Der Weg Einer Freiheit – Live In Berlin

La prestazione del quartetto tedesco è impeccabile e coinvolgente, come dimostra anche l’approvazione da parte del pubblico presente, per cui non resta che ascoltare con enorme piacere questo sunto di una discografia che è ancora ascendente dal punto di vista qualitativo.

Non è così usuale che un band black metal pubblichi la registrazione di un concerto dal vivo, stante la frequente ritrosia da parte di musicisti della scena nell’esibirsi di fronte al pubblico.

Ma del resto non si possono considerare i Der Weg Einer Freiheit un gruppo come un altro, uno dei tanti che cerca con alterne fortune di procacciarsi i favori di un fetta di pubblico: questo combo guidato da Nikita Kamprad, nonostante sia attivo solo da un decennio, ha già alle spalle una discografia consistente e soprattutto uno status importante che lo colloca tra i nomi di punta del black metal tedesco.
Anche la collocazione in quest’ambito appare peraltro piuttosto forzata, visto che la band bavarese esibisce un sound che non lesina ampie aperture atmosferiche o momenti più rarefatti che, pur mantenendo ben solida e riconoscibile la matrice germanica, riconducono alle più oblique sonorità provenienti da oltreoceano per mano dei disciolti Agalloch piuttosto che dei Wolves In The Throne Room.
Il live in questione risale al 2017 e offre in circa un’ora e un quarto il meglio della produzione dei Der Weg Einer Freiheit, pescando in maniera equilibrata dai quattro full length pubblicati (quello omonimo d’esordio, Unstille, Stellar e Finisterre) con unica eccezione il brano Der Stille Fluss tratto dall’ep Agonie.
La prestazione del quartetto tedesco è impeccabile e coinvolgente, come dimostra anche l’approvazione da parte del pubblico presente, per cui non resta che ascoltare con enorme piacere questo sunto di una discografia che è ancora ascendente dal punto di vista qualitativo: tracce di intensità non comune come Einkehr (da Stellar) o la lunghissima Zeichen (da Finisterre) vengono citate solo a fini esemplificativi di quale sia lo spessore di questo eccellente gruppo.
Il presente album, peraltro, ha anche lo scopo di promuovere il tour europeo che i Der Weg Einer Freiheit stanno per intraprendere proprio in questi giorni per festeggiare il loro decennale e che, purtroppo, non toccherà la nostra nazione per cui, se non ci si vuole sobbarcare una lunga trasferta oltreconfine, l’unica maniera per godersi la musica di Kamprad e soci dal vivo resta quella di far proprio questo lavoro.

Tracklist:
1. Einkehr
2. Der stille Fluss
3. Repulsion
4. Skepsis Part I
5. Skepsis Part II
6. Ewigkeit
8. Aufbruch
9. Lichtmensch
10. Ruhe

Line-up:
Nikita Kamprad: guitars, vocals
Tobias Schuler: drums
Nico Rausch: guitars
Nico Ziska: bass

DER WEG EINER FREIHEIT – Facebook

Dominanz – Let The Death Enter

Let The Death Enter è un buon lavoro, oscuro, malato, con la ragione risucchiata da una insana predisposizione al male, con il quale i Dominanz hanno modellato un sound che risulta personale e fortemente estremo.

I Dominanz sono un quartetto estremo in arrivo da Bergen e non tradiscono la propria provenienza suonando un metal estremo di matrice death/black, strutturato su una componente tecno/industrial che rende l’atmosfera ancora più gelida.

La band, che ha da poco festeggiato i dieci anni di attività, dà alle stampe il terzo full length, successore di quel Noxious uscito cinque anni fa ed accolto benissimo da critica e fans.
Il ritorno tramite la Mighty Music si chiama Let The Death Enter, è stato prodotto da Øystein G. Bruns (Borknagar) presso i Crosound Studio, con Dan Swanö in seconda battuta ad occuparsi di missaggio e mastering negli Unisound Studio.
L’album, più orientato verso il black metal rispetto al passato, mantiene una connotazione ricca di atmosfere malate, conservando un approccio lineare e perennemente in tensione.
Con l’opener Death Is Watching You si entra nel mondo dei Dominanz, come in una vecchia e abbandonata struttura contaminata dal male prima, e dalla pazzia poi, un labirinto di corridoi e stanze dove ad attenderci troviamo la band con la sua musica evocativa ed estrema.
Le sonorità sono pervase da atmosfere che si insinuano nella testa, puzzle di menti lacerate che si rianimano al suono di Lucifer, Ruins Of Destruction, Born With Desires e Echoes From The Moments Of Death, tra mid tempo e sfuriate estreme di stampo black metal.
Let The Death Enter è un buon lavoro, oscuro, malato, con la ragione risucchiata da una insana predisposizione al male, con il quale i Dominanz hanno modellato un sound che risulta personale e fortemente estremo.

Tracklist
1. Death is Watching You
2. Lucifer
3. Let the Death Enter
4. Code of Silence
5. Occendi Credentis
6. Ruins of Destruction
7. Troops of Hell
8. Born With Desires
9. Echoes From the Moment of Death
10. Absence of the Sun

Line-up
Roy Mathisen – Vocal, bass, guitar and synth
Frode Gaustad – Drums
Luis Vilchez – Guitar
Marius Fimland – Contrabass(live guitar)

DOMINANZ – Facebook

Temple Nightside – Recondemnation

I Temple Nightside sono una mostruosa creatura underground che si nutre di anime e vomita cattiveria, trasformata in musica estrema evocativa e rituale, colma di atmosfere nere come la pece in un fluido continuo di malvagità

Ristampa licenziata dalla Iron Bonehead Productions che riguarda i Temple Nightside, band australiana attiva dal 2010 e fautrice di un death/black metal oscuro ed ossessionante.

L’album, uscito originariamente nel 2013 per la Nuclear Winter e primo dei due lavori firmati Temple Nightside, è composto di otto tracce per quaranta minuti calati nell’abisso più profondo e putrido.
E come suggerisce il titolo dell’ultima traccia di Recondemnation, si tratta di un miasma sonoro putrescente che, se si avvale dei ritmi e delle ispirazioni del black/death, non manca di lasciarsi seppellire da tonnellate di lava doom, trasformando il sound in un monolitico rituale maligno ed oscuro.
I Temple Nightside sono una mostruosa creatura underground che si nutre di anime e vomita cattiveria, trasformata in musica estrema evocativa e rituale, colma di atmosfere nere come la pece in un fluido continuo di malvagità.
I brani che lasciano campo alla lenta marcia del doom sono i più oscuri e maligni: la band australiana è maestra nel saper coinvolgere con lenti rituali funerei come negli otto minuti di Ascension Of Decaying Form, picco di questo lavoro che la label ha fatto bene a riproporre agli amanti del metal estremo più underground.

Tracklist
1.Shrine Of Summon (The Great Opposer)
2.Exhumation:Miseries Upon Imprecation
3.Abhorrent They Fall
4.Pillar Of Ancient Death(Commune 2.1)
5.Dagger Of Necromantic Decay (Eater Of Hearts)
6.Ascension Of Decaying Form
7.Command Of The Bones (Commune 2.2)

8.Miasma
Line-up
V.Kusabs – Bass
Mordance – Drums
BR – Guitars
IV – Guitars, Bass, Vocals, Keyboards

TEMPLE NIGHTSIDE – Facebook

Lord Vampyr – Death Comes Under the Sign of the Cross

Death Comes Under the Sign of the Cross è composto da dieci brani che convogliano diversi generi per portare un nuovo attacco metallico, un bombardamento dalle detonazioni black, heavy, power e gothic, legati insieme da sfumature melodiche sempre in primo piano.

Nuovo album per i romani Lord Vampyr, band estrema romana che prende il monicker dal suo leader, storico singer e fondatore dei Theatres Des Vampires.

Siamo giunti al sesto full length da quando i Lord Vampyr apparvero per la prima volta sulla scena metallica nostrana con il debutto De Vampyrica Philosophia, licenziato nell’ormai lontano 2005.
Death Comes Under the Sign of the Cross è composto da dieci brani che convogliano diversi generi per portare un nuovo attacco metallico, un bombardamento dalle detonazioni black, heavy, power e gothic, legati insieme da sfumature melodiche sempre in primo piano.
L’intro ci accompagna verso la title track, una partenza all’insegna dell’heavy metal classico con le ispirazioni che nei brani successivi vanno dalla scena degli anni ottanta a quella estrema del decennio successivo, con la band che ci travolge con potenti cavalcate, in cui atmosfere gothic, a tratti, spezzano la tensione che in un attimo torna altissima.
Un sound, quello delle varie Crown Of Hypocrisy e Christvampire, che affonda le sue radici nel metal classico per essere poi rimodellato dai Lord Vampyr, che riescono a creare questo buon ibrido.
La parte sinfonica che introduce Upon The Throne Of Lies e la devastante Violent Awareness of the Absence of God portano alla conclusiva The Crusade Of Violence, sottofondo di una battaglia che in poco tempo si trasforma in un sanguinario massacro.
Nonostante vi si possano trovare si trovino riferimenti ai vari Mercyful Fate, Cradle Of Filth, Moonspell e Iron Maiden, Death Comes Under the Sign of the Cross resta comunque un lavoro a cui non mancano personalità ed impatto.

Tracklist
1. Intro
2. Death Comes Under The Sign Of The Cross
3. Crown Of Hypocrisy
4. Christvampire
5. Iconoclast Heresy
6. At War
7. Upon The Throne Of Lies
8. Utopia God
9. Violent Awareness Of The Absence Of God
10. The Crusade Of Violence

Line-up
Lord Vampyr: All Vocals
Ferenc Nadasdy: Bass, Keyboards, Programming
Andrea Taddei: Guitars
Fabrizio Curcio: Guitars
Diego Tasciotti: Drums

LORD VAMPYR – Facebook

Experior Obscura – Iter in Nebula

Melodie antiche sono inglobate in una ferocia multidimensionale libera da qualsiasi vincolo, a sublimare un percorso emozionale fortissimo e alterando, forse per sempre, la nostra percezione artistica del black metal.

Un sincero plauso e apprezzamento per la attenta label britannica Third I Rex, che, fedele al motto “the music we love, the artists we press”, a inizio 2019 ha recuperato il demo del 2015 Iter in Nebula e lo ha finalmente pubblicato in cd facendoci conoscere uno splendida opera intrisa di arte nera, ricca di suggestioni e fascino.

Gli Experior Obscura rappresentano lo sforzo solistico di Nefastus, attuale chitarrista della band partenopea Malvento, storica presenza dell’underground black italiano, attiva fin dal 1999. Sarebbe stato un peccato se Iter in Nebula, sette brani per sessanta minuti di musica, fosse passato inosservato, perché l’opera è assolutamente intrigante; con l’aiuto di R alla batteria, Nefastus ci porta nel suo mondo, nella sua arte assolutamente intrisa di black metal oscuro, dannato sia quando crea cavalcate forsennate, sia quando ci conduce in mid tempo oscuri come la pece, dove non si scorge alcuna possibilità di salvezza: ”nei profondi abissi ardono le luci” è la chiave di lettura dell’opera che veramente ci conduce in abissi insondabili dove ardono luci fredde e glaciali che non hanno nessun potere riscaldante. I brani sono  magnifici, il viaggio ci porta in dimensioni allucinate, ipnotizzant. una traccia come Awake, Waking! ha una forza inaudita con un riff che ci inchioda e penetra subdolamente nei gangli nervosi, distorcendo ogni percezione e rendendoci impotenti a qualsiasi reazione. Brani come Schizophrenia e Black Hole rendono in atmosfera quanto dichiarato nel titolo e ci imprigionano in mondi veramente oscuri dove “you’ll be alone with your madness”. Tutto è torbido, ogni nota grida con forza cosa significa il black per l’autore; l’immersione in tale immaginario è totale e deve essere vissuta con altrettanto abbandono e dedizione dall’ascoltatore. Nuove dimensioni si aprono, brani come Trauma, Beyond the Human e Oblivion ci trasportano in paesaggi desolati e angoscianti; melodie antiche sono inglobate in una ferocia multidimensionale libera da qualsiasi vincolo e i sedici minuti finali di The Time of the Stars sublimano un percorso emozionale fortissimo alterando, forse per sempre, la nostra percezione artistica del black metal. Un opera di alto livello artistico, del tutto inaspettata.

Tracklist

1. Trauma
2. Awake, Waking!
3. Schizophrenia
4. Black Hole
5. Beyond the Human
6. Oblivion
7. The Time of the Stars

Line-up
Nefastus: Vocals, Guitars, Bass, Programming

EXPERIOR OBSCURA – Facebook

Descrizione Breve
Sarebbe un peccato se un’opera di cosi alto livello artistico passasse del tutto inosservata;Black Metal nella sua essenza.Sessanta minuti che potrebbero alterare la nostra percezione dell’Arte Nera.

Autore
Massimo Pagliaro

Voto
90

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
Black – – 2019

Vorga – Radiant Gloom

Il black dei Vorga è sì melodico, come lo loro stesso lo definiscono, ma è altrettanto furioso ed urticante per graffiare lasciando segni anche piuttosto profondi.

I Vorga sono una nuova band tedesca che prova ad inserirsi con forza nell’affollata scena black metal planetaria.

Il gruppo è in realtà germanico solo per tre quarti in quanto il vocalist Пешо Спейса è bulgaro, ma in fondo poco importa, anche perché quanto offerto in questo caso abbraccia con grande sapienza le diverse sfumature del genere provenienti un po’ da tutte le maggiori scuole, convogliandolo in un sound che alla fine convince non poco.
Il black dei Vorga è sì melodico, come lo loro stesso lo definiscono, ma è altrettanto furioso ed urticante per graffiare lasciando segni anche piuttosto profondi, grazie a tracce di potente e roboante ferocia come The Black Age e Hunger, mentre Argil e Divine, pur non abbassando di molto il tiro, sono pervase da linee melodiche davvero intriganti e capaci di connotarne i contenuti in maniera importante.
L’interpretazione vocale è di quelle che piacciono, in quanto lo screaming è corrosivo il giusto senza divenire gracchiante, mentre il lavoro del trio composto da Jervas (batteria), Volker (chitarra) e Atlas (chitarra e basso, oltre che autore di tutte le musiche e dei testi) è intenso e preciso allo stesso tempo, avvalendosi peraltro di una produzione decisamente buona.
In questa ventina di minuti abbondanti i Vorga ci comunicano con convinzione e capacità quanto il black metal sia in grado di rigenerarsi in maniera costante, non solo attraverrso elementi innovativi (che in Radiant Gloom non sono affatto rinvenibili) ma anche e soprattutto con rielaborazioni magistrali di quelle sonorità che ormai da circa trent’anni continuano a lasciare il segno.

Tracklist:
01 The Black Age
02 Argil
03 Divine
04 Hunger

Line-up:
Jervas – Drums
Atlas – Guitars (rhythm), Bass, Songwriting, Lyrics
Volker – Guitars (lead)
Пешо Спейса – Vocals

VORGA – Facebook

Thecodontion – Jurassic

Basta con assoli onanistici o distorsioni incomprensibili, i Thecodontion ci danno una dimostrazione di come si possa fare musica pesantissima senza quello che viene considerato lo strumento principale.

I Thecodontion sono un gruppo romano di black death che si presenta con la seguente frase : no guitars, just death.

Infatti i bassi sono due, distortissimi ed incredibili, con una batteria ancestrale; lo scopo principale della band è quello di ricreare una situazione di musica tribale per vomitare una rabbia antica, quasi preistorica, e appunto la sconfinata preistoria, i fossili e tutto ciò che è correlato a queste cose sono gli argomenti dei testi.
Il risultato è qualcosa di furioso e di assolutamente credibile, è un sound peculiare ed inedito: il gruppo è in giro dal 2016, ha prodotto un demo nel 2017, Thecodontia, per poi andare a suonare in giro con altri gruppi romani. Questo 7” è una delle prove più affascinanti che si possano ascoltare negli ultimi tempi, perché è incredibile che canzoni su animali e fossili della preistoria siano tanto belle da creare una vera e propria dipendenza. La musica è incalzante, come un gruppo di pterodattili che ti insegue e ti mangia prima o poi, sputandoti fuori destinandoti a diventere un fossile, forse. Il suono di questi brani è devastante, alcuni lo potrebbero definire war metal, ma è più un massacro a senso unico che una guerra. I due bassi creano un effetto che dovrebbe convincere anche chi ama le chitarre, delle quali alla fine non si sente la mancanza: basta con assoli onanistici o distorsioni incomprensibili, i Thecodontion ci danno una dimostrazione di come si possa fare musica pesantissima senza quello che viene considerato lo strumento principale. È bellissimo anche andare a cercare di cosa parla questo gruppo, ovvero gli animali dei titoli. Infatti il sette è un concept su quattro specie che vivevano durante il Giurassico: raramente si può trovare qualcosa di più nozionistico ed affascinante dello studio della preistoria, materia non facile, ma se si entra in un Museo Archeologico o di Storia Naturale non si potrà che restarne affascinati, perché in fondo è qualcosa di molto metal. Un’altra delle particolarità di questo disco è la produzione, adeguata e molto ben bilanciata, assolutamente non approssimativa: Jurassic è una delle uscite più interessanti degli ultimi tempi, una porta per un universo che è ancora dentro di noi, basti pensare a quanto è durata la preistoria e quanto sta durando l’era moderna, alla cui fine non manca poi così tanto.

Tracklist
1.Normannognathus wellnhoferi (Crests)
2.Rhamphorhynchus muensteri (Wingset)
3.Barosaurus lentus (Sundance Sea Stratigraphy)
4.Breviparopus taghbaloutensis (Legacy of the Trackmaker Unknown)

Line-up
G.E.F. – vocals, songwriting, arrangements
G.D. – bass, lyrics and concept, arrangements

L.S. – (live) bass
V.P. – (live) drums

THECODONTION – Facebook

Ewigkeit – DISClose

James Fogarty è un musicista in possesso di un grande talento che con il monicker Ewigkeit viene espresso in maniera compiuta e senza alcun filtro.

Ewigkeit è il progetto solista di James Fogarty, alias Mr. Fog, musicista attivo nella scena metal da oltre un ventennio nel corso del quale ha fatto parte di diverse band di spicco, tra le quali risalta di gran lunga l’ultima in ordine di tempo, i leggendari In The Woods.

La riuscita di un album come DISClose è motivata anche dal versatile lavoro vocale di Fogarty, uno di quei cantanti capaci di passare con disinvoltura da tonalità aspre ad evocative clean vocals senza lasciare spazio a perplessità di sorta.
Il primo full length a nome Ewigkeit risale addirittura al 1997 e quello in questione è il decimo della serie, considerando la riedizione nel 2017 dell’esordio Battle Furies in occasione del suo ventennale.
Il black metal che forniva la base stilistica dei primi lavori si è stemperato nel tempo in un metal decisamente melodico, pur se a tratti sempre doverosamente aspro, e così DISClose gode di una certa orecchiabilità che ne rende sicuramente l’ascolto non tropo arduo, a fronte comunque di una certa irrequietezza stilistica.
Questo se vogliamo rappresenta due facce della medaglia di un’opera valida in ogni sua fase, ma poco connotata in uno specifico genere per ritagliarsi magari un audience dedicata: il vantaggio, che va ben oltre ogni altra considerazione, è comunque rappresentato dal fatto che Fogarty in tal modo tiene ben lontano il rischio di annoiare gli ascoltatori con un sound eccessivamente ripetitivo. Le aperture verso sonorità più moderne ci sono ma avvengono in maniera molto fluida e senza snaturare un sound caleidoscopico che unisce melodia e note estreme in maniera esemplare.
DISClose offre grandi aperture melodiche inserite all’interno di strutture che, per lo più, di estremo hanno soprattutto lo screaming (anche se in questo caso avrei preferito per gusto personale un più frequente ricorso anche all’efficace growl che James ha sicuramente nelle sue corde), veleggiando tra progressive death, gothic doom, black avanguardistico e alternative rock/metal senza mai restituire il sound in una forma frammentata.
Ogni brano vive di squarci memorabili, sotto forma di chorus di grande impatto ed esaltati per lo più dall’evocativa voce pulita che Fogarty esibisce in maniera magistrale.
Disclosure e Resonance sono le due tracce del loto che preferisco, ma il bello di DISClose è che ognuno potrà trovare un proprio brano ideale che non deve necessariamente coincidere con quelli prediletti da altri: James Fogarty è un musicista in possesso di un grande talento che con il monicker Ewigkeit viene espresso in maniera compiuta e senza alcun filtro.

Tracklist:
1 – 1947
2 – Disclosure
3 – Oppenheimer’s Lament
4 – Guardians of the High Frontier
5 – Resonance
6 – KRLLL
7 – Moon Monolith

Line-up:
James Fogarty

EWIGKEIT – Facebook

DunkelNacht – Empires Of Mediocracy

L’album segue le coordinate stilistiche di un black metal dagli spunti death, vicino al classico sound di matrice polacca, oscuro e cattivissimo ma con trovate melodiche che ne risaltano la qualità indiscussa delle composizioni. Un ritorno pienamente riuscito quello dei Dunkelnacht, autori con Empires Of Mediocracy di un album che gli amanti del genere non possono perdere, bravi e diabolici.

In arrivo dalla scena death/black metal transalpina i DunkelNacht licenziano il loro terzo lavoro, questo ottimo Empires Of Mediocracy composto da otto capitoli di un concept che analizza a suo modo il genere umano e le sue origini.

Attivo dal 2005, il quartetto di Lille dopo vari split e demo esordì sulla lunga distanza con Atheist Dezekration nel 2010, seguito quattro anni dopo da Revelatio, licenziato dalla Wormholedeath, mentre Empires Of Mediocracy vede la luce tramite Non Serviam Records.
L’album segue le coordinate stilistiche di un black metal dagli spunti death, vicino al classico sound di matrice polacca, oscuro e cattivissimo ma con trovate melodiche che ne esaltano la qualità indiscussa delle composizioni.
La band ha fatto davvero un gran lavoro, rimanendo in un contesto estremo violento, ma perfettamente leggibile, grazie ad una produzione perfetta e ad un songwriting davvero eccellente.
I suoni delle varie Servants, Amongst The Remnants Of Liberty e della title track escono dalle casse potenti e cristallini, il growl di M.C. Abagor risulta diabolico e luciferino, mentre le ritmiche alternano mid tempo a devastanti ripartenze creando un vortice di metal estremo, che a tratti placa la sua furia e crea atmosfere oscure.
Il brano che dà il titolo all’album, Empires of Mediocracy, è l’esempio del sound di cui è composta questa nera opera, offrendo un death/black valorizzato da un importante lavoro chitarristico e sorretto da una notevole parte melodica.
Un ritorno pienamente riuscito quello dei Dunkelnacht bravi e diabolici di Empires Of Mediocracy di un lavoro che gli amanti del genere non dovrebbero perdere.

Tracklist
1. Relentless Compendium
2. Servants
3. Eerie Horrendous Obsession
4. DunkelNacht – Amongst the Remnants of Liberty
5. Verses and Allegations
6. Empires of Mediocracy
7. The Necessary Evil
8. Non Canimus Surdis

Line-up
Heimdall – Guitars, Programmings
Alkhemohr – Bass, Vocals
M.C. Abagor – Vocals
Tegaarst – Drums

DUNKELNACHT – Facebook

Svirnath – Dalle Rive del Curone

Le sonorità offerte da Svirnath sono del tutto in linea con le produzioni facenti capo alla brillante label tedesca Naturmacht, autentico punto di riferimento per chi voglia ascoltare black metal atmosferico nella sua accezione più pura e underground.

Arriva al secondo full length Frans, musicista lombardo/piemontese attivo anche nei validi doomsters Abyssian e nei Consolamentum,  che con il suo progetto solista Svirnath propone un black metal atmosferico e dai tratti pagan folk.

Dalle Rive del Curone, fin dal titolo, evidenzia quanto siano importanti per l’autore gli spunti derivanti dall’amore e dal rispetto per una natura che dovrebbe essere sempre parte integrante del modus vivendi di ciascuna persona.
A livello musicale l’album si snoda piuttosto bene, essendo ricco di valide aperture atmosferiche, e se mostra alcune incrinature queste vanno ricercate in uno screaming perfettibile (pur essendo una caratteristica che sembra accomunare gran parte delle uscite in quest’ambito) e in un lavoro chitarristico che nelle parti soliste mostra qualche sbavatura, a fronte di un afflato melodico tutt’altro che trascurabile. Ed è proprio limando tali aspetti che brani notevoli come la title track o L’etereo bagliore potrebbero risaltare ancor più di quanto non avvenga, in virtù di una scrittura sempre volta all’esibizione del lato più evocativo del genere.
Le sonorità offerte da Svirnath, del resto, sono del tutto in linea con le produzioni facenti capo alla brillante label tedesca Naturmacht, autentico punto di riferimento per chi voglia ascoltare black metal atmosferico nella sua accezione più pura e underground.

Tracklist:
1. Vir Naturae
2. All’ombra delle fronde
3. L’etereo bagliore
4. Dalle rive del Curone
5. Quando soffia il Maestrale
6. L’abete

Line-up:
Frans – All instruments, Vocals

SVIRNATH – Facebook

Secretpath – Dominatio Tempestatis

Paolo e Pierluigi ci portano in un mare che vive di disperazione e speranza, con una descrizione minuziosa degli accadimenti tramite un death melodico e con una composizione che riecheggia fortemente la musica classica, per un prodotto di livello superiore sia per concezione che per esecuzione.

Bellissimo racconto musicale dell’eterna e liquida lotta dell’uomo contro il mare e le sue più terribili manifestazioni, come le tempeste.

Tutto ciò è opera dei Secretpath, uno dei gruppi del meraviglioso roster della bresciana Masked Dead Records, una delle migliori e più varie incarnazioni del sottobosco italiano. Questo album è un piccolo capolavoro di death metal classicheggiante, furioso e suonato benissimo, quei dischi che ascolti con piacere dall’inizio alla fine e poi riparti da capo. Qui abbiamo all’opera alle chitarre il sempre interessante Pierluigi “Aries” Ammirata, un chitarrista estremamente elegante che produce una cascata di note di forte impronta neoclassica. Alla voce un eccezionale interprete come Paolo “The Voices” Ferrante, che ha una gamma di capacità interpretative inusuale e pressoché infinita. Ascoltare questo disco è come essere trascinati per davvero nell’occhio della tempesta e finirne, proprio come dice il titolo, sotto il dominio. Come tutte le produzioni della casa bresciana la qualità è alta, ma soprattutto è molto originale e vivace, come in un nuovo rinascimento del metal underground. Questo ep è anche di una lunghezza adeguata per far apprezzare al meglio la musica del gruppo ed è disponibile ad offerta libera per il download digitale, mentre è a pagamento per le poche copie ancora rimaste in formato fisico. Paolo e Pierluigi ci portano in un mare che vive di disperazione e speranza, con una descrizione minuziosa degli accadimenti tramite un death melodico e con una composizione che riecheggia fortemente la musica classica, per un prodotto di livello superiore sia per concezione che per esecuzione. Si viene avvinti da questa forma di metal inusuale ai nostri tempi, ma che è invece molto vicina alla concezione più vera del fare musica metallica. Una grande occasione per scoprire il mondo Masked Dead Records, o se già lo conoscete un ulteriore piacere per le vostre orecchie.

Tracklist
1.Antiqua Tempesta
2.Crystal Ice
3.Dominatio Tempestatis
4.Raptus
5.Storm Of Revenge

Line-up
Paolo ” The Voices” Ferrante – Vocals
Pierluigi “Aries” Ammirata – Guitar
Francesco “Storm” Borrelli – Drums

SECRETPATH – Facebook

Descrizione Breve

NORDJEVEL – NECROGENESIS

Secondo appuntamento per i Nordjevel, appartenenti alla nuova ondata di Black Metal norvegese. Gli amanti di Immortal, Dodsengel e Gorgoroth non rimarranno delusi. Una giovane perla, per la collezione di tutti i fan del genere.

I Nordjevel sono una band relativamente giovane. Si sono formati in quel di Østfold , in Norvegia (città che ha dato neri natali anche a Enepsigos , Krigsrop e Jahve) solo nel 2015, grazie all’idea di Doedsadmiral, voce anche di Doedsvangr (una delle centinaia di band capitanante dal terrificante Shatraug), Svartelder e dei concittadini Enepsigos, il cui batterista è nientepopodimeno che l’onnipresente Gionata Potenti, alias Thorns.

Con all’attivo due full-length (l’omonimo del 2016 e appunto questo Necrogenesis) e un mini (Krigsmakt), tutti usciti per Osmose, i nostri regalano a tutti gli appassionati ed accaniti fan, uno dei più classici Black Metal scandinavi. Tracce che paiono uscite direttamente da Damned in Black o da Sons of Northern Darkness, infervorano i cuori dei più devoti discepoli dei divini Immortal. Capacità strumentali sublimi, una meravigliosa attitudine ad amalgamare up e mid tempo, condendoli con cupe melodie, rendono Necrogenesis un album godibilissimo, che ci accompagna per quasi 50 minuti, attraverso le più oscure tenebre e neri paesaggi norvegesi, ove la natura ostile racchiude un viscerale odio per l’essere umano come individuo, e ne violenta l’anima sino al profondo. Disprezzo, ostilità, rancore e animosità verso tutto ciò che è umana esistenza e cristianità, spurgano dalle 9 tracce che compongono l’album, attraverso un Black Metal con pochi fronzoli, e privo di compromessi, come nei brani Sunset Glow, Devilry e Amen Whores. Come detto, ascoltare i Nordjevel pare essere di fronte ad un album della band proveniente dalla fredda regione dell’Hordaland, quella antecedente all’addio dello storico vocalist Abbath per intenderci, che qui viene sapientemente emulato (forse un po’ troppo) in tutto e per tutto da Mr.Doedsadmiral (all’anagrafe Anders O. Hansen). Può pertanto apparire inutile acquistare un album che nulla aggiunge alla scena odierna, proprio perché poco innovativo e quasi privo di elementi inconsueti o di inaspettate imprevedibilità ma, per chi ama il Black, quello vero, puro ed essenziale, non sempre ricerca la novità, adagiandosi (come il sottoscritto) nell’area confort di ciò che non riserba mai sorprese o non richieste improvvisate. Spesso, il fan “standard”, cerca nell’ascolto di un album proprio quello che si aspettava al momento dell’acquisto, senza timore di procedere a scatola chiusa, sorridendo e compiacendosi all’idea di non aver speso male i propri soldi, fermamente dichiarando a se stessi, la piacevole ineluttabile conferma di non aver sbagliato. E così accade che, mentre si ascoltano meravigliosi brani come Nazarene Necrophilia o Apokalupsis Eschation, comincia a formarsi sulle labbra dell’ascoltatore, un candido sorriso (forse più un perfido ghigno, è più appropriato), che apre a 360° la consapevolezza del proprio amore verso un genere musicale che sì, spesso è vittima di più o meno riuscite clonazioni, ma che poco importa in definitiva, ai propri affamati padiglioni auricolari, ansiosi di essere violentati dalla furia cieca dei riffs di gente come Destructhor (già frontman dei brutal black deathsters Myrkskog, guarda caso), dalla foga bestiale del lavoro sulle pelli di Nils Fjellström (per gli “amici” Dominator), o annichiliti dai mefitici maligni screams di Doedsadmiral e dai cupi giri di basso di DezeptiCunt (sul passaporto, Svein-Ivar Sarassen).
Immergiamoci pertanto fiduciosi in Necrogenesis, non rimarremo delusi. Vogliamo un condensato di blast beat, up e mid tempo? Vogliamo furia cieca ben condita da un pizzico di melodia e di atmosfera? Vogliamo arroventati screams, colorati di bianco e nero, come nei più classici dei corpsepainting? Allora siamo difronte all’album giusto e alla band perfetta.
Apriamo or dunque la scatola, conoscendone già il contenuto, amiamolo sino in fondo, e gongoliamo per la nostra accorta scelta.

Tracklist
1. Sunset Glow
2. Devilry
3. The Idea of One-Ness
4. Black Lights from the Void
5. Amen Whores
6. The Fevered Lands
7. Nazarene Necrophilia
8. Apokalupsis Eschation
9. Panzerengel

Line-up
DezeptiCunt – Bass
Doedsadmiral – Vocals
Dominator – Drums
Destructhor – Guitars

NORDJEVEL – Facebook

Heathen Beast – 2 Singles (Fuck All Religions Equally / Bloody Sabarimala)

Chi si schiera contro il potere, tanto più quando, come in questo caso, vive di un intreccio politico-religioso, otterrà sempre la nostra simpatia ed il relativo sostegno; se poi ciò avviene tramite una proposta musicale di grande efficacia tanto meglio.

Ritorna il terrorismo sonoro degli Heathen Beast, voce di forte dissenso nei confronti della lobby induista che da anni governa la nazione indiana trascurando gli interessi del popolo a favore di quelli della potente oligarchia religiosa.

L’azione di disturbo verso questo pachiderma dai piedi di argilla non può che essere rapida, veloce ed imprevedibile ed è così che da anni fanno gli Heathen Beast, colpendo repentinamente per poi sparire altrettanto velocemente in attesa di tornare nuovamente e in azione.
Anche il sound offerto risente di tale modus operandi, per cui all’interno di questo breve ep troviamo due brani molto diversi tra loro: il primo è un travolgente esempio di groove metal dagli iniziali richiami etnici mentre il secondo è un più furioso grind metal.
Come sempre in questi casi il contenuto musicale tende a passare in secondo piano rispetto alla veemente opera di denuncia della band, ma sarebbe ingiusto sottovalutare anche tale aspetto in virtù proprio della sua corrosiva ed efficace sintesi.
Chi si schiera contro il potere, tanto più quando, come in questo caso, vive di un intreccio politico-religioso, otterrà sempre la nostra simpatia ed il relativo sostegno; se poi ciò avviene tramite una proposta musicale di grande efficacia tanto meglio.

Tracklist:
1.Fuck All Religions Equally
2.Bloody Sabarimala

Lineup:
Carvaka – Vocals/Guitars
Samkhya – Bass
Mimamsa – Drums

HEATHEN BEAST – Facebook

Witching Hour – …and Silent Grief Shadows the Passing Moon

Un buon lavoro, consigliato agli ascoltatori dai gusti più tradizionali.

Arrivano al terzo lavoro sulla lunga distanza i tedeschi Witching Hour, ottima realtà di chiara ispirazione old school e legata indissolubilmente con la New Wave Of British Heavy Metal, leggendario genere a cui il gruppo deve tanto in termine di sound.

…and Silent Grief Shadows the Passing Moon, licenziato dalla Hells Headbangers Records ed accompagnato dalla suggestiva ed epica copertina creata dall’artista italiano Paolo Girardi, è infatti un lavoro vecchia scuola che amalgama l’irruenza e l’approccio diretto del thrash e del black metal a cavalcate strumentali di ispirazione heavy metal, in un contesto assolutamente ottantiano, dark ed epico.
La voce chiaramente ispirata al thrash metal d’annata di scuola teutonica rende il tutto marchiato da un alone estremo, anche se le armonie chitarristiche, i solos e l’atmosfera generale è classicamente heavy.
L’opener …and Silent Grief Shadows the Passing Moon / Once Lost Souls Return, con i suoi dieci minuti, risulta il sunto di quello che si trova tra lo spartito dei sei lunghi brani presenti, con il terzetto di Saarland che si presenta con una lunga parte strumentale dai rimandi metallici classici, prima che le ritmiche si trasformino in sferzate thrash ed entri violenta la voce.
Sorrow Blinds The Ghastly Eyes e The Fading Chime of a Graveyard Bell sono le due tracce che più avallano il sentore di essere al cospetto di un’ alchimia riuscita tra Iron Maiden, Destruction e Venom, quindi immersi nel bel mezzo degli anni ottanta .
…and Silent Grief Shadows the Passing Moon si rivela un buon lavoro , consigliato agli ascoltatori dai gusti più tradizionali.

Tracklist
01. …And Silent Grief Shadows the Passing Moon/Once Lost Souls Return
02. From Beyond They Came
03. Sorrow Blinds His Ghastly Eyes
04. Behold Those Distant Skies
05. The Fading Chime Of A Graveyard Bell
06. As I Walk Among Sepulchral Ruins

Line-up
Jan – Vocals/Guitar
Marco – Bass
Sascha – Drums

WITCHING HOUR – Facebook

ÆRA – The Craving Within

The Craving Within è un disco che tende a perdersi nella neve, a guardare verso l’infinito, grazie anche ad un suono potente e preciso che riporta alla prima epoca del balck metal, anche se non tutto l’impianto è ortodosso.

Questo duo di stanza in Norvegia riporta il black metal allo splendore delle proprie origini, di quando raccontava della potenza della terra e del paganesimo.

Negli anni il nero metallo si è evoluto e sta continuando a progredire e ormai ha una varietà incredibile di sottogeneri e di declinazioni. Nel necessario progresso fa piacere ascoltare un album così ben fatto e con solide radici nel passato. The Craving Within è un disco che tende a perdersi nella neve, a guardare verso l’infinito, grazie anche ad un suono potente e preciso che riporta alla prima epoca del black metal, anche se non tutto l’impianto è ortodosso. The Craving Within è il primo disco sulla lunga distanza per questo duo, che vede il centro nel cileno trapiantato in Norvegia Ulf Niklas Kveldulfsson, polistrumentista eccellente oltre che ottimo compositore, mentre alla voce troviamo il nuovo membro Stein Akslen, veterano della scena norvegese. Entrambi concorrono a creare un disco che punta in alto, come detto prima, volendo ricreare un preciso stato d’animo nell’ascoltatore per portarlo in una dimensione diversa. Non ci sono pause o pezzi riempitivi, o peggio assurde e vuote manifestazioni di potenza black, ma un disco ben composto e che ha tanti elementi che lo faranno amare fin dal primo ascolto a chi ama il black metal. Ci sono canzoni che sono jam, episodi più lisergici, ma a predominare nettamente è l’aspetto classico del genere che è sempre in evidenza. Gli Æra possono essere definiti un gruppo minimale, perché anche le tastiere sono accennate, ma l’insieme è molto magniloquente e poderoso,e si ha quella sensazione di completezza che si aveva ad ascoltare un certo black metal classico, con la sicurezza propria dei grandi gruppi. The Craving Within è una poetica che guarda alla tradizione come punto fermo e al passato come fonte di insegnamento.

Tracklist
1.Skaldens Død
2.Frost Within
3.Rite of Odin
4.Profetien
5.Join Me Tomorrow
6.Norrøn Magi

Line-up
Ulf – All Instruments, songwriting
S. Akslen – vocals

ÆRA – Facebook

Non Est Deus – There Is No God

Non siamo in presenza di un’opera che segnerà il genere negli anni a venire ma neppure di qualcosa da archiviare in fretta e furia, visto l’elevato tasso di gradevolezza di un album il cui ascolto di sicuro non delude.

Non Est Deus è l’ennesima one man band dedita ad un black metal melodico dai testi intrisi di critica nei confronti delle religioni: con tali indizi è difficile pronosticare per un album come There Is No God un esito brillante o un incedere avvincente, eppure…

Eppure succede che l’operato di questo ignoto musicista tedesco ribalti ogni giudizio precostituito, rivelandosi quanto mai gradevole ed interessante: il nostro riesce a fondere l’asprezza delle ritmiche con linee chitarristiche davvero notevoli, capace di agganciare anche un’ascoltatore dall’approccio distratto.
Del resto l’album ha tutte le caratteristiche per soddisfare un po’ tutte le frange degli amanti del black, in quanto qui troviamo il ruvido incedere del genere nelle sue vesti originarie così come il fluido e trascinante snodarsi della sua variante melodic/groove, prendendo quale ipotizzabile modello un’altra grande one man band come gli Arckanum, ma rivestendo il sound di una cura strumentale più al passo con i tempi pur senza snaturare il sound ripulendolo all’eccesso.
Fuckfest of Blood è una traccia emblematica in tal senso, evidenziando i tratti più catchy dell’offerta dei Non Est Deus dalla cui sponde non giungono istanze innovative ma niente più niente meno di un black metal molto godibile e inattaccabile per competenza e a capacità di coinvolgimento.
There Is No God è dominato da un bel lavoro chitarristico tramite il quale il nostro misterioso musicista mantiene elevato l’interesse in ogni frangente; ovviamente non siamo in presenza di un’opera che segnerà il genere negli anni a venire ma neppure di qualcosa da archiviare in fretta e furia, visto l’elevato tasso di gradevolezza di un album il cui ascolto di sicuro non delude.

Tracklist:
1. Poisonous Words
2. Fuckfest of Blood
3. Coffin of Shattered Dreams
4. Hobsons Choice
5. Godless

Stained Blood – Nyctosphere

I venti gelidi che da anni soffiano da nord formano tempeste che, spingendosi all’estrema propaggine sud occidentale dell’ Europa, provocano vortici depressionari death/black di notevole impatto come questo ultimo lavoro degli Stained Blood.

La scena estrema iberica è ricca di sorprese, dimostrandosi probabilmente una delle più sottovalutate pur essendo fucina di realtà interessanti come gli Stained Blood, quintetto originario della provincia catalana e dedito da un furioso esempio di metal estremo che ingloba death, black e melodic death metal.

Attiva dal 2005, la band arriva al terzo full length di una carriera che ha visto l’uscita del primo album solo da pochi anni, con il debutto One Last Warning nel 2013, il successivo Hadal nel 2015 e questo possente ritorno dopo quattro anni a titolo Nyctosphere.
Tutto è al suo posto: la copertina è old school così come l’attitudine e l’impatto, la produzione è soddisfacente quel tanto che basta per apprezzare il lavoro del gruppo, e la tempesta di suoni estremi fa risaltare il buon talento melodico tra ritmiche forsennate e di stampo black, atmosferiche parti oscure e maligne ed una potenza da death metal band.
Gli Stained Blood manipolano la materia a loro piacimento, ripartono veloci e cattivi, per poi fermarsi a contare i danni procurati da brani lunghi e devastanti come l’opener Avfall, The Lightless Walk e la tempestosa Winterflesh.
I venti gelidi che da anni soffiano da nord formano tempeste che, spingendosi all’estrema propaggine sud occidentale dell’ Europa, provocano vortici depressionari death/black di notevole impatto come questo ultimo lavoro degli Stained Blood.

Tracklist
1.Avfall
2.Century to Suffer
3.The Lightless Walk
4.Shrines of Loss
5.Winterflesh
6.Drowned

Line-up
Raul Urios – Bass
Salvador d’Horta – Drums
Miquel Pedragosa – Guitars
David Rodriguez – Guitars
Narcis Boter – Vocals

STAINED BLOOD – Facebook

À Répit / Inféren / Malauriu / Vultur – Teschi Ossa Morte

Teschi Ossa Morte si rivela uno split album di un certo pregio perché riesce a far convergere in un’unica opera realtà di diversa estrazione, esperienza e stile, restituendo un risultato di notevole interesse per chi segue in maniera assidua le gesta della scena black metal tricolore.

Teschi Ossa Morte è uno split album scaturito dalla sforzo congiunto di sette diverse etichette e capace di fornire uno spaccato della scena black metal nazionale, grazie alla partecipazione di quattro brand provenienti da diverse regioni del paese.

L’apertura del lavoro spetta ai valdostani À Répit, autori di un black cantato in italiano e dalle sfumature pagan folk, dalla buona impronta melodica che viene contrastata da uno screaming quanto mai arcigno: dei due brani, La Roccia Di Jean Grat si snoda più diretto ed incalzante ma non privo di spunti atmosferici che vengono maggiormente approfonditi nella più evocativa Ventre Di Lupo.
Arrivano dalla Lombardia gli Inféren , la cui interpretazione del genere è più essenziale ma ugualmente convincente: anche in questo caso liricamente si opta per la lingua italiana, con qualche spunto dialettale in Volti Di Pietra, traccia che assieme a Descensio Ad Inferos raffigura al meglio gli intenti di una band volta ad offrire un sound privo di fronzoli ma decisamente efficace.
La seconda parte dello split viene occupata da due gruppi isolani: prima i siciliani Malauriu ci portano su un terreno ancor meno propenso a squarci melodici o atmosferici, con il loro black metal claustrofobico ed incalzante, senz’altro più aderente ai dettami del genere nella sua primissima incarnazione; Narcotic Cult e Sacramentum sono brani trituranti che non lasciano spazio a divagazioni di alcun tipo.
Chiudono il lavoro i sardi Vultur, band che tra quelle presenti può vantare una storia già abbastanza consistente, essendo l’unica delle quattro formatasi nello scorso decennio; a differenza dei compagni di avventura il trio contribuisce con un solo brano che, per converso, è anche il più lungo del lotto.
Animas Dannadas è come consuetudine dei Vultur, cantata in lingua sarda e testimonia ampiamente di una band collaudata e di sicuro spessore, capace di interpretare il genere con padronanza dei propri mezzi per tutti i dodici minuti del brano, tra furiose accelerazioni, ottimi squarci di chitarra solista e un’inquietante chiusura ambient.
Teschi Ossa Morte si rivela così uno split album di un certo pregio perché riesce a far convergere in un’unica opera realtà di diversa estrazione, esperienza e stile, restituendo un risultato di notevole interesse per chi segue in maniera assidua le gesta della scena black metal tricolore.

Tracklist:
SIDE A:
1.à Répit – La Roccia Di Jean Grat
2.à Répit – Ventre Di Lupo
3.Inféren – Volti Di Pietra
4.Inféren – Descensio Ad Inferos
SIDE B:
1.Malauriu – Narcotic Cult
2.Malauriu – Sacramentum
3.Vultur – Animas Dannadas

Line-up:
À Répit
Gypaetus – Guitars/Bass/Lyrics
Skarn – Vocals, Synth, Drums

Inféren
Enyalios – Vocals
Al Azif – Guitars
Eihort – Bass
Schins – Drums

Malauriu
A. Schizoid – Guitars
A. Venor – Vocals
S.T. – Bass
R.C. Drums
Felis Catus – Keyboards

Vultur
Attalzu – Vocals, Guitars
Luxferre – Bass
Vorago – Guitars
L.B. – Drums

MALAURIU – Facebook

INFEREN – Facebook

VULTUR – Facebook

À REPIT – Facebook

Sadness – Rain

Come sanno fare solo i più bei dischi di black metal altro, Rain trasfigura completamente la nostra realtà, dato che ci si perde in questo muro sonoro, in questa cascata di suoni ed immagini, dove si viene portati in cielo e da lì nello spazio profondo, ma dove ci dovrebbe essere solo silenzio e buio troviamo prati di vita e fiori di morte.

Sadness è il progetto solista di Elisa, polistrumentista messicana che vive in Illinois, dove ha registrato questa sua seconda opera.

Rain è un disco che porta in un’altra dimensione, con uno spettacolare suono che parte dall’atmospheric black metal per arrivare al blackgaze e al depressive black metal, sottogenere di cui è uno dei migliori esemplari. Ci sono trame e sottotrame in queste canzoni, ognuna fa storia a sé ed insieme ci rendono un bellissimo dipinto che pulsa al ritmo di questa musica. Per esempio Pure Dream, la seconda traccia del disco, è un esempio perfetto di cosa sia Rain, un sogno, una sorta di filtro attraverso il quale vedere la vita in maniera diversa, una sospensione del tempo che ci permette di rallentare e di capire meglio. Elisa suona come se fosse al comando di un magma, con gli strumenti che si fondono per arrivare ad un certo risultato, dove ogni cosa è fondamentale ma mai come il tutto che concorre a formare. Sogno, estasi, paura della perdita e superamento della morte, ci sono tantissime cose in questo disco. Come sanno fare solo i più bei dischi di black metal altro, Rain trasfigura completamente la nostra realtà, dato che ci si perde in questo muro sonoro, in questa cascata di suoni ed immagini, dove si viene portati in cielo e da lì nello spazio profondo, ma dove ci dovrebbe essere solo silenzio e buio troviamo prati di vita e fiori di morte. Sintesi di purezza e corruzione, è davvero difficile catalogare questo disco come una mera opera musicale, perché è molto di più. Innanzitutto esplora le parti più nuove ed ancora parzialmente inesplorate dell’universo black metal, e chi si poteva aspettare che dai primi ruggiti norvegesi a distanza di molti anni sarebbero poi potute nascere opere come Rain? Ciò è possibile perché il black metal è come un codice sorgente dal quale possiamo prendere e sviluppare ciò che ci interessa, ed è proprio ciò che ha fatto Elisa. Un disco molto toccante, bello ed etereo, blackgaze di ottima fattura.

Tracklist
1.Lay
2.Pure Dream
3.Absolution
4.River
5.Rain
6.Teal

Line-up
Elisa – All instruments and vocals

SADNESS – Facebook

Afraid of Destiny – S.I.G.H.S.

S.I.G.H.S. può rappresentare per gli Afraid Of Destiny una sorta di compendio definitivo dei primi 5-6 anni di carriera, propedeutico alla creazione di nuovo materiale inedito in grado di consolidare il nome di questa realtà dal grande potenziale non ancora del tutto espresso.

Il depressive black in Italia è un sottogenere magari non diffusissimo ma sicuramente esibito a livello per lo più ottimo dai suoi interpreti, tra i quali rinveniamo gli Afraid of Destiny, tipico esempio di band nata come progetto solista e poi evolutasi nel corso del tempo in una realtà più composita e, soprattutto, in grado di proporre anche  dal vivo la propria musica.

L’attività degli Afraid of Destiny è stata piuttosto intensa in questi sei anni decorsi dal demo d’esordio, così, oltre a diverse uscite minori, troviamo tre full length dei quali l’ultimo è questo S.I.G.H.S., uscito per Talheim Records, anche se di fatto il lavoro comprende per buona parte la rivisitazione di brani composti dal fondatore Adimere quando era ancora neppure maggiorenne.
In effetti, le prime tracce dell’album sembrerebbero mostrare più un gruppo dedito ad un black atmosferico e ragionato, per quanto cupo, ben rappresentato dalla buonissima Shells, sulla quale offre un gran bel contributo chitarristico Thomas Major dei Deadspace, ma è nella seconda metà del lavoro che prende campo un incedere più malinconico e ripiegato su una negatività di fondo, che vede quale suo ideale prologo Tutto Ciò che Sento, un dialogo tratto dal film “Lei” sul quale si incastonano struggenti note pianistiche.
Il lungo strumentale I’m Crying (proveniente dal primo full length Tears Of Solitude, così come la conclusiva Killed By Life) rappresenta un bellissimo intermezzo ricco di atmosfere e melodie che mostrano un volto più malinconico e struggente che non disperato, introducendo al meglio il dolente sentire acustico di Cursed and Alone e l’interludio pianistico Malinconica Venezia, prima che la già citata Killed By Life, traccia molto lunga (ancor più di quanto non lo fosse nella sua prima stesura grazie ad un’appendice strumentale) quanto intensa, chiuda in maniera ottimale l’album descrivendo il vortice di sensazioni disseminate lungo il percorso che conduce ad un’ineluttabile quanto tragica conclusione.
S.I.G.H.S. (che è peraltro l’acronimo di Still I Gently Hide Sadness) è un’opera che si snoda lungo vari sentieri stilistici come è  prevedibile quando i brani in esso contenuti sono stati composti in diverse epoche e quindi a qualche anno di distanza l’uno dall’altro: troviamo così episodi di black tout court come Take Me Home, Death assieme a malinconici affreschi acustici che riconducono a sonorità di matrice dark doom, ma il tutto comunque convive senza troppe forzature; almeno in quest’occasione il sentire depressivo viene veicolato musicalmente (e anche a livello di interpretazione vocale da parte di R.F. Sinister)  più con un senso di rassegnazione che non di rabbia impotente: questo consente agli Afraid Of Destiny di risultare graditi, oltre agli ascoltatori gravitanti in ambito black, anche da chi ama farsi cullare da sonorità cupe e a tratti intimiste.
Considerando che un po’ tutta la storia della band è stata, fino ad oggi, caratterizzata da uscite volte anche al riassemblaggio o al recupero di brani dalla genesi più datata e che il compositore principale Adimere è ancora molto giovane, mi piace pensare che S.I.G.H.S. possa essere per gli Afraid Of Destiny una sorta di compendio definitivo dei primi 5-6 anni di carriera, propedeutico alla creazione di nuovo materiale inedito in grado di consolidare il nome di questa realtà dal grande potenziale non ancora del tutto espresso.

Tracklist:
1 – Timor Mortis
2 – Take Me Home, Death
3 – Shells
4 – Tutto Ciò che Sento
5 – I’m Crying (Tears of Solitude MMXIX)
6 – Cursed and Alone
7 – Malinconica Venezia
8 – Killed by Life

Line-up:
R.F. Sinister: vocals
Adimere: rhythm guitars, bass, laments on ‘Shells’

M.S. (ex member): solo guitars
N. (Blaze of Sorrow): session drums
B.M. (Skyforest, ex Annorkoth): session piano
Thomas Major (Deadspace): guest solo on Track 3
Laura Zaccagnini: guest lyrics on Track 6

AFRAID OF DESTINY – Facebook