UNALEI

Il lyric video di Miserella

UNALEI “Miserella”: official lyric video for UNALEI

Rome based Post Metal act UNALEI present the official lyric video for the song “Miserella” taken from the debut album “Taedium Vitae”.
It was created and edited by Goffredo Passi for EstremArte videoproduzioni and it is now online on YouTube band’s channel at https://youtu.be/WlgfbSs57JY for confirming them as one of the outstanding bands of the Italian decadent scene.

Last but not least they’ll wait you all on September 8th, at Traffic Live in Rome where, supporting NOVEMBRE in their live show, UNALEI will present their album “Taedium Vitae”. For the occasion a very special line-up will wait you with Federico Sanna on voice and guitars, David Folchitto (STORMLORD) on drums, Emanuela Marino (RAINFALL) on guitars and Fedenco Moderno on bass.
Facebook event: https://www.facebook.com/events/611224509039118/

Just can’t miss it!!!

Official sites:
– CLUB INFERNO ENT.: http://www.facebook.com/clubinfernoent
– UNALEI: http://www.facebook.com/UnaleiOfficial
– Order on iTunes: http://smarturl.it/UNALEI-iTunes
– Order on ONErpm: http://smarturl.it/UNALEI-ONErpm

SKYHARBOR

Unica data italiana a Milano ad Ottobre

SKYHARBOR – Unica data italiana a Milano ad Ottobre

Quando l’India incontra il Progressive Metal. Gli SKYHARBOR tornano in Italia per un’unica imperdibile data live che Bagana Rock Agency ha il piacere di presentarvi in collaborazione con Versus Music Project. Con un terzo album in arrivo e due nuovi singoli online, la band di Kesha Dhar intraprenderà un lungo tour europeo che toccherà anche Milano, Domenica 16 Ottobre al Legend Club.

Uno spettacolo live unico, che unisce progressive rock, metal, ambient, per i fan di band come TesseracT (Daniel Tompkins ha cantato sui primi due album della band), Deftones, Karnivool, Devin Townsend, The Contortionist.

Insieme a loro altre due act di grandissimo valore.

Ci saranno Sithu Aye, chitarrista di Glasgow per gli amanti del progressive / djent, e i Modern Day Babylon, band della Repubblica Ceca che unisce groove metal strumentale a partiture ambient.

SKYHARBOR + Sithy Aye + Modern Day Babylon

Domenica 16 Ottobre @ Legend Club, Milano

UNICA DATA ITALIANA

Evento FB: https://www.facebook.com/events/1785890098366878/

Info su biglietti e prevendite a breve.

SKYHARBOR | http://skyharbor.band/

La band nasce nel 2010 come studio project del chitarrista di New Delhi Keshav Dhar. Contattato nell’ottobre dello stesso anno da Daniel Tompkins (cantante dei TesseracT), Dhar inizia a dare vita a una vera e propria band, iniziando a considerare di portare sul palco la propria musica. Il primo album della band esce il 23 Aprile 2012 per Basick Records: “Blinding White Noise: Illusion And Chaos” in cui compare anche Marty Friedman (ex-Megadeth). Nel maggio 2012 gli Skyharbor aprono per i Lamb of God in India, dopo essere stati scelti personalmente da Chris Adler. Seguono tour europei e un secondo album “Guiding Lights” uscito nel 2014. A giugno 2015, dopo un nuovo tour, Tompkins lascia la band; al suo posto entra Eric Emery con cui Dhar e soci iniziano a dare vita al terzo studio album, previsto per il 2017. Nel frattempo sono online i primi due singoli:

Blind Side:

Out Of Time:

https://www.youtube.com/watch?v=gUEWqCezLUg&feature=youtu.be

http://skyharbor.band/ | http://versus-music.com/ | http://www.baganarock.com/

TIBIA NIGHT – Genova CSOA Pinelli – 10/9/16

Fabio Cuomo, Søndag, Muschio, Plateu Sigma

Per un appassionato di musica, di quella fuori dai canoni commerciali ma intrisa di sudore, passione e talento, un evento come il Tibia Night, organizzato presso il CSOA Pinelli in quel di Genova, dovrebbe essere un occasione imperdibile visto che, oltre alla qualità e la varietà della musica offerta, c’è anche la possibilità di passare una serata mangiando e bevendo a prezzi “sociali”, senza cioè la necessità di accendere un mutuo per riuscire a sostenere la spesa di due birre .
L’uso del condizionale (“dovrebbe”) lo spiegherò alla fine, nel frattempo provo a riassumere quanto accaduto nel corso della serata: il programma prevedeva quattro esibizioni, quella del padrone di casa Fabio Cuomo, dei piacentini Søndag, dei verbanesi Muschio e degli imperiesi Plateau Sigma.

Fabio Cuomo non è solo il batterista che i più conoscono come mente degli ottimi Eremite, ma è soprattutto un musicista la cui voglia di sperimentare e di percorrere strade che travalicano l’idea di rock e metal, lo ha portato a creare una forma espressiva davvero sorprendente. Prendendo le mosse dalla musica ambient (quella di Eno, da solo o in compagnia di Fripp) e dal kraut rock (Klaus Schulze), Fabio costruisce musica che non cessa mai di perseguire un’idea melodica, tramite passaggi pianistici lontani per fortuna anni luce dalla stucchevolezza neoclassica che pare andare tanto di moda di questi tempi.
Ciò che colpisce, al di là del mero valore artistico, è l’idea di proporre musica di questo tipo, che presupporrebbe un’audience silenziosa ed assisa compostamente in un ambiente ovattato e magari elegante, in un centro sociale o in luogo dove, comunque, si sono raccolte persone con l’intento di ascoltare sonorità pesanti. Il fatto stesso di non esibirsi sul palco, ma di collocarsi in maniera defilata in un angolo della sala, non è certo un atto di snobismo ma semmai, l’idea di raggiungere gli ascoltatori con un flusso sonoro che giunga dallo stesso livello e non dall’alto. L‘effetto conclusivo è straniante quanto del tutto convincente.

Il compito di iniziare a far piovere dallo spazioso palco del Pinelli infuocati lapilli sonori spetta ai Søndag, quartetto che fa propria con grande convinzione la lezione passata del grunge e del rock alternativo di questi ultimi anni, fornendone un’interpretazione fragorosa e di sicuro impatto. Peccato solo che i suoni non sempre ottimali abbiano impedito di cogliere più efficacemente le strutture melodiche di brani apparsi, comunque, di buona levatura.
I ragazzi emiliani sono prossimi alla pubblicazione in ottobre del loro primo full length: anche se manca ancora l’ufficialità, il lavoro dovrebbe godere del supporto di un’etichetta di un certo peso, per cui le aspettative per la loro prossima prova non sono poche.

I Muschio fanno parte invece della scuderia dell’Argonauta ed appartengono a quella categoria di strane creature musicali che, con una formazione non usuale (due chitarre e la batteria), riescono a fare un discreto baccano attingendo alla pesantezza dello sludge, alla ruvida intensità del post hardcore e imbastardendo il tutto con ampie digressioni psichedeliche.
Il risultato è una mazzata non indifferente, più per la densità del sound che non per la sua effettiva pesantezza: le due chitarre lavorano quasi all’unisono, facendo dimenticare la rinuncia alle parti vocali a chi, come il sottoscritto, non è propriamente un sostenitore di questa particolare scelta.
Indubbiamente influisce sulla resa finale anche la presenza sul palco di un trio di musicisti di notevole esperienza, nonostante il nome Muschio sia relativamente nuovo. Una conferma, senza dubbio, delle ottime referenze che accompagnavano una band confermatasi di assoluta qualità.

La chiusura del Tibia Night è affidata ai Plateau Sigma, band per la quale ho esaurito ogni aggettivo fin dalla recensione del loro recente Rituals, vertice assoluto di una produzione di elevato livello medio. Rivisti dal vivo a qualche mese di distanza rispetto al concerto di Imperia, dove presentavano per la prima volta il nuovo materiale, i quattro ponentini hanno dato vita ad una esibizione di rara intensità emotiva, resa impeccabile anche dall’essersi rodati con le diverse date sostenute nel corso di quest’anno, accompagnando sovente nomi di spicco della scena metal (senza dimenticare il concerto del prossimo 27 novembre a Misano Adriatico con Ahab, The Foreshadowing e Weeping Silence). Il genere proposto è doom (perché tale resta, sia chiaro) ai massimi livelli, reso peculiare da una componente postmetal e progressive, esaltato dalla costante alternanza delle voci e, conseguentemente, delle diverse sfumature sonore espresse.
Potrei dire che oggi i Plateau Sigma, assieme a Doomraiser, Caronte, (Echo) e Abysmal Grief, occupano stabilmente le parti alte di un’ideale scala di valori del doom tricolore, ma nel farlo si rischia di sminuire la portata di una band la cui creatività male si adatta ai ristretti confini di genere.

Concludo con la promessa spiegazione di quel “dovrebbe essere un occasione imperdibile” che ho scritto nell’introdurre il report: inutile far finta di nulla, anche questa serata, nonostante ci fossero tutti i presupposti per attrarre un pubblico numeroso (sabato, nessuna delle due squadre di calcio impegnate nel vicino stadio, una location ampia e persino raggiungibile con i mezzi pubblici anche a tarda ora) è stata onorata da pochi intimi, perché, al netto dei musicisti, sotto il palco non ci saranno mai state più di 20-25 persone.
Considerando che questa è ormai una costante in tutti i concerti ai quali ho assistito negli ultimi anni, è evidente quanto una tale tendenza sia preoccupante, non essendoci sentore di una sua possibile inversione. Genova è storicamente poco ricettiva, ma non è che altrove, all’interno dei nostri confini, le cose vadano meglio quando si tratta di presenziare a concerti di band dedite a generi che necessitano d’essere un minimo “lavorati” all’atto dell’ascolto.
Peggio per gli assenti, mi chiedo però dove siano tutti quelli che, a parole, si definiscono appassionati di metal, ma che quando si tratta di supportare tangibilmente le band se ne guardano bene dal farsi vivi …

tibiabig

SwampCult – The Festival

Un tuffo nell’abisso estremo dove l’oscurità regna sovrana dall’inizio dei tempi

Un altro centro per l’ormai lanciatissima label Transcending Obscurity, che si assicura le creazioni musicali del duo estremo olandese Swampcult, combo dal concept Lovecraftiano e devoto al mito di Cthulhu.

The Festival è il loro secondo lavoro in tre anni di attività, opera che segue il primo vagito An Idol Carved of Flesh uscito due anni fa.
La band è composta da due misteriosi musicisti: A (batteria, voce e flauto) e D (chitarra, basso, piano e organo).
Musicalmente parlando The Festival si sviluppa in otto movimenti (più l’epilogo) che svariano tra il black atmosferico ed il doom, lenti andamenti dove si raccontano le vicende legate alle opere dello scrittore statunitense.
I tempi si mantengono cadenzati, l’album è interpretato più che cantato, tra narrazione e scream black ad aiutare l’atmosfera fantasy/horror che il duo crea con buon talento per sonorità davvero inquitanti.
Per gli amanti del genere l’album non manca di offrire buoni spunti con le parti doom che conferiscono al sound un’aura funerea e di autentico terrore, potenziate da chitarre sature di watt e con in sottofondo rumori di caverne dimenticate dal mondo, dove l’orrore trova la sua massima espressione.
La durata (una quarantina di minuti) facilita non poco l’ascolto per intero di The Festival, che ad un primo passaggio riesce a conquistare con una serie di brani estremi ma molto coinvolgenti.
The Festival rimane un’opera Black/Doom da ascoltare senza interruzioni per riuscire a non perdere la concentrazione sulle orrorifiche atmosfere che il duo imprime ai brani, un tuffo nell’abisso estremo dove l’oscurità regna sovrana dall’inizio dei tempi.

TRACKLIST
1. Chapter I – The Village
2. Chapter II – The Old Man
3. Chapter III – Al-Azif Necronomicon
4. Chapter IV – Procession
5. Chapter V – The Rite
6. Chapter VI – The Flight
7. Chapter VII – The Dawning
8. Chapter VIII – The Madness
9. IX – Epilogue – Betwixt Dream and Insanity

LINE-UP
A – Drums, Vocals, Flutes
D – Guitars, Bass, Piano, Organ, Narration

SWAMPCULT – Facebook

Wormreich / Diabolus Amator / Gravespawn / Vesterian – Infirmos Vocat Deus Fidei

Uno split con alti e bassi, ad uso e consumo degli amanti del true black metal, questo Infirmos Vocat Deus Fidei

La Symbol Of Domination, in collaborazione con Black Plague Records, ci presenta con questo split ben quattro realtà statunitensi votate al verbo maligno del black metal.

Nel più puro spirito raw ed underground, i quattro gruppi che si alternano in questa compilation mostrano il lato più distruttivo ed evil della musica satanica per antonomasia, proposte che potrebbero incuriosire i black metallers dai gusti old school (se mi fate passare il termine anche in questo genere), tradotto senza troppi fronzoli, tanta cattiveria e atmosfera da tregenda infernale.
I primi tre brani ci presentano il raw black metal del quartetto dell’Alabama Wormreich, nato nel 2009, con un full length all’attivo (Edictvm DCLXVI) ed un ep uscito un paio di anni fa (Wormcult Revelations).
Dimenticatevi l’Alabama dello storico brano dei Lynyrd Skynyrd, qui si fa black metal terremotante, fortemente influenzato dal satanismo tout court, richiamando le true black metal band dei primi anni novanta che facevano danni nel Nord Europa.
Peccato per la pessima produzione, magari anche voluta per aumentare l’aura underground e malefica che si aggira terribile tra i solchi delle songs, ma questi tre brani raggiungono con fatica la sufficienza e il gruppo viene rimandato alla prossima release.
Le cose non cambiano con la one man band Diabolus Amator, progetto del polistrumentista texano Matt Taylor, già in pista con due full length negli ultimi due anni (The Dawn of a New Flame e Despotic Conjuring of the Soulless); i tre brani presentati hanno dalla loro uno spirito brutal/grind inserito in un contesto black metal che fanno del sound un massacro senza soluzione di continuità, specialmente nella turbinosa e marcia Ravenous Fog of Winds.
La parte ritmica risulta un bombardamento brutale, le vocals si muovono tra lo scream e il growl di derivazione grindcore, il suono è poco valorizzato da una produzione sporca, ma non difetta certo di attitudine satanista ed anticristiana.
Arrivano i californiani Gravespawn e le cose migliorano di netto: ormai da considerarsi quasi un veteranoa della scena estrema dai rimandi black d’oltreoceano, il terzetto della città degli angeli propone un black metal oscuro ed epico, abbastanza vario da passare tra mid tempo epici e guerreschi a sfuriate di metallo nero come la pece.
Fondato nel 2004, il gruppo ha un full length all’attivo (Woe to the Conquered del 2012) ed una manciata di lavori minori.
Il sound porta con se quel tocco di pagan metal alla Bathory che dona un’aura mitologica ed epica alla musica del gruppo, con due brani che alzano la media di questo split più la versione live di A Red Moon Rises over Transylvania e bastano per promuovere la band incoronandola come la migliore dello split.
E siamo ai Vesterian altro storico gruppo americano, nato nel 1997 in North Carolina e trasferitosi successivamente in California,  con un full length all’attivo licenziato un paio di anni fa (Anthems for the Coming War Age) e poi una serie infinita di demo e lavori minori a comporre la loro discografia.
Il loro black metal d’ordinanza, sufficientemente supportato da una produzione accettabile e foriero di crudeltà e blasfemie varie, è valorizzato da buone trame chitarristiche.
Devoto alla scena svedese si riempie di spunti melodici nei solos che squarciano le tempeste ritmiche di cui sono pregne Black Metal Murder e Unseen Hordes Behind the Deafening Storms, song all’altezza della situazione.
Uno split con alti e bassi, ad uso e consumo degli amanti del true black metal, questo Infirmos Vocat Deus Fidei, ma se siete ingordi divoratori del genere dategli un ascolto, potrebbe riservarvi un paio di gradite sorprese.

TRACKLIST
1. Wormreich – Feeding the Ouroboros
2. Wormreich – To Render the Right Hand
3. Wormreich – Terra Mortuorum (Call of Nvathron)
4. Diabolus Amator – Sanity and Her Daggers Return
5. Diabolus Amator – Ravenous Fog of Winds
6. Diabolus Amator – Pregnant Virgin Whore
7. Gravespawn – Vae Victus
8. Gravespawn – Beneath the Shadowed Past
9. Gravespawn – A Red Moon Rises over Transylvania (live)
10. Vesterian – Black Metal Murder
11. Vesterian – Crushing the Mandate of God
12. Vesterian – Unseen Hordes Behind the Deafening Storms

LINE-UP
Wormreich:
Vulk – Guitars, Vocals, Bass
Profana – Drums, Percussion
Wyvern – Guitars
Tezrian – Bass
Thorgrin – Guitars

Diabolus Amator:
Matt Taylor – All instruments, Vocals

Gravespawn:
Reaver – Keyboards, Vocals, Guitars
Advorsus – Drum programming, Bass
Verigo – Bass,Guitars

Vesterian:
Hellcaster – Bass
Malevolus – Guitars
Pandemonic – Guitars
Azaghal – Guitars
Verigo – Vocals, Guitars
Abraxas – Drums
Melkrath – Drums

WORMREICH – Facebook

DIABOLUS AMATOR – Facebook

GRAVESPAWN – Facebook

VESTERIAN – Facebook

Indivia – Horta

Horta non è mai ovvio e scontato sia perché tale è l’approccio del gruppo, sia perché ad ogni svolta sonora non si sa dove finiremo al prossimo cambio di tempo, e ciò per un disco è davvero importante.

Movimenti di precisione che provocano nella nostra mente sinapsi cariche di suoni tendenti ad un ribassamento, che in alcune persone provocano piacere. Gli Indivia fanno questo e molto altro.

Il loro suono è uno stoner metal molto oscuro, ma in realtà partendo da coordinate conosciute riescono a confezionare un risultato molto originale. La loro musica è una bolla parallela, una dimensione che apriamo mettendo il cd nel lettore e schiacciando play. Gli Indivia hanno quella freschezza, quell’onda di novità che avevano ai tempi, quando non erano ancora come ora, gruppi come i Karma To Burn o i Conan, quando facevano grandi cavalcate in territori strumentali ancora inesplorati. Gli Indivia hanno quel quid in più,e grazie anche all’azzeccata formula del power trio fanno un gran bel disco. Basso, chitarra, batteria, distorsioni e volumi alti sono gli ingredienti per una vita felice, e gli Indivia riescono a darci qualcosa che ci piacerà. Horta non è mai ovvio e scontato sia perché tale è l’approccio del gruppo, sia perché ad ogni svolta sonora non si sa dove finiremo al prossimo cambio di tempo, e ciò per un disco è davvero importante. La produzione asseconda molto bene le intenzioni dei tre padovani, e ogni canzone merita davvero. Senza voler fare retorica da bar, gruppi come questo ce ne sono, bisogna essere sia bravi a trovarli, sia bravi nel proporsi. Era da tempo che in questo genere, che poi non è solo lo stoner, ma ci sono anche molte altre cose dentro, non si ascoltava in gruppo così fresco, potente, calibrato e piacevole. I ragazzi hanno talento, voglia e poi hanno questa batterista, Nathalie che oltre che essere una delle fondatrici del gruppo è una macchina che sale e scende crinali a tutta velocità, o pende da un dirupo durante un tramonto estivo.
Bello, da sentire e da gustare anche con il corpo, perché questa musica ha una dimensione molto fisica, che fa vibrare.

TRACKLIST
1. Dharma
2. The Green Planet
3. Hyperion
4. Shogun
5. Ciò Che Tradisce
6. Re-Growth

LINE-UP
Andrea Missagia – Guitar
Nathalie Antonello – Drums
Diego Loreggian – Bass

INDIVIA – Facebook

Burning Rome – The New Era Begins

Un album intenso, perfetto esempio di come la parte più moderna del metal possa ancora regalare ottima musica

Eccola la risposta a chi afferma che di questi tempi le troppo uscite discografiche saturano il mercato, delirando con affermazioni discutibili su come nell’underground un numero così elevato di album e nuove band non fanno che abbassare il livello qualitativo e confondere i poveri recensori di turno, obbligati agli straordinari per tenere testa all’invasione musicale in atto.

La fortuna di chi spende il suo tempo libero nel supportare lo svariato ed affascinante mondo dell’underground (specialmente quello metallico) è proprio quello di trovarsi (grazie al cielo) molte volte al cospetto di gruppi sconosciuti ai più o appena formati, protagonisti di opere di grande valore artistico, insomma il succo di questo hobby/lavoro.
Così succede che al sottoscritto presentino questo nuovo progetto torinese chiamato Burning Rome e che, prima sorpresa, dietro al microfono ha Beppe Jago Careddu, singer dei dark/new metallers piemontesi Madwork, protagonisti un paio di anni fa con l’ottimo Obsolete, secondo lavoro recensito sulle pagine di Iyezine.
Licenziato dalla nostrana Underground Symphony, il debutto di questo giovane gruppo ha chiaramente nel David Draiman nostrano (così lo descrissi all’epoca di Obsolete) il suo punto di forza, anche se il gruppo risulta compatto e con ottime individualità, creatore di un sound che con le sue ispirazioni ed influenze ben in evidenza, risulta fresco, accattivante e senza sbavature da esordio.
Una qualità non da poco, infatti The New Era Begins è curato in tutti i dettagli, compresa una personalissima copertina (con tanto di gorilla guerriero probabilmente ispirato al Pianeta Delle Scimmie), un’ottima produzione ed un gran lavoro in fase di arrangiamento.
Siamo nell’alternative metal o nu, come preferite, chiaramente ispirato alla scena statunitense, spogliato dalle sonorità dark dei Madwork (tanto per non cadere in equivoci) e molto più diretto.
Tanto groove, ritmiche pesanti come incudini ma mai portate al limite, ritornelli curati e vincenti, un’ottima prova generale con il singer che anche questa volta si rende protagonista di una prova intensa, emozionale e sopra le righe mantenendo l’approccio alla Disturbed, ma espandendo i confini vocali che seguono il mood dei brani, ora chiaramente ispirati ai System Of A Down (The Same Old Story) ora ai Deftones (Lonely Boy), in un contesto melodicamente drammatico così come il concept, ispirato all’uomo e al suo vivere in un mondo pieno di sofferenza e completamente privo di emozioni positive.
The New Era Begins risulta così un album intenso, perfetto esempio di come la parte più moderna del metal possa ancora regalare ottima musica, lontana dai facili successi di una ventina d’anni fa, ma espressiva e coinvolgente se suonata con il cuore.
L’album abbonda di canzoni sopra la media (Silence And Me, The Art Of Bleeding, This Is The Place) e raggiungere la fine risulta un attimo, sopraffatti dalla varietà di un songwriting che gioca con potenza e melodia, drammaticità e dolcezza in un susseguirsi di hit che faranno la gioia di chi del metal ama la parte più moderna e (passatemi il termine) cool.
Bellissimo esordio e una gradita sorpresa ritrovare un interprete come Jago in perfetta forma: Burning Rome promossi a pieni voti.

TRACKLIST
1.In Hoc Signo Vinces
2.Silence And Me
3.Lonely Boy
4.Never Never
5.The Art Of Bleeding
6.Into Shadows
7.Who Do You Think We Are
8.The Second Wave
9.The Same Old Story
10.Gravity
11.This Is The Place

LINE-UP
Beppe ‘Jago’ Careddu – Vocals
Luko – Guitars
Six – Guitars
Nicola ‘Nic13′ Baglivi – Bass
Marzio Francone – Drums

BURNING ROME – Facebook

Levania – Memory

Memory lascia ottime sensazioni per il futuro, aspettiamo fiduciosi

Torna la dark gothic band ferrarese Levania con questo nuovo singolo, tratto dall’album dei Deplacement Carousel, progetto dark elettronico del cantante e tastierista Still e del bassista Fade, uscito per Epictronic, costola della più nota label nostrana WormHoleDeath lo scorso anno.

La band capitanata dalla dolce voce della singer Ligeia e dal tastierista Still, della quale vi avevamo parlato sulle pagine di Iyezine in occasione dell’uscita di Renascentis, ultimo lavoro uscito un paio di anni fa, rielabora in versione gothic il dark pop elettronico e molto ottantiano del brano originale, dal titolo Memory.
Un passo indietro è doveroso per presentarvi questa ottima realtà tutta italiana, nata ormai da quasi dieci anni e che, dopo l’uscita di tre demo ha licenziato oltre al precedente full length, il primo lavoro nel 2012, Parasynthesis.
In vero Renascentis non mi aveva entusiasmato all’epoca e l’approccio al brano è stato molto morbido da parte del sottoscritto, invece, sono molto felice di ritrovarmi al cospetto di un ottima traccia ed un gruppo che, al netto dei mille e più paragoni con le tantissime realtà di un genere per certi versi inflazionato, regala pochi minuti di eleganti melodie gothic/dark, con la voce della singer che continua la sua innata predisposizione all’eleganza, ed un sound che rimane ben saldo tra il confine che separa il gothic moderno al dark di estrazione ottantiana.
Non so quanto il nuovo progetto di Still e Fade potrà influire sulla strada che verrà intrapresa prossimo lavoro dei Levania, ma è indubbio che Memory lascia ottime sensazioni per il futuro, aspettiamo fiduciosi, avanti così.

LINE-UP
Ligeia – Lead vocals
Still – Keyboards & Vocals
Richie – Guitars
Fade – Bass
Moon – Drums

LEVANIA – Facebook

CHALICE OF SUFFERING

For You I Die pubblicato l’8 luglio per Times End Records

Chalice of Suffering (International) – ‘For You I Die’

Genre – Doom Metal
Release Date – July 8th, 2016
Record Label – Times End Records

US based doom metal band Chalice of Suffering have worked hard on their debut release, and it shows. Employing flute and bagpipes as additional instruments to paint the canvas of their sorrowful music, Chalice of Suffering have brought to life an excellent rendition of life’s inevitable miseries, but they have done it with class and grace. With members of Nangilima, Wandering Oak, and We Are Legion adding their experience to John McGovern’s vision, the final product leaves nothing to be desired. The gently wafting music is punctuated by soul-tearing melodies, and the additional instruments coupled with the atmospheric melancholy, just takes it to a different level. One can actually feel different shades of grey as the music oscillates from black doom to glimmers of white hope that uplift the proceedings, mirroring life and its vagaries. The crushing death/doom music foundation gives it strength, the courage to go on, despite the reflection of tragedies, but all in all, this is what makes it beautiful – without darkness there can be no light. ‘For You I Die’ is the ultimate expression of moving, emotive, near-sentient doom metal music for the harrowed souls.

This one caught on fast and it only goes to prove that despite being a new band, if the music is soulful, it touches people. ‘For You I Die’ is probably one of the best such doom albums I’ve heard all year.

– “This is an easy 5 out of 5!” – Midlands Metalheads (UK)

– “a treasured addition to your collection” – Doom-Metal.com (Belgium)

– “Definitely worth the plunge” – Ave Noctum (UK)

– “doom metal of the highest quality” – Franconia Metallum (Germany)

– “as dark as it needs to be” – Dead Rhetoric (US)

– “An interesting experiment” – Be Subjective! (Germany)

– “slow, dark and atmospheric” – Wonderbox Metal (UK)

– “will pierce your heart with a piece of ice!” – Deadly Storm (Czech Republic)

– “everything melancholic Doom Metal should be” – Puro Ruido (Argentina)

Album lineup:
John McGovern – Vocals
Nikolay Velev (Nangilima) – Keyboards / Guitars
Will Maravelas (We Are Legion, Plague of Stars) – Guitars / Bass
Aaron Lanik (We Are Legion, Plague of Stars) – Drums
Robert Bruce Pollard (Wandering Oak) – Tin Flute
Allan Towne (We Are Legion, Mastiff) – Guest Vocals
Kevin Murphy – Bagpipes / Irish Gaelic Vocals

Track list:
1. Darkness
2. Who Will Cry
3. For You I Die
4. Alone
5. Screams of Silence
6. Cumha Do Mag Shamhrain
7. Fallen
8. Void

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Self-Hatred – Theia

Theia appare solidamente intriso dell’umore tragico dei Swallow The Sun così come del lirismo malinconico dei Saturnus, meritandosi il plauso degli appassionati.

Sono trascorsi circa due anni dalla recensione dell’esordio degli Et Moriemur, band ceca capace di inserirsi con autorità tra le realtà più promettenti del doom death melodico, ed oggi tocca ad un altro gruppo proveniente da quella nazione a cercare di farsi largo.

Si tratta dei Self-Hatred, che con i connazionali precedentemente citati hanno in comune due elementi, il batterista Michael “Datel” Rak ed il chitarrista Aleš Vilingr, oltre ad uno stesso sentire nell’esprimere le proprie inclinazioni musicali.
Rispetto agli Et Moriemur, i Self-Hatred differiscono soprattutto in alcuni particolari, tra i quali il più evidente è l’utilizzo sia di un abrasivo scream alternato al growl, da parte del bravo Kaťas, sia di vocalizzi femminili efficaci quando si limitano ad interventi in stile Natalie Koskinen, un po’ meno quando indulgono in prolungati gorgheggi lirici.
Nel complesso il disco è di buonissimo livello, grazie ad una serie di brani eseguiti e prodotti senza sbavature, tra i quali spiccano l’opener Guilt, dai tratti soffocanti in avvio ed in conclusione, Slither, gratificata da una linea melodica drammatica, e la conclusiva Memories, traccia che si rivela emblematica di un talento compositivo tutt’altro che trascurabile.
E’ sempre bene ricordare che in questo genere nulla si crea e nulla si distrugge, per cui Theia appare solidamente intriso dell’umore tragico dei Swallow The Sun così come del lirismo malinconico dei Saturnus, meritandosi il plauso degli appassionati, come spesso accade per le uscite marchiate Solitude.
Tenendo conto anche dell’ultimo splendido lavoro dei Quercus, i Self-Hatred dimostrano come, nella scena metal ceca, certe sonorità stiano trovando sempre più spazio con uscite di assoluta qualità.

Tracklist:
1. Guilt
2. Theia
3. Slither
4. Attraction
5. No Judgement
6. Self-reflection
7. Memories
Line-up:

Štěpán Eret – Bass
Michal “Datel” Rak – Drums
Aleš Vilingr – Guitars
Pavel Janouškovec – Guitars
Michal Šanda – Keyboards
Kaťas – Vocals

SELF-HATRED – Facebook

Michael Sweet – One Sided War

Michael Sweet ritorna sul mercato alla sua settima prova come solista. Una delle voci più caratteristiche e instancabili del panorama hard ‘n’ Heavy mondiale.

Ritorna sul mercato alla sua settima prova come solista una delle voci più caratteristiche e instancabili del panorama Hard ‘n’ Heavy mondiale: Michael Sweet (Stryper, Sweet & Lynch) con una formazione che presenta il grande Joel Hoekstra (Whitesnake, ex Night Ranger) e Ethan Brosh (The Ethan Brosh Band, Angels Of Babylon) alla chitarra, il fantasioso bassista John O’Boyle e Will Hunt (Evanescence) dietro le pelli.

Apre Bizarre, con attacco alla Starbreaker -Racer X (!), con il dolce Michael subito sugli scudi. Gran bel pezzo tecnico e atletico, dove tutto è perfetto, dalle vocals al supporto speso dagli altri strumenti. A seguire One Sided War, altro pezzo roccioso e con melodie molto efficaci. Maggiormente heavy Can’t Take This Life e Radio, più scontate, con il loro incedere minaccioso, comunque ancora molto efficaci nel cantato e nelle parti soliste. Classici riff per Golden Age e Only You, quest’ultima davvero molto catchy. Who Am I è una sorta di power ballad coinvolgente, seguita dall’Heavy Blues ben cadenzato di You Make Me Wanna da cantare a pieni polmoni. Comfort Zone è un attacco a chiare tinte yellow and black, molto coinvolgente e trascinante. Pura energia con il Rock’n’Blues di One Way Up che non mancherà di scuotervi e incitarvi a urlare il fantastico e ossessivo ritornello. Chiude il disco un’altra versione (trascurabile) di Can Not Take This Life, con un duetto di Michael insieme alla giovanissima cantante Moriah Formica.
In One Sided War troverete riff Hard’n’Heavy tra i più classici , robusti, piacevoli e ottimamente eseguiti. Niente di nuovo sotto il sole, ma sono certo che apprezzerete tutto il valore di Michael Sweet sia come cantante e compositore, ma anche come ottimo produttore. One Sided War è un lavoro potente e pulito, che esalta il lavoro dei musicisti coinvolti e le azzeccatissime armonie profuse in tutti i 47 minuti.

TRACKLIST
1.Bizarre
2.One Sided War
3.Can’t Take This Life
4.Radio
5.Golden Age
6.Only You
7.I Am
8.Who Am I
9.You Make Me Wanna
10.Comfort Zone
11.One Way Up
12.Can’t Take This Life (feat. Moriah Formica)

LINE-UP
Michael Sweet – Vocals, Guitars
Joel Hoekstra – Guitars
Ethan Brosh – Guitars
John O’Boyle – Bass
Will Hunt – Drums

MICHAEL SWEET – Facebook

Timor et Tremor – For Cold Shades

Un epico ed oscuro viaggio tra le foreste germaniche

Questo bellissimo album licenziato dalla Trollzorn è il terzo lavoro della melodic black metal band tedesca Timor Et Tremor, quintetto di Kassel attivo dal 2005, ed arriva a rimpolpare una discografia che, oltre a My Oaken Chest del 2009 ed il precedente Upon Bleak Grey Fields del 2012, si completa con il primo demo e l’ep Towards the Shores of Light, uscito tra i primi due album.

La struttura del sound di cui il gruppo è portavoce, è un black metal dalle reminiscenze scandinave, epico e melodico, colmo di cavalcate e solos, su cui la band immette svariate scelte atmosferiche di natura dark.
Ne esce un bell’affresco estremo molto emozionale ed affascinante, curato nei minimi particolari in fase di produzione e ben calibrato tra le tempeste elettriche del black e le atmosfere oscure del dark, a rendere ancora più evil la suggestiva vena epica dei brani.
Un uso ben congegnato dello scream e delle clean dal taglio evocativo fa il resto, l’incontro del gruppo con Markus Stock, produttore di The Vision Bleak, Secrets Of The Moon, Ahab, ha giovato non poco al sound del quartetto e For Cold Shades dimostra l’alta qualità raggiunta dai Trimor Et Tremor.
Un epico ed oscuro viaggio tra le foreste germaniche, un’aura pagana che aleggia tra i solchi di brani splendidamente epici, con picchi di oscura cattiveria ma sempre estremamente melodica, così da mantenere un appeal enorme specialmente dove la componente malinconica prende il sopravvento ed il gruppo regala emozioni forti.
Fen Fire, stupenda epic/dark/black song, Alpha And Omega dal riff epicissimo, riecheggia nelle valli della foresta nera, così come The Ghost In All That Dies richiama tutte le tribù per l’ultimo scontro contro le truppe degli orchi, Ethereal Dome vive di melodie estreme, tra rallentamenti suggestivi e ripartenze, mentre Pale Faces risulta la perfetta conclusione, toccando tutte le varie sfumature incluse nell’album e regalando solos e riff dall’alto tasso melodico.
Come detto For Cold Shades viaggia su coordinate estreme scandinave, Dissection e i Naglfar del capolavoro Vittra sono i gruppi più vicini al modus operandi del gruppo, anche se a mio parere in molti dei solos compare il fantasma dei Dark Tranquillity a riempire di suggestive note dark melanconiche il sound dei Timor Et Tremor, rendendo il tutto molto affascinante.

TRACKLIST
1. Yearning
2. Fen Fire
3. Alpha And Omega
4. Oath Of Life
5. The Ghost In All That Dies
6. The Soaring Grudge
7. Ethereal Dome
8. Pale Faces

LINE-UP
Hendrik Müller – Vocals
Marco Prüssing – Guitars/Bass
Martin Stosic – Guitars
Jan Prüssing – Drums

TIMOR ET TREMOR – Facebook

Zealot Cult – Karmenian Krypt 12″

Nell’ascolto non si possono avere fraintendimenti, questo è un gran bel death metal, senza fronzoli o trucchi.

Gruppo irlandese che fa un death metal davvero potente e molto devoto ai mostri che si aggiravano per le paludi della Florida qualche anno.

La formula degli Zealot Cult è azzeccata, ma è molto debitrice a gruppi come Obituary, Pestilence e Morbid Angel. Il death metal, quello più verace, non è una cosa originale, ma deve essere fatto bene e in maniera potente. Gli Zealot Cult sanno come farlo, ed infatti sono giustamente considerati come uno dei migliori esponenti del genere in Irlanda. In questi giorni hanno anche aperto per i Napalm Death, e deve essere una bella esperienza sonora sentire questi due gruppi. Il dodici pollici in questione è la riedizione in vinile del loro ep di debutto, uscito nella primavera del 2016.
Nell’ascolto non si possono avere fraintendimenti, questo è un gran bel death metal, senza fronzoli o trucchi. La Roadrunner ce lo ha insegnato e ora la Blood Harvest, non solo con questo gruppo, porta avanti un discorso per chi il death metal lo adora, per la sua potenza e per dischi come questo. Anche la lunghezza appare adeguata, essendo un assaggio di quello che verrà, sempre su Blood Harvest, poiché il gruppo ha voluto espressamente firmare con l’etichetta svedese.

TRACKLIST
1.Karmenian Crypt
2.Eternal Winter
3.Suffocation Of The Mind

ZEALOT CULT – Facebook

Svlfvr – Shamanic Lvnar Cvlt

Album bellissimo e difficile come le migliori opere del genere

Che la scena metal nazionale sia da annoverare tra le migliori della vecchia Europa ormai è un dato di fatto, essendo in grado di regalare nei vari generi realtà di altissima qualità nonostante sia ancora poco considerata dagli scribacchini altolocati.

Nelle forme più estreme poi c’è da divertirsi, figuriamoci quando si parla di un genere come il doom dove, a mio parere, da sempre siamo maestri nel creare opere magiche, occulte e splendidamente dark fin dagli anni settanta.
Horror, misticismo e un talento per le tematiche arcane ed alchemiche ha portato l’arte italiana ad essere un esempio per chiunque, dalla musica al cinema fino alla letteratura che voglia confrontarsi con il mondo oscuro.
Nella musica qualsiasi band affacciatasi sul panorama estremo (doom, death e black), senza dimenticare la tradizione progressive/dark, ha sempre avuto dalla sua un approccio adulto e maturo alla materia, non facile da maneggiare per ragazzini superficiali con smanie da demoni con il face painting, ma motivo di riflessioni e studi per menti alternative.
Nel metal di estrazione doom, come negli altri generi dunque non mancano le sorprese e così, dopo il bellissimo ultimo lavoro dei laziali Godwatt con il loro L’Ultimo Sole, arriva ad inquietare le notti di un caldo agosto Shamanic Lvnar Cvlt, seconda opera (dopo Seeding the Astral Mark del 2012) dei toscani Svlfvr.
Ma se il sound del gruppo laziale risultava un doom di estrazione classica, la band fiorentina si circonda di una mistica impronta black/dark, a tratti oscura e sciamanica, in certi frangenti più death oriented ma sempre e comunque pesantissima, tragica nel suo incedere, scaldata da solos che si spingono sul versante più classico, ma sferzati da ritmiche death/black.
L’incedere dei brani rimane comunque orientato su di un doom metal che guarda indietro nel tempo restando nei confini nazionali, tenendo ben salda una marcata predisposizione occulta e mistica, in poche parole un’interpretazione matura senza sconfinare nell’horror adolescenziale di molti colleghi oltre confine.
Grandissima la prestazione di Dionysos, un sacerdote diabolico che con il suo growl/scream teatrale ci prende per mano e ci accompagna lungo i sentieri bui di questa jam, composta da cinque brani per quasi un’ora di musica, tra atmosfere plumbee, devastanti e potentissime doom songs e accelerate estreme da far impallidire truci blacksters con la mazza chiodata in una mano ed il biberon nell’altra.
Un album che, senza dilungarmi, si riassume nella conclusiva Dying Star’s Empathy, venti minuti persi nel mondo ancestrale e mistico di questi musicisti che non lasciano troppe indicazioni su dove risieda la loro musica ma ci invitano a farla nostra, nota per nota, passaggio su passaggio, in un delirio di affascinanti note doom, black, death e prog.
Album bellissimo e difficile come le migliori opere del genere, Shamanic Lvnar Cvlt si può certamente considerare, come suggerito dal titolo,  un lavoro di culto, almeno per chi si nutre di queste sonorità.

TRACKLIST
1. Total Absence of Light
2. Wish to Drown in an Abyss of Water
3. Shamanic Lvnar Cvlt
4. Count Down to Death
5. Dying Star’s Empathy

LINE-UP
Dionysos – Vocals
Asmodeus – Guitars
Vrolok Lavey – Bass Synth
Poseidon – Drums

SVLFVR – Facebook

ATROPAS

Il video ufficiale per la song “Alone”, terzo singolo tratto dall’album “Episodes of Solitude”.

Atropas present their new official video “Alone”

Atropas are releasing their new music video ahead of their European tour with Words That Burn, which starts in Hungary tomorrow! The video for the song “Alone” carries a heavy anti-war message, capturing the intense feeling of the whole album.

Band statement about their new video:

“We want you to realize what this video is about: Just like the rest of our album “Episodes of Solitude”, this song is about the horrors of war and we wanted this video to reflect that. There is no sense in killing each other, and in this day and age of people killing each other being omnipresent in our media, we decided to make a statement against exactly that, with our music, our lyrics and now with this new video. “No sense in this whole story, fuck all your grace and glory, I’m but a shadow of who I used to be”. Thanks go to our friend and beautiful model, Nathalie Fontolliet, for being part of this video. This whole thing was filmed and edited by Philipp Smart, who’s also the frontman of our good friends Kill The Unicorn. Thank you very much for your great work.”

Their third single is taken off of their album “Episodes of Solitude”, available now in all your favourite online music stores.

Catch Atropas and Words That Burn right now on their tour in the following cities:

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Nuovo Video Online per gli Atropas!

Gli Atropas sono orgogliosi di presentare il video ufficiale per la song “Alone”, terzo singolo tratto dall’album “Episodes of Solitude”.
Il video esce a poche ore dall’inizio del loro tour con gli irlandesi Words That Burn. Il concept e il messaggio lanciato attraverso “Alone” è una decisa dichiarazione contro le guerre.

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DARKTHRONE

Arctic Thunder in uscita il 14 Ottobre su Peaceville/Audioglobe

I DARKTHRONE ANNUNCIANO IL LORO NUOVO ALBUM ARCTIC THUNDER – IN USCITA IL 14 OTTOBRE SU PEACEVILLE/AUDIOGLOBE

Il duo Norvegese Darkthrone, ritorna sulle scene dopo un silenzio che dura dal The Underground Resistance del 2013. Il loro nuovo album, Arctic Thunder, sarà pubblicato il 14 Ottobre da Peaceville Records e distribuito in Italia da Audioglobe

Fenriz e Nocturno Culto, hanno preparato per i loro fans una nuova odissea metal che chiarisce il perché i Darkthrone sono una delle band più longeve e rispettate nel panorama dell’ extreme metal.

Arctic Thunder è stato registrato e prodotto direttamente dalla band al “The Bomb Shelter” Studio, usato in passato dai Darkthrone tra il 1988 e il 1990. L’album è stato eseguito nel classico stile crudo ed organico dei Darkthrone. Le 8 nuove tracce del disco sono state nuovamente masterizzate da Jack Control negli Enormous Door Studios e sarà disponibile in vari formati: CD, Vinile Arancione in Edizione limitata (con codice download in Mp3), Vinile Nero (con codice download in Mp3) e in download digitale.

ARCTIC THUNDER TRACKLISTING
Tundra Leach [05:02]
Burial Bliss[04:59]
Boreal Fiends[05:50]
Inbred Vermin[05:49]
Arctic Thunder[04:41]
Throw Me Through The Marshes[05:00]
Deep Lake Trespass[04:48]
The Wyoming Distance [03:14]

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Décembre Noir – Forsaken Earth

Una serie di splendidi brani in cui domina incontrastata l’elegante e toccante chitarra solista che porta a spasso l’ascoltatore lungo questa “Terra abbandonata”

A due anni dal buon esordio A Discouraged Believer ritornano i tedeschi Décembre Noir, ottimi interpreti del versante melodico del death doom.

Parlando di quel disco mi ero spinto a pronosticare la probabile ascesa della band di Erfurt, in virtù di indizi piuttosto evidenti quali una conoscenza della materia trattata unita alla buona disinvoltura mostrata nel creare partiture dolenti e robuste allo stesso tempo.
Con Forsaken Earth l’auspicata progressione sembra aver raggiunto un punto già piuttosto elevato: i Décembre Noir, magari,,non si svincolano in maniera completa dai propri modelli (che oggi sono forse più i Swallow The Sun rispetto ai Daylight Dies che emergevano nel disco precedente) ma l’abilità compositiva e le atmosfere ricche di pathos messe sul piatto depongono a favore di un talento da primi della classe.
Proprio una maggiore focalizzazione dei propri obiettivi è la chiave di volta, sotto forma di una serie di splendidi brani in cui domina incontrastata un’elegante e toccante chitarra solista che porta a spasso l’ascoltatore lungo questa “Terra abbandonata”, tra i quali vanno obbligatoriamente rimarcati i quasi quindici minuti del capolavoro Waves Of Insomnia, canzone che vede i ragazzi tedeschi letteralmente baciati da un’ispirazione in grado di eguagliare a tratti quella dei maestri finlandesi nel loro imprescindibile The Morning Never Came.
Felice per una volta di aver azzeccato un pronostico ma, come si suol dire in questi casi, mi piace vincere facile …

Tracklist:
1. In This Greenhouse of Loneliness and Clouds
2. Small.Town.Depression
3. Ghost Dirge
4. The Vast Darkness
5. Waves of Insomnia
6. Distant and Unreachable

Line-up:
Mike – Bass
Kevin – Drums
Martin – Guitars
Lars – Vocals
Sebastian – Guitars

DECEMBRE NOIR – Facebook

SUBLIMINAL FEAR

Il panorama metal attuale include molti gruppi validi e nei più disparati sottogeneri possibili, segno che il metal ha due tendenze principali: quella conservatrice e quella innovativa. In quest’ultima vanno assolutamente ascritti i Subliminal Fear, un gruppo italiano che ha raccolto il testimone dei Fear Factory e l’ha portato molto oltre gli usuali confini.
Qui di seguito un’intervista con Carmine Cristallo, cantante dei Subliminal Fear.

iye Potete spiegarci come nasce il vostro suono?

Carmine: Un saluto a tutti voi! Quando ci siamo decisi a discutere di un nuovo album, abbiamo subito fissato come principale obiettivo un maggiore sforzo verso la personalizzazione della nostra proposta musicale. Il nostro lavoro si è quindi focalizzato sul ricercare un “nostro sound” moderno e soprattutto multi sfaccettato, che ci identificasse in questo momento, abbandonando i cliché di un genere come il melodic death metal, che non ci apparteneva più. “Escape from Levithan” presenta queste novità: l’inserimento della musica elettronica, una sezione ritmica più groove-oriented e un lavoro particolarmente attento sulle melodie. Questi sono stati alcuni degli elementi sui quali ci siamo concentrati maggiormente nella fase di composizione. Dopo aver iniziato a sperimentare tra strutture ed equilibri tra i vari elementi, i brani sono venuti fuori con molta naturalezza, poiché a differenza degli altri album, avevamo le idee molto chiare sui nostri obiettivi.

iye Quali sono le vostre influenze?

Carmine: Le nostre influenze negli ultimi anni sono state molte e provenienti da sottogeneri del metal anche distati tra loro. Ognuno di noi singolarmente ha assorbito nel corso di questi anni da fonti differenti e non avendo più schemi abbiamo cercato di inserire e poi equilibrare più elementi che sentivamo vicini al nostro gusto e alla nostra idea di metal moderno. Vogliamo portare aventi questo discorso anche sui prossimi album, cercando di inserire sempre qualcosa di nuovo. Mi sento di dire che la strada tracciata con “Escape from Leviathan” ci ha davvero entusiasmato per questa motivazione. Gli ultimi lavori di band come Mnemic, Meshuggah Fear Factory e Sybreed hanno molto influenzato il nostro nuovo corso, ognuno di loro per un aspetto differente, ma mi sento di citare anche la musica pop anni 80 tra le influenze, specialmente per alcune melodie e per i synth.

iye Come componete i pezzi?

Per quest’album abbiamo utilizzato molto le nuove tecnologie e quindi software e computer sono stati fondamentali per permetterci di ottimizzare il songwriting e di lavorare da più postazioni. Partiamo sempre da una nostra idea oppure da una melodia principale di voce per poi costruire altre parti intorno ad essa. Gli arrangiamenti dei singoli strumenti poi, sono aggiunti e completati in seguito procedendo a diverse versioni, sino alla soluzione definitiva. Il “mood” di un testo oppure l’idea di comporre un brano che possa trasmettere una determinata atmosfera ci permette di creare anche le parti degli altri strumenti adatte all’esigenza. Grande importanza ha avuto l’apporto di Botys Beezart che ha composto tutti i synth e le parti di musica elettronica, arrangiati in maniera simultanea agli altri strumenti, costituendo un corpo unico, compatto e a volte anche da protagonista.

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iye Come vedete il futuro della razza umana?

La nostra visione futura dell’umanità su Escape From Leviathan non è molto ottimistica. Tutti i testi dei brani sono collocati in una società distopica e sottomessa alle tecnologie. Il titolo Escape From Leviathan è nato prendendo spunto dall’omonimo libro di J.C. Lester, che è un’opera molto critica sul libertarismo, cioè esprime un giudizio negativo sulla possibilità dell’uomo di autogovernarsi. Mentre il filosofo inglese Thomas Hobbes, nella sua opera “Leviatano”, descrive lo stato come una creatura primordiale disposto a divorarci, le cui membra sono i cittadini. Da questi due concetti siamo partiti per lavorare al concept del nostro album, immaginando la nostra società nel futuro e in una fase conclusiva di un processo degenerativo che ha portato le macchine a governarci. Quindi la principale paura di divenire vittime del nostro stesso progresso è divenuta realtà. In questo scenario apocalittico la società è incapace di autogovernarsi e tutti noi sono quindi schiavi delle nostre scelte sbagliate e dall’incapacità di riconoscere il male. Una forte influenza sono poi stati film fantascientifici come Terminator, Blade Runnner e Matrix, per citarne alcuni, di cui siamo appassionati.

iye Vi sentite più adatti al mercato italiano o a quello estero?

Oggi, i Subliminal Fear propongono un metal contaminato e proiettato verso le sonorità moderne. Sappiamo tutti quanto il mercato italiano sia difficile ed esigente, magari per tradizione anche poco incline alle novità. Abbiamo deciso di ascoltare solo la nostra esigenza e non pensare a quale mercato la nostra musica fosse adatta. Confidiamo che molti abbiamo apprezzato la nostra scelta di svecchiare la nostra proposta e comunque i riscontri sul nuovo album finora, sono piuttosto positivi sia in Italia sia all’estero.

iye Progetti futuri?

Dopo aver ultimato la produzione di quest’album sia proiettati verso la promozione e l’aspetto live, che in passato ahimè, è stato posto in secondo piano a causa dei problemi personali e di line-up. Adesso con questa formazione abbiamo raggiunto stabilità e certezze tecniche individuali, che metteremo in pratica nelle occasioni che ci saranno date. Vogliamo suonare il più possibile nei prossimi mesi e sicuramente vogliamo portare la nostra musica oltre confine. All’inizio del prossimo anno ci dedicheremo a comporre altro materiale continuando il percorso intrapreso con Escape from Leviathan, dando quindi continuità musicale e concettuale a questa seconda fase della storia della nostra band.

iye Ciao e grazie.

Grazie a voi è stato un piacere, ringraziamo la redazione e i lettori, che invitiamo ad ascoltare il nostro nuovo album e a lasciarci un feedback sulle nostre pagine social. A presto!

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The UnHuman Thorn – Sacro-Kvltus Dementis

Una messa nera di quaranta minuti dove i fedeli sono chiamati all’appuntamento con il maligno a suon di black metal.

Non male questo Sacro-Kvltus Dementis, primo lavoro sulla lunga distanza per The UnHuman Thorn, one man band cilena creatura maligna del polistrumentista Baal.

Attivo sulla scena dal 2008, ma con un solo demo alle spalle rilasciato tre anni fa, il musicista sudamericano crea quest’opera oscura, estrema e malvagia di raw blackened metal sanguinario e devastante, molto vario nelle atmosfere che si alternano tra massacranti parti black e lascive ed evocative atmosfere.
Una messa nera di quaranta minuti dove Baal, da malvagio sacerdote richiama i propri fedeli all’appuntamento con il maligno a suon di black metal, a tratti evocativo pur essendo basato su infernali e demoniache sfuriate metalliche e atmosfere pregne di malvagità, in un delirio di sudditanza a Satana.
Sotto l’aspetto prettamente musicale, siamo quantomai vicini alla scena est europea, Baal se la cava con gli strumenti e Sacro-Kvltus Dementis è prodotto abbastanza bene per risultare un ascolto piacevole.
Le tracce vivono di questa alternanza tra parti black ed oscure nenie messianiche, il punto di forza dell’album, pregne di atmosfere malate, pesanti ed abominevoli cantici intonati al demonio, sferzate da veloci ripartenze o mid tempo che concentrano potenza e cattiveria.
Obsceno ritual a la autodestrucción e Through the Endless Death formano l’accoppiata vincente di questo lavoro, cuore inumano dell’opera, seguite dalla devastante My Own Damnation, altro brano meritevole di menzione per l’ottimo lavoro sulle ritmiche, squartato da un riff forgiato direttamente tra le fiamme dell’inferno.
Per i cultori del black metal che non si fermano alle solite produzioni europee, Sacro-Kultus Dementis potrebbe risultare una piacevole sorpresa.

TRACKLIST
1. Sacro-Kvltus Dementis
2. Nova-Inquisition
3. Obsceno ritual a la autodestrucción
4. Through the Endless Death
5. My Own Damnation
6. Slaves ov Perpetual Pain
7. Into the Abomination Cult
8. The Fall ov the Weaker
9. As We Create, We Destroy

LINE-UP
Baal – Everything

THE UNHUMAN THORN – Facebook

Abigail – The Final Damnation

Un gradito ritorno per un gruppo che non tradirà mai, almeno finché potrà suonare e vivere eccessivamente.

Gli Abigail confermano l’assioma che i giapponesi, in fatto di perversioni e di lontananza da qualsiasi moralismo, sono imbattibili.

Certo, non tutti i giapponesi sono come gli Abigail, anche perché avremmo una terra di cocainomani che vanno a prostitute ascoltando black metal imbastardito con lo speed metal. L’importante è che gli Abigail siano divertenti e truci, e lo sono moltissimo. Questo quinto disco, sempre con la Nuclear War ! Now Productions con la quale sono sempre stati, segna il loro ritorno sulle scene, cosa molto attesa dai loro fans. Il loro è un classico black metal giapponese, sempre al limite del speedmetal, con quel tocco anni ottanta di cattiveria e sporcizia, come i Sabbat e i Sigh. Questo tipo di black metal è particolare, poiché fonde istanze tipiche di gruppi come i Bulldozer con quel nichilismo anche musicale e non solo, che è la raison d’etre del black metal. Qui si degenera forte, sublimando il disagio con abusi di tutto, di sostanze, di sesso e di volume, perché qui quest’ultimo deve essere bello alto. Con gli Abigail non ci si deve però fermare alle apparenze, poiché non il loro stile compositivo è ben studiato, creato per essere incessante e senza tregua, in una discesa agli inferi guidata dalla scrittura di Yasuyuki, uno dei personaggi principali del black nella terra che fu di Mishima. La cerniera tra sezione ritmica ed il resto del gruppo è ben cementata, e questo amalgama è la spina dorsale del gruppo, che spazia veloce ed alza il livello della dannazione.
Un gradito ritorno per un gruppo che non tradirà mai, almeno finché potrà suonare e vivere eccessivamente.

TRACKLIST
1.The Final Damnation
2.Blasphemy Night
3.Whisky Coke and Bitch
4.Sex & Metal
5.Open the Gates of Hell
6.No Pain! No Limit!
7.Sweet Baby Metal Sluts
8.Holocaust by Evil

LINE-UP
Yasuyuki – Bass, Vocals
Youhei -Drums
Jero – Guitars

ABIGAIL – Facebook

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