Annisokay – Devil My Care

Devil In My Care è un album ben confezionato, prodotto benissimo, un lavoro professionale insomma, ma, come ormai ci ha abituato la scena metalcore melodica, inadatto ai maggiori di 18 anni …

Post hardcore o metalcore fate voi, fatto sta che il modern metal dai rimandi core continua a sfornare giovani band dalle indubbie capacità tecniche ma raramente supportate da buone idee, ed il mercato si satura di album tutti uguali, magari perfetti per i gusti dei teenagers dai pruriti metallici ma, invero, freddi come il ghiaccio.

La verità è che il genere è inflazionato ed ascoltare qualcosa di veramente interessante diventa sempre più un’impresa.
Il nuovo lavoro dei tedeschi Annisokay si posiziona nel mezzo delle due verità: da una parte il terzo album del gruppo di Halle vive di tutti i cliché triti e ritriti del genere, doppia voce (clean e scream), ritmi sincopati, alternanza continua tra parti rabbiose e melodie ruffiane; dall’altra, d alzare le quotazioni di questo Devil My Care, è l’ottimo uso dell’elettronica che avvolge tutto l’album in atmosfere pop rock, a tratti al limite del danzereccio, ma pur sempre ben inserite nel contesto dei brani.
Il giovane quintetto tedesco con due album ed una manciata di lavori alle spalle, vanta già una buona esperienza, virtù che si evince dalla raccolta di brani, tutti con l’appeal giusto per essere apprezzati dai loro coetanei.
Devil In My Care è un album ben confezionato, prodotto benissimo, un lavoro professionale insomma, ma, come ormai ci ha abituato la scena metalcore melodica, inadatto ai maggiori di 18 anni …

TRACKLIST
1. Loud
2. What’s Wrong
3. Smile (feat. Marcus Bridge of Northlane)
4. D.O.M.I.N.A.N.C.E.
5. Blind Lane
6. Thumbs Up, Thumbs Down (feat. Christoph von Freydorf of Emil Bulls)
7. Hourglass
8. Photographs
9. Gold
10. The Last Planet

LINE-UP
Dave Grunewald – Shouts
Christoph Wieczorek – Guitar & Vocals
Philipp Kretzschmar – Guitar
Norbert Rose – Bass
Nico Vaeen – Drums

http://www.facebook.com/annisokay/about/

Everlasting Blaze – Everlasting Blaze

Un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere ma anche a chi, senza paraocchi, rivolge il proprio orecchio anche alle produzioni del sottobosco nostrano.

L’underground metal/rock nostrano si arricchisce ogni giorno di nuove ed eccellenti proposte, nate in giro per le città della penisola in ogni genere, formando un universo musicale che non patisce più la sudditanza verso le scene oltreconfine.

Gli Everlasting Blaze, per esempio, sono una giovane band genovese fuori con il primo lavoro, molto ben curato e dai suoni moderni, alternativo nel saper bilanciare rock, metal ed atmosfere dark, grazie soprattutto alla splendida voce della singer Marwa.
E l’ottimo uso di ritmiche e chitarre dai toni aggressivi, ammorbiditi dalla dolce ed espressiva voce di Marwa, è l’arma letale con cui il gruppo genovese ammalia ed ipnotizza l’ascoltatore in questi suggestivi ed intensi minuti di musica, valorizzata da ottimi arrangiamenti e da una produzione sul pezzo, così da consegnare un lavoro professionale e coinvolgente.
La virtù principale che affiora a più riprese dall’ascolto delle tracce è una sfumatura poetica che affiora anche nei brani più grintosi, ed esplode nella bellissima Freedom, l’anima più delicata degli Everlasting Blaze si scontra con quella metallica, mentre If Only, Life of Crime e Zombie Town mostrano gli artigli, acciaio rovente e moderno che si sfida singolar tenzone con l’introspettività dark ed appunto poetica del sound creato dal combo genovese.
Ad un primo ascolto troverete molte similitudini con gli Evanescence e i gruppi alternative dalle tinte dark/gothic di qualche anno fa, ma rimanendo nell’underground ho trovato la musica del gruppo sulla linea degli spagnoli Rainover, anche se la band genovese mantiene un approccio alternativo molto più marcato.
In conclusione, Everlasting Blaze risulta un ottimo lavoro, consigliato agli amanti del genere ma anche a chi, senza paraocchi, rivolge il proprio sguardo anche alle produzioni del sottobosco nostrano.

TRACKLIST
1.Misery
2.If Only
3.Freedom
4.Life of Crime
5.Alone
6.Scream
7.No Mercy
8.Zombie Town
9.Memories
10.Obey
11.Searching
12.The Wasted Soul

LINE-UP
Marwa – vocal,guitar
Sadem – guitar
Youssef – bass
Fabio – drums

EVERLASTING BLAZE – Facebook

Teodasia – Metamorphosis

Basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle melodie di brani entusiasmanti

Puntuale come promesso e di cui vi avevamo parlato nella recensione di Reloaded, arriva sul finire di questo sountuoso anno per il metal nazionale, il nuovo lavoro di inediti targato Teodasia.

La band, dopo averci presentato la nuova line up sul lavoro precedente, che vedeva i nostri riprendere vecchi brani e darli in pasto alla splendida voce di Giacomo Voli, torna con Metamorphosis, album ambizioso, vario e perfettamente in bilico tra il metal sinfonico e l’ hard rock, sia classico che moderno, con una vena progressiva sottolineata da molti cambi di ritmo ed un quid elettronico che rende il lavoro completo sotto ogni punto di vista.
Metamorphosis conquista, e non poteva essere altrimenti, d’altronde l’arrivo di Voli e del chitarrista Alberto Melinato ha portato nuova linfa ed entusiasmo, percettibili già su Reloaded, ma qui evidenziati da un lavoro di inediti che è pura arte metallica.
Quella musica dura, così bistrattata nel mondo delle sette note, trova nel talentuoso gruppo veneto quella nobiltà molte volte negata anche da chi invece dovrebbe supportarla, nonché splendidi interpreti di emozionanti e sognanti viaggi che l’ugola del cantante rende reali, basta chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare dalle melodie di brani entusiasmanti, uno diverso dall’altro, uno più bello dell’altro.
Partendo da tutto ciò, Metamorphosis conferma che l’attesa per l’ascolto di nuovi brani non è stata delusa,  e i Teodasia riescono nell’intento (non facile) di far emergere tutte le loro ispirazioni ed influenze, passando da un genere all’altro come un ape sui fiori: l’album si trasforma in un caleidoscopio di sonorità che vanno dall’hard rock di Release Yourself al power prog della potente Rise, per spostarsi su mirabolanti sinfonie nella bellissima #34 , far sognare di castelli medievali persi nel tempo con Crossroads To Nowhere, od emozionarci con dolci ballate come Two Worlds Apart, in cui Voli duetta con Chiara Tricarico dei Temperance.
Un album bellissimo per il quale la parola d’ordine è emozione, per una band che entra di diritto nelle eccellenze musicali dello stivale metallico, sempre più protagonista nella scena europea con una serie di talenti sopra le righe. Imperdibile.

TRACKLIST
1. Intro
2. Stronger Than You
3. Release Yourself
4. Rise
5. Just Old Memories
6. Idols
7. #34
8. Two Worlds Apart
9. Diva Get Out
10. Gift Or Curse?
11. Redemption
12. Crossroads To Nowhere
13. Metamorphosis

LINE-UP
Francesco Gozzo – drums, piano
Giacomo Voli – lead vocals
Alberto ‘Al’ Melinato – guitar
Nicola ‘Fox’ Falsone – bass

TEODASIA – Facebook

AGE OF WOE

Il video di Voices Of The Unhead, tratto dall’album An Ill Wind Blowing

Il video di Voices Of The Unhead, tratto dall’album An Ill Wind Blowing

Tygers Of Pan Tang – Tygers Of Pan Tang

Una fantastica cavalcata nell’immortalità di un genere musicale

Sono passati trentasei anni da Wild Cat, debutto dei Tygers Of Pan Tang, una delle band più importanti uscite dalla new wave of british heavy metal e da un po’ di anni rinati sotto il segno del cantante Jacopo Meille, italiano di nascita ma dal sangue britannico, almeno a giudicare dalle prestazioni con lo storico gruppo dall’attitudine felina.

Doppia cifra raggiunta e superata con questo lavoro, almeno per quanto riguarda gli album di inediti, una carriera all’ombra dei nomi che occuparono le classifiche del vecchio continente (Def Leppard in primis), ma un livello qualitativo che non ha mai visto passi falsi clamorosi e si rinvigorisce con questo ennesimo album omonimo, davvero ispirato e travolgente nel saper sfruttare al meglio i cliché del vecchio hard & heavy britannico.
I Tygers Of Pan Tang del nuovo millennio sono nelle ottime mani del vocalist e del solo superstite Robb Weir, axeman di un’altra categoria, splendido nel rendere fresco ed attuale un genere che, nel 2016, vive in bilico tra capolavori ed opere stantie, ma che sa regalare musica metal di alto rango se a suonarlo sono gruppi come le tigri anglosassoni.
Si parte a razzo, con hard rock ed heavy metal che si rincorrono tra lo spartito con una serie di brani dall’impatto di un treno in corsa, perfettamente bilanciati tra grinta e melodia e radiofonici , se solo le radio non fossero invase dalla non musica di questi brutti tempi in cui viviamo e che si riflettono pure sulle sublime arte.
Si perché cosa sono, se non arte metallica, i quattro morsi con cui la band ci aggredisce (Only The Brave, Dust, Glad Rags e Never Give In), per poi farci rabbrividire con la semi ballad The Reason Why e ripartire con ancora più foga con la spettacolare Do It Again?
Detto di una prova clamorosa del “nostro” Jacopo e del sontuoso songwriting con cui è rivestito questo undicesimo album, vi lascio con le ultime quattro canzoni, la perfezione metallica data in pasto a noi, poveri cultori del bello aldilà di trend, mode ed altre amenità: una fantastica cavalcata nell’immortalità di un genere musicale. Bentornate tigri.

TRACKLIST
01. Only The Brave
02. Dust
03. Glad Rags
04. The Reason Why
05. Never Give In
06. Do It Again
07. I Got The Music In Me
08. Praying For A Miracle
09. Blood Red Sky
10. Angel In Disguise
11. The Devil You Know

LINE-UP
Robb Weir – guitars
Jacopo Meille – vocals
Micky Crystal – guitars
Gav Gray – bass
Craig Ellis – drums & percussion

TYGERS OF PAN TANG – Facebook

Wolves Den – Deus Vult

Il lavoro è l’ennesimo ottimo esempio di black teutonico, con qualche venatura epica proveniente dal retaggio dei musicisti, ed una serie di brani dal grande impatto

Da diverso tempo sostengo che il black metal esprime il meglio possibile oggi in terra tedesca, laddove la maggior parte delle band pare riuscire con grande naturalezza ad imprimere al proprio sound un che di solenne che, spesso, viene accompagnato anche da un pregevole gusto melodico.

A suffragare questa tesi giunge il primo album dei Wolves Den, gruppo formato da due ex-Equlibrium , il vocalist e bassista Helge Stang ed il batterista Manuel Di Camillo, e dal chitarrista Mexx Steiner; quindi non parliamo certo di neofiti o di musicisti inesperti ed il risultato si sente eccome: il lavoro è l’ennesimo ottimo esempio di black teutonico, con qualche venatura epica proveniente dal retaggio dei musicisti, ed una serie di brani dal grande impatto per tre quarti d’ora di musica ineccepibilmente composta e suonata.
Linee ben capaci di imprimersi nella memoria vengono accompagnate dai vocalizzi estremi di un versatile Stang, mentre Steiner si dimostra chitarrista capace di esprimersi con una certa creatività, senza dimenticare un drumming dinamico come quello di Di Camilo: il quadro complessivo depone così a favore di un opera del tutto riuscita e che minimizza la naturale carenza di originalità proprio grazie ad un gradito connubio tra destrezza esecutiva ed una scrittura coinvolgente.
Le liriche in lingua madre impiantate su una struttura che può rimandare, a grandi linee, alla scuola svedese meno arcigna (Dark Funeral e Naglfar) donano quella punta di fascino in più ad un lavoro che trova la sua sublimazione in due brani magnifici come Schwarzes Firmament e Mortis, mentre, stranamente, è proprio la title track a mostrarsi l’episodio meno convincente, apparendo piuttosto fuori contesto per ritmi ed atmosfere.
Considerando che questo primo full length dei Wolves Den risale ormai ad un anno e mezzo fa, i nostri dovrebbero essere auspicabilmente già al lavoro per dagli un seguito che, alla luce di questa prova positiva, attendiamo con una certa curiosità.

Tracklist:
1. Via lustorum
2. Gedeih und Verderb
3. Schwarzes Firmament
4. Deus Vult
5. Grau wird Nebel
6. Dysterborn
7. Sieche
8. VobisCum
9. Mortis

Line-up:
Manuel Di Camillo – Drums
Mexx Steiner – Guitars
Helge Stang – Bass, Vocals

WOLVES DEN – Facebook

Necroven – Primordial Subjugation

Un album che piacerà agli amanti di queste sonorità, ma difficilmente troverà in tutti gli altri buoni riscontri.

Si continua imperterriti a parlare di death metal old school sulle pagine di MetalEyes.

Quello che sembra un ritorno a tutti gli effetti delle sonorità classiche, anche nel metal estremo sta riempiendo la scena underground di gruppi dall’attitudine e dai suoni vecchia scuola.
Le ristampe delle vecchie opere di band più o meno conosciute ed i nuovi lavori di chi segue la corrente classica non si contano più e, come in queste occasioni, in mezzo si possono trovare album meritevoli ed altri meno.
Rimane una piacevole invasione di creature estreme, una goduria per gli ingordi fans del genere e specialmente per chi segue le vicende musicali della scena underground.
La Memento Mori, per esempio, licenzia Primordial Subjugation, secondo lavoro sulla lunga distanza dei Necroven, duo spagnolo composto da JR (chitarra, basso, batteria e voce) e FC (basso e tastiere), attivo da una manciata di anni e con alle spalle Worship of Humiliation, album uscito quattro anni fa.
Un lavoro di death metal che per impatto ed attitudine risulta 100% old school, macabro e maligno, prodotto con tutti i crismi per non intaccare l’atmosfera classica dei lavori usciti a cavallo tra il decennio ottantiano e quello successivo, terremotante ed oscuro il giusto per rientrare nelle atmosfere cimiteriali delle opere uscite in quel periodo.
Si viaggia sempre sostenuti da ritmiche veloci tra le tombe del cimitero, mentre i riff brulicano di vermi, il growl è soffocato dalla non morte ed il songwriting odora di decomposizione.
I mid tempo non sono poi così male, quando il sound frena dal cilindro la band tira fuori momenti di oscuro e pesante death metal (Esoteric Entropy), ma sono attimi, prima che i morti ritornino a camminare sulla terra e la caccia ricominci in un turbinio di maligno e malato death old school.
Un album che piacerà agli amanti di queste sonorità, difficilmente troverà in tutti gli altri buoni riscontri.

TRACKLIST
1.Sacrificial Deliverance
2.The Pyre Cycle (Burn in Solitude)
3.Primordial Subjugation
4.The Ethereal
5.Esoteric Entropy (Gateway to the End)
6.Martyrs of Repentance
7.Serpents Crawl Stealthy

LINE-UP
JR-Guitars, Bass, Drums, Vocals.
FC- Bass, Keyboards, Effects.

NECROVEN – Facebook

Sorguinazia – Sorguinazia

Tutto è al servizio di una furia demoniaca, perché il black metal ti possiede, non lo suoni, ne vieni suonato.

Black metal primordiale velocissimo e senza controllo, sgorga dalle casse come sangue dalle vene. Ortodosso nella sua visione del black metal, questo misterioso duo confeziona uno dei migliori demo dell’anno in ambito nero, con una furia ed una marcezza senza pari.

Non esiste tregua, non c’è scampo alla caccia satanica, verrete presi e squartati appesi a quattro cavalli. Accelerazioni, concentrazioni magmatiche di black metal, grida belluine, e parti cantate in maniera classica, il tutto con una qualità molto alta. Anche la registrazione, pur essendo virata al black metal classico è fatta molto bene,facendo risaltare ancora di più il lavorio incessante del duo.
I Sorguinazia riescono a creare un’atmosfera particolare, sempre tetra e tesa, ed il loro black metal non cala mai di intensità e di forza. Non si sa praticamente nulla del duo, ma sicuramente sono persone che hanno una particolare dimestichezza col black metal. Ciò è confermato anche dal sapiente uso di parti maggiormente mid tempo, ma alla fine tutto è al servizio di una furia demoniaca, perché il black metal ti possiede, non lo suoni, ne vieni suonato.
Demo uscito ora in cassetta, poi a marzo 2017 uscirà in vinile, anticipando quello che sarà il futuro full length del gruppo sempre su Vault Of Dried Records.
Una delle uscite dell’anno per il black metal.

TRACKLIST
1.VI
2.I
3.II

Tytus – Rises

Un album coinvolgente, ispirato e suonato con cuore e passione, hard & heavy alla massima potenza consigliato senza riserve e che farete fatica a togliere dal vostro lettore anche dopo mesi.

Boom!: il botto che sentirete al primo accordo di questo bellissimo debutto, è l’esplosione metallica della Terra al letale avvicinamento del Sole, una deflagrazione tremenda a colpi di heavy hard rock dei Tytus e del loro Rises.

Ma prima di perdervi tra le macerie, risultato dell’ armageddon sonoro creato dal gruppo, presentiamo per bene questo quartetto friulano, risultato dell’alleanza di un manipolo di musicisti provenienti da varie band già attive nella scena underground come Gonzales, La Piovra, Eu’s Arse e Upset Noise, e che, dopo la recente firma con la Sliptrick Records ci bombardano con una pioggia di meteore hard rock e di spumeggiante heavy metal, per una cinquantina di minuti dall’alto tasso adrenalinico.
Chitarre che vomitano acciaio fuso, ritmiche potenti che, pur guardando alla tradizione, mantengono un approccio fresco, una produzione che valorizza il sound senza risultare troppo patinata e un singer di razza, fanno di Rises un album imperdibile per gli hard rockers dalle mire metalliche.
Le influenze del gruppo sono da ricercare nella storia dell’hard & heavy, anche se l’album ha una sua anima, prepotente, diretta, dannatamente coinvolgente, per cui spogliatevi di inutili riverenze all’originalità e fatevi capovolgere da questi dieci martelli sparati da Asgard, caduti sul sole e colpevoli di spingere la nostra fonte naturale di luce verso il nostro pianeta.
Enorme la forza di queste tracce, un continuo susseguirsi di inni che nel metal classico sono stati plasmati e che nell’hard rock hanno trovato il perfetto alleato.
La tempesta di suoni che travolge ogni cosa, trova la sua forza nel suo insieme ed è difficile ascoltare un brano che non sia eccellente per potenza, con solos di stampo maideniano e grandi linee melodiche.
La tensione non scende, almeno fino alla conclusiva Blues on the Verge of Apocalypse, strumentale che vede i quattro rockers camminare nella desolazione lasciata dal disastroso impatto con un tappeto di suoni tastieristici di scuola Uriah Heep (quelli leggendari di Very ‘Eavy Very ‘Umble e Salisbury).
Un album coinvolgente, ispirato e suonato con cuore e passione, hard & heavy alla massima potenza, un lavoro consigliato senza riserve e che farete fatica a togliere dal vostro lettore anche dopo mesi.

TRACKLIST
1.Ode to the Migthy Sun
2.New Frontier
3.Haunted
4.325 A.D.
5.White Lines 04:48
6.Omnia Sunt Communia
7.Inland View
8.Desperate Hopes
9.New Dawn’s Eve
10.Blues on the Verge of Apocalypse

LINE-UP
Bardy – Drums
Mark Simon Hell – Guitars
Markey Moon – Vocals, Bass
Ilija Riffmeister – Vocals, Guitars

TYTUS – Facebook

BE THE WOLF

Il video di ‘Phenomenons’, primo singolo tratto dal loro nuovo album ‘Rouge’

I Be The Wolf hanno pubblicato il video di ‘Phenomenons’, primo singolo tratto dal loro nuovo album ‘Rouge’, disponibile su Scarlet Records a partire dal 18 novembre.

Con il debutto ‘Imago’, uscito nel 2015, i Be The Wolf andarono incontro ad uno straordinario successo di critica e pubblico, ricevendo il supporto di media importanti come MTV, Virgin Radio e Rolling Stone e l’invito ad esibirsi in Giappone, dove l’influente rivista Burrn! ha assegnato loro il prestigioso “Brightest Hope Award”.
Con ‘Rouge’ la band si presenta al pubblico con un disco maturo ed eterogeneo. Il songwriting del frontman Federico Mondelli (voce e chitarra) affonda le proprie radici nell’hard rock più classico, sporcato da un’onnipresente vena blues, e si divide tra pezzi più aggressivi e diretti che proseguono il discorso iniziato dalla band in ‘Imago’ (‘Phenomenons’, ‘The Game’), ritornelli groovy dalla forte connotazione pop (‘Blah Blah Blah’), ballate dal sapore cantautorale (‘Peeps’), e sporadiche incursioni nel soul, nel folk, e nelle tinte irlandesi dei Thin Lizzy e di Gary Moore (‘Rise Up Together’). Non mancano dei richiami al West degli schiavisti e delle piantagioni di cotone, al gospel e allo spiritual, generi che vengono rievocati anche attraverso i testi, spesso dalla forte connotazione sacrale (‘Down To The River’).
A livello lirico ‘Rouge’ tocca le tematiche del sangue, del fuoco e della fede in tutte le loro incarnazioni, in una cruda analisi della realtà contemporanea, in cui l’uomo medio si crogiola nell’autocelebrazione e nel vuoto dei social network, spendendo il proprio tempo nella perpetua ricerca dell’approvazione altrui, mentre sullo sfondo si susseguono attentati terroristici che vengono vissuti con la stessa fredda emozione con cui si segue un video su Youtube, in un mondo in cui internet ha assottigliato sempre più la differenza tra reale e virtuale e la morte viene seguita con apatica rassegnazione, breve parentesi tra un tutorial e un meme. La scelta del francese nel titolo del platter è un tributo alle vittime del Bataclan del 13 Novembre del 2015, cui la band è legata per una serie di casualità, e che ha ispirato gran parte del materiale del disco.
Rispetto al precedente lavoro la band ha arricchito il proprio sound e le proprie dinamiche, pur rimanendo strettamente legata al concetto dell’essenzialità, che valorizza le doti dei singoli membri facendo dell’apparente limite di una formazione a tre un punto di forza. Le sovraincisioni ridotte al minimo e l’approccio fortemente spontaneo negli arrangiamenti forniscono una fotografia veritiera dei Be The Wolf nel contesto live. Il disco, seppur ponderato, complesso, e dal minutaggio notevolmente più lungo rispetto a quello del precedente lavoro, rimane fedele all’impronta tipicamente pop della band, soprattutto per quanto riguarda il rispetto della forma-canzone. La tecnica non è mai fine a se stessa ma è sempre al servizio dei pezzi, costituiti da una struttura lineare e da ritornelli catchy.
‘Rouge’ è stato registrato, mixato e masterizzato da Andrea Fusini al Fusix Studio di Settimo Torinese, con strumentazione analogica e con un approccio volto a conservare la potenza e l’impatto del debutto, ma che al tempo stesso potesse aggiungere dinamica, organicità e molteplici sfumature al disco.

Inflikted – Sineater

Nuovo ep per i thrashers svedesi Inflikted, in attesa che le polveri si riaccendano con il prossimo lavoro su lunga distanza.

Tra i tanti generi metallici di cui si cura la WormHoleDeath , il thrash è uno dei più rappresentati e gli svedesi Inflikted ne incarnano la frangia più tradizionale del genere.

Al debutto tre anni fa con il primo lavoro omonimo sulla lunga distanza, tornano con questo ep di quattro brani, Sineater, confermando tutta la carica metallica che possiede il loro grezzo e potente sound.
Rispetto al primo album il tiro dei brani lascia in parte quel mood motorheadiano che ne contraddistingueva l’opera prima, questa volta mitragliandoci di buon vecchio thrash metal tout court vicino alla tradizione statunitense.
E Sineater, infatti, parte all’attacco con l’opener Worldpolice/Isis e ci scaraventa nel più classico sound d’oltreoceano, tra fughe chitarristiche su pendolini lanciati sui binari del genere a gran velocità; Mikael Karlsson, Fredrik Gard e soci mantengono alta la tensione con solos di estrazione hard & heavy, chorus urlati dall’alto di un palco dove ai suoi piedi, thrashers di ogni età rivendicano la loro orgogliosa appartenenza al mondo metallico.
La loro attitudine rock è comunque ben in evidenza dalla cover Fire, brano di Jimi Hendrix posto in chiusura e che suggella questo mini cd, in attesa che le polveri si riaccendano con un il prossimo lavoro sulla lunga distanza.

TRACKLIST
1. Worldpolice/Isis
2. Sineater
3. Isolation devastation
4. Fire(Jimi Hendrix cover)

LINE-UP
Mikael Karlsson – Bass, Vocals
Fredrik Gard – Drums, Vocals (backing)
Vardan Saakian – Guitars, Vocals (backing), Vocals (lead) (track 4)
Cristian Abarca – Guitars, Vocals (backing)

INFLIKTED – Facebook

Argonauta Records – Skulls from the Sky

M Ciao Gero, ci racconti qualcosa della serata di domenica ?

Ciao Massimo, domenica sarà una data importante, l’inaugurazione di questi nuovi eventi denominati Skulls from the Sky. L’idea è quella di organizzare eventi satellite a quello che è l’appuntamento annuale dell’Argonauta Fest in primavera. L’occasione era propizia, in quanto gli svedesi Suma, fuori ora su Argonauta con il loro nuovo album, erano pronti per il loro tour europeo, così li abbiamo invitati a questo evento “apripista”, sarà la loro unica data italiana e presenteranno per intero il loro album. E poi il contorno non sarà da meno con i Nibiru pronti a mettere su un nuovo rituale live, gli Infection Code sempre sul pezzo a devastare tutto con il loro noisecore d’assalto, e poi i “miei” Varego con i quali suoneremo tutto il nostro CD dalla prima all’ultima canzone.

M Cosa ti aspetti da una serata come questa?

Mi aspetto al solito un bel riscontro da parte di chi ci segue tutti i giorni e che permette ad Argonauta Records di crescere di anno in anno, tutti coloro che comprano i nostri cd in sostanza, senza questi ragazzi Argonauta non sarebbe ciò che è oggi.

M Puoi fare un bilancio dell’ Argonauta Records fino a qui ?

Argonauta vive un periodo intensissimo di uscite, contatti, collaborazioni e quant’altro. Sono particolarmente soddisfatto di come si sono mosse e si stanno muovendo le cose. In giro c’è un forte interesse per le nostre uscite e soprattutto in ambito internazionale si iniziano ad avere riscontri importanti. In pochi anni siamo arrivati a oltre 50 uscite, vantando collaborazioni importanti con moltissime realtà, giovani e meno giovani con cui siamo sempre in stretto contatto. Ci sono tanti obiettivi da raggiungere ben definiti in agenda e altri ancora da definire. Il 2017 poi sarà un anno molto particolare, che segnerà già il nostro quinto anno di attività (la prima uscita Argonauta risale infatti a Settembre 2012).

M Come è nata la collaborazione con i Suma ?

Come nella maggior parte dei casi, è stata una cosa molto semplice, una collaborazione tra gentlemen, se mi passi il termine. Sono da tempo fan della band e quando mi è capitata l’occasione, l’ho presa al volo ristampando il loro precedente album Ashes. Le cose sono andate talmente bene che con i Suma abbiamo rinnovato l’accordo, “vincendo” la concorrenza di alcune label blasonate, ed oggi eccoci qui a promuovere e distribuire il loro attesissimo album dopo ben sei anni di silenzio.

M Farete altri festival del genere?

Sicuramente sì, non posso al momento anticiparti nulla, ma stiamo già lavorando al nuovo Skulls from the Sky che si terrà nei prossimi mesi.

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Witchunter – Back On The Hunt

Sembra facile riuscire a scrivere una serie di brani diretti e trascinanti, trovare un singer efficace e suonare heavy metal tripallico meravigliosamente vecchia scuola, ma dirompente e distruttivo come un treno all’entrata in stazione con i freni rotti, ma non è così.

Sonorità old school come se piovesse dall’underground italico, ormai assolutamente sul pezzo per quanto riguarda i suoni metallici in ogni genere e, come in questo caso, ad uso e consumo dei true defenders.

I Witchunter sono un gruppo abruzzese attivo da quasi una decina d’anni e con un primo album alle spalle di ormai sei anni fa, quel Crystal Demons che fece girare il nome del gruppo tra gli addetti ai lavori e gli amanti dell’heavy metal, quello vero, classico, in your face e suonato semplicemente con chitarre, basso e batteria.
Sembra facile riuscire a scrivere una serie di brani diretti e trascinati, trovare un singer efficace e suonare heavy metal tripallico, meravigliosamente vecchia scuola, ma dirompente e distruttivo come un treno all’entrata in stazione con i freni rotti, ma non è così.
Beh, cari i miei defenders amanti del palla lunga e pedalare, nemici di orchestrazioni e orpelli quando si parla di metal, il gruppo italiano (sì italiano … problemi?) vi farà spaccare la testa contro il muro di casa a suon di heavy rock a metà strada tra la new wave of british heavy metal e i Motorhead di san Lemmy, con una serie di brani travolgenti, come l’irresistibile Hounds Of Rock, brano che, per averlo sui loro patinati lavori, gruppi da un milione di dollari avrebbero regalato anche il fegato.
Back On The Hunt è bello che spiegato, anzi ci penserà la band con la sua musica a convincervi che qui si scherza, ma fino ad un certo punto, d’altronde i riff che, uno dietro l’altro, compongono e valorizzano Lady In White, Midnight Sin e Lucifer’s Blade sono scolpiti sulle tavole della legge dell’heavy metal.
Poi, quando la versione maideniana di Achilles Last Stand del dirigibile più famoso della storia del rock, lascia che l’album si avvii alla fine con Are You Ready dei Thin Lizzy piazzata prima dei titoli di coda, non ci rimane che toglierci il cappello e fare gli onori a Steve Di Leo (un cantante metal…punto) e soci.

TRACKLIST
1.Back on the Hunt
2.Lady in White
3.Vultures Stalking
4.Hounds of Rock
5.Nightmare
6.Midnight Sin
7.Loosing Control
8.Lucifer’s Blade
9.Achilles Last Stand (Led Zeppelin cover)
10.Are You Ready (Thin Lizzy cover)

LINE-UP
Silvio “Chuck” Verdecchia – Bass, Vocals, Guitars
Federico “Ace” Iustini – Guitars (lead), Vocals
Steve Di Leo – Vocals
Bastià “BloodOilDrinker” – Bass, Vocals
Luca Cetroni – Drums

WITCHUNTER – Facebook

WHORES.

Il video di I See You Are Also Wearing a Black T-Shirt, tratto dall’album Gold.

Il video di I See You Are Also Wearing a Black T-Shirt, tratto dall’album Gold.

Soliloquium – An Empty Frame

An Empty Frame è un album sorprendente, se non per spunti innovativi, sicuramente per la qualità compositiva esibita da musicisti capaci di spaziare, con grande disinvoltura, fra diverse sfumature ed umori.

An Empty Frame è il full length d’esordio degli svedesi Soliloquium, un duo attivo dall’inizio del decennio e che, dopo l’accordo con la label americana Transcending, qualche mese fa aveva pubblicato una compilation (Absence) nella quale venivano racchiusi i brani contenuti nel demo e nei due ep usciti tra il 2012 ed il 2013.

Stefan Nordström e Jonas Bergkvist sono attivi anche in due death band, i Desolator e gli Ending Quest, e con i Soliloquium spostano il loro raggio d’azione verso suoni ben più malinconici, andandosi a muovere su terreni cari a connazionali quali Katatonia, October Tide e When Nothing Remains, senza perdere di vista ovviamente la scuola inglese del death doom.
Ciò che ne scaturisce, An Empty Frame, è così un album sorprendente se non per spunti innovativi, sicuramente per la qualità compositiva esibita da musicisti capaci di spaziare, con grande disinvoltura, fra diverse sfumature ed umori.
Così si passa in un attimo dall’opener Eye of the Storm, in pieno stile Novembers Doom, quindi una cavalcata death doom piuttosto arcigna, alle atmosfere liquide e rarefatte di Earthly Confine, canzone splendida nella quale si possono apprezzare le clean vocals di Nordström, per poi proseguire con brani che fondono sapientemente i due aspetti, attingendo ovviamente alla tradizione scandinava ma senza disdegnare appunto sconfinamenti oltreoceano, tra Novembers Doom e Daylight Dies (The Sorrow Path, With or Without, The Observer e Procession) e chiudere infine con lo strumentale Fear Not, dai tratti sognanti che ne spingono le note ai confini del postmetal.
An Empty Frame è un lavoro di grande pulizia esecutiva, ben costruito e ricco di ottimi spunti disseminati in ciascuna traccia: ci sono tutti i motivi, quindi, per ascoltarlo e farlo proprio.

Tracklist:
1. Eye of the Storm
2. Earthly Confine
3. The Sorrow Path
4. With or Without
5. The Observer
6. Procession
7. Fear Not

Line-up:
Stefan Nordström – vocals, guitars
Jonas Bergkvist – bass
Mortuz – drums
Mike Watts – electronics

SOLILOQUIUM – Facebook

Easy Trigger – Ways Of Perseverance

Album da avere e consumare, brani da urlare in quei momenti in cui ci vuole una scarica di adrenalina per ritornare in carreggiata.

Diciamolo: nel nostro paese una buona fetta delle produzioni hard rock di un certo livello passano dalla famiglia Atomic Stuff / Street Symphonies.

E’ un fatto che, nelle sonorità care al vecchio hard rock con tutte le sue varianti, i ragazzi che lavorano alle label di riferimento hanno una marcia in più e, a confermare il tutto, arriva il secondo lavoro dei rockers Easy Trigger capitanati dal chitarrista Caste, un bella botta di vita street hard rock con tutti i crismi per divertire gli amanti di queste sonorità.
Dopo quattro anni dal debutto Bullshit e con una line up rinnovata, il gruppo torna con Ways Of Perseverance, aggiunge al talentuoso chitarrista un cantante che definire spettacolare è poco (Nico) e, con una sezione ritmica che brucia bassi e spacca pelli (Vale e Pane), conquistano un posto d’onore nei migliori album del genere in questo anno che si appresta a finire.
Grezzi, metallici nel miglior senso del termine, grintosi e con impatto e attitudine da vendere, gli Easy Trigger suonano l’hard rock come se non ci fosse un domani, perfettamente a metà strada tra le nuove generazioni dello street metal/rock scandinavo e la tradizione losangelina,  facendolo bene.
A tratti l’album esplode in fuochi d’artificio elettrici che sinceramente fatico a ricordare nell’ultimo periodo, meno belli dei bravissimi Hell In The Club (tanto per fare un paragone illustre) ma più smaccatamente cattivi, potenti e diretti.
Solo Blind (la ballad di ordinanza) lascia un attimo di respiro (ma siamo arrivati alla traccia numero sette) il resto, dall’opener My Darkness è un devastante bombardamento rock’n’roll, dinamitardo, irriverente e sfacciato, con un diavoletto punk sulla spalla dei musicisti che li istiga ad essere il più cattivi possibile, con l’anima del vocalist già prenotata e un sorriso beffardo sul volto.
Nico è dannato, non potrebbe essere altrimenti, la sua prestazione urla rabbiosa il ritorno al posto che meritano queste sonorità, che se suonate come nelle varie God Is Dead, Turn To Stone, Tell Me A Story e Sold Out, non ce n’è per nessuno.
Album da avere e consumare, brani da urlare in quei momenti in cui ci vuole una scarica di adrenalina per ritornare in carreggiata.

TRACKLIST
1. My Darkness
2. Land Of Light
3. The Watchmaker
4. God Is Dead
5. Turn To Stone
6. One Way Out
7. Blind (piano by Andrea Moserle)
8. Tell Me A Story
9. Sold Out
10. The Sand

LINE-UP
Nico – vocals
Caste – guitar
Vale – bass
Pane – drums

EASY TRIGGER – Facebook

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