THE ETERNAL

Il video di In The Lilac Dusk, dall’album Waiting for the Endless Dawn (Inverse Records).

Il video di In The Lilac Dusk, dall’album Waiting for the Endless Dawn (Inverse Records).

The Eternal have released the first single from their upcoming album ‘Waiting for the Endless Dawn’. ‘In the Lilac Dust’, which features the enigmatic voice of Mikko Kotamäki from Finnish doom legends Swallow The Sun, is available on all major online services such as Spotify, iTunes & Apple Music through Finnish Label Inverse Records. A Lyric video for the track can also be viewed at the Inverse Records youtube channel.

The current incarnation of the band featuring Mark Kelson (Alternative 4, Insomnius Dei, Cryptal Darkness), Martin Powell (My Dying Bride, Cradle of Filth, Anathema), Marty O’Shea (Dreadnaught) & Dave Langlands alongside the addition of renowned Australian guitarist Richie Poate (Dreadnaught). The band have spent over 3 years writing and recording what can be best described as the bands darkest & heaviest album to date.

Waiting For The Endless Dawn proves to be a heavy hearted, dark statement in the bands diverse and long career, which will see the band endeavouring to tour extensively and performing the album in it’s entirety in 2018 and beyond.

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Wonderworld – III

Con III gli Wonderworld si candidano come una delle massime espressioni nel genere, mostrando d’essere assolutamente in grado di competere con i gruppi di punta dell’hard rock classico internazionale.

Torna il trio italo/norvegese che, sotto il monicker Wonderworld, vede le gesta del nostro Roberto Tiranti al basso ed ovviamente al microfono, Ken Ingwersen alla chitarra e Tom Arne Fossheim alla batteria.

Ancora una volta il gruppo delizia gli ascoltatori con la sua personale rivisitazione dell’hard rock classico, elegante, raffinato e a tratti progressivo, melodico e pregno di ispirazioni hard blues di scuola Deep Purple, Glenn Hughes.
I tre musicisti, come ormai ci hanno abituato, lasciano il loro talento al servizio di questi ennesimi dieci gioiellini, classici ma rivestiti di un’aura fuori dal tempo, perfetti nel continuare la tradizione del rock duro di classe anche nel nuovo millennio.
La voce di Tiranti è sicuramente l’asso nella manica della band: interpretativo, sanguigno e dall’appeal in dote solo ai grandi, ma i suoi compagni non sono da meno con un Ingwersen in stato di grazia, preciso e raffinato, senza perdere in potenza con riff scolpiti nella storia del genere e Fossheim che lega il tutto con il suo drumming granitico.
Un’altra piacevole raccolta di brani rock dunque, nella quale melodie, gustosi solos e refrain da brividi ci accompagnano nel mondo dell’hard rock di classe, presi per mano da splendide perle come Stormy Night, Brand New Man e Stay Away From Me.
Con III Wonderworld si candidano come una delle massime espressioni nel genere, mostrando d’essere assolutamente in grado di competere con i gruppi di punta dell’hard rock classico internazionale ed una vera e propria garanzia per gli amanti di queste sonorità.

Tracklist
01. Background Noises
02. Stormy Night
03. Big Word
04. Crying Out For Freedom
05. A Mountain Left To Climb
06. Brand New Man
07. Rebellion
08. The Last Frontier
09. Stay Away From Me
10. There Must Be More

Line-up
Roberto Tiranti – Vocals, Bass
Ken Ingwersen – Guitars, Backing vocals
Tom Arne Fossheim – Drums, Backing vocals

WONDERWORLD – Facebook

Vor – Depravador

Un lavoro a dir poco urticante il cui solo scopo e quello di scuotere e mettere a disagio l’ascoltatore: zero fronzoli, cosi come totale è l’assenza di una qualsiasi parvenza melodica.

Credo che uno dei momenti in cui si realizza pienamente quanto la musica rivesta un ruolo fondamentale nella propria vita, sia quando si riescono ad apprezzare pienamente forme espressive lontanissime tra loro.

Tutto questo rende possibile godere di strutture complesse e potenti come quelle del progressive, così come quelle essenziali e scarnificate di certo sludge doom.
Proprio a quest’ultima categoria appartiene Depravador, album d’esordio dei Vor, duo spagnolo che con il solo apporto di batteria, basso ed una voce strepitante riesce a produrre molto più baccano di quanto non facciano molte band con tripla chitarra, tastiere e quant’altro.
Quanto scritto come premessa sta a significare che non c’è una forma predefinita per catturare in maniera efficace l’attenzione dell’ascoltatore, ma che, in realtà, se non si demanda il tutto alla melodia e alla tecnica devono essere l’intensità e l’urgenza espressiva a fare la differenza.
Queste ultime sono le caratteristiche fondanti di Depravador, un lavoro a dir poco urticante il cui solo scopo e quello di scuotere e mettere a disagio l’ascoltatore: zero fronzoli, cosi come totale è l’assenza di una qualsiasi parvenza melodica.
Ciò avviene dalla prima nota della title track fino all’ultima di Dark Fraga (sia pure in tal caso con un più ragionato break centrale) per un ascolto che, alla fine si rivela ostico ma, alla lunga coinvolgente nel suo rabbioso ed ostile incedere.

Tracklist:
1. Depravador
2. Black Goat
3. Why
4. Cudgel
5. Blood… Fear… Knife… Sin.
6. Daga
7. Dark Fraga

Line-up:
Iván: bass, noise & shrieks
Edu: drums & noise
Anxela (Bala): guest vocals in “Dark Fraga”

Una Stagione all’Inferno – Il mostro di Firenze

Un inquietante viaggio musicale nella storia di un mistero italiano forse mai del tutto risolto, reso in musica attraverso altrettanto inquietanti barocchismi, oscuri e progressivi.

Non poteva che essere la Black Widow di Genova, forte della sua competenza in materia, a distribuire questo disco, vero gioiello di dark prog d’alta scuola.

Il nome scelto dal gruppo – accompagnato da diversi e prestigiosi ospiti, tra i quali Roberto Tiranti e Pier Gonella – rimanda a Rimbaud, mentre il titolo ai drammatici e tragici fatti di cronaca nera che insanguinarono il capoluogo toscano dalla metà circa degli anni ’80. Una Stagione all’Inferno vuole mettere pertanto in musica quegli inquietanti e mai troppo distanti avvenimenti, la cui radice riporta al fondo buio dell’animo umano: un’impresa non facile, ma anche una scommessa vinta sul piano artistico e musicale. Classico e moderno nello stesso tempo, Il Mostro di Firenze – una sorta di concept, la cui tessitura complessiva non consente quasi di separare i singoli momenti che lo vanno a comporre – si rivela un gran bel disco di oscuro rock sinfonico (è forse questa la migliore definizione possibile dell’intero lavoro), quasi un viaggio barocco nelle tenebre condito da eccellenti parti strumentali e malinconiche melodie, in un sapiente alternarsi di situazioni, ora più pompose ed ora più intimiste. Veramente un ottimo lavoro, superbo sotto il profilo sia della scrittura sia dell’esecuzione.

Track list
1. Novilunio
2. La ballata di Firenze
3. Nella notte
4. Lettera anonima
5. Interludio macabro
6. L’enigma dei dannati
7. Serial Killer Rock
8. Il dottore
9. Plenilunio

Line up
Laura Menighetti – Vocals, Keyboards
Fabio Nicolazzo – Vocals, Guitars
Roberto Tiranti – Bass, Chorus
Pier Gonella – Guitars
Marco Biggi – Drums
Paolo Firpo – Sax, Akai Ewi 4000S
Kim Schiffo, Daniele Guerci, Laura Sillitti – Strings

UNA STAGIONE ALL’INFERNO – Facebook

Omega Diatribe – Trinity

Il quintetto ci va giù pesante senza soluzione di continuità per quasi un’ora di mid tempo potentissimi, accelerazioni ritmiche da infarto con cambi di tempo perfetti per mantenere l’attenzione dell’ascoltatore.

Un macigno sonoro di dimensioni bibliche in arrivo dall’Ungheria tramite Metal Scrap, che ci presenta il nuovo album di questi cinque cannibali musicali che agiscono sotto il monicker di Omega Diatribe.

Cannibali perché la band fagocita metal estremo, lo metabolizza e lo vomita pregno di groove, passando con disinvoltura da parti di devastante deathcore al più corposo e meno marziale groove metal.
Gli Omega Diatribe sono in giro a far danni dal 2013, la loro discografia in cinque anni vede tre full length ed un paio di ep, non male, segno che di cose da dire ne hanno molte e lo fanno tramite una proposta estrema ed intensa, pur con i limiti che il genere impone.
Niente di nuovo quindi, ma sicuramente d’impatto, tanto che Trinity risulta una montagna di metal estremo moderno che si muove producendo terremoti devastanti.
Con doppia voce, ma lontana dal solito clichè growl/voce pulita, il quintetto ci va giù pesante senza soluzione di continuità per quasi un’ora di mid tempo potentissimi, accelerazioni ritmiche da infarto con cambi di tempo perfetti per mantenere l’attenzione dell’ascoltatore, sempre in guardia per i duri colpi inferti dal gruppo.
Ci vuole il fisico per assorbire le bordate deathcore che gli Omega Diatribe sparano senza pietà con neanche troppo velate ispirazioni a Meshuggah, Gojira e i Machine Head più arrabbiati.
Il quintetto ungherese non le manda certo a dire, travolge tutto con riff ultra heavy risultando uno schiacciasassi impazzito di groove death metal, magari non originalissimo ma sicuramente debordante ed ottimamente suonato, e tanto basta.

Tracklist
1.Souls Collide
2.Filius Dei
3.Trinity
4.Spinal Cord Fusion
5.Divine of Nature
6.Replace Your Fear
7.Oblation
8.Chain Reaction
9.Denying Our Reality
10.Compulsion
11.Wraith
12.Tukdam

Line-up
Gergo Hajer – Guitar
Tamás Höflinger – Guitar
Ákos Szathmáry – Bass
Tamás Kiss – Drums
Milán Lucsányi – Vocals

OMEGA DIATRIBE – Facebook

Mortify The Flesh – Caverns of the Unwanted

I Mortify The Flesh liberano tutti gli istinti repressi in questo primo episodio di una carriera partita bene e che, speriamo, regali ancora violente scariche death metal dai rimandi brutal di matrice americana.

Arrivano all’esordio discografico i tedeschi Mortify The Flesh, band che ha mosso i primi passi addirittura nel 2006.

I molti cambi di line up che hanno portato alla formazione attuale, sono i colpevoli del ritardo di ben dodici anni sulla pubblicazione di un loro lavoro, ora finalmente sul mercato a confermare le ottime potenzialità del gruppo originario di Einbeck.
Caverns of the Unwanted è composto da cinque brutali episodi estremi, un violento e rabbioso impatto che deflagra per una ventina di minuti, tra velocità proibitive, solos urlanti dolore, blast beat e growl che si avvicinano al grind.
L’opener Unleash The Apoclypse e la title track sono i due brani trainati dell’ep e fulgido esempio della proposta del gruppo, che risulta un devastante terremoto sonoro, nel quale le ritmiche tecnicamente sopra la media sono la gettata di cemento armato su cui è posato un sound dall’impatto sicuramente dei più brutali, tenuto su livelli portentosi fino alla fine.
Il quartetto, ora composto da Yasin Yilmaz alle pelli, Torsten Müller alla chitarra, Sascha Mordtmann al basso e Michael Vössing a ringhiare come un orco malvagio al microfono, libera tutti gli istinti repressi in questo primo episodio di una carriera partita bene e che, speriamo, regali ancora violente scariche death metal dai rimandi brutal di matrice americana.

Tracklist
1.Unleash the Apocalypse
2.Impaled Human’s Labyrinth
3.Thoughts of Killing
4.Caverns of the Unwanted
5.Demo Track

Line-up
Yasin Yilmaz – Drums
Torsten Müller – Guitars
Michael Vössing – Vocals
Sascha Mordtmann – Bass

MORTIFY THE FLESH – Facebook

Ribspreader – The Van Murders – Part 2

Un delirio di metal estremo old school, come la ditta Rogga Johansson insegna, perfetto nel suo genere, travolgente ed assolutamente degno della fama del suo creatore.

Questo è il periodo in cui lo stakanovista del metal estremo, Rogga Johansson, invade il mercato con le sue molteplici collaborazioni, che puntualmente ogni paio d’anni ci investono con tutta la loro attitudine ed impatto old school.

Ed infatti il buon Rogga come comune denominatore mantiene in tutti i gruppi con cui suona l’attitudine vecchia scuola, quindi anche i Ribspreader (per chi ancora non conoscesse il progetto) si collocano tra le band dal sound tradizionale.
Questo  è uno dei progetti più longevi di Johansson, essendo attivo dal 2003, con l’esordio Bolted To The Cross licenziato l’anno dopo e che vedeva all’opera al fianco del musicista svedese Andreas Carlsson ed il grande Dan Swanö.
Sono passati quattordici anni e sei lavori sulla lunga distanza e, per il settimo sigillo griffato Ribspreader, Johansson rispolvera la coppia The Cleaner e Mr. Filth, macabri personaggi apparsi sull’album licenziato nel 2011, The Van Murders.
Il titolo non poteva che essere The Van Murders-Part 2 e ad accompagnare il mastermind troviamo questa volta Kjetil Lynghaug alla chitarra solista e Brynjar Helgetun alla batteria, per mezzora di swedish death metal.
Diretto e devastante come un missile sottomarino dritto nella poppa di un transatlantico, l’album è un delirio di metal estremo old school, come la ditta Rogga Johansson insegna, perfetto nel suo genere, travolgente ed assolutamente degno della fama del suo creatore.
Una cascata di riff e solos scolpiti negli annali del death metal scandinavo, una serie di brani che, senza compromessi ci riportano ai primi anni novanta, trovano nei Ribspreader il trio perfetto per tornare a fare male, rispettosi di tutti i cliché del genere ma forniti di un songwriting per cui, dall’opener Departure LA fino alla conclusiva Travelling Band Of The Dead, l’album è un susseguirsi di spettacolari esempi di death metal made in Svezia.
Bellissimo lavoro, The Van Murders-Part 2 è sicuramente la migliore opera fin qui pubblicata quest’anno da Rogga Johansson, ma state certi che non finirà qui.

Tracklist
1.Departure LA
2.Flesh Desperados
3.Back on Frostbitten Shores
4.Equipped to Kill
5.Meat Bandit
6.The Cleaners Theme
7.The Cleaners Theme 2
8.Come Out and Play Dead
9.Travelling Band of the Dead

Line-up
Rogga Johansson – Guitars, bass, vocals
Kjetil Lynghaug – Lead guitars
Brynjar Helgetun – Drums

RIBSPREADER – Facebook

Skogen – Skuggorna Kallar

Realtà consolidata nel panorama black metal nord europeo, gli Skogen dimostrano, come sempre, la loro identità e la loro personalità; suggestive emozioni in un black metal dagli antichi sapori nordici.

Realtà consolidata nel panorama black metal nord europeo, gli Skogen approdano al loro quinto full length, a quattro anni di distanza dal meraviglioso I Doden.

Svedesi, di Vaxjo, fin dal nome che vuol dire “forest” hanno improntato il loro suono su un black intriso di temi naturalistici tesi a omaggiare la bellezza, la forza selvaggia e l’oscurità del paesaggio nordico che li circonda. Attivi dal 2009, non hanno mai perso la loro ispirazione e hanno creato fino ad oggi cinque full length, tutti immersi in un suono black selvaggio e melodico, debitore della scuola svedese, ricco di elementi folk e suggestive atmosfere evocative che aprono la mente verso spazi glaciali e sconfinati; non hanno prodotto split, EP o partecipato a collaborazioni, solo album interi che consiglio di recuperare per apprezzare l’identità e la personalità della band. Anche quest’ultimo sforzo creativo ricrea atmosfere superbe fino dall’opener Det nordiska morkret, che dimostra un senso melodico superiore, con clean vocals alternate a un lacerante growl mentre il suono si apre in una melodia tastieristica antica e sognante…
L’omaggio alla loro terra natia pervade ogni nota dell’opera, specie quando si lanciano in brani tesi e vibranti, sempre accompagnati da un gusto melodico che profuma di ancestrale come in Nar solen bleknar bort, dove gli ingredienti sono miscelati ad arte per farci volare con la mente verso spazi innevati e selvaggi; l’alternanza tra clean, scream e growl è ben equilibrata e la presenza di parti corali aggiunge potenza e capacità suggestiva all’insieme. Non ci sono filler, otto brani ispirati e ottimamente suonati, parti folk che si intrecciano alla meraviglia nel tessuto black, sorprendendo e lasciando grandi sensazioni (Nebula); i ritmi mai estremamente sostenuti sono perfetti per creare suggestioni come nella splendida Frostland, perfetta fin dal titolo, intarsio di folk e black calibrato al millimetro. Il ritmo rallentato e gli arpeggi di The sun’s blood aggiungono ulteriore vigore e gli ultimi due lunghi brani, Beneath the trees e The funeral sublimano tutte le grandi emozioni che questa band sa infondere nel nostro cuore; è con questi suoni e con queste opere che il black metal mostra una volta di più le proprie radici e la propria forza.

Tracklist
1. Det nordiska mörkret
2. När solen bleknar bort
3. Nebula
4. Omen
5. Frostland
6. The Sun’s Blood
7. Beneath the Trees
8. The Funeral

Line-up
Joakim Svensson – Bass, Vocals
Mathias Nilsson – Guitars, Vocals
L. Larsson – Drums, Vocals
Jonathan Jansson – Guitars, Vocals

SKOGEN – Facebook

SONS OF APOLLO

Il video di “Signs Of The Time”, dall’album “Psychotic Symphony” (InsideOut Music).

Il video di “Signs Of The Time”, dall’album “Psychotic Symphony” (InsideOut Music).

I SONS OF APOLLO, la band degli ex-Dream Theater Mike Portnoy e Derek Sherinian, Ron “Bumblefoot” Thal (ex-Guns N’ Roses), Billy Sheehan (The Winery Dogs, Mr. Big, David Lee Roth) e Jeff Scott Soto (ex-Journey, ex-Yngwie Malmsteen’s Rising Force) stanno per imbarcarsi nel loto primo tour europeo a partire da questo venerdì all’Hellfest di Clisson, Francia. Per celebrare il tour la band presenta oggi il video di “Signs Of The Time”, filmato durante il recente tour nord americano.

I SONS OF APOLLO saranno in Italia questa domenica al Teatro degli Arcimboldi di Milano.

Mike Portnoy comments: “The ‘Signs of the Time’ Video was shot on the recent US tour and is a good taste of what the band is like on stage.
We are about to embark on the band’s 1st tour of Europe and the UK and can’t wait to bring this 5 headed musical monster to our fans overseas all throughout the summer”

The full list of Summer live dates can be found below:
22nd June – Hellfest, Clisson, France
23rd June – Graspop Metal Meeting, Dessel, Belgium
24th June – Teatro Degli Arcimboldi, Milan, Italy
26th June – Futurism Music Bar, Prague, Czech Republic
27th June – Hellraiser, Leipzig, Germany
28th June – Neushoorn, Leeuwarden, Netherlands
30th June – Be Prog! My Friend, Barcelona, Spain
1st July – Ramblin Man Fair, Maidstone, UK
2nd July – Motherwell Concert Hall, Motherwell, UK
3rd July – Limelight, Belfast, UK
4th July – Tivoli Variety Theatre, Dublin, Ireland
6th July – Helgeåfestivalen, Knislinge, Sweden
7th July – The Haunt, Brighton, UK
8th July – Rescue Rooms, Nottingham, UK
14th July – Dynamo Metalfest, Eindhoven, Netherlands
3rd August – Wacken Open Air, Wacken, Germany
18th August – Prog in the Park 2018, Warsaw, Poland
19th August – Barba Negra Track, Budapest, Hungary

The band have further live dates planned for later in year, including an appearance at ProgPower Festival in the US, the band’s first Japanese shows, and more live appearances in Europe including a very special performance at the Roman Theatre in Plovdiv Bulgaria alongside the orchestra of Plovdiv State Opera. Find the full list of those below:

7th September – Prog Power USA, Atlanta, US
10th September – BigCat, Osaka, Japan
11th September – Liquidroom, Tokyo, Japan
12th September – Liquidroom, Tokyo, Japan
15th September – Raismes Fest, Raismes, France
19th September – Glavclub, Moscow, Russia
22nd September – Roman Amphitheatre, Plovdiv, Bulgaria
24th September – Fuzz Club, Athens, Greece
26th September – Barby Club, Tel Aviv, Israel
29th September – SWX, Bristol, UK
30th September – Garage, Glasgow, UK
1st October – Manchester Academy 2, Manchester, UK
6th October – Kulturfabrik, Esch/Alzette, Luxembourg
8th October – Komplex 457, Zurich, Switzerland
12th October – Élysée Montmartre, Paris, France
13th October – Very Prog Festival, Toulouse, France
15th October – Radiant-Bellvue, Lyon, France
16th October – La Laiterie, Strasbourg, France

Ticket links for all shows can be found at: https://www.sonsofapollo.com/live

Released October 20th 2017 via InsideOutMusic / Sony, PSYCHOTIC SYMPHONY is available as a 2CD Mediabook (featuring a second disc of instrumental mixes and extended booklet with an exclusive Studio Diary), Gatefold 2LP vinyl + CD (which comes with an etching on side D and the entire album on the CD), Standard Jewelcase CD & digital download. It was produced by the dynamic production duo of Portnoy and Sherinian, also affectionately known as “The Del Fuvio Brothers,” which is the nickname given to them over 20 years ago during their time together in Dream Theater. Get your copy here: http://smarturl.it/SonsOfApolloPS

PSYCHOTIC SYMPHONY has racked up some fantastic reviews:
“Fuck the term ‘supergroup’, that’s not what this is about. Sons of Apollo are simply a group that are super.” – Classic Rock
“Psychotic Symphony is fierce, loud, bewildering, brilliantly performed and monstrously entertaining.” – Prog Magazine
“God-like in conception, stellar in ambition and perfection in delivery.” – Metal Talk

SONS OF APOLLO online:
www.sonsofapollo.com
www.facebook.com/SonsOfApollo1
www.Twitter.com/SonsOfApollo1

Dark Doom – Dust

L’inglese Alex Wills, dopo aver proposto in tempi piuttosto ravvicinati due ep ed un singolo, decide di compiere il passo su lunga distanza e lo fa dimostrando di possedere idee a sufficienza per reggere tale prova.

Mai farsi trarre in inganno da un monicker: se si pensa che, ascoltando questo full length d’esordio dei Dark Doom, ci si imbatterà nelle sonorità plumbee e rallentate della musica del destino si prenderà un solenne cantonata, visto che Dust è, invece, un buonissimo lavoro basato su un black death decisamente melodico e scorrevole.

Artefice di questo progetto solista è l’inglese Alex Wills, il quale, dopo aver proposto in tempi piuttosto ravvicinati due ep ed un singolo, decide di compiere il passo su lunga distanza e lo fa dimostrando di possedere idee a sufficienza per reggere tale prova.
Ovviamente la proposta del musicista di Derby non può essere annoverata tra le più originali, in quanto il sound attinge sia dalla sponda nordica (Catamenia) che mediterranea (Nightfall) del genere ma, sicuramente, più a livello di ispirazione di massima che non nella trasposizione sullo spartito, in quanto il nostro non disdegna interessanti digressioni di matrice heavy allorché propone gustosi assoli chitarristici.
E, in effetti, ciò che rende Dust un disco meritevole d’attenzione è una certa varietà ritmica che consente così di godere di brani strutturati in maniera piuttosto accattivante come l’opener Roaming Creature, oppure molto più spinti ed orientati ad un sound aspro e accelerato (Husk).
Nella parte centrale del lavoro, poi, troviamo due tracce che superano i dieci minuti di durata: un qualcosa di anomalo e, per certi versi rischioso in un genere come questo, con esiti che lasciano qualche dubbio nella meno incisiva Cosmic Dust ma che, invece, stupiscono con la splendida After The End, nella quale confluiscono passaggi più rallentati e malinconici e incalzanti crescendo melodici.
L’elegante chiusura strumentale affidata a There Could Be Hope testimonia le ottime doti compositive ed esecutive di Wills e, grazie anche ad una produzione che non lascia spazio a perplessità (come troppo spesso avviene purtroppo quando ci si imbatte in un lavoro concepito ed inciso da un solo soggetto), Dust si rivela un album davvero piacevole, ricco di ottimi spunti e meritevole d’attenzione.

Tracklist:
1. Roaming Creature
2. Meaningless
3. Husk
4. Cosmic Dust
5. After the End
6. The Struggle
7. Traveller
8. There Could be Hope

Line up:
Alex Wills- All instruments, Vocals

DARK DOOM . Facebook

The Red Coil – Himalayan Demons

Un continuo groove sludge stoner metal, con intarsi desert, intensità mostruosa e su tutto una potenza distorta che porta via.

Un continuo groove sludge stoner metal, con intarsi desert, intensità mostruosa e su tutto una potenza distorta che porta via.

Non è mai facile descrivere un disco che fa pensare a molte cose, e non soggettive ma oggettive. I milanesi The Red Coil faranno la gioia di chi ama la musica pesante nelle sue accezioni più disparate, e qui ce n’è per tutti i gusti. Il gruppo suona uno sludge stoner di rara potenza che non fa prigionieri e che costringe e sentirlo disparate volte. Lla band lombarda esordisce nel 2009 con l’ep Slough Off che riceve una buona accoglienza sia dal pubblico che dalla critica. Nel 2013 i nostri escono con il primo disco su lunga distanza, intitolato Lam, che procura loro  diversi concerti in giro per il nord Italia, soprattutto. Ed eccoci infine arrivati al presente Himalayan Demons, un disco gigantesco. La voce graffia ed è un mirino preciso che indirizza le bordate che arrivano dal resto del gruppo. Prendete i migliori Pantera e date loro un respiro sludge stoner e vi avvicinerete un minimo a cosa sia questo disco. Quando l’atmosfera è incendiata dalla loro musica, arrivano aperture melodiche ottime e totalmente inaspettate. Forte è anche l’influenza dello stile southern metal, che qui è presente in maniera diabolica. I The Red Coil sono un autentico godimento, riescono a trovare sempre la soluzione sonora giusta e rendono rovente il vostro impianto stereo, i loro inediti sono fantastici, ma rende bene e velocemente l’idea di cosa siano l’ultima traccia del disco, la cover di When The Leeve Breaks dei Led Zeppelin, fatta in maniera sublime e con la loro fortissima impronta. Un disco pesantemente fantastico.

Tracklist
1. Withdrawal Syndrome Wall
2. Godforsaken
3.Oriental Lodge
4. Opium Smokers Room
5. The Shroud
6. Moksha
7. The Eyes Of Kathmandu
8. When The Levee Breaks

Line-up
Marco Marinoni – voice
Luca Colombo – guitar
Daniele Parini – guitar
Gelindo – bass
Bull – drum

URL Facebook
https://www.facebook.com/theredcoil/

Captain Black Beard – Struck By Lightning

Dalla Svezia, terra di tradizione melodica e non solo estrema, giungono i Captain Black Beard, fin dal 2009 a dispensare grande rock melodico.

Dalla Svezia, terra di tradizione melodica e non solo estrema, giungono i Captain Black Beard, fin dal 2009 a dispensare grande rock melodico, con tre album all’attivo e collaborazioni illustri come Bruce Kulick (Kiss, Union) e Mats Karlsson sul secondo lavoro (Before Plastic).

Il quartetto, dopo essersi esibito con icone dell’hard rock (Joe Lynn Turner, Robin Beck e House Of Lords), è tornato in studio con la nuova cantante Liv Hansson e con l’aiuto del produttore Jona Tee, noto tastierista degli H.E.A.T., pubblica questo bellissimo quarto lavoro intitolato Struck By Lightning.
Hard rock di gran classe dunque, supportato dalla bellissima e a tratti grintosa voce della bionda vichinga al microfono, ed impreziosita dal gran lavoro dei tre musicisti, anima di questa ottima realtà melodica svedese: Robert Maid al basso, Christian Eck alla chitarra e Vinnie Stromberg alla batteria.
Una produzione scintillante ed un songwriting ispirato fanno il resto e Struck By Lightning può così esplodere nei vostri padiglioni auricolari, composto da dieci folgoranti tracce di hard rock nobilitato da melodie AOR d’alta scuola.
D’altronde su al nord il genere lo sanno suonare eccome, facendo proprie le ispirazioni che vengono da Gran Breatagna e Stati Uniti ed elaborandole come tradizione insegna.
Così fanno anche i Captain Black Beard in brani top come l’opener e primo video All The Pain, perfetto benvenuto nella nuova incarnazione della band con l’arrivo della Hansson.
L’album non conosce pause, la sei corde graffia così come la voce, le tastiere disegnano tappeti colorati di note melodiche sopra le righe alternando taglienti brani di rock duro come Pefect Little Clue, a momenti di rock in cui la classe si respira in ogni nota.
Gotta Go, Dead End Street e la title track incendiano lo spartito, la prova della vocalist rimane di altissimo livello, i cori aprono orizzonti melodici dove perdersi è un attimo e sio arriva alla fine con la voglia matta di ricominciare a sognare, tra grinta e melodia rock confezionata a dovere dai Captain Black Beard.
Album di alto livello, Struck By Llightning si posiziona molto in alto nelle preferenze tra i lavori di hard rock melodico usciti in questa prima metà dell’anno, e non così scontato trovare di meglio, fidatevi.

Tracklist
01.All The Pain
02.Perfect Little Clue
03.Believer
04.Picture Life
05.Gotta Go
06.Out Of Control
07.Dead End Street
08.Struck By Lightning
09.Nobody Like You
10.Straight Outta Hell

Line-up
Robert Maid – Bass
Christian Eck – Guitars
Vinnie Stromberg – Drums
Liv Hansson – Vocals

CAPTAIN BLACK BEARD – Facebook

Heavenblast – Stamina

Gli Heavenblast si considerano una band heavy prog, ed in effetti molte delle trame che si ascoltano sull’album si rifanno ad un progressive spinto dalla potenza dell’heavy power, ma i molti cantanti a disposizione, un buon talento per le melodie ed un’attitudine a non lasciare nulla di scontato nel songwriting porta la band ad esplorare con successo diversi modi di suonare musica rock/metal.

Chiudete gli occhi e lasciatevi rapire da queste nove canzoni che vanno a comporre Stamina, ultimo lavoro lontano undici anni dal precedente degli Heavenblast, gruppo originario di Chieti attivo addirittura da metà anni novanta, ma per vari motivi con solo due full length all’attivo in precedenza,: l’esordio omonimo licenziato nel 2003, il precedente Flash Back, datato 2007.

Aiutata da un buon numero di ospiti sia in fase strumentale che al microfono, la band composta dalla cantante Chiara Falasca, dal chitarrista Donatello Menna, dal tastierista Matteo Pellegrini e dal batterista Alex Salvatore dà vita ad un elegante affresco di hard & heavy, partendo dalle molte melodie hard rock, seguite da cavalcate power metal e da bellissime parti progressive per un risultato interessante e dalla non facile lettura.
Gli Heavenblast si considerano una band heavy prog, ed in effetti molte delle trame che si ascoltano sull’album si rifanno ad un progressive spinto dalla potenza dell’heavy power, ma i molti cantanti a disposizione, un buon talento per le melodie ed un’attitudine a non lasciare nulla di scontato nel songwriting porta la band ad esplorare con successo diversi modi di suonare musica rock/metal, sia essa potente e veloce oppure raffinata ed intrisa di umori rock progressivi.
Ne esce un album vario in cui le strade intraprese sono molte e la band gioca a suo modo con le proprie ispirazioni in un caleidoscopio di note dall’alto livello tecnico e qualitativo.
Peccato per una produzione leggermente inferiore alla qualità espressa da brani sorprendenti come Purity, Alice In Psychowonderland, Don’t clean up this blood e la title track, dettaglio che non compromette l’ottima impressione suscitata da questo nuovo lavoro firmato Heavenblast.

Tracklist
1.Mind Introuder
2.Purity
3.Alice In Psychowonderland
4.We Are State
5.The Rovers
6.Don’t Clean Up This Blood
7.Sinite Parvulos Venire Ad Me
8.S.T.A.M.I.N.A.
9.Canticle Of The Hermit

Line-up
Chiara Falasca – Vocals
Donatello Menna – Guitars
Matteo Pellegrini – Keyboards, Piano
Alex Salvatore – Drums

HEAVENBLAST – Facebook

Adramelech – Pure Blood Doom

Una ferale mazzata death metal vecchia scuola, un monolite estremo che non conosce pause, ispirato dai gruppi che misero l’Europa a ferro e fuoco negli anni prima dell’avvento del nuovo millennio.

Band storica della scena death metal finlandese, gli Adramelech non ebbero grossa visibilità, tormentati dai continui cambi di formazione e superati in popolarità da leggende come Amorphis, Demigod ed Impaled Nazarene.

La data di nascita del gruppo è di quelle da brividi : era infatti il 1991, in un periodo nel quale venne scritta la storia del metal estremo nord europeo, mentre nel 1996, dopo un paio di demo ed altrettanti ep, venne licenziato tramite la Repulse di Dave Rotten il debutto sulla lunga distanza Psychostasia.
Ancora due album prima del lungo silenzio non ancora terminato, di cui Pure Blood Doom è il penultimo, ora riproposto completamente rimasterizzato grazie alla Nuclear Abominations records.
Uscito originariamente nel 1999 e seguito sei anni dopo da Terror of Thousand Faces, l’album risulta una ferale mazzata death metal vecchia scuola, un monolite estremo che non conosce pause, ispirato dai gruppi che misero l’Europa a ferro e fuoco negli anni prima dell’avvento del nuovo millennio.
Parliamo di Grave, Vader e Sinister, quindi pochi riscontri con il classico sound finlandese/scandinavo e più in linea con il genere suonato nel centro Europa: Pure Blood Doom non conosce pause, tra mid tempo, riff granitici e atmosfere pesanti ed oscure.
Formato da nove terremotanti tracce che sono lo specchio del death metal suonato negli anni novanta, Pure Blood Doom fu ancora una volta frenato dai problemi interni al gruppo che non consentirono un’adeguata promozione al disco.
Un’ottima occasione per rivalutare l’album e la band finlandese vi viene data dalla Nuclear Abominations Records, quindi è d’obbligo fermarsi un attimo, guardarsi indietro e riscoprire questo gioiello estremo.

Tracklist
1.Centuries of Murder
2.Thule
3.Abomination 459
4.Season of the Predator
5.Thingstead
6.Lord of the Red Land
7.Evercursed
8.The Book of the Black Earth
9.Spawn of the Suffering

Line-up
Jarkko Rantanen – Drums
Jari Laine – Guitars, Bass
Ali Leiniö – Bass, Guitars, Vocals

https://www.facebook.com/Adramelech-216261348385371/

Descrizione Breve
Uscito originariamente nel 1999 e seguito sei anni dopo da Terror of Thousand Faces, l’album risulta

Autore
Alberto Centenari

Voto
75

Genere – Sottogeneri – Anno – Label
2018 Death Metal 7.50

Derdian – DNA

DNA va gustato nella sua interezza, quale bellissimo affresco musicale, magari lungo da digerire per gli ascolti frettolosi dei fans moderni, ma un’opera che ancora una volta conferma i Derdian come gruppo tra i migliori della scena power progressiva odierna.

Come mia abitudine vado contro il trend che vuole il metal in crisi qualitativa: anche quest’anno le opere che hanno arricchito le discografie degli amanti dei suoni classici non mancano di certo, magari meno glorificate dagli addetti ai lavori rispetto agli anni d’oro, ma pur sempre in grado di risplendere sugli scaffali degli ormai “pochi” negozi di settore.

Per quanto riguarda l’ormai sfavillante scena tricolore direi che mancavano proprio i Derdian a spingere il power progressive metal verso un altro anno da ricordare e, puntualmente, il gruppo milanese è tornato con questo nuovo monumentale lavoro dal titolo DNA.
Due cosine risaltano subito all’attenzione di chi con mano tremante infilerà il dischetto ottico nel lettore: il ritorno dietro al microfono di Ivan Giannini, uno dei singer più dotati della scena e l’uscita in regime di autoproduzione, davvero strano per un gruppo da oltre vent’anni in pista con album di altissima qualità ed un passato alla corte della storica label Magna Carta.
D’altronde anche DNA conferma l’assoluto valore di questa nostra splendida realtà, un gruppo che dal 2014, anno di uscita di Human Reset, ha infilato tre straordinarie opere come appunto Human Reset, Revolution Era (con Giannini temporaneamente sostituito da vocalist come Fabio Lione, Ralph Scheepers, Henning Basse e Terence Holler, tanto per nominarne alcuni) ed ora questo monumento al power prog sinfonico di oltre un’ora di saliscendi emozionali, cavalcate power, spettacolari trame progressive, il tutto nella più assoluta armonia e varietà stilistica con il sestetto che passa dal power al prog, dal folk all’hard & heavy, da atmosfere epiche ad parti swing ed ariose armonie dove le melodie sono regine incontrastate con una naturalezza straordinaria.
DNA è tutto qui, se vi basta, magari per convincervi andate direttamente alla traccia sette, quella Elohim che stupisce con lo swing che spezza l’epica cavalcata in crescendo; ma l’album va gustato nella sua interezza, quale bellissimo affresco musicale, magari lungo da digerire per gli ascolti frettolosi dei fans moderni; un’opera che con l’aiuto di piccoli capolavori come la title track, Never Born, Red And White o Part Of This World conferma i Derdian come gruppo tra i migliori della scena power progressiva odierna.

Tracklist
1.Abduction
2.DNA
3.False Flag Operation
4.Never Born
5.Hail to the Masters
6.Red and White
7.Elohim
8.Nothing Will Remain
9.Fire from the Dust
10.Destiny Never Awaits
11.Frame of the End
12.Part of This World
13.Ya nada cambiara

Line-up
Enrico “Henry” Pistolese – Guitars, Vocals (backing)
Salvatore Giordano – Drums
Marco “Gary” Garau – Keyboards
Dario Radaelli – Guitars
Marco Banfi – Bass
Ivan Giannini – Vocals

DERDIAN – Facebook

EIDULON

Il video di A Shimmer in the Void (feat. Nordvargr), dall’album Combustioni (Malignant Records).

Il video di A Shimmer in the Void (feat. Nordvargr), dall’album Combustioni (Malignant Records).

The full-length “Combustioni” is available through Malignant Records: https://malignantrecs.bandcamp.com/album/combustioni

“Combustioni” is a daunting, full on apocalyptic industrial, auditory excursion, complete with crushingly ominous brass chords, fearsome horn proclamations, organ, and doom filled atmospherics. Contributions of murderous, gnarled vocals courtesy of Nordvargr ( Mz.412, Folkstorm) and Luca Soi (Void of Silence, Visthia), as well as caustic noise from Italian heavy electronic practitioners Naxal Protocol (ex-Cazzodio) add a powerful element, often cutting through a blaze of swelling tones and pneumatic percussive pummel, the only respite coming in the form of collaborative tracks with Kammarheit and Caul, which sees Eidulon returning to the foggy gloom and bleak isolationism that populated the debut. Collectively, it’s quite the provocative declaration, shattering genre barriers and setting the soundtrack for a world of incinerated cities, global plagues, and nuclear winters.

Goad – Landor

Nuovo lavoro da parte dello storico gruppo toscano, interprete di un incantevole hard prog gotico, dalle inflessioni ora più folk ora più doomeggianti. Puro romanticismo dark in musica, malinconico e melodico insieme.

In pista ormai dal lontano 1983, i fiorentini Goad confermano con questo loro nuovo lavoro tutta la propria creatività artistica, forti di un’identità che li vede pressoché unici nel panorama musicale di casa nostra.

La persistenza della tradizione: forse solo così si potrebbe definire la loro musica, erede del prog (King Crimson, Pink Floyd, VDGG), dell’hard rock anni Settanta (Led Zeppelin, Triumph, Rush, primi Uriah Heep) e del dark più occulto (High Tide, Atomic Rooster, Goblin, Devil Doll). In questa nuova opera – la dicitura non è casuale, in quanto Landor è una sorta di mono-traccia d’oltre cinquanta minuti suddivisa in tredici parti (o movimenti, se si vuole) – l’amore dei quattro toscani, a cui si aggiunto in veste di pianista e ingegnere del suono il lucchese Freddy Delirio (tastierista già con i Death SS e solista notevolissimo), per tematiche romantiche e decadenti trova una ulteriore e nuova declinazione, sonora e canora: progressive tastieristico, doom e impasti folk (con la passione per il gotico a fare, ogni volta, da collante) intersecano i loro piani, in quello che è un concept dalla struggente bellezza, letteraria, oltre che musicale. Non a caso, il secondo CD di questo doppio è un omaggio a Edgar Allan Poe, registrato dal vivo, al Parterre di Firenze, nel luglio dell’oramai lontano 1995: un documento davvero storico, quindi, inciso da una formazione della quale è rimasto solo il vocalist, che arricchisce ulteriormente questa pubblicazione. Alchimisti e teatrali interpreti dell’hard prog, non senza una profonda consistenza materica (si veda l’uso della doppia batteria in Landor), i Goad allora come oggi erano e restano da apprezzare senza riserve, coraggiosi e coerenti.

Tracklist
1- Written on the First Leaf of My Album
2- On Music
3- To One Grave
4- Bolero
5- Goodbye, Adieu
6- Life’s Best
7- Where Are Sights
8- Decline of Life
9- An Old Philosopher
10- The Rocks of Life
11- Defiance
12- Brevities
13- Evocation
14- I’ll Celebrate You
15- Fairyland
16- Dream Within a Dream
17- The Sleeper
18- To One in Paradise
19- Dreamland
20- Alone
21- The Haunted Palace
22- The City in the City
23- The End

Line up
Alessandro Bruno – Guitars, Reeds, Violin
Maurilio Rossi – Vocals, Bass, Guitar, Keyboards
Paolo Carniani – Drums
Enrico Ponte – Drums

GOAD – Facebook

Funeral Mist – Hekatomb

L’album della svolta per i Funeral Mist: il side project di Arioch/Mortuus dei Marduk ci convince. Ad oggi, uno dei migliori album black metal del 2018.

Gli esordi degli svedesi Funeral Mist, sicuramente affetti anche da produzioni non all’altezza, non mi hanno mai completamente convinto; una band i cui primi vagiti risalgono al lontano 1995, ma che vede uscire il primo full-length solo nel 2003 (Salvation, in precedenza era già uscito un ep, Devilry).

Onestamente non sono mai impazzito per questo gruppo svedese. Devilry e Salvation erano molto caos sonoro e poca musica; si potrebbe definire un raw all’ennesima potenza. Violenza e velocità, quasi sempre fini a se stesse, un sound talvolta difficilmente accostabile al genere Black Metal , ove il raw ne rappresenta unicamente un singolo aspetto, e forte delle miriadi di possibili varianti (classic, funeral, doom, depressive, symphonic, ambient, drone, atmospheric su tutte), che non impone necessariamente a una band di suonare per il solo gusto di raggiungere velocità warp; violenze sonore più accostabili al grindcore e cacofonie musicali che confondono l’ascoltatore e lo mandano in confusione troppo spesso, più tipiche di uno stile noise (ma sarà poi un genere musicale, mah?). I primi Napalm Death o il deathcore di molte band americane di fine anni ‘90 (pensiamo agli Atrocity US), sembrano qui far da padrone, più che oneste (e meglio centrate) storiche influenze tipiche del genere: dai primi Bathory ai Darkthrone, dai Mayhem ai Marduk …appunto, e prima ancora Venom ed Hellhammer . Furiosi attacchi sonori, poche pause, quasi nessun mid-tempo, ed un cantato – quello di Arioch, meglio conosciuto come Mortuus, frontman dei Triumphator e soprattutto singer dei Marduk dal 2004, all’anagrafe Hans Daniel Rostén – sovrastato spesso dalla base ritmica che copre il disperato tentativo di una voce che vuole emergere, senza quasi mai successo, come un operaio che cerca di farsi sentire dai propri colleghi, mentre un martello pneumatico in un cantiere assorda tutto e tutti . Queste sono – a mio avviso – le sensazioni che abbiamo, ascoltando i primi due lavori dei nostri. A dire il vero non butterei via completamente questi due album; per chi ama il raw portato all’estremo, un drummng – quello di Necromorbus – senza respiro, sparato alla velocità della luce, chitarra e basso che pare facciano a gara per decidere chi è più veloce, incartandosi qualche volta tra loro, generando effetti spesso cacofonici, e un cantato sempre in bilico tra lo scream e il growl, deve possedere anche questi primi lavori. Non fosse altro per comprendere meglio quale sia stata la successiva evoluzione (e aggiungo, per fortuna) del gruppo svedese, o farei meglio a dire della one-man band di Arioch, visto che dal successivo album, (Maranatha) sino ad arrivare all’oggetto della nostra recensione, i vecchi membri (Necromorbus e Nacash) sono scomparsi, sebbene fonti non ufficiali parlino di una collaborazione con il batterista dei Deathspell Omega.
Effettivamente già da Maranatha (2009) si percepiva l’intento di Mr. Rostén di voler cambiare qualcosa, di voltar pagina, di sperimentare. Intendiamoci, non a discapito della velocità – baluardo imprescindibile del frontman dei Marduk…appunto – bensì anche a favore di un suono più complesso, più misurato, più ragionato, per una miglior amalgama di velocità e pause, di violenza sonora e profondi cadenzati respiri. Arioch ha lavorato anche sulla propria voce, qui spesso in bilico tra uno scream e un crust (forse troppo spesso crust), intervallato dall’ossimoro, clean-sporco.
Inaspettato il cambiamento, inatteso il cambio di marcia. Inverosimile, seppur credibile e soprattutto agognato, il nuovo Hekatomb, ovvero il sinestetico oscuro sapore di diabolica maligna novità sonora; nefande furiose velocità permeate di annichilenti pause, rese ancor più sulfuree da un synth in sottofondo, trasportato da un desolato alito di vento, che pare uscito direttamente da Silent HIll (come in Cockatrice) e che quasi in un estremo mortale abbraccio, si lega alla successiva Metamorphosis, cadenzata da lenti ritmi funerei, suggellati dai dolorosi lamenti di Arioch, e da rabbrividenti cori gregoriani.
Non manca il tremolo tipico del guitar sound in pieno stile Black che, costruito su riff che tolgono letteralmente il fiato, fornisce munizioni al drumming, in una sparatoria sonora dove, come un potente e micidiale RPG, miete vittime tra gli ascoltatori. Stiamo parlando di tracks come Within the Without (non With or Without You), che nei brevissimi e rarissimi momenti di quiete, ci diletta con sottofondi di campane a morto, che flirtano con il cantato di Arioch, in un’armoniosa ma macabra storia d’amore; o come in Hosanna, vero fiume sonoro in piena, che esonda travolgendoci, come un flash flood tanto inaspettato, da coglierci all’improvviso, in una giornata tranquilla, annegando ogni nostro credo musicale, vero o falso che sia.
Che dire poi di Pallor Mortis, lamentoso mefitico momento teatrale “his et nunc”, che ci avvolge e ci obbliga a vivere – ora o mai più – un dissennato percorso musicale, che potrà solo ed unicamente portarci all’estremo fatale passo; laceranti e strazianti urla (forse) infantili, in un equilibrio da cerimoniale sabbatico, fanno da contraltare al disperato scream di Arioch, che più che in qualsiasi altra canzone dell’album, qui ci inebria e ci ubriaca di vino rancido, sino a farci perdere i sensi. Canzone terminale (anche nel letterale senso della parola) ma anche demoniaca avanguardia di quello che saranno (speriamo) le prossime future produzioni.

Tracklist
1.In Nomine Domini
2.Naught but Death
3.Shedding Skin
4.Cockatrice
5.Metamorphosis
6.Within the Without
7.Hosanna
8.Pallor Mortis

Line-up
Arioch – Bass, Vocals, Guitars

FUNERAL MIST – Facebook

In Tenebriz – Winternight Poetry

Wolfir offre un’interpretazione del death doom melodica e convincente, denotando una certa abilità nell’alternare ampie aperture atmosferiche a passaggi di natura ambient e a riff robusti e decisi.

Non è una novità imbattersi in one man band eufemisticamente definibili prolifiche, specialmente quando ad essere esplorato è lo sterminato territorio russo.

Gli In Tenebriz appartengono a questo novero e se, come sempre, in simili casi ci si chiede se tali caratteristiche non vadano a detrimento della qualità delle uscite, è anche vero che il più delle volte questi workaholic del metal sorprendono per l’ottimo livello medio espresso.
Con questo Winternight Poetry, Wolfir (al decimo full length in poco più di un decennio di attività, oltre ad un nugolo di ep e split album) offre un’interpretazione del death doom melodica e convincente, seppure a tratti un po’ minimale a livello di soluzioni tastieristiche.
Il tutto non penalizza più di tanto la resa finale, dato che il musicista moscovita è abile nell’alternare ampie aperture atmosferiche a passaggi di natura ambient e a riff robusti e decisi.
Winternight Poetry si esaurisce in poco meno di quaranta minuti lasciando buone sensazioni e qualche rimpianto relativo al fatto che, se il buon Wolfir si avvalesse di qualche aiuto ai vari strumenti, il risultato sarebbe potuto essere ancora più soddisfacente, come testimoniano ampiamente tracce come III e IV, le più emblematiche di doti compositive nient’affatto trascurabili.

Tracklist:
1. Winternight Poetry I
2. Winternight Poetry II
3. Winternight Poetry III
4. Winternight Poetry IV
5. Winternight Poetry V
6. Winternight Poetry VI
7. Winternight Poetry VII

Line up:
Wolfir – Guitars, Bass, Vocals, Synth

IN TENEBRIZ – Facebook

2018