Doomcult – Ashes

Sono cambiate diverse cose rispetto al precedente full length, ma la sensazione è che questa transizione sia ancora in corso e, a tale proposito, sarà interessante constatarne gli sviluppi in occasione dell’imminente nuova prova su lunga distanza.

Ritroviamo J.G. Arts con il suo progetto solista Doomcult, a due anni di distanza da End All Life.

Ashes è un ep della durata di una ventina di minuti nel corso del quale il musicista olandese esibisce la sua forma di doom piuttosto particolare, caratterizzata sicuramente da un’interpretazione vocale che appare una sorta di ringhiante recitazione in stile Mr.Curse degli A Forest Of Stars.
Tale elemento è quello che potrebbe risultare in fin dei conti divisivo nei confronti dell’audience, perché comunque Arts ha molto da raccontare e quindi le parti vocale si stagliano per la maggior parte del lavoro al di sopra dei passaggi musicali, basati su un doom abbastanza mosso per quanto scorrevole e lineare.
Dei tre brani presenti in scaletta, Sulphur è il più lungo e movimentato, decisamente più caratterizzante rispetto alla title track che si snoda in maniera più morbida ma anche più canonica, mentre Black Fire vede i ritmi farsi più rallentati e anche più enfatici, grazie ad uno sviluppo melodico molto valido.
Indubbiamente sono cambiate diverse cose rispetto al precedente full length, ma la sensazione è che questa transizione sia ancora in corso e, a tale proposito, sarà interessante constatarne gli sviluppi in occasione dell’imminente nuova prova su lunga distanza.
Per ora Doomcult è un nome interessante ma ancora di prospettiva, del quale si può di dire di certo il solo fatto che le note di accompagnamento, che parlano di ispirazione proveniente dalla sacra triade albionica, appaiono fuorvianti, a differenza dei riferimenti più calzanti che suggeriscono un annerimento del sound nel solco di nomi come Urfaust, Celtic Frost and Bathory.

Tracklist:
1. Sulphur
2. Ashes
3. Black Fire

Line-up:
J.G. Arts – Everything

DOOMCULT – Facebook

Ink – Whispers Of Calliope

Gli Ink danno alle stampe, tramite la Wormholedeath, questo bellissimo album di cover degli artisti che più hanno ispirato la loro musica, in una versione personalissima e molto sentita.

Poesia in musica, magari già scritta da altri e solo riproposta ma sempre di poesia si tratta.

Gli Ink danno alle stampe, tramite la Wormholedeath, questo bellissimo album di cover degli artisti che più hanno ispirato la loro musica, in una versione personalissima e molto sentita.
Ne escono undici perle trovate nell’universo musicale attraverso due decenni, gli anni ottanta e i novanta, raccolti in questo carillon che all’apertura, come d’incanto, sprigiona introversa e drammatica musica rock.
Gli Ink hanno fatto un gran lavoro, adattando canzoni lontane tra loro e trasformandole a piacimento così da formare una tracklist che rasenta la perfezione, omogenea e ottimamente calata nel sound semi acustico di Whispers Of Calliope.
Come rappresentato in copertina non ci resta che farci chiudere gli occhi da Chris Tsantalis e compagni e lasciarci trasportare tra le note semiacustiche, a tratti supportate da una base elettronica, di Sober, brano d’apertura e capolavoro dei Tool.
Un’interpretazione spettacolare per il singer greco è quella che possiamo ascoltare nella successiva In A Manner Of Speaking, splendida canzone dei Tuxedomoon, così come nella famosa Rebell Yell di Billy Idol, due dei brani più sentiti e riusciti di questa raccolta.
Gli Ink trovano la formula per rendere magica l’atmosfera di Whispers Of Calliope, cercando nel sound dei The Tea Party e del Chris Cornell solista il segreto per un’interpretazione magistrale, con il secondo e mai dimenticato artista americano tributato con la magnifica Hunger Strike, dall’unico capolavoro dei Temple Of The Dog.
Vi sembrerà alquanto strano trovare un voto così alto per un album di cover, ma garantisco che Whispers Of Calliope è quanto di più emozionante abbia ascoltato negli ultimi tempi per quanto riguarda il genere.

Tracklist
1.Sober
2.In a Manner of Speaking
3.First We Take Manhattan
4.Rebel Yell
5.Like The Way I Do
6.Hurt
7.Disarm
8.Knife Party
9.Never Tear Us Apart
10.Come Live With Me
11.Hunger Strike

Line-up
Chris Tsantalis – Vocals
Kostas Apostolopoulos – Guitars
Stavros – Tsantalis – Drums
Kostas Ketseris – Bass

INK – Facebook

From Ashes Reborn – Existence Exiled

Il sound offerto è quanto di più classico ci si possa attendere: il quintetto torna alla fonte del melodic death, quindi ci si possono dimenticare partiture folk, prog o ispirate ai suoni del nuovo continente, al limite la band inserisce qualche accelerazione thrash, ma l’atmosfera che si respira è quella degli storici esordi dei primi anni novanta che diedero il via alla propagazione di queste sonorità.

Il melodic death metal di matrice scandinava continua a regalare ottimi lavori per i fans che, fin dai primi anni novanta, sono rimasti legati a questo sottogenere.

Sono passati ormai quasi trent’anni da quando le icone scandinave muovevano i primi passi, idolatrate dagli addetti ai lavori come nuova frontiera del metal e seguite dagli amanti dei suoni estremi, tra un lavoro di death metal classico e uno divorato dalla fiamma nera del black metal.
Nel corso degli anni il melodic death metal ha fagocitato più di un genere e ha dato i natali a gruppi che lo hanno portato in lidi progressivi e folk, senza dimenticare la strada moderna presa e seguita da molti colleghi degli In Flames.
Questa giovane band tedesca chiamata From Ashes Reborn debutta con Existence Exiled, una mezzora di death melodico prodotta in collaborazione con Markus Stock (Empyrium, The Vision Bleak, Sun of the Sleepless) e registrata ai Klangschmiede Studio.
Il sound offerto è quanto di più classico ci si possa attendere: il quintetto torna alla fonte del melodic death, quindi ci si possono dimenticare partiture folk, prog o ispirate ai suoni del nuovo continente, al limite la band inserisce qualche accelerazione thrash, ma l’atmosfera che si respira in brani come Fight For The Light, The Essence Of Emptiness o la title track, è quella degli storici esordi dei primi anni novanta che diedero il via alla propagazione di queste sonorità.
E’ brava la band a risparmiarci clean vocals tanto di moda oggigiorno, aggredendoci invece con brani strutturati sul gran lavoro delle chitarre dall’anima classica, con solos e ritmiche che mantengono una velocità di crociera da ritiro immediato della patente.
Fortunatamente non si viaggia con mezzi a quattro o due ruote, ma con il lettore sempre pronto a spingerci indietro nel tempo, mentre Skydancer dei Dark Tranquillity, A Velvet Creation degli Eucharist o Lunar Strain degli In Flames, come per magia cominciano a brillare di una luce intensa in mezzo alla raccolta di cd in bella mostra vicino al vostro stereo.

Tracklist
01.The Onerous Truth
02.Fight For The Light
03.Follow The Rising
04.The Essence Of Emptiness
05.Infected
06.Existence Exiled
07.Homicidal Rampage
08.The Splendid Path

Line-up
Ronni – Vocals
Dirk – Lead & solo guitar
Sebastian – Rhythm guitar & backing vocals
Tobias – Bass
Thomas – Drums

FROM ASHES REBORN – Facebook

EDWARD DE ROSA

Il lyric video di Legend: The Omega Man, dall’album Zeitgeist in uscita a ottobre (Revalve Records).

Il lyric video di Legend: The Omega Man, dall’album Zeitgeist in uscita a ottobre (Revalve Records).

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Zeitgeist will be available on October 26th via Revalve records.

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Barreleye – Insidious Siren

Il quintetto berlinese ha dalla sua questa ottima vena progressiva per cui i brani non lasciano mai nulla di scontato, dimostrandosi vari e molto ben suonati, con le due voci che si danno il cambio, una più dura e rabbiosa, l’altra pulita ma comunque maschia.

I Barreleye arrivano da Berlino e sono una thrash groove metal band che non disdegna trame progressive, pur mantenendo una potenza di fondo impressionante.

Questo ep segue di tre anni il primo lavoro su lunga distanza (Urged To Fall) e di quattro l’esordio in formato ep (Virus), un lavoro che si divide nell’opener Cosmic Downfall e nelle tre parti della title track.
Il quintetto tedesco risulta una gradita sorpresa: Insidious Siren si propone come un devastante esempio di thrash progressivo, dall’anima moderna e devastato da improvvise accelerazioni ma che si nobilita per il ricorso a momenti di quiete prima che ripartenze thrash tornino a far cavalcare le onde del metal più riottoso e groove.
Il quintetto berlinese ha dalla sua questa ottima vena progressiva per cui i brani non lasciano mai nulla di scontato, dimostrandosi vari e molto ben suonati, con le due voci che si danno il cambio, una più dura e rabbiosa, l’altra pulita ma comunque maschia, in un susseguirsi di metalliche scale tecnicamente ineccepibili, veloci e coinvolgenti.
E’ nelle tre parti della title track che si concentra il massimo sforzo dei Barreleye, una tempesta marina con alte onde estreme che si infrangono su un muro di groove, con momenti di intricati risucchi progressivi che portano a riva resti di imbarcazioni dai nomi storici come Mastodon e Grip Inc. , influenze neanche troppo velate del gruppo.
Un ottimo ep consigliato ai fans del genere più tecnico e progressivo e nuovo gruppo da seguire nelle sue prossime mosse.

Tracklist
1.Cosmic Downfall
2.Insidious Siren I – Overcome
3.Insidious Siren II – The Tyrants Is Dead
4.Insidious Siern III – Long Live The Tyrant

Line-up
Danilo Garbe – Guitar
David Nelband – Vocals
Dmitry Frolov – Drums
Christoph Witte – Guitar
Szymon Lesniewski – Bass

BARRELEYE – Facebook

Behemoth – I Loved You At Your Darkest

I Loved You At Your Darkest è un album magnifico, vera arte estrema dall’appeal altissimo anche per chi è solito ad ascolti più melodici, orchestrato a meraviglia, prodotto perfettamente e composto da dieci brani, più intro ed outro, del tutto inattaccabili.

Tornano, a pochi mesi di distanza dal notevole Messe Noire (live che immortalava la band nel tour del precedente capolavoro The Satanist), i Behemoth, probabilmente il più famoso e controverso gruppo estremo attualmente in circolazione.

Nergal oltre ad essere un ottimo musicista e songwriter, è un infallibile manager di sé stesso e del gruppo, tanto che la pubblicazione di questo nuovo I Loved You At Your Darkest è seguita ad un periodo di polemiche e trovate assurdamente geniali che poco hanno a che fare con la musica e molto con il business.
Ma qui siamo su MetalEyes, quindi poco inclini ai pettegolezzi e concentrati su quello che i gruppi hanno da offrire in termini musicali e l’ultimo lavoro dei Behemoth, da questo punto di vista, non delude le aspettative.
Ovviamente Nergal e soci non sono più la black metal band di inizio carriera o quella che di fatto, ha contribuito allo sviluppo del blackened death in tutto il mondo, ma si sono trasformati in una creatura satanicamente gotica, magniloquente e a suo modo teatrale, puntando molto sull’impatto visivo (basti vedere i curatissimi, ultimi video) senza perdere un’oncia dell’attitudine diabolica che ne ha incrementato la fama.
Fin dai primi due singoli e video (God = Dog e la magnifica ed evocativa Bartzabel) si evince che la band ha ormai cambiato registro, limitando rispetto al passato le devastanti accelerazioni di stampo black per avvolgerci in un nero drappo gothic/death, ed il risultato farà sicuramente storcere il naso a molti fans della prima ora, ma ha del clamoroso per la sua resa finale.
I Loved You At Your Darkest è dunque un album magnifico, vera arte estrema dall’appeal altissimo anche per chi è solito ad ascolti più melodici, orchestrato a meraviglia, prodotto perfettamente e composto da dieci brani, più intro ed outro, del tutto inattaccabili.
Nergal, Orion ed Inferno hanno saggiamente optato per un sound di facile presa, almeno per i canoni del genere, creando un sound che unisce a quel poco di blackened death metal rimasto, gothic metal ed atmosfere dark rock in una versione estrema feroce ed orchestrale di Fields Of The Nephilim e Sisters Of Mercy.
I brani non lasciano spazio a indecisioni strutturali, tutto funziona a meraviglia e I Loved You At Your Darkest rappresenta l’ennesimo imperdibile centro di un artista a suo modo geniale.

Tracklist
1. Solve (Intro)
2. Wolves Ov Siberia
3. God = Dog
4. Ecclesia Diabolica Catholica
5. Bartzabel
6. If Crucifixtion Was Not Enough
7. Angelvs XIII
8. Sabbath Mater
9. Havohej Pantocrator
10. Rom 5 8
11. We Are The Next 1000 Years
12. Coagula (Outro)

Line-up
Nergal – Vocals, Guitars
Orion – Bass, Vocals
Inferno – Drums

BEHEMOTH – Facebook

Lovecraft in Rock: una prima ricognizione

Gruppi e artisti che si sono rifatti a HPL sono stati innumerevoli, pertanto la presente ricognizione mira solo a rompere il ghiaccio (cosmico) e a sgrezzare la pietra (nera).

Un grandissimo scrittore come Howard Phillips Lovecraft – il padre del fantastico moderno e della fantascienza orrorifica – non poteva non ispirare, sul piano delle suggestioni letterarie e filosofiche, l’universo del rock, e del metal in particolare.

Due in particolare sono stati, della vasta narrativa del solitario di Providence, i filoni che hanno esotericamente nutrito l’immaginazione di infinite schiere di musicisti: l’orrore cosmico e quello marino. Lo vedremo più in dettaglio, in questa rassegna, che, tuttavia, non ha alcuna pretesa di completezza ed esaustività assolute (sarebbe impossibile).
Gruppi e artisti che si sono rifatti a HPL sono stati innumerevoli, pertanto la presente ricognizione mira solo a rompere il ghiaccio (cosmico) e a sgrezzare la pietra (nera).
Altri studi sull’argomento dovranno in seguito necessariamente venire, anche perché il tema si presta non soltanto ad un articolo (o ad una serie di articoli), quanto piuttosto a un libro vero e proprio, che a quanto ci risulta ancora manca nel panorama editoriale italiano.
Il discorso in merito finisce per riguardare anche il piano iconografico, visto che grandi illustratori che tanto hanno lavorato con band di area metal – Micheal Whelan, solo per fare qui un esempio – si sono rivelati largamente debitori verso l’immaginazione lovecraftiana e tutto ciò a cui essa mette capo (geometrie impossibili, altri mondi, entità aliene, minacce insondabili provenienti dallo spazio, mari oscuri popolati da mostri indicibili, nonché paesaggi onirici).
Iniziamo questa nostra ricognizione preliminare cogli imprescindibili pionieri H.P. Lovecraft, nati a Chicago sul finire degli anni Sessanta del secolo scorso e divenuti, dopo i primi due dischi, molto più semplicemente Lovecraft.
Proponevano un hard prog primevo, influenzato dai maestri inglesi – Pink Floyd e Procol Harum in testa – incorporandovi altresì influenze più americane (leggasi Love, CSNY, Steve Miller).
Il loro Valley of the Moon guardava oltre che a HPL anche a Abraham Merritt (altro grande scrittore affine al solitario di Providence e, da lui, molto amato).
Degli H.P. Lovecraft, in questa sede, possiamo senz’altro consigliare le due raccolte At the Mountains of Madness (1988) e Dreams in the Witch House (2005), che fin dal titolo richiamano, in maniera esplicita e voluta, due dei maggiori racconti lovecraftiani, traducendoli in musica attraverso trame sonore assai suggestive ed eteree, con divagazioni folk e belle tastiere.
Gli stessi testi della band altro non erano se non veri e propri adattamenti delle poesie scritte da HPL (edite in Italia, da Agfa Press, con il titolo Il vento delle stelle qualche anno fa).

Restando nel periodo degli albori del progressive e spostandoci in Gran Bretagna, è impossibile non menzionare gli Arzachel di Canterbury, che nel 1969 dedicarono un brano del loro debutto (rimasto senza seguito: una vera meteora) al minaccioso Azathot.
Anche i Black Widow, nel loro capolavoro Sacrifice (1970), furono influenzati tra gli altri dagli incubi di HPL.
Né possiamo scordare gli High Tide del violinista Simon House, con il loro Sea Shanties (1969), ispirato agli orrori marini descritti in termini sublimi ed inquietanti da HPL in pagine di prosa barocca rimaste immortali, non solo per gli estimatori.
L’hard rock anglo-americano dei Seventies vide due gruppi soprattutto cimentarsi con liriche e temi di matrice lovecraftiana: ci riferiamo agli statunitensi Blue Oyster Cult (in più dischi) e soprattutto ai Black Sabbath, i quali inserirono nel loro esordio omonimo del 1970 un brano molto evocativo e rappresentativo, se non emblematico, come lo stupendo Behind the Wall of Sleep, impregnato sino al midollo di atmosfere evocative ed ancestrali rese con suoni oscuri e cadenzati. Il racconto Oltre il muro del sonno, si sa, data 1919 ed è una delle cose migliori scritte da HPL, allora agli inizi del suo percorso di autore.
Il vero revival lovecraftiano è tuttavia cominciato con gli anni Ottanta (per non cessare poi più).
Nel 1984, i Metallica omaggiarono HPL con lo strumentale The Call of Ktulu, nel loro storico secondo album Ride the Lightning, prodotto, come noto, da Fleming Rasmussen in Danimarca e dominato da ricerche sulle linee armoniche che hanno fatto veramente epoca ed aperto una strada a generazioni di musicisti.
I Metallica hanno successivamente composto almeno un altro brano, debitore verso il talento visionario e occulto di Lovecraft, The Thing That Should Not Be, omaggio a La maschera di Innsmouth.
Ma anche il loro ultimo lavoro, l’eccellente e sottovalutato Hardwired to Self-Destruct è intriso di aromi lovecraftiani: anche sotto questo profilo, un autentico ritorno al passato.
Rimanendo in ambito thrash e speed, possiamo annoverare i geniali Mekong Delta di The Music of Erich Zann (1988, omaggio dichiarato all’omonimo racconto di HPL) e i Necronomicon (pure loro tedeschi, da pochi anni riformatisi).

Fra epic metal e thrash, quello che è uno dei migliori dischi dei Manilla Road, Out of the Abyss (1989), celebra il sognatore di Providence fin dal titolo. Tra heavy classico e speed-thrash teutonico d’alta scuola rammentiamo quindi i Rage, con due lavori del tutto lovecraftiani, come il capolavoro Black in Mind (1995) e l’ottimo Soundchaser (2003).
Altrettanto si può affermare per la canzone Cthulhu incisa dagli Iced Earth, nel 2014, a mezza strada fra thrash-speed americano e dark metal epico anni Ottanta.
Il metal classico ha omaggiato HPL con gli Arkham Witch (tra Black Sabbath era Dio e primi Iron Maiden) e con gli ellenici Diviner di Fallen Empires (stile Accept-Judas Priest-King Diamond), fin dalla grafica di copertina e da certi testi.
Lovecraftiani sono stati, in A’arab Zaraq / Lucid Dreaming (1997), gli svedesi Therion, a cavallo tra hard sinfonico e gothic melodico (peraltro non certamente il loro prodotto migliore).
Su lidi contrassegnati da una bella ricerca melodica si collocano anche gli hard-glamsters Casablanca di Miskatonic Graffiti (al loro fianco troviamo Per Wiberg, tastierista di Spiritual Beggars e Grand Magus) e i finnici Eternal Silence di Chasing Chimera (2015), bel disco di pomp metal stampato dall’italiana Underground Symphony.
E’ stato specialmente nel settore dell’extreme metal che l’influenza di HPL si è fatta di più sentire. Il death metal nella fattispecie è stato moltissime volte più lovecraftiano di altri generi.
Basti pensare alle discografie di numeri uno, quali Morbid Angel e Hate Eternal. Floridiani come loro sono stati anche gli storici Massacre, tra i padri del death a stelle e a strisce, che si sono apertamente rifatti al genio di Lovecraft per il loro seminale debutto, del 1991, sin dal titolo (From Beyond) e dalla cover (opera di un mago del disegno horror, Ed Repka).
Altri acts di death lovecraftiano da ricordare sono i messicani Shub Niggurath (uno dei Grandi Antichi) con A Deadly Call from the Stars e gli iberici Graveyard (su etichetta War Anthem Records).
Anche gli alfieri del brutal più tecnico e epico, cioè i californiani Nile, hanno tratto gran frutto e giovamento dalla lettura, attenta e competente, dei Miti di Cthulhu.
Altro grande ammiratore di HPL è stato in America il chitarrista James Murphy, che con l’unico disco dei suoi Disincarnate ha fornito una colta e fedele ricreazione in chiave death dei temi e delle tetre atmosfere lovecraftiane, ispirandosi dichiaratamente pure a Brian Lumley, tra i migliori continuatori nel secondo Novecento dell’opera di HPL.
In generale, tra quei gruppi che attingono in ambito death ad elementi fantastici e fantascientifici (gli orizzonti aperti in Florida, a inizio anni ’90, dai seminali Nocturnus), una delle fonti più citate è proprio quella costituita dai racconti di HPL.

In questi ultimi anni, sono infatti cresciute di numero le band dedite esclusivamente all’esplorazione in chiave death di scenari come quelli dello scrittore di Providence: poniamo mente agli Starspawn, ai Sulphur Aeon di Gateway to the Antisphere, agli Chthe’ilist di Le Dernier Crépuscule, così come agli svedesi – e con svariati album in carniere – Puteraeon, o ancora ai francesi Monsterbrau (fra death e grindcore), ed i brasiliani Sanctifier.

Vengono, invece, dal techno-death, i Gigan di Tampa: per loro sono già quattro i compact, dal suono spaziale e progressivo, cosmico e violentissimo, cupo e sperimentale. Una delle migliori band degli ultimi anni, non soltanto per i richiami a HPL.

Sempre death, ma colombiani, gli apocalittici Yogth Sothoth. Un nome, una garanzia.
Passando al black metal, qui i nomi da fare sarebbero persino troppi. Scegliamo di segnalare almeno gli statunitensi Dagon (la divinità sumera degli oceani primordiali che ispirò l’omonimo racconto di Lovecraft ed il seguito di Fred Chappell, pubblicato nel nostro paese da Urania), i fantastici Great Old Ones dalla Francia, gli US blacksters Necronomicon (da non confondersi con i colleghi thrash della Germania) con il loro mix di Dimmu Borgir e Behemoth.
Evidentemente il nichilismo del BM ha trovato nella letteratura di marca lovecraftiana terreno fertile da investigare e da rappresentare in musica, in particolare relativamente al nichilismo anti-antropocentrico ed alla glaciale alterità di un universo caotico e negativo, rovesciato di segno rispetto al più rassicurante quadro teologico della astronomia gravitazionale newtoniana sei e settecentesca, codificata dalla cultura dell’Illuminismo, francese ed europeo, nel XVIII secolo.
Argomenti che molto stavano a cuore a Lovecraft, come la sua sua biblioteca – il cui catalogo è stato da poco pubblicato – ed i suoi carteggi provano senza più ombra alcuna di dubbio.
Tra black post-industriale e dark ambient elettronico si sono mossi poi gli inglesi Axis of Perdition,
autori di svariati lavori assai astratti e complessi, quasi una traduzione in chiave futuristica (usando i campionamenti e la programmazione tecnologica in una chiave aggressiva e modernista) di liriche e ambientazioni lovecraftiane.
Il dark ambient più astratto ha omaggiato diverse volte, da parte sua, il genio di HPL: si ricordino i Kammarheit di R’lyeh (2002) e Cthulhu (2014), quest’ultimo un tetro e inquietante abisso sonoro, fatto di tonalità oscure, realizzato in collaborazione con altri quattordici artisti ed edito dalla Cryo Chamber.
Né vanno dimenticati, nel genere, gli Aklo di Beyond Madness (2005) ed i notturni e ritualistici Dead Man’s Hill di Esoterica Orde de Dagon (2008), molto bello anche come confezione (in formato libro).
Molto di HPL anche nel doom. Pensiamo solo ad una canzone come Dunwich degli inglesi Electric Wizard, a un disco come Raised by Wolves (2011) dei Serpentcult (ottimi interpreti belgi di sludge e doom atmosferico), allo stoner-doom degli Space God Ritual, nonché ai grandiosi Ahab, gruppo eccezionale e responsabile del cosiddetto ‘nautic funeral doom’, che tanto deve agli orrori marini, sia di Lovecraft, sia del suo maestro britannico William Hope Hodgson.
L’ultimo disco degli Ahab, non a caso, si intitola The Boats of Glen Carrig, opera magna di Hodgson che Fanucci tradusse nel 1974 in italiano.
Più antico nelle scelte timbriche e ostentatamente retrò il dark-doom sepolcrale e sinistro dei Bloody Hammers, mentre sono da apprezzare anche i Doom’s Day, i Void Moon, i Wo Fat  di Psychedelonaut, i Fungoid Stream, i Bretus di The Shadow Over Innsmouth e gli High on Fire di De vermis mysteriis: il libro maledetto attribuito da HPL e dal suo amico e discepolo Robert Bloch alla fantomatica e leggendaria figura dell’alchimista-negromante Ludwig Prynn, vissuto tra il XVI e il XVII secolo.

Sempre in campo heavy-doom, vanno menzionati anche i lovecraftiani Demon Eye, anche loro assai validi.
Nel funeral doom più intransigente, evocativo e materico, vanno inclusi poi i Catacombs americani, che hanno dedicato il loro unico lavoro, In the Depth of R’lyeh (2006), alla città sommersa ove dorme il suo sonno millenario Cthulhu.
Fra doom atmosferico, post-metal, prog e math-rock lovecraftiano, infine, gli interessantissimi Labirinto di Gehenna (2016), tra le sorprese più accattivanti e da seguire dell’ultimo quinquennio.
Esplicitamente lovecraftiano è il progetto internazionale Space Mirrors, della tastierista russa Alisa Coral, cui di deve uno space rock elettronico e metallizzato, con inserti post-black.
Da avere almeno la trilogia di Cosmic Horror (2012-2015).

Più classicamente prog – nel senso analogico, valvolare e caldo del termine – la proposta dello svedese Annot Rhul (ora su Black Widow Records), che nello splendido Leviathan omaggia tanto HPL quanto la grande scuola nordica di Anglagard, Anekdoten e Landberk: un grande esempio di dark prog, non dissimile da quello dei nostrani Ingranaggi della Valle, che nel loro Warm Spaced Blue – sempre della scuderia Black Widow – si sono consacrati ad una intensa e raffinata rilettura musicale dei Miti di Cthulhu.
Restando in Italia, rammentiamo pure i fiorentini Goad, tra hard prog e dark wave – non senza echi folk alla Paul Roland, altro artista di scuola lovecraftiana – i quali a HPL hanno dedicato tra l’altro il loro bucolico The Wood (2006), un disco intriso di poesia arcana e riferimenti letterari.
Metal e non solo metal, come vediamo. Lovecraft ha ispirato infatti anche artisti zeuhl e euro-rock, come i belgi Univers Zero, che gli hanno tributato la cameristica La Musique d’Erich Zann, grande improvvisazione dissonante e crimsoniana, contenuta nel loro Ceux du Dehors (1981).
Altro pezzo improvvisato è la jam dedicata nel 1988 dai Bevis Frond al fiume Miskatonic, del New England, la cui geografia di fatto HPL riscrisse in versione immaginaria e fantastica.
Astratti ed avveniristici, i francesi Shub-Niggurath hanno preso il nome – come i loro colleghi deathsters meso-americani – da una delle creature di Lovecraft.
Musicalmente vicini ai Magma più caotici e destrutturati, hanno intitolato a Yog-Sothoth una composizione, di oltre undici minuti, presente sul loro disco omonimo, uscito per Musea nel 1985.
Persino il crust punk e l’hardcore più weird non hanno mancato di rivolgersi all’universo di HPL.
Al riguardo, possiamo citare i fenomenali Rudimentary Peni, gruppo davvero oltranzista e feroce, che a Lovecraft ed al suo mondo si è rivolto in un lavoro quali Cacophony, da molti punti di vista vicino nelle sonorità al grindcore di primi Napalm Death, Heresy e Unseen Terror, nonché al punk-metal di Broken Bones, Discharge e (Charged) GBH.
Veniamo alle compilation. Da possedere assolutamente The Stories of H.P. Lovecraft, cofanetto in 3 CD, pubblicato dalla francese Musea, che tributa in chiave prog il solitario di Providence.
Figurano, fra i partecipanti all’operazione, Glass Hammer, Karda Estra, La Coscienza di Zeno, Guy Le Blanc (keybords-wizard dei canadesi Nathan Mahl e anche negli ultimi Camel), Sithonia, Daal e Nexus tra gli altri.
Altro CD collettivo che gli appassionati non potranno obliare è di certo Yogsothery, edito da I Voidhanger: quattro band – Jaaportit, Umbra Nihil, Aarni e Caput I,VIIIm – che tra dark ambient e post black atmosferico-escatologico esplorano, con un brano ognuna (la durata delle tracce va dagli undici ai ventinove minuti), l’universo d’uno dei più grandi scrittori del XX secolo.

BLACK TIGER

Il video di “Don’t Leave Me”, dall’album Black Tiger di imminente uscita (Freemod).

Il video di “Don’t Leave Me”, dall’album Black Tiger di imminente uscita (Freemod).

La band Melodic Rock della Repubblica Ceca presenta il primo singolo estratto dal loro omonimo album di debutto, che verrà pubblicato il 12 Ottobre per Freemood, etichetta del gruppo Tanzan Music.

Il video è ambientato al Bounty Rock Café, live club della città di Olomouc, Repubblica Ceca e mostra la band intenta a prepararsi per il loro live accompagnata da amici e fans; il tutto diretto e filmato da Vojta Malik e Michal Plos di CUTS Production.

“Don’t Leave Me” così come il resto del disco sono stati prodotti da Mario Percudani (Hungryheart, Hardline) al Tanzan Music Studio.

L’album è un mix di AOR e Hard Rock melodico con l’accento sulle melodie, grandi ritornelli, ricche chitarre elettriche, arrangiamenti innovativi e un suono decisamente potente.
L’album contiene dieci brani originali con ospiti molto popolari della scena melodic rock internazionale come Dan Reed (Dan Reed Network), Mario Percudani e Josh Zighetti (Hungryheart), Giulio Garghentini e molti altri.

I Black Tiger sono una band che mischia AOR e Hard Rock, gli unici a rappresentare questo genere in Repubblica Ceca. Il gruppo ha già all’attivo tre EP: “All Over Night” (2010), “Road To Rock” (2013) e “Songs From Abyss” (2015), gli ultimi due con ospite Dan Reed. I dischi hanno ricevuto buone recensioni dalla critica specializzata come “Powerplay” e “Classic Rock Presents AOR”. I Black Tiger hanno suonato in molti club e festival in Repubblica Ceca, Germania, Polonia e Slovacchia, condividendo il palco con artisti della scena melodic Hard Rock come House Of Lords, Dan Reed, Pretty Maids, Mike Tramp, Little Caesar, Hungryheart, Michael Schenker e molti altri ancora.

www.blacktigerband.com

www.facebook.com/blacktigerband

Cage – Images

Images rappresenta il ritorno dei toscani Cage con una nuova line up ed un sound che sposa il progressive rock con la new wave ed il pop.

I toscani Cage possono sicuramente essere considerati dei veterani della scena progressive rock tricolore, essendo attivi dalla prima metà degli anni novanta, con il debutto The Feeble Minded Man datato 1994 e poi, tra gli altri, con gli ultimi due album per la storica label francese Musea Records: 87/94 del 2002 e Secret Passage, uscito nel 2007 e rimasto fino ad oggi il loro ultimo lavoro.

Undici anni sono passati prima che i due membri storici Andrea Mignani e Andrea Griselli, con l’aiuto dei nuovi arrivati Leonardo Rossi al basso, Damiano Tacchini pianoforte e tastiere, Diletta Manuel al microfono e Giulia Curti alle percussioni e seconda voce, tornassero con il nuovo album Images, allontanandosi dal progressive per sposare sonorità rock sempre eleganti e raffinate ma più dirette, lasciando alle tastiere il compito di tirare le fila con il passato (Julia Dream) e portando il proprio sound verso un rock ispirato dalla new wave, con più di un accenno a suoni alternative (il singolo Flow Of Time).
Il resto dell’album, iniziando dal brano che porta il nome del gruppo, si assesta su un rock che supporta le voci dal timbro pop delle due muse al microfono, alternando impennate elettriche e raffinate trame che scivolano su uno spartito dall’ottimo appeal melodico, con le bellissime Drowning e Words, brano che risulta il più progressivo dell’intero lavoro, moderno nei suoni e spettacolare nel solo che accompagna l’album alla sua spettacolare conclusione.
Dopo così tanto tempo ci si poteva aspettare magari qualcosina in più a livello quantitativo, con sette brani per solo mezzora di musica, ma ci si può accontentare dando il benvenuto ai nuovi Cage.

Tracklist
1.Black Hole
2.Cage
3.Drowning
4.Images
5.Julia Dream
6.Flow Of Time
7.Words

Line-up
Andrea Mignani – Chitarra
Damiano Tacchini – Piano, Tastiere
Diletta Manuel – Voce
Giulia Curti – seconde voci, Percussioni
Leonardo Rossi – Basso
Andrea Griselli – Batteria

CAGE – Facebook

Atomicide – Furious And Untamed

Il sound prodotto sui due lati del disco risulta travolgente, il growl brutale racconta di morte e devastazioni su ritmiche che si rivelano vortici di musica violentissima.

La scena estrema sudamericana è una delle più prolifiche per quanto riguarda l’underground mondiale, pregna com’è di maligna attitudine che non lascia spazio a compromessi e viaggia spedita verso la dannazione eterna.

Il Cile, come gli altri paesi, ha un sottobosco metallico da cui escono mostruose realtà estreme come gli Atomicide, band attiva dalla prima metà del nuovo millennio, un trio di death/thrash metal devastante che torna sul mercato con Furious And Untamed, 7″ rigorosamente in vinile prodotto dalla Iron Bonehead Productions.
La discografia consta di un buon numero di ep, split e demo e di due lavori sulla lunga distanza usciti tra il 2013 ed il 2015 (Spreading The Cult Of Death e Chaos Abomination) per questo trio di musicisti estremi che si cimentano in un massacro sonoro, un vortice di caos in musica, una micidiale e terrificante guerra che porta morte e distruzione, un vento atomico che spazza via uomini e cose e lascia solo apocalittiche visioni intorno a se.
Sono estremamente furiosi i tre deathsters sudamericani, il sound prodotto sui due lati del disco risulta travolgente, il growl brutale racconta di morte e devastazioni su ritmiche che si rivelano vortici di musica violentissima; qualche accenno di frenata è la scusa per affondare il colpo, potente ed imperioso, mentre il caos regna tra le note della title track e di Flagellant Rust.
Morbid Angel, Bolt Thrower e Slayer sono lo spunto primario per descrivere gli scenari di morte e le apocalittiche visioni di cui gli Atomicide sono perfetti cantori: non resta che attendere il prossimo capitolo sulla lunga distanza.

Tracklist
1.Intro/Furious And Untamed
2.Flagellant Rust/Outro

Line-up
Atomized – Bass, Vocals
A.Prophaner – Drums
Deathbringers – Guitars

ATOMICIDE – Facebook

Ordinul Negru – Faustian Nights

Dopo Sorcery of Darkness, album che ha sancito definitivamente il passaggio da one-man band a vero e proprio combo, gli Ordinul Negru ci donano un’altra perla di black metal maturo, mai scontato, coinvolgente ed ammagliante.

Fulmineos, fronmant degli Ordinul Negru (ed ex voce e chitarra dal 2010 al 2013 degli storici Negura Bunget) è sicuramente un polistrumentista ed un artista fuori dal comune.

Una carriera di quasi trent’anni, incentrata pressoché unicamente nell’ambito del black metal; una serie di band (se ne contano almeno 15 tra le più famose) e con alle spalle almeno 50 produzioni (tra full-length, split, demo ed ep) e una spiazzante semplicità nel passare da uno strumento ad un altro (dalla chitarra al basso, dalla batteria alle tastiere, senza dimenticare la costante “vocals” in quasi tutte le sue band, di cui spesso è anche stato compositore di musiche e liriche) hanno reso questo artista, negli anni, una vera e propria icona del genere e fonte di ispirazione per molte band , anche al di fuori della stessa Romania.
Amante della lettura, della pittura Impressionista e di quella Surrealista, assiduo frequentatore di musei ed accanito cinefilo, Fulmineos ha da sempre arricchito ed impreziosito le sue composizioni, grazie alla sua grande cultura poliedrica.
Come detto, la sua attività di musicista si è incentrata pressoché completamente in ambito black, sebbene alcune sue band presenti e passate, subiscano forti influenze folk (Fogland), Industrial (Ekasia) e death (Apollinic Rites), con qualche strizzatina d’occhio a post metal, gothic, atmospheric e ambient.
In tutta franchezza, ci si può permettere di spaziare in così tanti generi e sottogeneri musicali, suonando differenti strumenti, unicamente quando ispirazione artistica, vena compositiva e capacità strumentali, sono parte integrante del proprio DNA.
Nati come one-man band, e rimasti tali sino all’album del 2011 (Nostalgia of the Fullmoon Nights), gli Ordinul Negru vantano ben 8 album, moltissimi split (guarda caso alcuni dei quali realizzati proprio con gli altri gruppi di Fulmineos), un ep e un demo. Il genere proposto è black metal con connotazioni esplicitamente mediterranee (molto Rotting Christ, ad essere sinceri) e tematiche sempre orientate verso i lati oscuri e più arcani della natura e dei miti ad essa connessi (come Dioniso, il Dio Greco della natura, della danza e del vino, forse meglio conosciuto – ed amato… – col nome di Bacco).
L’ultimo album Faustian Nights – uscito per la rumena Loud Rage Music – si dipana su 8 tracce della durata totale di circa 47 minuti.
Antiche magie ed oscuri poteri correlati ad una natura non sempre benevola, riferimenti alle mitologie greche, nonché espliciti nessi a personaggi della storia romana (“Burn it! Burn the city of Rome!”. Quasi un omaggio a Nerone nella track Oculta Kormos) costituiscono l’immutabile costante del pensiero del compositore.
Approaching the Door of Damnation (unico pezzo che vede come main vocalist il nuovo membro Urmuz – già seconda chitarra degli O.N.- e non Fulmineos) fin dai primi secondi ci accompagna in una mortuaria passeggiata verso la porta della dannazione eterna. Illusi dai primi accordi dall’incedere funereo, che ci fa presumere di essere di fronte ad un classico funeral black, crolliamo di fronte ad un esplosione di up-tempo black tiratissimi. E qui, la seconda illusione, interpretando (erroneamente) i primi lentissimi secondi del pezzo, come una semplice intro di una traccia di hyper black che ci induce in una corsa sfrenata, ci sfracelliamo contro un miscellaneous musicale, rimbalzando tra up-tempo, mid-tempo, momenti industrial, atmosfere nuovamente funerarie e sapiente utilizzo dei synth, che ci accompagnano per tutti gli 8 minuti del pezzo, quasi fossimo personaggi della “Danza Macabra”, famoso dipinto dell’introverso gotico pittore cinquecentesco, Baschenis de Averara, indotti al tenebroso ballo da ghignanti scheletri, simboli della Morte Sovrana.
Killing Tristan rappresenta l’omicidio della felicità. Un bellissimo black mediterraneo, fa da cornice ad una vera condanna verso tutto ciò che è speranza e ricerca della gioia. Un mid-tempo centrale ornato da meravigliosi orpelli melodici, smentisce drasticamente nientepopodimeno che Sant’Agostino, annichilendo chi, come molti di noi, trovò nella sua “De Beata Vita”, scampoli di speranza sulla ricerca della felicità.
In The Apocalypse Through a Hierophant’s Eye, ci caliamo in uno dei più misteriosi culti della storia. Lo ierofante, capo religioso supremo dell’antichissima Attica e potente sacerdote del culto misterico degli Eleusi, ci descrive, tra scream e voci clean, l’Apocalisse a noi miseri postulanti, come ineluttabile fine della Creazione. Il Demiurgo Fulmineos, sapiente musicista, ci indottrina sui culti esoterici, attraverso sonorità che danzano tra black metal e scaltri accorgimenti atmosferici, che rendono questa nostra iniziazione ancor più agonizzante.
Riappaiono bruscamente i Rotting Christ in Oculta Kormos, sublime traccia di maestoso black atmosferico. Qui si abbandona l’esoterismo e la cultura greca, per essere violentati dalla terribile consapevolezza che tutto ha una fine e noi, arsi vivi come Roma da Nerone, non siamo che vittime sacrificate all’arte dell’autocrate romano (“From peoples sacrifices I make my art!”).
Elder Magik segue la scia del precedente. Primordiali riti magici, di cui si è perso memoria, ci rimandano alla favolosa As If By Magic dei signori del black metal ellenico. Incalzanti mid-tempo, sostenuti da ritmiche thrash e da una doppia cassa, potente ma suonata con estrema lucidità e sagacia da Putrid, alias Andrei Jumugă, rendono il pezzo un maestoso omaggio al capolavoro A Dead Poem.
Faceless Metamorphosis sfreccia senza timori, come un razzo interstellare di nera musica, concedendo all’ascoltatore pochissime pause. Velocità mostruose e tremolo, feroci blast beat intervallati da brevi e gelidi mid-tempo, in cui il parlato talvolta sostituisce volentieri lo scream, incoronano la traccia come vero ed unico momento di black metal scandinavo di tutto l’album.
Sol Omnia Regit (il Sole regola ogni cosa, o meglio tutto dipende dal Sole) premia tutti gli amanti del black più atmosferico. La sensazione e la consapevolezza della fragilità umana, difronte all’incombenza della natura e della grandiosità del cosmo, ci annichiliscono con l’incedere della canzone, con un impianto musicale così maiestatico e monumentale, che non ci impone di leggerne il testo, per apprenderne l’immenso senso cosmico. Potrebbe anche essere un momento solo strumentale, privo quindi di lyrics esplicative ed illuminanti, tale è imponente nella sua struttura, che ci ricorda mestamente l’infinitesimale limitatezza della nostra natura umana.
La title track omaggia le notti del protagonista dell’Opera Prima di Goethe, spese tra cupi pensieri e difficili scelte tra studi intrapresi tra alchimia, filosofia e teologia, e l’oscura tentazione di accedere ai misteri della natura attraverso l’indagine e la lettura di antichi trattati sulla magia. Qui subentra il miglior Fulmineos che, attraverso le sue sopraffine doti compositive e la sua grande cultura a tutto tondo riesce, parafrasando il profondo sibillino significato dell’Opera (la natura nasconde oscuri segreti a cui accedervi è concesso unicamente tramite il Maligno – Faust invoca un elementale, accorgendosi poi di aver invece evocato Mefistofele stesso), a donarci un meraviglioso ma malvagio affresco di marmorei suoni, dolorose litanie, invocazioni musicali e magiche fosche melodie, che chiudono maestosamente questo splendido album.

Tracklist
1.Approaching the Door of Damnation
2.Killing Tristan
3.The Apocalypse Through a Hierophant’s Eye
4.Oculta Kormos
5.Elder Magik
6.Faceless Metamorphosis
7.Sol Omnia Regit
8.Faustian Nights

Line-up
Fulmineos – Guitars, Vocals, Lyrics (except track 1)
Putrid – Drums, Percussion
Orthros – Bass
Urmuz – Guitars, Vocals

ORDINUL NEGRU – Facebook

Runeshard – Dreaming Spire

Ascoltando Dreaming Spire si viene avvolti da una calda sensazione di epica bellezza e si sta bene, si viene portati in volo da un’aquila e vediamo battaglie, draghi che assaltano castelli, insomma si chiude gli occhi e si sogna, cosa non da poco in questi tempi.

Metal epico, dungeon synth, symphonic black metal, una delle migliori colonne sonore per un videogioco come se ne facevano negli anni ottanta, maestoso e cavalleresco.

Il duo ungherese dei Runeshard, qui al loro debutto, è una delle cose maggiormente originali che potete trovare in ambito metal e non solo. I Runeshard vi prenderanno per mano e vi porteranno in un mondo che è come quello della splendida copertina, draghi, castelli su vette innevate e cavalieri che combattono, insomma cose che piacciono molto a chi ama il metal che si lega al fantasy. Musicalmente la loro proposta è un misto di black metal sinfonico, epic metal e anche una bella dose di dungeon synth, che nei territori dell’est europeo ha sempre avuto una buona diffusione e produzione costante. Questo sottogenere è uno strano ed azzeccato miscuglio di arcaicismo e fantasy messa in musica. I Runeshard vanno però oltre il dungeon synth e fanno una miscela tutta loro di tanti generi e sottogeneri, arrivando ad un risultato notevole, orecchiabile e credibile che ricorda il meglio del sympho black metal degli anni novanta. Questi ungheresi hanno una grande facilità a cambiare registro, facendo canzoni veloci e ben costruire, dove le tastiere sono l’impalcatura sulla quale si innestano felicemente gli altri strumenti per una musica totalmente epica e votata alla narrazione fantasy. Ascoltando Dreaming Spire si viene avvolti da una calda sensazione di epica bellezza e si sta bene, si viene portati in volo da un’aquila e vediamo battaglie, draghi che assaltano castelli, insomma si chiude gli occhi e si sogna, cosa non da poco in questi tempi. Per i Runeshard è un ottimo inizio di una saga che li porterà lontano, e noi con loro.

Tracklist
1.The Coronation
2.Dreaming Spire
3.Crimson Gates
4.Atlantean Sword

RUNESHARD – Facebook

Cemetery Lights – Lemuralia

Questo è l’underground metal nella sua accezione più reale, con un’offerta musicale genuina, priva di filtri, direttamente dal produttore al consumatore anche per il formato prescelto, quello della musicassetta.

Lemuralia è la prima uscita di questa one man band del Rhode Island, autrice di un grezzo ma efficace black metal.

In realtà il genere, nell’interpretazione di The Corpse abbraccia uno stretto più ampio sfiorando a tratti il doom (Lemuralia), o un proto black molto vicino al thrash quando viene accelerata l’andatura (Necrophilosoph,Accursed), mantenendo sempre quell’approccio sporco e diretto che in tali frangenti non guasta affatto.
Questo è l’underground metal nella sua accezione più reale, con un’offerta musicale genuina, priva di filtri, direttamente dal produttore al consumatore anche per il formato prescelto, quello della musicassetta.
Il giro chitarristico di Charite’s Revenge è il portale d’ingresso ideale nelle sonorità del lavoro, che vede quale suo picco la title track, brano ricco di notevoli intuizioni che comunque il ragazzo statunitense dissemina un po’ in tutti i brani.
Anche l’impegno a livello lirico e concettuale non va sottovalutato, visto che mitologia, storia ed occultismo si fondono in maniera tutt’altro che banale.
Lemuralia è stato seguito pochi mesi dopo dall’uscita di un nuovo ep, The Church On The Island, che si preannuncia decisamente migliore a livello di produzione e con uno sviluppo atmosferico più accentuato.
Quindi questo ep va considerato essenzialmente un primo approccio senz’altro positivo nel suo complesso, costituendo nel contempo la base necessaria sulla quale erigere nuove e più evolute costruzioni sonore da parte dei Cemetary Lights.

Tracklist:
1. Charite’s Revenge
2. Lemuralia
3. Necrophilosoph
4. Accursed Funeral

Line-up:
The Corpse – Everything

CEMETERY LIGHTS – Facebook

Gloam / Obscure Evil – Split 10″EP

Questo split ci presenta due realtà sicuramente da approfondire, anche se un brano è poco per dare un giudizio finale sulla proposta dei gruppi in questione, pur essendo comunque in grado di accendere la curiosità degli amanti del genere.

La Blood Harvest ci presenta due band estreme in arrivo dagli Stati Uniti (Gloam) e dal Perù (Obscure Evil) che, in comune, hanno un sound dalla forte connotazione black, più tradizionale quella del gruppo statunitense, contaminata invece da tempeste thrash quella del gruppo sudamericano.

I Gloam nascono in California nel 2010, e la loro discografia li vede, dopo un paio di lavori minori, alle prese con il primo full length nel 2015 (Hex Of The Nine Heads) e successivamente ancora con un ep, prima di questo split che li vede protagonisti di un brano che risulta un tornado black metal lungo ben sette minuti, una cavalcata di buona fattura, maligna come lo scream da demone norvegese, devastante come sa essere il true black metal marcissimo e piacevolmente old style.
Gli Obscure Evil, attivi dal da pochi anni, hanno cominciato il loro virulento cammino nella scena sudamericana un paio d’anni fa, con il classico demo d’esordio seguito da un ep, ed una compilation.
La parola di Satana viene glorificata da un ottimo black/thrash metal, selvaggio e spinto fuori giri dalla supersonica velocità con cui viene suonato, lambendo lo speed di matrice ottantiana e sempre sul pezzo per quanto riguarda riff e melodie vincenti, il tutto in un contesto furioso e feroce.
I due brani che formano un’unica discesa negli inferi, un massacro dal piglio motorheadinano, con i Venom a spalleggiare i giovani adepti in un delirio black intenso e senza compromessi.
Questo split ci presenta così due realtà sicuramente da approfondire, anche se un brano è poco per dare un giudizio finale sulla proposta dei gruppi in questione, pur essendo comunque in grado di accendere la curiosità degli amanti del genere.

Tracklist
1.Gloam – Black Swords Of Desecration
2.Obscure Evil – Tribes Of Ueth/Necronihilism
Line-up

Gloam:
Dayan Weller – Bass
Flynn Jones – Drums
Colby metzger – Guitars, Vocals
Shane Terry – Guitars

Obscure Evil:
Suffering Soul – Bass
Tzarathustra – Drums, Vocals
Naked Whipper – Guitars, Vocals

OBSCURE EVIL – Facebook

GLOAM – Facebook

Stratovarius – Enigma: Intermission II

Enigma: Intermission 2 è un’ottima compilation di inediti, B-side, canzoni rare e versioni orchestrali prese dalla seconda parte della discografia del gruppo finlandese.

Partiamo da questa inconfutabile verità: gli Stratovarius di Episode, Visions e dei sottovalutati Destiny e Infinite non esistono più, quindi diventa antipatico scrivere delle opere del gruppo continuando a fare paragoni scomodi che lasciano il tempo che trovano.

Se prendiamo per buona questa affermazione allora possiamo sicuramente giudicare un’opera come Enigma: Intermission 2 come un’ottima compilation di inediti, B-side, canzoni rare e versioni orchestrali, prese dalla seconda parte della discografia del gruppo finlandese, utile per chi ha seguito con meno interesse le sorti di Timo Kotipelto e soci negli ultimi anni e per chi invece è fan accanito di uno dei più grandi gruppo di power metal neoclassico che la storia del metal ricordi.
Si perché non dimentichiamoci che, se siamo ancora qui a scrivere di un certo tipo di sonorità, il merito è anche degli Stratovarius, nell’ultimo decennio del secolo scorso sovrani incontrastati del power metal melodico di matrice scandinava.
Tolkki non c’è più da un pezzo, fatevene una ragione e prendete la band per quello che è, ovvero una grande realtà capitanata da due artisti di livello assoluto come Kotipelto e il tastierista Jens Johansson, accompagnati da tre gregari di lusso per quello che rimane uno dei migliori gruppi del genere.
Power metal melodico, suonato e cantato divinamente , sagacemente orchestrato è quanto si trova ovviamente in quei brani rielaborati per l’occasione, negli ottimi inediti che purtroppo non sono più di tre (Enigma, Burn Me Down e Oblivion) e nelle golosamente imperdibili tracce mai pubblicate.
Tutto si può dire degli Stratovarius odierni meno che la loro classe rende arduo il confronto con molte realtà odierne: probabilmente i fasti degli anni d’oro non torneranno più, ma anche questo prodotto risulta professionalmente ineccepibile, con la band che sa emozionare quando lascia i territori prevalentemente power per viaggiare sulle ali di un metal melodico ed epico debordante, ma che sa anche colpire quando decide di premere il pedale dell’acceleratore.
Settantacinque minuti del nostro tempo agli Stratovarius si regalano volentieri, aspettando un nuovo album che sembra possa arrivare il prossimo anno.

Tracklist
1. Enigma
2. Hunter
3. Hallowed
4. Burn Me Down
5. Last Shore
6. Kill It with Fire
7. Oblivion
8. Second Sight
9. Fireborn
10. Giants
11. Castaway
12. Old Man and the Sea
13. Fantasy (new orchestral version)
14. Shine in the Dark (new orchestral version)
15. Unbreakable (new orchestral version)
16. Winter Skies (new orchestral version)

Line-up
Matias Kupiainen – Guitars
Timo Kotipelto – Vocals
Lauri Porra – Bass
Rolf Pilve – Dums
Jens Johansson – Keyboards

STRATOVARIUS – Facebooks

Cultes Des Ghoules – Sinister, Or Treading The Darker Paths

Un disco che continua il tenebroso percorso, e dà la conferma che i Cultes Des Ghoules siano davvero un grande gruppo, perché dopo un disco monumentale come Coven non era facile produrre qualcosa di così valido.

Torna il misterioso collettivo polacco di black metal che si cela dietro al nome Cultes Des Ghoules.

Di loro non si sa quasi nulla, se non che hanno frequenti cambi di formazione, ma la musica rimane di alta qualità e molto poco convenzionale. Il loro black metal è peculiare, nel senso che si parte dal genere nella veste più classica e convenzionale, per arrivare ad un qualcosa che sa di gotico, con passaggi quasi new wave nella melodia, e non sono assenti passaggi death e thrash. Il tutto è molto teatrale e al contempo realistico, quasi un black metal che si dipana davanti ai nostri occhi con le sue nere e neoromantiche vicende. Il precedente disco Coven, Or Evil Ways Instead Of Love era un monolite che poggiava su due dischi, una vera e propria opera black, mentre questo Sinister, Or Treading The Darker Paths è più immediato, maggiormente assetato di sangue, con le grandi intuizioni che hanno reso questo gruppo una solida leggenda underground. Gli ascoltatori dei Cultes Des Ghoules sanno che non vi sarà mai nulla di scontato nella loro musica e che tutto qui scorre nel sangue e nella nera perdizione, come un maledetto feuilleton ottocentesco. Ogni canzone differisce dall’altra, proprio come la loro interpretazione del verbo del nero metallo, è il rito va avanti come vogliono loro senza pose né pause. Il black metal per sua stessa definizione è materia che viene plasmata da chi la produce, e non il contrario come altri generi, e qui c’è un modo molto gotico e decadente di farlo. La produzione ha quel giusto tocco di bassa fedeltà che rende migliore il tutto, e anche l’uso di tastiere ed altri strumenti meno canonici per il genere è fatto con sagacia e gusto. Il risultato è un disco che continua il tenebroso percorso, e dà la conferma che i Cultes Des Ghoules siano davvero un grande gruppo, perché dopo un disco monumentale come Coven non era facile produrre qualcosa di così valido

Tracklist
1.Children of the Moon
2.Woods of Power
3.Day of Joy
4.The Serenity of Nothingness
5.Where the Rainbow Ends

THE CRIMINAL CHAOS

Il video di Eden.

Il video di Eden.

“Eden” è il primo singolo dei The Criminal Chaos, quintetto rock da Parma, traccia apripista del lavoro che uscirà nei prossimi mesi, si tratta di rock puro al 100%.

Alla produzione troviamo Fabrizio Grossi, noto produttore italoamericano che vanta lavori con Steve Vai, Billy Gibbons/ZZ Top, Joe Bonamassa, Ice T, Dave Navarro, Steve Lukather e molti altri artisti sulla scena mondiale. Mixato dallo stesso Grossi presso il suo studio di North Hollywood, il master è stato affidato a Pete Doell all’Aftermaster Studios in California.
Altra figura fondamentale per le sessioni in studio è stato Fulvio Ferrari, arrangiatore e compositore, nonché tastierista di Luca Carboni, il cui ruolo è stato centrale e determinante per la scrittura di incisive armonie corali e per la creazione di un sound sognante e psichedelico.

Il video è stato girato a Tokyo dal regista Fabio Zedd Cavallo ed è disponibile su tutti i principali digital stores > http://hyperurl.co/TheCriminalEden

Queste le parole della band sul nuovo singolo:
In quel mondo personale e sognante, immagini ricche di suoni indistinti ci trasportano con sensazioni uniche e reali in quei luoghi dove vorremmo vivere liberi per dare espressione al nostro “Eden” interiore…

www.thecriminalchaos.com
www.facebook.com/thecriminalchaos

BIOGRAFIA
Dopo più di vent’anni di esperienze individuali, dai club più prestigiosi e underground della scena europea e statunitense, nel 2012 nascono i “The Criminal Chaos”: un incontro tra il cantante Nik Bergogni e l’amico bassista Pablo Chittolini. Lunghe selettive ricerche portano alla formazione del gruppo, prima con il batterista Emanuele Castagneti e poco dopo con il chitarrista Mirco Caleffi, in arte “Keffia”.
Il sound è da subito magico, sudato e ricercato, fino a coinvolgere nel progetto le sonorità elettroniche del fratello di Pablo, Ivan Chittolini.
Dopo un anno di prove in studio e l’uscita del singolo “Smalltown Boy” – rivisitazione della celebre hit dei Bronski Beat – , i Criminal Chaos presentano uno show live divertente e accattivante dal nome “No 80’s dead!“ con le hit più conosciute degli anni Ottanta totalmente riarrangiate in chiave rock.
Nel 2017 i Criminal Chaos interrompono l’attività live per dedicarsi in pieno alla composizione di brani inediti. Dopo un anno ininterrotto di lavoro, durante la fase di pre-produzione, il batterista Emanuale Castagneti decide di non continuare l’attività con il gruppo e porta la band a un inevitabile cambio nella propria line-up. I The Criminal Chaos ingaggiano il batterista Helder Stefanini, che in precedenza aveva lavorato con il bassista Pablo in un progetto dal nome “Chupacapra”. La sintonia è immediata tra tutti i componenti del gruppo.
Durante le fasi di pre-produzione e sessioni in studio, la band lavora a stretto contatto con l’ingegnere del suono Roberto Barillari, grande professionista italiano che ha curato e mixato il suono di: Lucio Dalla, Negramaro, Gianmaria Testa, Samuele Bersani, Stadio, Paolo Conte, Zucchero, Francesco Guccini e tanti altri big. L’enorme esperienza e la professionalità di Roberto fanno crescere i Criminali Chaos sia dal punto di vista sonoro che professionale. Grazie alla concomitante collaborazione con Fabrizio Grossi – produttore italoamericano che vanta lavori con Steve Vai, Billy Gibbons/ZZ Top, Joe Bonamassa, Ice T, Dave Navarro, Steve Lukather e molti altri artisti sulla scena mondiale -. Il risultato sono una manciata di brani inediti mixati successivamente da Fabrizio Grossi nel suo studio di North Hollywood e masterizzati da Pete Doell all’Aftermaster Studios in California.
Durante le sessioni in studio la band lavora e collabora con Fulvio Ferrari, arrangiatore e compositore, nonché tastierista di Luca Carboni, il cui ruolo risulta fondamentale per la composizione di armonie corali, creando un sound sognante e psichedelico.
Nell’agosto del 2018 i Criminal Chaos, in collaborazione con il regista Fabio Zedd Cavallo, girano a Tokyo il videoclip di “Eden”, che viene pubblicato insieme al singolo il 27 settembre 2018.
Nello stesso mese i The Criminal Chaos firmano un contratto con Bagana Rock Agency, per avviare l’ufficio stampa della band.

Noctem Aeternus – Winter Spells

Winter Spells scorre molto bene, abbastanza ben prodotto per i canoni del black e connotato da una serie di brani dal buon impatto melodico e di pregevole valore.

Winter Spells è il primo full length di questo progetto solista proveniente dall’Argentina, terra che di norma non è protagonista in ambito black metal.

Uscendo per Naturmacht non sorprende certo il constatare che Noctem Aeternus propone una versione molto atmosferica del genere con risultati sicuramente soddisfacenti, perché se si possiedono doti compositive adeguate ed un buon gusto melodico il più è fatto.
Winter Spells scorre così molto bene, abbastanza ben prodotto per i canoni del black e connotato da una serie di brani dal buon impatto melodico e di pregevole valore come Nocturnal Mantle e Bleeding Night, senza dimenticare una proposta a suo modo coraggiosa in tale ambito sotto forma di un brano delle durata di quasi un quarto d’ora, The Waning Moon Has Fallen, nel corso del quale abbondano le variazioni sul tema senza che però il bravo musicista argentino perda di di vista il proprio filo compositivo.
E’ forse proprio la notevole fruibilità dell’album, nel suo insieme, che mi suggerisce più che in altri frangenti un’intermittente sensazione di già sentito, un qualcosa che aleggia però senza disturbare in maniera decisiva l’ascolto; non va nemmeno dimenticato che questa è la prima prova di consistente durata da parte di Noctem Aeternus, per cui Winter Spells deve necessariamente essere considerato un album più che soddisfacente, e un’ideale base di partenza per un progetto in grado di ambire a risultati ancora migliori, alla luce del notevole potenziale che si percepisce.

Tracklist:
1. Winter Spells
2. Ahab
3. Bleeding Night
4. Nocturnal Mantle
5. Interlude in G minor
6. Autumn Glare
7. Diminishing Night
8. The Waning Moon Has Fallen
9. The Final Hill

Line-up:
Noctem Aeternus – All instruments, Vocals (2014-present)

NOCTEM AETERNUS – Facebook