scarno e privo di alcuni elementi sonori. Invece, quando si compenetra maggiormente la musica del gruppo, si può capirne la grande forza. Il genere percorso è un qualcosa fra Clutch, Hollow Leg per rimanere in casa Argonauta, e lo stoner doom più minimale. Grazie ai loro intrecci sonori il duo composto da John “ Vince Green “ Walker alla chitarra ed altro e alla batteria da Kevin Hartnell riesce a far nascere una psichedelia pesante altra, piena dell’essenza lisergica capace di portare in alto l’ascoltatore. Le stimmate del suono dei Thal fanno facilmente intuire la grande capacità compositiva nel comporre musica pesante, non soffermandosi su un solo elemento ma investendo molto sull’ampliare le reazioni al loro suono. I Thal sono nati come progetto solista di John Walker, che registrando l’album dei wytCHord, Death Will Flee, si è accorto del particolare modo di suonare la batteria di Kevin Hartnell, ed ascoltandolo in questo album si può facilmente capire. Oltre a questo Hartnell c’è un qualcosa di primitivo in questo disco, un suono che diventa pienamente groove e sale verso il cielo come fosse un rituale in musica. I Thal sono un gruppo che attira con immediatezza, provocando sensazioni molto forti e che non ti aspetteresti da un suono così minimale ma potente. Ci sono moltissimi elementi condensati in queste onde sonore che parlano della durezza e delle difficoltà della vita, il tutto attraverso un filtro di forte esoterismo, che è la chiave per molte cose.

Tracklist
1. Rebreather
2. Under Earth
3. Her Gods Demand War
4. Thoughtform
5. Soulshank
6. Death of the Sun
7. Punish
8. Reach for the Dragon’s Eye

Line-up
John “Vince Green” Walker – Vocals, Guitars and Bass
Kevin Hartnell – Drums, Guitars and Synth

THAL – Facebook

Expain – Pinching Nerves

Lungo appena ventidue minuti ma parecchio intenso, Pinching Nerves è un buon lavoro che dà la misura delle potenzialità del gruppo, anche se mancano almeno una decina di minuti in più per un giudizio approfondito.

Gli Expain sono un’altra realtà metallica proveniente dal Canada (Vancouver) giunta al secondo lavoro autoprodotto.

Fondati cinque anni fa e con un primo album alle spalle dal titolo Just The Tip, gli Expain propongono la loro versione del thrash metal e lo nobilitano con parti progressive creando un sound molto interessante.
Lungo appena ventidue minuti ma parecchio intenso, Pinching Nerves è un buon lavoro che dà la misura delle potenzialità del gruppo, anche se mancano almeno una decina di minuti in più per un giudizio approfondito.
Il quintetto canadese ci svela le carte in suo possesso ma non le lascia cadere tutte sul tavolo, quindi possiamo affermare che Pinching Nerves è un ottimo esempio di progressive thrash metal dove la tecnica è al servizio di un metal old school di ispirazione Bay Area, senza diventare a tutti i costi troppo cervellotico, mantenendo ben salde le briglie sia del sound tradizionale sia delle divagazioni progressive.
Le influenze sono riconducibili alla scena statunitense e al metal estremo di scuola Cynic, quindi le varie They Live, Corridors Of The Mind (con la partecipazione di Dan Mongrain dei Voivod), la title track e Pathways risultano brani che vedono la band ben bilanciata nella propria proposta di metal estremo.
Un lavoro più lungo avrebbe potuto regalare al gruppo ancora più elogi, per ora ci accontentiamo ed aspettiamo ulteriori sviluppi.

Tracklist
1.They Live
2.The Witch Is Dead
3.Corridors of the Mind
4.Pathways
5.Pinching Nerves
6.Torch Formula

Line-up
Pat Peeve – Guitar
Eli Slamang – Guitar
Nikko Whitworth – Bass
Ryan Idris – Drums
Sean Ip – Vocals

EXPAIN – Facebook

Under Siege – Under Siege

Gli Under Siege conoscono bene il genere e lo addomesticano a loro piacimento e a quello degli ascoltatori, alternando cavalcate cadenzate ed epiche a sfuriate estreme dove le melodie hanno la loro importanza.

Gli Under Siege sono una nuova realtà formatasi un paio di anni fa e che, con questo primo assalto sonoro, si presenta in tutta la sua natura guerresca.

Il quintetto di Palestrina aggiunge al genere un epico incedere ed ottime atmosfere folk con un’opera fornita della personalità necessaria per non farsi dimenticare dopo pochi ascolti.
Partiamo dunque per incontrare la morte o la gloria nei vari scontri che ci guideranno fino alla fine di questi quaranta minuti, dove il death metal melodico scandinavo incontra il power ed il folk: il gruppo si presenta con due brani che rispecchiano in toto il suo credo, Blàr Allt Nam Bànag, dall’intro lasciato alle note folk della cornamusa per poi trasformarsi in un veloce brano melodic death, mentre l’epico accordo iniziale di Warrior I Am si trasforma in una cavalcata death/power che centra il bersaglio e si rivela uno dei brani cardine dell’album.
Gli Under Siege conoscono bene il genere e lo addomesticano a loro piacimento e a quello degli ascoltatori, alternando cavalcate cadenzate ed epiche (Beyond The Mountains) a sfuriate estreme (Invaders) dove le melodie hanno la loro importanza, così come gli interventi della cornamusa che regala un tocco folk/fantasy a tracce come la superba One To Us.
L’album si chiude con le note della ballad d’altri tempi Bright Star Of Midnight, e a noi non rimane che consigliare l’ascolto agli amanti del genere e di gruppi come Amon Amarth ed Ensiferum, dei qiali gli Under Siege sono fieri eredi.

Tracklist
1.Blàr Allt nam Bànag
2.Warrior I Am
3.Time for Revenge
4.Beyond the Mountains
5.Invaders
6.Sotto assedio
7.One to Us
8.Bright Star of Midnight

Line-up
Paolo Giuliani – Vocals, Bagpipes
Daniele Mosca – Guitars, Backing Vocals
GianLuca Fiorentini – Guitars, Backing Vocals
Livio Calabresi – Bass, Backing Vocals
Marzio Monticelli – Drums

UNDER SIEGE – Facebook

Fear Not – Fear Not (25th Anniversary)

La Roxx Records ristampa il primo ed unico album dei Fear Not, gruppo statunitense che, in piena era grunge, licenziava questo bellissimo lavoro incentrato su un hard rock dai rimandi street che nel 1993 purtroppo risultava obsoleto ma che era invece composto da una serie di brani bellissimi.

Vale la pena soffermarsi un attimo sull’utilità di ristampe e riedizioni di vecchi album, specialmente dopo questa ottima iniziativa della label americana Roxx Records, specializzata in christian metal e hard rock, che scova abitualmente vere chicche da riproporre agli appassionati della nostra musica preferita.

Valgono poco, se non per i collezionisti, gran parte delle ristampe che abitualmente escono nei negozi riguardanti gruppi famosi del metal e del rock, mentre tutt’altro valore hanno queste iniziative che valorizzano album e band dimenticate o quasi sconosciute che spesso si rivelano piccoli gioiellini musicali.
Dunque la Roxx Records ristampa il primo ed unico album dei Fear Not, gruppo statunitense che, in piena era grunge, licenziava questo bellissimo lavoro incentrato su un hard rock dai rimandi street che nel 1993 purtroppo risultava obsoleto ma che era invece composto da una serie di brani bellissimi.
La band era composta da 3/4 dei Love Life, altro gruppo sconosciuto se non ai più attenti consumatori del genere: Rod Romero al basso, Gary Hanson alla batteria e Larry Worley alla chitarra e alla voce, più il chitarrista Chris Howell.
I quattro musicisti diedero alle stampe un album bellissimo, incentrato su tematiche cristiane ma dal forte impatto rock ‘n’ roll, una serie di brani adrenalinici, dai riff taglienti, i chorus dall’appeal melodico spiccato che non mollavano la presa dall’inizio alla fine, lasciando i titoli di coda all’unica ballad presente, Take Hold.
Il resto era un’apoteosi di hard rock americano, ormai spogliato da lustrini e pailettes ma in grado di smuovere una montagna a colpi di riff suonati sui marciapiedi di un Sunset Boulevard dimenticato dai fans.
Nominare un brano rispetto ad un altro è sminuire una track list vincente, comparsa sul mercato con quasi dieci anni di ritardo e per questo spinta in un angolo dalle nuove sonorità che, in quel periodo, portavano la piovosa Seattle agli onori delle cronache rock.
Skid Row, Mr.Big, Motley Crue, sono le band il cui sound si ritrova nella proposta dei Fear Not: l’album esce per la Roxx Records in versione limitata in vinile ed in cd con l’aggiunta di due bonus track.
Se dentro di voi batte un cuore da street rocker, non perdetevi questo bellissimo lavoro, tornato a risplendere grazie all’etichetta americana.

Tracklist
1. Give It Up
2. We Have A God
3. Mr, Compromise
4. Till The End Of My Days
5. Suicide Sunshine
6. Money Money
7. Easy Come Easy Go
8. There Is Love
9. Mad World
10. Take Hold
11. You Got Love (Bonus Track 2017)*
12. Love Is Alright (Bonus Track 2017)**

Line-up
Rod Romero – Bass
Gary Hanson – Drums
Larry Worley – Vocals, Guitars
Chris Howell – Guitars

Aura Hiemis – Silentium Manium

Silentium Manium si rivela decisamente un buon ascolto per chi apprezza tali sonorità, ed offre certezze sul fatto che V. sia un musicista di grande sensibilità compositiva.

V. è un musicista cileno che ha fatto parte anche degli ormai disciolti Mar De Grises, forse la maggiore band di sempre partorita in ambito doom dal paese sudamericano.

Aura Hiemis è il monicker del suo personale progetto che giunge, con Silentium Manium, al quarto full
length: il genere assume sovente, qui, una forma più eterea ma nel contempo guitar oriented e ciò spinge l’album ad avere un’ampia porzione puramente strumentale.
L’approccio alla materia di V. e senz’altro più emotivo che tecnico, per cui il predominio dello strumento a sei corde è foriero di malinconici arpeggi acustici, così come di brani constraddistinti da dolenti linee melodiche di matrice solista.
Detto ciò, sono comunque i brani cantati ad assumere un ruolo chiave nell’economia dell’album in quanto sicuramente più efficaci ed più impattanti a livello emotivo: forse quello che manca un po’ è una certa continuità in tal senso, perché è indubbio che i brani strumentali, pur avendo una loro funzione all’interno dello sviluppo del lavoro, talvolta paiono spezzare la tensione che riescono a creare due gioielli come Sub Luce Maligna e soprattutto Danse Macabre, brano funeral di grande spessore
Silentium Manium si rivela decisamente un buon ascolto per chi apprezza tali sonorità, ed offre certezze sul fatto che V. sia un musicista di grande sensibilità compositiva e, soprattutto, intento a seguire una propria strada che porta a quelle rovine immortalate in copertina, volte a simboleggiare l’impossibilità di ricostruire ciò che il tempo e l’abbandono hanno definitivamente sgretolato.
Da notare anche la presenza di quella che dovrebbe essere una ghost track, visto che nel libretto i brani dichiarati sono dieci, mentre dopo un prolungato silenzio parte un undicesima traccia, altro brano notevole nel quale V., mette in mostra un growl di notevole profondità oltre ad una naturale propensione alla creazione di linee chitarristiche davvero evocative.
Silentium Manium è senz’altro un gran bel disco, anche se un death doom melodico ed ispirato come quello offerto per lunghi tratti dagli Aura Hiemis verrebbe ulteriormente valorizzato se sviluppato su pochi brani di consistente durata piuttosto che distribuito su una decina di tracce, cinque delle quali, quelle intitolate Maeror Demens, sono frammenti strumentali pregevoli ma che, come detto, finiscono per spezzettare eccessivamente l’incedere del lavoro.
L’album resta comunque vivamente consigliato a chi ama il genere, a patto di approcciarlo con la giusta pazienza visto che, proprio per le suddette caratteristiche, l’assimilazione viene completata solo dopo diversi passaggi nel lettore.

Tracklist:
1. Maeror Demens I
2. Cadaver Fessum
3. Maeror Demens II
4. Sub Luce Maligna
5. Maeror Demens III
6. Between Silence Seas
7. Frozen Memories
8. Maeror Demens IV
9. Danse Macabre
10. Maeror Demens V

Line-up:
V. – Vocals, Guitars, Programming
Lord Mashit – Drums, Bass

AURA HIEMIS – Facebook

Halphas – Dawn of a Crimson Empire

Dawn of a Crimson Empire è un ottimo ascolto per chi vuol farsi un pieno di rabbia iconoclasta veicolata da una forma di black metal offerta in maniera impeccabile.

Arriva dalla Germania questo nuovo gruppo dedito albBlack metal, formato da musicisti già attivi con diverse band della rinomata scena tedesca.

Gli Halphas interpretano il genere seguendo maggiormente le linee guida scandinave, inserendovi una efficace componente epico melodica ma conservando, come da trademark nazionale, l’aura solenne delle composizioni.
Il risultato è prevedibilmente positivo, visto che difficilmente ciò che proviene da quelle austere lande delude quando la materia trattata è il black metal.
Una serie di mid tempo avvolgenti, atmosferici e denotati da un’intensità magari non spasmodica ma costante introducono nel migliore dei modi nell’oscuro mondo degli Halphas, i quali anche liricamente non si discostano dalle tematiche standard del genere, anche se lo fanno mantenendosi su un piano più introspettivo e tenendosi alla larga da facili blasfemie assortite.
Pregio e, forse per alcuni, difetto maggiore dell’album è una sua certa uniformità, che per fortuna include l’aspetto qualitativo, per cui tra le sette tracce che seguono l’intro di matrice ambient riesce difficile estrarre un brano guida così come uno più debole, anche se Through the Forest appare tra tutti quello in possesso delle linee melodiche più accattivanti.
Dawn of a Crimson Empire è un ottimo ascolto per chi vuol farsi un pieno di rabbia iconoclasta veicolata da una forma di black metal offerta in maniera impeccabile.

Tracklist:
1. Summoning
2. Call From the Depths
3. Through the Forest
4. Sword of the Necromancer
5. FMD
6. Malice
7. Damnation of the Weak
8. Empire

Line-up:
Forcas – Bass
Tempestas – Drums
Thurstan – Guitars
Legatus – Vocals
Avnas – Guitars

HALPHAS – Facebook

Loudness – Rise To Glory

I Loudness sono senza ombra di dubbio la più grande e longeva heavy metal band del sol levante, ed il nuovo lavoro conferma l’ancora ottima forma del chitarrista Akira Takasaki e compagni.

I Loudness sono senza ombra di dubbio la più grande e longeva heavy metal band del sol levante, ed il nuovo lavoro conferma l’ancora ottima forma del chitarrista Akira Takasaki e compagni.

E’ dal 1981 che i Loudness dispensano lezioni di metallo pesante, eppure anche questo Rise To Glory risulta un ottimo lavoro, nel quale l’anagrafe dei componenti del gruppo è un dettaglio grazie ad un songwriting perfetto e alla voglia di far male che è ancora quella dei tempi migliori.
Di questi tempi la musica dello storico gruppo nipponico la chiamano old school, per una volta invece il termine giusto è heavy metal classico, pregno di ritmiche hard, solos che sono katane implacabili in mano a questi samurai del metal e refrain di livello superiore.
L’opener Soul On Fire scatena l’inferno, Takasaki armeggia con la sei corde come ai bei tempi, Niihara tiene il passo al microfono con una prova gagliarda e la sezione ritmica (Yamashita/Suzuki ) picchia come un martello metallico sulle nostre povere teste.
Le prime tre tracce sono un vulcano in eruzione, mentre il pesantissimo mid tempo di Until The Light non fa prigionieri prima che i toni si smorzino con la semi ballad in crescendo The Voice.
Rise To Glory non delude i fans del gruppo, fuoco e fiamme si sprigionano all’arrivo di Massive Tornado, mentre la title track mostra di che talento si parla quando si nomina lo storico axeman giapponese.
Per chi si è perso quarant’anni di Loudness, la band ci regala anche Samsara Flight, raccolta di classici ri-registrati uscita originariamente in Giappone nel 2016, quindi non avete scuse, prenotate la vostra copia di Rise To Glory e fate vivere ancora una volta il mito Loudness.

Tracklist
Disc One – Rise To Glory
01. Soul On Fire
02. I’m Still Alive
03. Go For Broke
04. Until I See The Light
05. The Voice
06. Massive Tornado
07. Kama Sutra (instrumental)
08. No Limits
09. Bad Loser
10. Rise To Glory
11. Rain
12. Who And For Whom

Disc Two – Samsara Flight
1. Street Woman
2. The Law of Devil’s Land
3. Loudness
4. In The Mirror
5. Black Wall
6. Rock Shock (More and More)
7. Lonely Player
8. Devil Soldier
9. Burning Love
10. Angel Dust
11. Rock The Nation
12. To Be Demon

Line-up
Minoru Niihara – Vocals
Akira Takasaki – Guitars
Masayoshi Yamashita – Bass
Masayuki Suzuki – Drums

LOUDNESS – Facebook