Barbarian Swords – Worms

Secondo full length per i catalani Barbarian Swords, band capace di offrire un interpretazione piuttosto interessante del black metal imbastardendolo con una massiccia dose di doom.

Secondo full length per i catalani Barbarian Swords, band capace di offrire un interpretazione piuttosto interessante del black metal imbastardendolo con una massiccia dose di doom.

Worms è un album che mostra, volutamente, gli aspetti meno politically correct del metal, con la sua ricerca di passaggi ad effetto che vanno ad enfatizzare brutalità assortite (ne sono testimonianza titoli di brani come The Last Virgin On The Earth, Sodomized o Carnivorous Pussy, che non lasciano molto spazio ad equivoci).
Detto questo, l’operato della band si rivela interessante, sicuramente non tedioso e, fatte tutte le debite proporzioni e sostituendo la componente thrash con quella black, Worms ricorda non poco per modus operandi quel Slow, Deep And Hard che fu il primo dirompente album dei Type O Negative.
E’ bene precisare che le similitudini si fermano all’alternanza tra sfuriate e rallentamenti mortiferi e, soprattutto, all’ostentata misoginia dei loro interpreti, perché si tratta alla fine di due lavori che sono ben lungi dal poter essere avvicinabili l’un l’altro per importanza e valore, ma non per questo però Worms va sottovalutato o messo nel dimenticatoio
I Barbarian Swords svolgono infatti il loro compito al meglio, portando alle estreme conseguenze le proprie peggiori perversioni senza porsi particolari limiti né etici ne musicali: ne scaturisce un album sporco, cattivo e pervaso da un filo di humour nerissimo, con brani notevoli come Christian Worms (che, seppur solo nel titolo richiama un’altra traccia storica della band di Steele come Christian Woman) o The Last Virgin On The Earth, Sodomized, senza contare l’interminabile incubo doom di Requiem.
Ecco, forse al gruppo di Barcellona viene meno solo il dono della sintesi, perché settanta minuti di questo tenore potrebbero rivelarsi indigesti per molti, esclusi gli appassionati di doom che non disdegnano atmosfere truculente e grottesche.

Tracklist:
1. I’m Your Demise
2. Outcast Warlords
3. Pure Demonology
4. Christian Worms
5. Total Nihilism
6. The Last Virgin On The Earth, Sodomized
7. Carnivorous Pussy
8. Requiem
9. Ultrasado Bloodbath

Line-up:
Panzer – Bass
Joe Beltza – Drums
Steamroller – Guitars
Voice Of Noise – Guitars
Von Pax – Vocals
BARBARIAN SWORDS – Facebook

Quicksand Dream – Beheading Tyrants

Si perde nella notte dei tempi il sound dei Quicksand Dream, ricordando sogni viziati dal folk zeppeliniano, un’altra delle tante virtù del famoso dirigibile britannico.

I Quicksand Dream sono un duo svedese composto da Patrick Backlund (basso e chiatarra) e Göran Jacobson (voce) aiutati su questo lavoro da Henrik Högl alle pelli e Beheading Tyrants è il loro secondo album, dopo l’esordio Aelin – A Story About Destiny, uscito addirittura sedici anni fa.

Un ritorno quindi per il gruppo di old school rocker scandinavi, troppo frettolosamente descritto come band epic metal, mentre nella sua musica si accende la fiamma dell’hard rock, a tratti evocativo, magari lanciato in cavalcate dove la chitarra, timida, sceglie vie metallare, ma sempre con lo spartito ben piantato nell’hard rock classico.
Vero è che l’aura che emanano i brani odora di cime innevate, o pianure perse nel freddo autunno scandinavo, qualche accenno folk elettrico e mid tempo più vicini al doom che al metal, fanno da contorno a questa raccolta di brani che mantengono un’atmosfera sognante anche per il cantato evocativo di Backlund.
Si perde nella notte dei tempi il sound dei Quicksand Dream, ricordando sogni viziati dal folk zeppeliniano, un’altra delle tante virtù del famoso dirigibile britannico.
E così veniamo immersi in questo sogno che rimane sempre in bilico tra l’hard rock ed il doom, ben assemblato senza raggiungere particolari picchi dal duo, ormai diventato un trio, e che preclude ogni tipo di modernità nel proprio sound rimanendo legato al cordone ombelicale del decennio più famoso della storia del rock.
Il difetto maggiore di questo lavoro è la mancanza di qualche brano trainante, quello che fa la differenza tra un ottimo lavoro e un album ordinario, ma sono sicuro che ,come il sottoscritto, c’è chi apprezzerà con la dovuta cautela Daughters of Eve, The Shadow That Bleeds e To Kill Beneath the Sun, brani dal flavour settantiano e piacevolmente old school.

TRACKLIST
01. Daughters of Eve
02. Cloud of Screams
03. The Shadow That Bleeds
04. The Girl from the Island
05. White Flames on Black Water
06. To Kill Beneath the Sun

LINE-UP
Göran Jacobson – Vocals
Patrick Backlund – Guitars, Bass
Henrik Högl – Drums

QUICKSAND DREAM

Siaskel – Haruwen Airen

Questo disco è speciale, poiché raramente si riesce ad ascoltare un black death che riesca a coniugare epicità ma, anche e soprattutto, un’esecuzione pulita e chiara, che conferisce maggior forza al disco

Secondo disco per i cileni Siaskel, un combo black metal che tratta nei suoi lavori della cultura Selk’nam.

Questi ultimi erano gli abitanti indigeni del lembo più estremo della Patagonia. L’origine dei Selk’am si perdono in ere davvero lontane da noi, e quel che poco che si sa di loro lo si deve ai pochi sopravvissuti e a racconti perlopiù orali. Il black death di ottima fattura dei Siaskel ci riporta vivide immagini della vita, della mitologia e della forza di questa popolazione. Come altre volte il linguaggio del black metal serve a riscoprire le proprie origini e le vere tradizioni, ed un genere musicale che si vuole nichilista per antonomasia riesce a compiere un salvataggio storico culturale molto importante. Musicalmente Haruwen Airen è un disco molto maturo, potente e ben suonato con una forza ben definita, e fa parte di un percorso che se compiuto porterà i Siaskel molto lontano. Questo disco è speciale, poiché raramente si riesce ad ascoltare un black death che riesca a coniugare epicità ma, anche e soprattutto, un’esecuzione pulita e chiara, che conferisce maggior forza al disco. I Siaskel sono un gruppo dalla forte personalità, e con questo lavoro vanno ben oltre la nomea di gruppo interessante.

TRACKLIST
1.Hechuknhaiyin Yecna Shuaken Chima
2.Só`ón Hás-Kan
3.Haruwen Airen
4.Hais
5.Hain
6.Mai-ich
7.Han K´win Sa

SIASKEL – Facebook

Saturno – Thou Art All

La buona tecnica permette alla band avventurose e velocissime arrampicate su e giù per lo spartito, senza sacrificare la forma canzone, assolutamente imprescindibile per la riuscita dei brani.

Con il primo lavoro dei ferraresi Saturno ci troviamo al cospetto di un’opera di death metal tecnico e brutale, racchiusa in cinque brani per quindici minuti di musica dal titolo Thou Art All.

Il quartetto nostrano confeziona questo antipasto alla propria carriera mettendo subito in chiaro che qui si fa death metal tripallico, progressivamente brutale e squisitamente tecnico, dai rimandi ai gruppi storici statunitensi (padri del genere) , ma con una personalità da veterani.
Non manca nulla a Thou Art All per farsi apprezare: buona tecnica esecutiva, impatto enorme, blast beat alternati a parti dalle ottime varianti ritmiche, vorticosi solos, il tutto accompagnato da un growl come il genere richiede.
La buona tecnica permette alla band avventurose e velocissime arrampicate su e giù per lo spartito, senza sacrificare la forma canzone, assolutamente imprescindibile per la riuscita dei brani, anche nel metal estremo, così che l’opener Creator e l’accoppiata Preserver/Birthrope non mancano di lasciare un’ ottima impressione sulle potenzialità in mano ai Saturno.
Il gruppo merita il giusto supporto ed una spinta verso il traguardo importantissimo del primo full length, parola di MetalEyes!

TRACKLIST
1.Creator
2.Devotion
3.Preserver
4.Birthrope
5.Destroyer

LINE-UP
Tommaso Pellegrini – Guitars
Alessio Giberti – Guitars
Nicola Donegà – Bass
Nico Malanchini – Drums

SATURNO – Facebook

Altered Shade – The Path Of Souls

The Path Of Souls è un bellissimo esempio della devastante forza in mano alle belligeranti truppe di cui si compone l’esercito del metal estremo, un altro lavoro sopra la media targato WormHoleDeath.

Debuttano sulla lunga distanza i death/thrashers transalpini Altered Shade con questa bomba sonora targata WormHoleDeath.

Attivo dal 2009, il combo proveniente da Bordeaux dopo due demo strappa un contratto con la nota label nostrana e dà alle stampe The Path Of Souls, un tremendo e devastante tsunami estremo senza soluzione di continuità, che amalgama potenza death metal, furiose ripartenze thrash e soluzioni melodiche heavy in un sound oscuro e maledettamente coinvolgente.
Non manca niente al gruppo francese per entrare nei cuori neri degli amanti del metal estremo, The Path Of Souls risulta un susseguirsi di brani estremi che, pur non concedendo tregua, arrivano al traguardo grazie ad un songwriting ispirato, grandiose parti ritmiche ed un lavoro delle asce entusiasmante.
Growl/scream efferato, alternanza di mid tempo cadenzati e potentissimi carichi di groove, parti velocissime che finiscono il lavoro di distruzione, il tutto valorizzato da melodie metalliche di alto rango, fanno dell’album un terremoto musicale.
Questo è metal estremo del nuovo millennio, dimenticatevi quindi atmosfere old school tanto di moda di questi tempi: pur rimanendo confinato nei generi descritti, l’album ha un approccio straordinariamente diabolico e al passo coi tempi, le molte soluzioni armoniche, le atmosfere dark (l’oscura Meanders ricorda i Fields Of The Nephilim con un solo di stampo heavy che resuscita i morti) fanno di quest’opera un viaggio nella musica estrema da cui diventa alquanto difficile tornare.
Cinquanta minuti di death/thrash con tutte le carte in regola per far male, una battaglia che diventa guerra totale, vinta dal gruppo con armi micidiali come le belligeranti The Dark Gift Of Light, opener dell’album, The Last Door, con un riff centrale dai rimandi scandinavi, la stupenda Meanders, The Revenge Of Venus che nella parte centrale si impreziosisce di uno stacco melodicamente oscuro da brividi, e la letale Lord Vlad.
The Path Of Souls è un bellissimo esempio della devastante forza in mano alle belligeranti truppe di cui si compone l’esercito del metal estremo, un altro lavoro sopra la media targato WormHoleDeath.

TRACKLIST
1.The Dark Gift of Life
2.Frozen Grief
3.The Last Door
4.The Engraved Path
5.The Revenge of Venus
6.Meanders
7.Voodoo Philter
8.Lord Vlad
9.Until the Last Rites
10.The Shadows of Forgotten

LINE-UP
Rudy – Guitar
Baloo – Guitar
Fab – Bass
Edwin – Vocals
Hed – Drums

ALTERED SHADE – Facebook

Paganland – From Carpathian Land

Il lavoro scorre molto fluido dall’inizio alla fine, regalando una quarantina di minuti di buona musica che, se non gode di una particolare peculiarità, neppure aderisce in maniera scoperta ad un preciso modello compositivo.

Gli ucraini Paganland sono una delle tante band che, nonostante una genesi risalente ai primi anni del secolo, hanno trovato un muovo impulso negli ultimi anni dopo un lungo silenzio discografico.

Questo From Carpathian Land è, infatti, il terzo full length negli ultimi tre anni per il gruppo di Lviv, dedito come da ragione sociale ad un black metal epico dalle venature folk
Niente di nuovo, ovviamente, ma eseguito nel migliore dei modi e qui potremmo chiudere, non potendoci essere particolare sorpresa nell’ascoltare i brani racchiusi nell’album e neppure nel constatare la bravura dei Paganland nel proporli, con una propensione assolutamente in linea con la buona tradizione della scena ucraina.
Il black metal offerto in From Carpathian Land, alla fine, mostra un lato ben più epico che folk ed è maggiormente caratterizzato da ampie aperture atmosferiche e da ottime progressioni chitarristiche; il lavoro scorre molto fluido dall’inizio alla fine, regalando una quarantina di minuti di buona musica che, se non gode di una particolare peculiarità, neppure aderisce in maniera scoperta ad un preciso modello compositivo.
Tra i brani segnalerei la magnifica Black Mountain, rimarcando il fatto che di passaggi a vuoto non se ne riscontrano anche grazie al buon gusto melodico che contraddistingue le parti atmosferiche.
Un buon lavoro che non deluderà gli appassionati di pagan black.

Tracklist:
1. Stozhary [Стожари] (Intro)
2. At the Heart of Carpathians [У Серці Карпат]
3. Black Mountain [Чорногора]
4. Belted by Spirit [Підперезаний Духом]
5. The Gloom [Морок]
6. From Carpathian Land [З Карпатського Краю]
7. Chuhayster [Чугайстер] (Outro)

Line-up:
Ruen – keyboards
Lycane – drums
Eerie Cold – guitars
Zymobor – vocals
Ivan – bass

Ruinous – Graves Of Ceaseless Death

Graves Of Ceaseless Death torna a far rivivere quel death metal americano, furioso, tripallico e senza compromessi che piace tanto ai true deathsters vecchia scuola.

La Dark Descent scaglia sul mercato con forza inaudita questo monolitico, violentissimo e bellissimo album firmato Ruinous, band formata da ex componenti di Goreaphobia, Incantation, Dysma, Funebrarum e kalopsya, esordio sulla lunga distanza che non potrà non mietere vittime tra gli amanti del death metal classico, irrobustito da tremende esplosioni di brutal e con un’anima malvagia che aleggia sulla tracklist.

Prodotto ottimamente, Graves Of Ceaseless Death torna a far rivivere quel death metal americano, furioso, tripallico e senza compromessi che piace tanto ai true deathsters vecchia scuola.
A parte qualche mid tempo, ed un po’ di sano groove che fa capolino dalla guerra totale messa in atto dal terzetto statunitense, l’album dalla prima nota dell’opener The Tombs Of Blasphemy all’ultima micidiale mitragliata (Torn Forever From The Light) risulta un monumento eretto alla brutalità, all’estremo e alla efferata violenza in musica.
Le ritmiche creano muri sonori , le asce sono cannoni devastanti che sparano colpi sulle ormai carcasse imputridite di mucchi di cadaveri, mentre Matt Medeiros fa guerra a sé con una prova dietro al microfono debordante in impatto e malvagità.
Un album che ha nelle carneficine senza tregua di From Flames Of Malice Born e gli undici minuti della mostruosa Through Stygian Catacombs, i suoi bastioni contro cui si infrangono le forze del bene.
Un lavoro imperdibile per chi apprezza il brutal death metal di stanza aldilà dell’oceano.

TRACKLIST
1.The Tombs Of Blasphemy
2.Transfixed On The Gate
3.Dragmarks
4.From Flames Of Malice Born
5.Procession Of Ceaseless Sorrows
6.Ravenous Eternal
7.Plague Maiden
8.Through Stygian Catacombs
9.Torn Forever From The Light

LINE-UP
Matt Medeiros – Guitars and Vocals
Alex Bouks – Guitars
Shawn Eldridge – Drums

RUINOUS – Facebook

Earth And Pillars – Pillars I

Si rimane attoniti e piacevolmente allibiti nell’ascoltare canzoni di oltre quindici minuti, che come un vento impetuoso ci sradicano dall’abituale sradicamento del tempo come lo conosciamo, per portarci lontano, ma anche molto vicini alla nostra anima.

Il black metal è uno dei linguaggi musicali più ricchi e vari che siano mai esistiti.

Come in un laboratorio si possono acquisire elementi e conoscenze standard per poi fare qualcosa di completamente nuovo, una fotografia di un angolo ancora sconosciuto. Gli Earth And Pillars fanno proprio questo, inventano un qualcosa che non c’era prima, seppur usando elementi conosciuti. Si potrebbe definire per facilità il loro black metal come atmosferico, mentre sarebbe più appropriato dire che lo suonano nell’atmosfera, poiché la loro musica porta lontano, molto lontano. Pillars I è un disco di valore assoluto, incredibile dalla prima all’ultima nota, contenente un miliardo di emozioni, di lacrime e voli radenti su foreste innevate, ma soprattutto di libertà, sia di creare che di immaginare. Il gruppo fa una musica che è in parte suono, ma in gran parte sentimento, un sentire diverso rispetto a quello che possiamo provare. Nelle loro lunghe canzoni si alternano sfuriate e pezzi quasi elettro ambient, per poi riprendere il viaggio, mischiando sudore, freddo e morte. L’atmosfera che pervade il disco, il suo nucleo più nascosto è un magma che brucia incessantemente, un continuo cercare, un sublimare il nostro destino di sofferenza. Da molto tempo non si ascoltava un disco come Pillars I in ambito black metal atmosferico, come in altri ambiti. Si rimane attoniti e piacevolmente allibiti nell’ascoltare canzoni di oltre quindici minuti, che come un vento impetuoso ci sradicano dall’abituale sradicamento del tempo come lo conosciamo, per portarci lontano, ma anche molto vicini alla nostra anima. Ognuno qui deve aggiungere qualcosa di suo, lasciando il suo io, perché qui c’è di meglio. Tastiere, chitarre distorte, caverne e radure incontaminate.
Chiudere gli occhi ed ascoltare.
Stupefacente, sognante e tremendamente vivo.

TRACKLIST
1.Pillars
2.Myth
3.Solemnity
4.Penn

EARTH AND PILLARS – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Klee Project – The Long Way

Un’ opera rock moderna, a tratti sontuosa e dall’affascinante mood teatrale e, soprattutto, originale nel miscelare generi agli antipodi come per esempio il southern e l’elettronica .

Un’altra opera da annoverare tra le migliori uscite dell’anno in campo hard rock, anche questa volta nata nei nostri patri confini.

I Klee Project sono una sorta di super gruppo che vede unire i talenti di Roberto Sterpetti, cantante, ed Enrico “Erk” Scutti (ex Cheope, ex Figure of Six) ai cori e testi, a diversi musicisti di livello internazionale come Marco Sfogli (Pfm, James La Brie) alla chitarra, Lorenzo Poli (Vasco Rossi, Nek) al basso ed Antonio Aronne (Pavic, Figure Of Six) alla batteria, come se non bastasse l’importante contributo dell’orchestra sinfonica condotta da Francesco Santucci e di Tina Guo (Foo Fighters, Cirque Du Soleil, John Legend).
The Long Way è un concept basato su un viaggio, il sogno che si avvera di un musicista che attraversa l’ America sulla leggendaria Route 66 e da Memphis arriva nella città degli Angeli dove troverà l’amore , il successo, gli eccessi e la consapevolezza di dover ricominciare daccapo per ritrovare l’equilibrio perduto.
La musica che accompagna il protagonista attraverso le vicende narrate è un hard rock/alternative che spazia da bellissime ed emozionati note southern rock ad armonie orchestrali, dal metallo moderno ed alternativo all’ elettronica.
Un lavoro importante questo The Long Way, un’ opera rock moderna, a tratti sontuosa e dall’ affascinante mood teatrale, perfetta a mio parere da portare live come fatto per le storiche opere che hanno attraversato indenni più di quarant’anni di musica rock e, soprattutto,originale nel miscelare generi agli antipodi come per esempio il southern e l’elettronica .
Seguendo la trama e le varie vicende, il sound risulta vario, ma allo stesso tempo facile da seguire senza perdersi tra i generi e le moltitudini di sfumature.
Cantato, suonato e prodotto come e meglio di un top album internazionale, The Long Way vive di rock tradizionale e moderno, sudista e pop, metallico e melodico, duro come i riff forgiati nell’acciaio delle sei corde, delicato come il suono degli strumenti classici.
Tutte queste varianti e contraddizioni creano un suono entusiasmante ed è un attimo perdersi nella storia e nei vari capitoli che compongono l’opera.
Non ci sono brani migliori di altri, questo lavoro ha tutti i crismi dell’opera rock e come un’opera va ascoltata, capita e fatta propria. Bellissimo ed emozionante.

TRACKLIST
1.Everybody Knows
2.Southern Boy
3.The Long Way
4.If You Want
5.The Prisoner
6.Hereafter
7.Time Is Over
8.Your Sacrifice
9.Close To Me
10.You Should Be Mine
11.This Game
12.Lucrezia’s Night
13.Lucrezia’s Night (Reprise)

LINE-UP
Roberto Sterpetti – vocals
Enrico “Erk” Scutti – Chorus
Marco Sfogli – Guitars
Lorenzo Poli Bass
Antonio Aronne – Drums

KLEE PROJECT – Facebook

Skullwinx – The Relic

Un buon album di genere, derivativo ma ottimamente suonato e prodotto per esaltare le atmosfere di brani dall’alto tasso epico.

Tornano con un nuovo lavoro i giovani Skullwinx, band tedesca attiva da tre soli anni, ma già sul mercato con due full length e i primi due mini cd usciti tra il 2013 ed il 2014.

Il quintetto bavarese, con questo nuovo album, The Relic, non mancherà di far breccia nei cuori dei defenders, con il suo speed metal che al power metal di scuola Blind Guardian aggiunge elementi provenienti dalla NWOBHM e di epico metallo ottantiano.
Senza orchestrazioni, siamo lontani dai lavori di genere a cui ci hanno abituato i gruppi odierni, The Relic parte all’attacco con ritmiche che alternano fughe power speed e mid tempo epici, con chorus ben piantati nella tradizione del metal classico di scuola tedesca e solos che sanno tanto di Iron Maiden e taglienti rasoiate alla maniera dei più devastanti Judas Priest.
Ne esce un buon album di genere, derivativo ma ottimamente suonato e prodotto per esaltare le atmosfere guerriere di brani dall’alto tasso epico/storico come Sigfried e Attila The Hun, partenza al fulmicotone dell’album come nella migliore tradizione power/speed.
Col passare dei minuti le atmosfere si fanno sempre più epiche fino alla conclusiva e monumentale Relic Of The Angel, dieci minuti di -incedere tra Warlord, Iron Maiden, Manilla Road e Blind Guardian, l’ascolto ideale per un defender incallito.

TRACKLIST
1.Siegfried
2.Attila the Hun
3.A Tale of Unity (Arminius)
4.Carolus Magnus (Pater Europae)
5.For Heorot (Beowulf)
6.Carved in Stone (Princes in the Tower)
7.Tryst of Destiny
8.The Relic of an Angel

LINE-UP
Kilian Osenstätter- -Drums
Lennart Hammerer – Guitars (lead)
Severin Steger – Guitars (rhythm)
Konstantin Kárpáty – Bass
Johannes Haller – Vocals

SKULLWINX – Facebook

Lucifer’s Fall – Fuck You We’re Lucifer’s Fall

Le tracce del demo non sono male, peccato per la deficitaria produzione che non permette di assaporare le prolungate armonie metal doom dark del gruppo.

Si presentano a noi i doomsters australiani Lucifer’s Fall con questo ep di tre brani, integrato dal demo Dungeon Demos II, uscito lo scorso anno.

Il gruppo di Adelaide si forma solo tra anni fa, ma ha già licenziato un primo lavoro omonimo sulla lunga distanza: il loro doom metal old school si rifà alla tradizione e segue le orme dei maestri settantiani ed i loro discepoli discesi dal Monte Fato nel decennio successivo.
Dunque l’approccio è del più classico e l’ep che dà nome al lavoro parte con due lunghi brani, che non lasciano ombra di dubbio sulla proposta del quintetto.
Molto suggestiva Lost, tredici minuti di sound sabbathiano , ma che lascia intravedere le molteplici influenze della band, dai Pentagram, ai Candlemass, fino ai Reverende Bizarre.
Con la traccia che da titolo all’ep (Fuck You We’re Lucifer’s Fall) le acque si smuovono di un bel po’ e l’heavy metal fa capolino nel sound, così da entrare negli anni ottanta.
Le tracce del demo non sono male, specialmente la cavalcata The Summoning e la lenta marcia Unknown Unnamed, che si trasforma anch’essa in un metal song,peccato per la deficitaria produzione che non permette di assaporare le prolungate armonie metal doom dark del gruppo, che ha buone potenzialità e potrebbe riservare qualche sorpresa in futuro, specialmente per chi ricerca nomi nuovi nel doom classico.

TRACKLIST
1.Lost
2.Salvation
3.Fuck You We’re Lucifer’s Fall
4.Fuck You We’re Lucifer’s Fall (demo)
5.Mother Superior (demo)
6.The Summoning (demo)
7.Unknown Unnamed (demo)

LINE-UP
Deceiver – Vocals
Unknown Unnamed- Drums
Heretic – Rhythm Guitar
The Invocator – Lead Guitar
Cursed Priestess – Bass

LUCIFER’S FALL – Facebook

Noise Pollution – Unreal

Tutto è a suo posto e funziona, molto radiofonico e godibile, quasi troppo pulito.

Secondo disco per questo gruppo italiano di metal moderno.

Metal per l’appunto, con l’aggiunta di un piglio punk e reminiscenze di crossover. Tutto è a suo posto e funziona, molto radiofonico e godibile, quasi troppo pulito. La produzione è molto buona e fa risaltare il gruppo, ma su questo disco non c’è molto da dire. Ascoltare Unreal è un qualcosa che potrebbe piacervi, soprattutto se vi piace il metal che non fa male, ma è anche qualcosa che lascia indifferenti. I Noise Pollution sono bravi, suonano bene e hanno genuina passione, ma evidenziano il lato debole del metal cosiddetto moderno, ovvero quello di essere radiofonico ma in fondo vacuo, evanescente.
Questa recensione non è una stroncatura e nemmeno un elogio, ma una semplice constatazione. Se fossero americani venderebbero molto di più, perché questo suono oltre oceano è particolarmente apprezzato. Il consiglio è sempre lo stesso, ed è quello che dovrebbe sottinteso ad ogni recensione: ascoltate con orecchie vostre, fatevi un’idea, date a tutti una possibilità, le recensioni sono indicazioni e nella maggior parte dei casi sono indicazioni sbagliate, l’importante è stare sulla strada.

TRACKLIST
1.Breaking Down
2.MAD
3.Gone Forever
4.Shame
5.Unreal
6.God of Sadness
7.Hole inside me
8.Two Faced
9.We Can’t forget
10.Full of dreams

LINE-UP
Amedeo ‘Ame’ Mongiorgi – vocals
Tony Cristiano – guitar
John ‘Line’ Virzì – guitar, vocals
Lorenzo ‘Wynny’ Magni – bass, vocals
Chris ‘Labo’ Albante – drums

NOISE POLLUTION – Facebook

Mojuba – Astral Sand

Dimenticatevi lo stoner da classifica, in Astral Sand si picchia duro e si viaggia in un’atmosfera sabbatica

Da un’idea di Francesco Mascitti nel 2014 si formano i Mojuba, che arrivano all’esordio con Astral Sand tramite Red Sound Records.

La band, oltre al chitarrista e fondatore, vede Pierpaolo Cistola dietro al microfono e la sezione ritmica composta da Alfonso Bentivoglio alle pelli e Fabrizio Rosati al basso.
Un richiamo alle origini del blues nel nome (il “Mojuba” è una preghiera africana di lode e ringraziamento, da cui deriva il termine Mojo, l’amuleto magico che accompagnava i bluesman delle origini) ed una voglia matta di jammare sulle ali dello stoner rock, pescando ispirazioni dalle varie scene che si sono succedute nei decenni prima della fine del secolo scorso e lasciandole fluire in un sound dal clima psichedelico e rituale.
Dimenticatevi lo stoner da classifica dunque, in Astral Sand si picchia duro e si viaggia in un atmosfera sabbatica, in una lunga e messianica jam dove, nella coltre di nebbia causata da fumi illegali, hard rock settantiano, doom psichedelico e stoner rock si alleano per farvi perdere nei meandri di note che formano questo intrigante rito.
Atmosfere dilatate si alternano a bordate elettriche pesanti come incudini, la voce grezza ci accompagna tra le note che prendono forma nella nostra mente come fantasmi o spiriti danzanti, mentre la chitarra disegna riff di scuola Rise Above e di quei gruppi che si unirono alla famiglia di Lee Dorrian.
Un album che va assaporato fino all’ultima nota, in un crescendo che ha il suo picco proprio nell’ultimo brano, La Morte Nera: quattordici minuti di stoner doom che ipnotizza, destabilizza e porta all’inevitabile debacle psichica. Da avere.

TRACKLIST
1. Wawa Aba Tree
2. Drowning Slowly
3. Musuyidee
4. Lost in the Sky
5. Adobe Santann
6. Astral Sand
7. Sesa Woruban
8. La Morte Nera

LINE-UP
Francesco Mascitti – Guitars
Pierpaolo Cistola – Vocals
Alfonso Bentivoglio – Drums
Fabrizio Rosati – Bass

MOJUBA – Facebook

Cardinal Wyrm – Cast Away Souls

La band dice: ”We walked till dawn to find the doorway to the stars”, proseguiamo con loro…

Magnifica la Svart Records, label finnica che in questi ultimi anni ci ha permesso di conoscere alcune grandi band, come ad esempio Oransii Pazuzu, Katla, Domovoyd, che elaborano un loro suono, assolutamente fuori da schemi prefissati.

Dagli Stati Uniti, dalla zona della Bay Area, provengono i Cardinal Wyrm che con Cast Away Souls producono il loro terzo full length, il secondo per Svart dopo Black Hole Gods del 2014; sono in tre, con la particolarità di avere il batterista, Panjal Tiwari, che si occupa anche delle vocals che passano da un tono declamatorio dai rimandi a Peter Steele  ad un growl “schizzato”.
Il loro sound, denso, bizzarro e teatrale, parte da basi doom, ma incontra variazioni heavy, acide e psichedeliche soprattutto nelle parti soliste di chitarra, creando un ponte tra passato e presente, cercando di trovare una strada per apparire personale.
Questo atteggiamento si avverte già nel primo brano (Silver Eminence) che parte doom, ai confini del funeral con un organo pesante come un macigno, per poi dopo un paio di minuti esplodere in un riff heavy vicino al trash, proseguendo poi con densità sludge e riflessi addirittura simil-voivodiani.
Gli altri cinque brani, sei in tutto per circa quarantasei minuti di puro godimento, sono sempre dello stesso alto livello, pieni di variazioni che possono essere colte da ascoltatori attenti (esempio l’intro spettrale di Grave Passages o le vocals darkwave all’inizio di The Resonant Dead); ulteriore nota di merito per Lost Orison, delicato brano aperto e punteggiato da una tromba immaginifica e dalle voci della bassista, Leila Abdul-Rauf (Vastum) e del batterista.
Cover particolare virata su colori viola e nero e testi, scritti dal batterista, declamanti storie di occultismo, depressione e realtà alternative invitano, come al solito, a ripetuti ascolti per scoprire un modo diverso di pensare e suonare doom “mutante”.

TRACKLIST
1. Silver Eminence
2. The Resonant Dead
3. Grave Passage
4. Lost Orison
5. Soul Devouring Fog
6. After the Dry Years

LINE-UP
Nathan Verrill – Guitars,Organ,Bass
Pranjal Tiwari – Drums, Vocals
Leila Abdul-Rauf – Live Bass, Trumpet, Vocals

CARDINAL WYRM – Facebook

Wolf Counsel – Ironclad

Ironclad si rivela un lavoro soddisfacente anche se privo di quella scintilla in grado di ergerlo ad di sopra della soglia della normale attenzione da parte dei potenziali ascoltatori.

Da Zurigo arrivano i Wolf Counsel, gruppo dedito ad un doom metal piuttosto canonico, fatto salvo qualche sporadico elemento stoner presente nei brani più dinamici.

La materia viene ben trattata ed Ironclad, full length che segue l’esordio dell’anno scorso Vol.I, alla fine si rivela un lavoro soddisfacente, anche se privo di quella scintilla in grado di ergerlo ad di sopra della soglia della normale attenzione da parte dei potenziali ascoltatori.
Infatti, ascoltate Pure as the Driven Snow, brano doom dall’andamento indolente ma piuttosto evocativo, e la più stonerizzata e psichedelica title track, il resto dell’album si snoda dignitosamente verso la sua fine, dove ritroviamo comunque una buona Wolf Mountain, senza che il tutto provochi ulteriori sussulti.
I Wolf Counsel eseguono bene il compito, anche da punto di vista prettamente strumentale, ma qualche dubbio lo lascia la voce del leader Ralf Winzer Garcia, al quale manca un po’ di personalità per riuscire ad incidere maggiormente.
Nel complesso, quindi, Ironclad non può essere considerato un disco non riuscito, ma sicuramente fatica a fare breccia in chi, come me, del doom apprezza maggiormente le derivazioni più estreme od atmosferiche, mentre è probabile che l’accoglienza possa essere migliore da parte di chi è legato alla matrice più tradizionale del genere: resta il fatto che, anche in questo caso, l’eccellenza sta altrove, per cui un ascolto è senz’altro doveroso, ma con il serio rischio che non abbia alcun seguito.
Forse, spingere con maggiore convinzione sul versante psichedelico del sound potrebbe aiutare i Wolf Counsel a scongiurare il rischio di restare confinati nell’affollato limbo delle band di discreto livello ma destinate, a lungo andare, ad un inevitabile oblio.

Tracklist:
1. Pure as the Driven Snow
2. Ironclad
3. Shield Wall
4. The Everlasting Ride
5. Days Like Lost Dogs
6. When Steel Rains
7. Wolf Mountain

Line-up:
Ralf Winzer Garcia – Bass, Vocals
Reto Crola – Drums
André Mathieu – Guitars
Ralph Huber – Guitars

WOLF COUNSEL – Facebook

Exploding Head Syndrome – World Crashes Down

Un album consigliato ai fans dell’hardcore/punk ma che non mancherà di ringalluzzire anche gli amanti del rock più ribelle, irriverente e sguaiato.

La sindrome della testa che esplode è un disturbo del sonno il cui sintomo principale è la percezione di forti rumori immaginari o una sensazione esplosiva prima di addormentarsi o al risveglio.

E di esplosioni nella testa ne diverrete succubi dopo l’ascolto del nuovo album del quintetto di Oslo, attivo dal 2010 con un full length targato 2013 alle spalle, un ep, ed ora in sella alla fiera hardcore/punk World Crashes Down, nuovo album sotto l’ala della WormHoleDeath.
Niente di più che un adrenalinico album di genere si rivela questa mezzora abbondante di musica firmata dal gruppo norvegese, animaoa da uno spirito rock ‘n’ roll che ne fa scaturire un risultato appunto esplosivo, prodotto egregiamente ed in grado di darci saltare dalla poltrona ad ogni nota.
Non si fermano neanche un attimo i ragazzi scandinavi a suon di devastante punk ‘n roll, dalle potenti ritmiche che dall’hardcore prendono forza: l’interpretazione del genere rimane forse ancorato ai propri cliché, ma gli Exploding Head Syndrome sanno trattare la materia e le dieci canzoni proposte ci travolgono con la loro selvaggia attitudine, ben rappresentate da suoni cristallini, da un groove che ormai nel rock non manca mai e da una voce che urla ribellione punk.
Il sound richiama la scena statunitense, ma nello spartito del gruppo non manca quell’approccio tutto scandinavo al rock’n’roll che è il quid in più di brani come la title track, Invincible e la conclusiva End Game.
Un album consigliato ai fans dell’hardcore/punk ma che non mancherà di ringalluzzire anche gli amanti del rock più ribelle, irriverente e sguaiato.

TRACKLIST
1. Wasting Away
2. World Crashes Down
3. Walk Alone
4. The Fine Line Between Hardcore and Hipster
5. Of Sanity and Dignity
6. Happy
7. Invincible
8. Fun and Regrets
9. Left Alone
10. Moving On
11. End Game

LINE-UP
Eirik
Lars
Håvard
Remi
Morten

EXPLODING HEAD SYNDROME – Facebook

Draugsól – Volaða Land

I Draugsól fanno un black metal unico per intensità, potenza e melodia, vicino ai primi Ulver per epicità e maestosità.

Black metal dall’Islanda, incredibile vulcano musicale sempre attivo, con una qualità incredibile. Questa volta la splendida isola ci regala un disco di black metal molto bello e nero.

I Draugsól fanno un black metal unico per intensità, potenza e melodia. In un vortice sonoro questi islandesi, anche grazie ad un’ottima produzione riescono a metterci dentro davvero tante cose, riuscendo ad essere incisivi come pochi altri gruppi. Il loro orientamento è classicheggiante, ma hanno anche bordate improvvise, specialmente con le chitarre che li fanno avvicinare al migliore death metal. La musica che proviene dai Draugsól potrebbe essere la colonna sonora dell’avanzata verso la città di Minas Tirith, una massa abnorme e crudele. Ma in fondo queste narrazioni, il tutto fieramente in islandese, sono paradigmi per descrivere la lotta che abbiamo dentro noi stessi in quanto uomini, quelle continue tensioni e lanci nel vuoto. I Draugsól sottolineano il tremendo fatto che noi siamo i creatori e allo stesso tempo i distruttori di noi stessi, in un incessante cambio di abiti mentali e di progressioni miste a cadute incredibili. Si lotta senza tregua, come una canzone, ed è riduttivo definire così le creazioni dei Draugsól. In tutto ciò fa capolino la paura dello sconosciuto, tema che gli islandesi penso conoscano molto bene, dato che per loro c’è stato molto di sconosciuto, ma tutto ciò li ha portati ad essere un popolo ben definito e soprattutto un popolo che suona. Un album eccezionale, epico e maestoso, che ricorda i primi Ulver, ma che in realtà è solo Draugsól. Un gran disco di black metal islandese pubblicato da una grande etichetta portoghese, e nel black metal questa è la chiusura perfetta del cerchio.

TRACKLIST
1.Volaða Land
2.Formæling
3.Bót Eður Viðsjá Við illu Aðkasti
4.Spáfarir Og Útisetur
5.Váboðans Vals
6.Holdleysa

DRAUGSOL – Facebook

Oh My Dog! – Silent Scream

Primo ep per hard rockers lombardi Oh My Dog!, dal monicker simpatico ed originale ma con un sound che non scherza affatto.

Dopo i primi anni del nuovo millennio in cui i suoni moderni sembravano aver soffocato le sonorità classiche, in questo ultimo periodo le sonorità old school e vintage hanno ripreso il loro cammino sempre più alla luce del sole, anche se nelle sconosciute (ai più) strade dell’underground.

Nel nostro paese la scena hard rock può contare di numerose ed ottime band, dalle sonorità varie che vanno dal classico rock settantiano a quello street/sleazy degli anni ottanta, molte delle quali lo potenziano con dosi alquanto esplosive di groove dall’impatto moderno e catchy.
Tornando a sonorità più classiche vi presento il primo ep degli hard rockers lombardi Oh My Dog!, dal monicker simpatico ed originale (al sottoscritto ricorda Black Dog degli Zep), ma dal sound che non scherza affatto.
Il quintetto nasce sei anni fa per volere del chitarrista Sean Danzante e del batterista Stefano Ceriotti a cui si aggiungono il vocalist Anthony, la chitarra ritmica di Taia ed il basso di Alessandro, ed inizia la sua avventura nel mondo delle sette note suonando cover dei gruppi storici del rock; la voglia di cimentarsi con brani propri però è tanta e, finalmente, in questo fine anno giungono al traguardo del primo lavoro, un ep di tre brani dal titolo Silent Scream.
E’ una chitarra dal retrogusto blues che ci dà il benvenuto nel mondo musicale del gruppo: Atlantis, primo brano in scaletta, alterna atmosfere sofisticate a refrain di potente hard rock con l’ugola del singer in primo piano ed un più grintoso finale in crescendo.
Sfumature ed armonie orientali soni quelle che rinveniamo nella splendida From Alexandria To Istanbul (la Kashmir del gruppo), molto suggestiva nel suo andamento da viaggio epico, dove non mancano ottimi cambi di tempo e un bell’assolo, il tutto impreziosito da una intrigante vena prog.
Lady Godiva torna ad arricchirsi di atmosfere hard blues, tra Led Zeppelin e Deep Purple, concludendo questi quindici minuti di hard rock classico e davvero ben congegnato.
Una bella sorpresa: date un ascolto a Silent Scream e mettetevi comodi ad aspettare con me l’auspicabile primo full lenght, passo decisivo per la carriera degli Oh My Dog!

TRACKLIST
1.Atlantis
2.From Alexandria To Istambul
3.Lady Godiva

LINE-UP
Anthony – Vocals
Sean – Guitars
Taia – Guitars
Alessandro – Bass
Stefano – Drums

OH MY DOG! – Facebook

Godzilla In The Kitchen – Godzilla In The Kitchen

I tre giovani ragazzi tedeschi si lanciano senza particolari remore in un impresa dagli esiti incerti ma dalla quale escono alla fine piuttosto bene, pur non restando immuni da qualche pecca.

I Godzilla In The Kitchen, trio proveniente dall’ex Germania Est (Jena), si propongono sulla scena con un’interessante progressive strumentale, adottando una formula connotata, di norma, da diverse controindicazioni alle quali questo album d’esordio non si sottrae.

Prendendo come spunto primario una band come i Tool (e, quindi, per proprietà transitiva, i King Crimson) i tre giovani ragazzi tedeschi si lanciano senza particolari remore in un impresa dagli esiti incerti ma dalla quale escono alla fine piuttosto bene, pur non restando immuni da qualche pecca.
La mancanza della voce come sempre presenta il conto dopo qualche decina di minuti, nel corso dei quali si ha la possibilità di apprezzare le apprezzabili intuizioni dei nostri ma che, alla lunga, creano una certa assuefazione; in aggiunta, va anche segnalata una produzione non impeccabile per quanto riguarda i suoni della batteria, a mio avviso troppo secchi ed eccessivamente in primo piano rispetto a chitarra e basso.
Cercato (e trovato) il pelo nell’uovo, la prova dei Godzilla In The Kitchen (monicker strambo ma di una certa efficacia) si rivela tutt’altro che riprovevole, tra brani brevi e quindi maggiormente concisi (Broken Dance, The Fridge, Provoking As Teenage Sex), alcuni più lunghi nei quali prendono corpo pulsioni psichedeliche (Stick To Your Daily Routine) ed altri in cui emerge in maniera ben definita una vena più robusta e dinamica (Up The River) che potrebbe essere sfruttata meglio, costituendo un discreto elemento di discontinuità rispetto a buona parte del lavoro.
La sensazione è che il terzetto abbia buone potenzialità ma sia ancora leggermente acerbo sia dal punto di vista compositivo, sia da quello esecutivo, cosicché, alla lunga, certe soluzioni tendono a ripetersi, ma evidentemente si parla di imperfezioni comprensibili in un gruppo all’esordio: buona la prima, in definitiva, per i Godzilla In The Kitchen, tenendo ben presente che si può certamente fare meglio.

Tracklist:
1.Up The River
2.Broken Dance
3.The Turn
4.Elis Speech
5.Propagation Of Violence
6.Dr.Moth
7.Stick To Your Daily Routine
8.Provoking As Teenage Sex
9.The Universe Is Yours
10.The Fridge

Line-up:
Eric Patzschke – Guitars
Felix Rambach – Drums
Simon Ulm – Bass

GODZILLA IN THE KITCHEN – Facebook