Era Decay – Inritum

Gli Era Decay sono autori di una prestazione convincente, compatta e priva di particolari sbavature anche se, almeno per ora, incapace di scalare lo spesso gradino che separa l’album bello da quello imprescindibile.

I rumeni Era Decay, nonostante siano attivi solo dal 2008, con Inritum arrivano già al loro quinto full length, una produzione quindi già corposa rispetto alla media.

Anche se sovente viene sottovalutato, questo è un aspetto del quale bisogna tenere conto nel momento in cui si devono esprimere delle valutazioni dopo l’ascolto di un album: ne deriva, pertanto che, da band al primo o secondo disco si tollererà maggiormente una mancanza di originalità, ricercando piuttosto la freschezza compositiva, mentre, al contrario, a chi ha già una discografia abbastanza cospicua alle spalle verrà richiesta con più rigore una manifestazione di personalità.
Gli Era Decay si trovano in una situazione un po’ spuria, in tal senso, visto che se il loro fatturato discografico è già pari a certe band di ultraquarantenni, sono ancora piuttosto giovani e quindi con intatte possibilità di sviluppare ulteriormente il proprio percorso musicale.
La peculiarità della band rumena è quella di muoversi in uno spazio stilistico che sta a metà strada tra il melodic death ed il death/doom, e non sempre l’equilibrio è perfetto anche se, indubbiamente, ciò evita loro di apparire fotocopie sbiadite di gruppi più famosi appartenenti all’una o all’altra scena.
A mio avviso, rispetto a quanto mi sarei atteso, la componente doom non è così marcata ed è proprio quando ciò avviene che ne vengono fuori i colpi migliori (splendide sia Sharp Words che Restlessness), facendo pensare che, spingendo un po’ di più su quel versante, un disco già buono sarebbe potuto diventare eccellente.
Penso sia sostanzialmente una questione di gusti, perché di certo chi predilige il melodic death la penserà diversamente da me, con più di una buona ragione, dato che i ragazzi rumeni sono autori di una prestazione convincente, compatta e priva di sbavature anche se, almeno per il mio metro di giudizio, incapace di scalare lo spesso gradino che separa l’album bello da quello imprescindibile.
A mio avviso, gli aspetti sui quali gli Era Decay possono sicuramente migliorare (e l’avere dei margini di miglioramento quando si è già piuttosto bravi va visto solo in un’ottica positiva) sono due: il primo è la riduzione della forbice esistente tra i due brani citati, ottimi esempi di death doom, ed altri come Ferocious e Syncope, episodi molto più diretti e di matrice death nel vero senso del termine, mentre il secondo potrebbe essere un ricorso ragionato alle tastiere con il compito di legare il sound nei brani più melodici, perché talvolta il risultato che ne scaturisce è un po’ troppo asciutto ed essenziale.
Detto questo, Inritum è un lavoro che merita d’essere ascoltato a prescindere dal genere assegnatogli in sede di presentazione, anche perché etichettarlo come death/doom rischia d’essere fuorviante, andando a discapito degli stessi Era Decay.

Tracklist:
01 – Intro
02 – Beyond Delirium
03 – Ferocious
04 – Perfidious
05 – Sharp Words
06 – Repugnance
07 – Restlessness
08 – Syncope
09 – The Past is Mine to Bear
10 – Faker
11 – Becoming Unstoppable
12 – Coming for You (The day I die)

Line-up:
Sandru Serban – vocals
Calin Colo – lead guitars
Adrian Galbau – drums
Alexandru Tipa – bass
Frij Vladimir Petrut – rythm guitars

ERA DECAY – Facebook

Esperoza – Aum Corrupted

Un cantico oscuro, un’ora di musica estrema e dalle evocative atmosfere sinfoniche

Un cantico oscuro, un’ora di musica estrema e dalle evocative atmosfere sinfoniche, in cui la parte gotica viene violentata da un bombardamento metallico, per un’opera che va molto vicino ai suoni di in un girone infernale messo a soqquadro dall’arma più letale in mano alle forze oscure, la musica.

Se è vero che l’arte delle sette note, o almeno una sua gran parte, è quanto di più vicino alle forze demoniache ci sia in questo mondo, se l’uomo si allontana da dio ipnotizzato dalle melodie lascive che amoreggiano con la brutalità dell’estremo, se l’umano lato oscuro è continuamente messo alla prova e ammaliato dal mistero e dalla perversione, con Aum Corrupted, nuovo album del gruppo moldavo Esperoza, siamo vicini alla perfezione.
Il trio di Chisinau è l’ennesima scoperta della WormHoleDeath, un altro gruppo assolutamente fuori dai soliti canoni, una creatura che fa dell’arte oscura una meravigliosa e destabilizzante musica estrema, classica nell’approccio, varia nel saper muoversi con sagacia in molti dei generi estremi, originale nell’amalgamare orchestrazioni con un metal brutale, devastante, intenso e a suo modo progressivo.
La musica degli Esperoza è teatrale nella sua più pura concezione, iniziando dall’uso della voce operistica, ma lontana anni luce dalle female fronted band odierne, interpretativa, evocativa, come uno spirito che porta la morte o la possessione, terribilmente affascinate ma pericolosissima, mentre il male, diretto, violento e terribile arriva ad imprigionare l’anima con growl e scream direttamente dal più buio pozzo di anime nere: quella la voce, che fino ad un momento prima, ipnotizzava e ci trascinava inconsapevoli verso la perdizione, si trasforma in un demoniaco ed ultimo cantico prima del buio infinito ed il silenzio perenne.
Zoya Belous , Dmitrii Prihodko e Vadim Cartovenko hanno creato un’opera entusiasmante, difficile da catalogare con la classica etichetta da scrivere in calce alla recensione: Aum Corrupted è un contenitore di musica che ha nell’estremo il suo credo, ma che si riempie di sfumature ed atmosfere, talmente varie da perdere ogni certezza man mano che ci avviciniamo alla conclusione.
Black metal, death, doom, dark prog, gothic, symphonic, ognuno troverà il suo appiglio per non perdersi irrimediabilmente tra i meandri di un sound che lascia indizi come le briciole di Pollicino, ma che se verranno seguite porteranno là, da dove non si torna più ed è facile che accada ascoltando gemme oscure come Egohypnotized, Tomb Of Deeds, Periods Of 8, ma è tutto il lavoro che lascia senza fiato.
Come detto è molto difficile fare paragoni, il sottoscritto ha trovato in molte atmosfere il maligno ed orrorifico talento dei Devil Doll, chiaramente in versione più estrema e sinfonica, ma le note che escono dal tocco dei tasti d’avorio mi conducono verso il mondo di Mr.Doctor, poi la furia estrema tocca devastanti vertici black, death e doom, che mantengono sempre alta la tensione in questa colonna sonora pregna di magnifica, teatrale e diabolica oscurità.

TRACKLIST
01. A Broken Passage (Intro)
02. Egohypnotized
03. Unknown Summons
04. Tomb of Deeds
05. Nocturne Opus 93
06. Blame it on Me
07. Periods of 8
Desolate Grief (Interlude)
09. I Rot
10. ..and here comes the immaculacy / Aum Mantra (you will be punished for your prayers)

LINE-UP
Zoya Belous – Vocals
Dmitrii Prihodko – Guitar
Vadim Cartovenko – Drums

ESPEROZA – Facebook

Deceit Machine – Resilience

Finalmente un album moderno nel quale viene data la giusta importanza al lavoro della chitarra solista, qualità non così scontata oggigiorno, che nella musica dei Deceit Machine torna (insieme alla voce) ad essere protagonista.

Ecco ci risiamo, mi ritrovo con un’altra bomba pronta ad esplodere nei vostri padiglioni auricolari, una deflagrazione di hard rock metal, moderno e coinvolgente, cantato, suonato e prodotto come meglio non si potrebbe e che non presenta la minima pecca … a parte forse il fatto che il gruppo, essendo italiano, rischia sempre di non essere presentato e supportato a dovere.

Il quartetto in questione si chiama Deceit Machine, arriva da Milano ed il suo debutta si intitola Resilience.
L’album è stato registrato da Larsen Premoli presso i Rec Lab Studios e vede la partecipazione dietro alle pelli di Federico Paulovich dei Destrage.
Il gruppo viene presentato come un’alternative metal band e se, si pensa al metal classico, l ‘accostamento ci può stare, ma a sentir bene è forse più giusto descrivere il sound del gruppo nostrano come un hard rock moderno che alterna aggressione metallica e vincenti melodie rock, grazie soprattutto all’enorme potenziale della voce di Michela Di Mauro, così come deii vari brani che compongono Resilience.
Si diceva hard rock, pregno di groove, metallizzato da un lavoro chitarristico eccellente (Gabriele Ghezzi), con assoli che a tratti richiamano la scuola classica, per poi seviziarci con riff che sputano sangue americano, alternando feeling hard rock e potenti muri di suono alternative.
La sezione ritmica concede poche ma significative tregue (nell’elegante e raffinata Here Now), per poi bombardarci senza pietà e, mentre il cd gira nel lettore, siamo arrivati alla sesta traccia (la devastante Watchdog) e la qualità continua a rimanere altissima.
Resilience è, finalmente, un album moderno nel quale viene data la giusta importanza al lavoro della chitarra solista, qualità non così scontata oggigiorno, mentre nella musica dei Deceit Machine torna (insieme alla voce) ad essere protagonista, virtù che piacerà non poco anche agli amanti dei suoni più classicheggianti ma con l’orecchio attento ai suoni del nuovo millennio.
Un album che raccoglie una serie di hit e li spara a cannone, mentre la Di Mauro fa scintille nella splendida Absence che, con la devastante Wonderland, fa da preludio al brano più bello di Resilience, Flow ispirata a mio avviso ai primi Soundgarden, quelli ancora selvaggi e veraci del capolavoro Louder The Love.
Dunque, che vi piaccia alternative metal o modern hard rock , poco importa, l’album è davvero bello e merita la vostra attenzione: band da supportare senza se e senza ma.

TRACKLIST
1. Shinigami
2. Garden
3. K.A.R.M.A.
4. Here Now
5. My Raven
6. Watchdog
7. Absence
8. Wonderland
9. Flow
10. Awakening

LINE-UP
Michela Di Mauro – Vocals
Gabriele Ghezzi – Guitar
Stefano Paolillo – Bass
Davide Ferrario – Drums

DECEIT MACHINE – Facebook

Huldre – Tusmørke

Alla seconda prova gli Huldre confermano di essere un gruppo onesto ed in grado di far vivere all’ascoltatore quarantacinque minuti di musica che rievoca foreste nascoste tra la bruma, vecchi focolai accesi e la dura vita di un tempo

Viviamo in tempi di ordinaria follia, aggrediti non solo dall’idiozia dell’uomo attento solo a distruggere ma anche dalla natura, ormai ribellatasi definitivamente ai continui soprusi da chi sulla Terra non è il padrone ma solo un fastidioso ospite.

Ecco che c’è bisogno sempre più di fuggire dalla realtà, almeno per chi ha ancora un minimo di sensibilità e si confronta ogni giorno con il declino del genere umano, male incurabile del pianeta e non (come dovrebbe essere) custode delle ricchezze che ci regala.
Per sfuggire per un po’ dal male di vivere con cui tutti i giorni ci dobbiamo confrontare, la musica può essere un’ottima compagna ed il nostro amato mondo metallico un alleato fedele.
Uno dei generi che più aiuta nel viaggio mentale verso un mondo alternativo è indubbiamente il folk metal con le sue sonorità fuori dal tempo, le sue atmosfere epico/evocative e quella poesia intrinseca di cui molte volte abbiamo il bisogno.
Vero che negli ultimi anni il genere si è sviluppato a macchia d’olio, specialmente sul territorio del vecchio continente, partendo dalla penisola scandinava fino a toccare le coste del Mediterraneo.
Tornando al nord e precisamente in Danimarca, incontriamo il sestetto degli Huldre che, a dieci anni esatti dal loro primo demo, licenziano il secondo lavoro sulla lunga distanza intitolato Tusmørke.
Il gruppo danese accodatosi da diversi anni al carro tirato dai gruppi che hanno trovato i favori di chi bazzica la scena metallica (Finntroll ed Eluveitie), spostano le loro coordinate stilistiche verso atmosfere folk più marcate.
Il metal fa da accompagnamento alle trame sognanti ed evocative dei nove brani qui proposti, tutti cantati in lingua madre dalla personale voce di Nanna Barslev, in un’apoteosi di suoni e strumenti tradizionali.
Qualche ritmica più sostenuta mantiene alta l’attenzione, ma l’approccio rimane cantautorale per tutta la durata del disco, con buoni livelli emozionali, specialmente quando gli strumenti tradizionali hanno in mano per intero il sound del gruppo.
Sui brani più tirati l’approccio è maggiormente lineare, in ossequio ai dettami del genere, niente di nuovo dunque, ma certamente ben congegnato.
Alla seconda prova gli Huldre confermano di essere un gruppo onesto ed in grado di far vivere all’ascoltatore quarantacinque minuti di musica rimembrante foreste nascoste tra la bruma, vecchi focolai accesi e la dura vita di un tempo, ormai esclusiva di chi ha ancora voglia di fuggire, aiutato in questo caso dalle buone melodie di Hindeham, Farstemand e Nattesorg.

TRACKLIST
1.Jagt
2.Hindeham
3.Varulv
4.Underjordisk
5.Skifting
6.Fæstemand
7.Mørke
8.Tæring
9.Nattesorg

LINE-UP
Nanna Barslev – Vocal
Laura Bec – Violin
Troels Dueholm – Hurdy Gurdy, Flutes
Shawm Lasse Olufson – Guitar, Lute
Bjarne Kristiansen – Bass
Jacob Lund – Drums, Percussion

HULDRE – Facebook

Trees Of Eternity – Hour Of The Nightingale

Hour Of The Nightingale è un disco perfetto che, purtroppo, non potrà mai avere un seguito, e questo è un altro buon motivo per riservargli un posto privilegiato tra i nostri ascolti, oggi e negli anni a venire.

Occuparsi di un disco come questo, ben sapendo tutto ciò che accaduto prima della sua uscita, rende dannatamente difficile mantenere il giusto distacco, fondamentale per evitare che il coinvolgimento emotivo finisca per deformare sensazioni ed impressioni.
Quindi proverò a parlare, almeno a livello descrittivo, di Hour Of The Nightingale come se fosse il “normale” disco d’esordio di una “normale” band.

I Trees Of Eternity nascono come progetto parallelo di Juha Raivio, chitarrista e compositore principale degli immensi Swallow The Sun, che ha chiamato a sé, oltre al suo vecchio compagno di band Kai Hahto alla batteria, la splendida vocalist sudafricana Aleah Stanbridge ed i fratelli Fredrik e Mattias Norrman, noti soprattutto per esser stati a lungo due travi portanti dei Katatonia.
Da una simile configurazione non poteva che venirne fuori una band dedita ad un sound oscuro ma, ovviamente, rispetto al robusto death doom melodico dei Swallow The Sun, viene esplorato il lato più intimista e soffuso, favorito dal timbro vocale di Aleah, delicato, a tratti quasi un sussurro lontano anni luce da gorgheggi o tentazioni operistiche e, forse anche per questo, del tutto adeguato alle intenzioni di Raivio.
Hour Of The Nightingale si rivela, fondamentalmente, uno scrigno di emozioni dal primo all’ultimo minuto, e non potevano esserci dubbi al riguardo, perché il musicista finnico ha dimostrato in tutti questi anni d’essere un compositore dotato di una sensibilità fuori dal comune, capace con il suo inconfondibile tocco chitarristico di indurre alla commozione gli innumerevoli fan della sua band principale.
Nei Trees Of Eternity, ovviamente, le coordinate sono ben diverse: la chitarra tesse sempre melodie struggenti, ma il tutto viene asservito alla voce carezzevole della Stanbridge piuttosto che a quella ben più ruvida di Kotamaki, e l’andamento dell’album procede di conseguenza, per oltre un’ora di poesia e bellezza che si fanno talvolta tangibili, quasi fisiche.
Dieci gemme musicali si susseguono senza che una pesante cappa di malinconia cessi di aleggiare sulle note prodotte da un gruppo in grado di offrire, a chi adora queste sonorità, un’esperienza unica per coinvolgimento emotivo …

Oh, al diavolo! Come si fa a continuare a parlare di questo disco senza tenere conto che Aleah non è più tra noi da quasi sei mesi? Come si può evitare d’esser trascinati in un gorgo di tristezza e disperazione nell’ascoltare le struggenti trame musicali e le laceranti e profetiche liriche che lei stessa ha scritto?
A partire da My Requiem, brano che apre l’album, dove Aleah canta “Too late you’re calling out my name /
To raise me up out of my grave / Alive in memory I’ll stay” fino ad arrivare alla strofa conclusiva di Gallows Bird (“As the last ray of hope is lost / fight and resistance / Nothing remains to hold / me to this existence”), non viene mai meno un costante groppo alla gola, che costringe ad un impari battaglia con la propria sensibilità per provare a ricacciare indietro le lacrime.
Quest’ultima, lunghissima traccia, che arriva dopo lo splendore acustico di Sinking Ships, ha davvero il sapore del commiato, con le sue atmosfere drammatiche nella fase iniziale, che riportano il sound al doom più dolente: la chitarra tesse melodie di incommensurabile bellezza mentre Aleah ci dona il privilegio di ascoltarla per l’ultima volta regalandoci, dopo l’intervento di un Nick Holmes mai così cupo, un’ultima parte in cui prevale, invece, un rabbrividente senso di pace e di consapevolezza.
Hour Of The Nightingale sarebbe stato lo stesso un disco stupendo, ma non si può negare che gli eventi nefasti precedenti l’uscita abbiano moltiplicato all’ennesima potenza un impatto emotivo già di suo oltre la norma.
Però, ripensandoci, l’idea di parlare di Aleah al presente non è stata affatto sbagliata: voglio credere che il suo spirito sia sempre accanto al suo compagno di vita Juha, aiutandolo a superare la sua perdita fornendogli l’ispirazione per elargirci altre impagabili emozioni.
E, in fondo, è proprio grazie all’immortalità conferita dall’arte che Aleah Stanbridge occuperà per sempre un posto di rilievo anche nel nostro cuore di semplici appassionati ed umili cronisti di tanta bellezza: Hour Of The Nightingale è un disco perfetto che, purtroppo, non potrà mai avere un seguito, e questo è un altro buon motivo per riservargli un posto privilegiato tra i nostri ascolti, oggi e negli anni a venire.

Tracklist:
1.My Requiem
2.Eye Of Night
3.Condemned To Silence (feat. Mick Moss)
4.A Million Tears
5.Hour Of The Nightingale
6.The Passage
7.Broken Mirror
8.Black Ocean
9.Sinking Ships
10.Gallows Bird (feat. Nick Holmes)

Line-up:
Aleah Stanbridge – Vocals, Lyrics, Songwriting
Juha Raivio – Guitars, Songwriting
Kai Hahto – Drums
Fredrik Norrman – Guitars
Mattias Norrman – Bass

TREES OF ETERNITY – Facebook

Reveal – Flystrips

Black/death metal old school, forse un po’ troppo, tanto che sembra di essere al cospetto di un demo dei primi anni novanta, con suoni terribili, voce dall’oltretomba e batteria piatta.

Sfatiamo il luogo comune che, tutto quello che viene dai paesi scandinavi sia di livello superiore alle scene degli altri paesi.

E’ indubbio che la maggior parte delle realtà metalliche nate al nord, anche per un discorso culturale e sociale (la musica in quelle nazioni ha sempre avuto molta importanza nello sviluppo sociale dell’individuo) sia di un livello molto alto, ma non mancano certo i gruppi che non danno qualitativamente quello che il loro paese di nascita promette.
I Reveal, per esempio sono un combo black/death di Uppsala, attivo da una decina d’anni e con due lavori alle spalle: il full length Nocturne of Eyes and Teeth, uscito nel 2011, ed il singolo Cadmium di quest’anno, che apriva la strada a questo nuovo lavoro, Flystrips.
Black/death metal old school, forse un po’ troppo, tanto che sembra di essere al cospetto di un demo dei primi anni novanta, con suoni terribili, voce dall’oltretomba e batteria piatta.
Peccato, perché la band ha molte frecce al proprio arco: un sound destabilizzante, un approccio schizoide e dall’attitudine punk, ben nascosto tra le trame di brani a loro modo originali, che tornano indietro agli anni dei primi passi di quello che diventerà il temibile black metal scandinavo.
Poco più di mezz’ora faticando tra i non suoni di un lavoro obsoleto, magari idolatrato dai fans duri e puri, ma poco incline ad essere apprezzato, anche da chi, come il sottoscritto, ama il metal estremo old school.
Non mancano comunque buone idee, la band ha degli spunti interessanti e bizzarri e, specialmente negli intricati riffi trova il proprio punto di forza: poco per andare oltre una sufficienza risicata, che di questi tempi per Flystrips equivale ad un probabile oblio.

TRACKLIST
1. I Am Going To Eat You
2. Leopard Cunt
3. Heart
4. Cadmium
5. Comes Crashing Down
6. Stale Smoke***
7. Old Speckled One
8. Tame Your Neighborhood (with knives)

LINE-UP
Spine – guitar
Gottfrid – bassguitar
Petter– drums & percussion
Crack – vocals

REVEAL – Facebook

Søndag – Bright Things

I Søndag hanno un suono riconoscibile, anche grazie alla presenza di due chitarre con otto corde, e quindi accordature molto ribassate che danno un tono più corposo al tutto.

Band di Piacenza che fa un rock metal di gran lunga migliore di molti analoghi e decantati gruppi di oltreoceano.

La loro prima apparizione musicale è di quest’anno, con un omonimo ep di tre tracce, promosso dal videoclip No. Il gruppo non è debuttante, poiché è stato fondato sulle ceneri degli Edema, che avevano già una discreta esperienza. Il loro suono è molto americano, attingendo alla fonte sempre viva del metal rock, ma i Søndag dalla loro hanno una composizione superiore ed molto talento, e tutto ciò fa in maniera che il disco scorra molto bene, veloce e preciso, gustoso e pulsante. Certamente a tutto ciò ha giovato la registrazione ed il missaggio di Riccardo Demarosi, valorizzato dalla masterizzazione di Alan Douches negli States, uno che ha avuto fra le mani gruppi del calibro di Converge, Swans, Mastodon ed altri. I Søndag hanno un suono riconoscibile, anche grazie alla presenza di due chitarre con otto corde, e quindi accordature molto ribassate che danno un tono più corposo al tutto. Questo accorgimento riesce a dare un tocco decisivo, perché i Søndag portano il rock metal ad un livello più alto, ascoltare per credere.
Il gruppo piacentino mette in musica la cronaca dei giorni difficili e la voglia di vederne di più luminosi, con forza e con talento.

TRACKLIST
1. Sweet
2. Back In Town
3. Polite Rebel
4. Viper
5. Wax
6. Bright Things
7. Leftover
8. Spitfire
9. Time Has Come

LINE-UP
Marcello Lega – Guitars
Riccardo Lovati – Drums
Marco Benedetti – Guitars
Riccardo Demarosi – Voice, Bass

SONDAG – Facebook

Vicolo Inferno – Stray Ideals

Stray Ideals conferma l’ottima forma che sta attraversando l’hard rock made in Italy, la bravura dei Vicolo Inferno ed il fiuto della Logic(il)logic Records.

Lo street metal in quel di Los Angeles, ed il grunge di Seattle due generi agli antipodi, in questi ultimi tempi sono stati presi come ispirazione da molti dei gruppi di ultima generazione che, con sagacia, ne hanno manipolato atmosfere e sfumature e, con personalità ed una buona dose di talento, hanno creato un ibrido molto interessante, così da prendere per mano il rock e portarlo con dignità e forza nel nuovo millennio.

Nel nostro paese il genere ha trovato non poche ottime realtà a cui si aggiungono i Vicolo Inferno, combo proveniente dalla zona di Imola al secondo full length, successore del debutto Hourglass uscito sempre per Logic(il)Logic nel 2013 e di un primo demo (Hell’s Alley).
Prodotto da Riccardo Pasini ai Studio 73, ed accompagnato dal bellissimo artwork creato da Simone Bertozzi (The Heartwork), Stray Ideals è un altro ottimo esempio di hard rock moderno proveniente dal nostro paese, aggressivo quanto basta per non sfigurare al cospetto dei fans dai gusti metallici, pregno di quel groove che risulta marchio di fabbrica del sound odierno, valorizzato da una vena sudista che lo colloca tra migliori esempi di quel rock americano che regna sulla musica del diavolo.
Stray Ideals è tutto qui e non è poco, aggiungo, visto l’ottimo songwriting, con una produzione che spinge sulle ritmiche (Wallace al basso e Michele “Gollo” Gollini alle pelli) , la sei corde che non sbaglia un solo (Marco Campoli) tra urlanti suoni metal stoner, sanguigni passaggi dal retrogusto southern ed atmosfere rock’n’roll/post grunge da sogno americano.
La voce perfettamente in linea con le atmosfere dei vari brani, calda, aggressiva e cangiante di Igor Piattesi, fa il resto e tralasciando Two Matches, traccia leggermente fuori contesto dove il singer duetta con l’ospite Caterina Minguzzi, Stray Ideals è un susseguirsi di emozioni forti sulla route che collega Los Angeles a Seattle in compagnia del quartetto e delle varie Gray Matter Brain, Unnameables, la title track, la stupenda Ambush e l’hard rock arrabbiato di Noise Of Silence.
Stray Ideals conferma l’ottima forma che sta attraversando l’hard rock made in Italy, la bravura dei Vicolo Inferno, ed il fiuto della label nostrana, una garanzia per i suoni hard rock melodici, tradizionali o come in questo caso, moderni.

TRACKLIST
01. Gray Matter Brain
02. Dirty Magazzeno
03. Rude Soul
04. Stray Ideals
05. Two Matches
06. Unneameables
07. Ambush
08. Heartwoofer
09. On Road’s Edge (Intro)
10. The Rough Hills
11. Noise Of Silence
12. Crosses Market
13. Blood Mist

LINE-UP
Igor Piattesi – Vocals
Marco Campoli – Guitar
Wallace – Bass
Michele “Gollo” Gollini – Drums

VICOLO INFERNO – Facebook

Grodek – Downfall Of Time

Il disegno artistico dei Grodek trova già una propria parziale concretizzazione, esibendo in maniera convincente la robustezza delle trame death ed il senso di drammatica ineluttabilità del doom.

Secondo Ep per gli abruzzesi Grodek , band davvero interessante che si muove in bilico tra death melodico e doom in maniera, mantenendo sempre un invidiabile equilibro tra le varie componenti del sound.

Questa breve prova, intitolata Downfall Of Time (che si avvale, in copertina, di una splendida fotografia di Francesco Delli Benedetti), si lega in maniera ancora più esplicita al concept che sta alla base dell’opera dei quattro ragazzi di Vasto, ovvero quello di “cantare la decadenza, il vuoto ed il fango della nostra realtà, trasformando l’ansia e l’orrore in esperienza estetica”.
Un modo di definire la propria musica intrigante e sicuramente impegnativo, ma va detto che il sound dei Grodek non smentisce tale dichiarazione di intenti; i quattro brani, infatti, sono piuttosto nervosi e pervasi da una certa inquietudine e, dovendo trovare un possibile riferimento per inquadrare le sfumature musicali proposte, direi che, specialmente in From The Fog I Rose e Time And Black Tides, il primo nome che viene in mente sono i Novembers Doom.
Da sempre ritengo la band di Paul Kuhr piuttosto sottovalutata, pur essendo fautrice di un sound piuttosto peculiare e riconoscibile: il fatto che i Grodek in qualche modo li richiamino alla memoria, nello stile vocale di Matteo Colantonio e in diverse soluzioni sonore, è senz’altro un fattore positivo che non deve far pensare al contenuto di Downfall Of Time come un qualcosa di derivativo, semplicemente è normale per un gruppo alle prime uscite ricordarne, anche inconsciamente, altri già conosciuti.
Resta il fatto che, in questi 25 minuti, il disegno artistico dei Grodek trova già una propria parziale concretizzazione, perché oltre ai due brani citati, anche Naiade e The Pale Dame esibiscono in maniera convincente la robustezza delle trame death ed il tocco di drammatica ineluttabilità del doom.
Un’ottima prova per un gruppo che sembra già avere tutte le carte in regola per provare l’avventura su lunga distanza, proprio perché è netta la sensazione che questo sia solo l’inizio di un percorso musicale tutt’altro che banale.

Tracklist:
1. From The Fog I Rose
2. Naiade
3. The Pale Dame
4. Time And Black Tides

Line-up:
Matteo Colantonio – Vocals, Guitars
Tiziano De Cristofaro – Guitars
Alessandro Leone – Drums
Matteo Sputore – Bass

GRODEK – Facebook

Tonic Breed – Outsold

I suoni colmi di groove modernizzano il thrash metal dei Tonic Breed che, se deve molto a Slayer e Metallica, vive della personalità di una band scafata.

La Norvegia, terra di metal estremo e nido malefico di maligne creature death/black, è patria dei Tonic Breed, gruppo di Sarpsborg attivo dal 2008 e con un primo album già licenziato nel 2010 (On the Brink of Destruction).

La musica del terzetto scandinavo però, con una spinta devastante manda a quel paese le sonorità estreme per cui la sua terra è famosa e ci investe con una bordata di thrash metal che coniuga tradizione e spunti moderni, guardando agli Stati Uniti ed alla scena della Bay Area.
Partendo da questa illustre base, i Tonic Breed riescono ad immettere senza forzature sfumature in linea con il metal di questo millennio, confezionando un prodotto fresco, aggressivo ed assolutamente diretto.
Outsold risulta così una mazzata metallica considerevole, suonata e prodotta con tutti i crismi, e i suoni colmi di groove modernizzano il thrash metal del combo che, se deve molto a Slayer e Metallica, vive della personalità di una band scafata.
Enorme il lavoro delle chitarre, eccellenti i passaggi strumentali dal taglio heavy, buono la prova al microfono aggressiva e robusta e pregevoli le ripartenze che hanno il taglio delle cavalcate metalliche di album storici per il genere suonato.
Master Of Puppets e Season In The Abyss amalgamati e fatti frullare con una dose massiccia di groove, questa è la ricetta di Patrik Kvalvik Svendsen (voce, chitarra), Rudi Golimo (basso) e Jørgen Abrahamsen (chitarra) per confezionare le loro Strife, Bad Company, Outsold  e quel piccolo capolavoro strumentale di Borregaard, otto minuti abbondanti di Metallica style.
Album magari derivativo ma a tratti esaltante, che merita l’attenzione dei thrashers e di chi ha nel cuore le sorti del metal,

TRACKLIST
01. Strife
02. Fifth Estate
03. Bad Company
04. Blackened Mind
05. Outsold
06. Rebellious Tendencies
07. Borregaard
08. There’s Just One Escape

LINE-UP
Patrik Kvalvik Svendsen – Vocal/Guitar
Rudi Golimo – Bass
Jørgen Abrahamsen – Lead guitar

TONIC BREED – facebook

Art X – The Redemption Of Cain

The Redemption Of Cain è un’opera bellissima e coinvolgente, a conferma del livello altissimo raggiunto dalla scena italiana che ci regala un altro lavoro di cui andare fieri.

Un’opera mastodontica quella che andiamo a presentarvi e che si può definire, a buon diritto, di proporzioni bibliche.

Infatti, in The Redemption Of Cain, è sulla vicenda di Caino e Abele che si sviluppa questa ennesima metal opera, creata in tutto e per tutto dal nostro Gabriele Bernasconi, singer degli heavy metallers Clairvoyants, un passato da tribute band degli Iron Maiden, e negli ultimi anni protagonista di un paio di ottimi album, prima dello scioglimento.
Il singer comasco non si è perso d’animo e, con l’aiuto di un nugolo di eccellenze del panorama hard & heavy mondiale, ha creato questo bellissimo lavoro che richiama chiaramente le opere degli Avantasia, ma vive di un songwriting eccelso, impreziosito da un numero impressionante di ospiti da lasciare a bocca aperta i maestri Sammet e Lucassen, e scrivendo un’altra sontuosa pagina di musica nobilmente metallica.
Andrè Matos, Roberto Tiranti, Amanda Sommerville, Zachary Stevens, Blaze Bayley, Steve Di Giorgio,Tim Aymar e Giuseppe Orlando, insieme a molti altri musicisti, fanno parte del cast di The Redemption Of Cain, sontuoso anche nell’artwork, ad opera di Eliran Kantor (Sodom, Testament, Iced Earth).
I sensi di colpa e la redenzione di Caino dopo l’omicidio perpetuato ai danni del fratello Abele, fanno da sfondo a questa opera epica, teatrale e tragica, splendidamente metallica nel suo incedere, contornata da un’aura di leggendaria epicità e che apprezzerete nel suo insieme, come nelle migliori opere musicali, pur non mancando di esaltare nei momenti più aggressivi.
Oltre alle varie interpretazioni, che vedono Tiranti nel ruolo di Abele, Matos nell’Aangelo di Dio, lo stesso Bernasconi in quello di Caino e poi la Sommerville in quella di Lilith, è Tim Aymar a strappare applausi nella velenosa Lucifer, confermando l’impegno che i vari artisti hanno messo per rendere The Redemption Of Cain qualcosa di unico.
Il sound alterna spettacolari e rocciose heavy power song ad atmosfere da rock opera, intrise di epica orchestralità in un susseguirsi di colpi di scena ed attimi dove si rasenta la perfezione interpretativa e creativa.
The First & The Second Sacrifice, con Matos e Tiranti sugli scudi, la già citata Lucifer, The Keeper Of Eden con l’ugola di Zachary Stevens a regalare brividi e la conclusiva e magnifica Eden, Finally…., dieci minuti di pura arte metallica, sono i brani che suggellano un’opera bellissima e coinvolgente, confermando il livello altissimo raggiunto dalla scena italiana e regalando un altro capolavoro di cui andare fieri.

TRACKLIST
1. Memoriae
2. Knowledge & Death
3. The First Sacrifice
4. The Second Sacrifice
5. Crime, Pain and Penance
6. Lilith
7. Lucifer
8. A Wife’s Love
9. The Keeper
10.Eden, Finally…

LINE-UP
Gabriele Bernasconi: music & lyrics, voice of Cain
Luca Princiotta: lead, rhythm and acoustic guitars
Oliver Palotai: keyboards, orchestral arrangements and FX
Steve Di Giorgio: bass
Giuseppe Orlando: drums

The Vocalists:
Blaze Bailey as Adam
Selina Lusich as Eve
Roberto Tiranti as Abel
André Matos as The Angel of God
Amanda Sommerville as Lilith
Tim Aymar as Lucifer
Lucia Emmanueli as Cain’s Wife
Zachary Stevens as The Keeper of Eden

ART X – Facebook

Sky Crypt – Incipit Anarchia: The Element of Anger

L’album è assolutamente consigliato a chi, in barba all’originalità apprezza ancora le sonorità storiche del genere e i primi sussulti qualitativi delle band guida

Che gran bel genere il death metal melodico, specialmente se viene suonato come in Scandinavia negli ormai gloriosi e passati anni novanta.

E’ con sommo piacere che vado a presentarvi un duo russo, proveniente dalla capitale, attivo da solo un anno e con questo ottimo lavoro fresco di stampa per la Fono Ltd.
Trattasi degli Sky Crypt, formati dai soli Alexandr Mikhaylov (voce e chitarra) e Marina Kuznetsova alle tastiere e del loro Incipit Anarchia: The Element of Anger, debutto che avrebbe (con un po’ d’attenzione da parte degli amanti di queste sonorità) la strada spianata per far innamorare i fans del melodic death metal, specialmente chi guarda ai suoni tradizionali del genere e non alle ultime sperimentazioni dai tratti statunitensi e (fino a poco tempo fa) cool.
Con quest’album torniamo indietro di vent’anni, un bel salto temporale, ma assolutamente gradito dal sottoscritto, che non può non farvi partecipe dell’ottimo lavoro svolto dal duo.
Il sound ricamato da suoni tastieristici che ricordano i Children Of Bodom, ma con un tocco di classicismo tutto farina della tradizione russa, è un death metal melodico, che alterna furiose cavalcate death/power in stile primi In Flames, rallentamenti ed atmosfere dark peculiarità degli immensi Dark Tranquillity, in un turbinio di metallo veloce ed aggressivo.
Il growl che ricorda il Mikael Stanne più estremo, brutalizza riff potenti e melodici ed il gran lavoro tastieristico ad opera di Marina, e in generale l’album trova più di un momento di ottimo metal estremo, melodico, arrembante ma raffinato dal classicismo innato dei musicisti provenienti dal profondo est europeo.
Non sono poche le tracce che emanano feeling a profusione, così che l’album è un bel sentire dall’inizio alla fine. con picchi altissimi come nelle ottime Way into Dark, Road To Power e Leaving The Shadows.
Incipit Anarchia: The Element of Anger è assolutamente consigliato a chi, in barba all’originalità apprezza ancora le sonorità storiche del genere e i primi sussulti qualitativi delle band guida: gli Sky Crypt sono una band tutta da scoprire, mettetevi alla caccia di questo gioiellino metallico, non ve ne pentirete.

TRACKLIST
1.Within the Anarchy
2.The Prophecy
3.Way into Dark
4.Child of War
5.Road to Power
6.Leaving the Shadows
7.Fire and Wind
8.Element of Anger
9.Cursed by Gods
10.Exile
11.Following the Light

LINE-UP
Alexandr Mikhaylov – Guitars, Vocals
Marina Kuznetsova – Keyboards

SKY CRYPT – Facebook

Projekt Mensch – Herzblut

Chi apprezza il sound dei Rammstein può trovare nei Projekt Mensch un valido surrogato

Il meritato successo planetario conseguito dai Rammstein ha indubbiamente aperto le porte ad una forma di metal imbastardito dall’elettronica e contraddistinto da una discreta base danzereccia che, ovviamente, trova la sua sublimazione in terra tedesca, visto che a mio avviso proprio l’utilizzo della lingua madre ne è un elemento fondante ed essenziale.

Questo ha ovviamente sdoganato diverse realtà che portano a muoversi in questo solco, tra i quali annoveriamo i Projekt Mensch, in circolazione già da diversi anni e con all’attivo un album nel 2011.
Tutto sommato, rifarsi vivi in questo momento di prolungata vacanza discografica di Lindemann e soci si rivela una mossa azzeccata: gli estimatori di quel tipo di sound possono trovare nei Projekt Mensch un valido surrogato, anche se rispetto ai Rammstein manca, e non poco, la potenza del muro sonoro eretto dai riff di Kruspe e Landers.
Herzblut scorre via comunque molto lineare ed orecchiabile, con più di un brano killer che mieterà diverse vittime (Der Schmerz, Dunkelheit, Mach mich fromm e Segne mich), anche se ha il piccolo difetto di vederli racchiusi tutti nella sua prima metà, con una seconda parte che presta il fianco sia ad una certa ripetitività, sia ad una minore incisività a livello prettamente compositivo.
Nulla di trascendentale, ma decisamente appetibile per quelli che, come me, hanno sempre avuto un debole per questa “tamarra” commistione tra metal ed elettronica in salsa teutonica.

Tracklist:
01. Der Schmerz
02. Dunkelheit
03. Mach mich fromm
04. Ich bringe dich Heim
05. Segne mich
06. Spieglein Spieglein
07. Schuld und Sühne
08. Das Kind
09. Vergeltung
10. Mein Herz

Line-up:
Deutscher W
Caligula
Stalin
Dark
Wolfenstein

PROJEKT MENSCH – Facebook

Diabol Boruta – Widziadla

I Diabol Boruta continuano la a dispensare buon folk metal, alternando atmosfere fiabesche a cavalcate metalliche dal mood melodic death.

E come d’incanto i Diabol Boruta escono dalla foresta, ci ammaliano con i loro suoni provenienti da altre ere e ci accompagnano nel bel mezzo del sottobosco, in compagnia di popoli dimenticati dal tempo, folletti ed elfi che vivono in simbiosi con questi ultimi paladini di un genere umano integrato alla perfezione con la natura.

Non mancano i pericoli e i richiami alla battaglia arrivano puntuali e hanno il suono del folk metal del quintetto polacco.
Al terzo lavoro dopo Lesny duch…, promo album uscito nel 2014, e l’ottimo Stare Ględźby, licenziato lo scorso anno, i Diabol Boruta continuano la a dispensare buona musica, alternando atmosfere fiabesche a cavalcate metalliche dal mood melodic death, in un quanto mai riuscito esempio di folk metal.
Leggermente più oscuro rispetto al il predecessore, Widziadla aumenta considerevolmente l’impronta metallica nel sound del gruppo, ne esce così un album intenso, strutturato su ritmiche estreme e con sempre in primo piano il gran lavoro degli strumenti tradizionali.
Più Finntroll che Korpiklaani dunque, band quest’ultima che marchiava a fuoco il sound di Stare Ględźby, onorata dalla cover di Vodka, mentre sul nuovo lavoro i popoli della foresta si alleano per sconfiggere il mortale nemico giunto da un paese oscuro, terribile minaccia per la quiete di una fantasiosa contea tra le querce millenarie.
Picchiano duro i Diabol Boruta, con brani che cavalcano gli unicorni come Marzanna – Smiercicha, Nim Pierwsza Gwiazda Wzesla e The Winder, mentre le ariose parti folk da taverna sono lasciate in parte alla title track a Rusalka e alla bellissima Sobotki.
Un album che conferma l’ottima vena del gruppo, notevole nel saper confezionare lavori indubbiamente devoti ai nomi più famosi del genere senza perdere un briciolo di personalità: nel mondo del folk metal un piccolo gioiellino.

TRACKLIST
1. Nim Zawieje Wiatr
2. Wietrznik
3. Marzanna – Smiercicha
4. Nim Pierwsza Gwiazda Wzesla
5. Rusalka 6. Bledne Ogniki
7. Wyjce 8. Jarmark Widziadel
9. Sobotki
10. W Moim Ogrodecku
11. The Winder
12. Kupala Night

LINE-UP
Paweł “Rudy” Leniart – vocals, bass
Mirek “Miras” Mamczur – guitars, accordion, wooden flute
Paweł “Rundziou” Szczupak – guitars
Dawid “Dejw” Warchoł – keyboards, accordion
Łukasz “Zibra” Zembroń – drums

http://www.facebook.com/diabolboruta

https://www.youtube.com/watch?v=WRm6Oh0afMU

Insonus – Nemo Optavit Vivere

La capacità di variare le sfumature stilistiche da parte degli Insonus, rende Nemo Optavit Vivere un lavoro di un certo interesse.

Ep d’esordio per gli Insonus, duo italiano che va ad inserirsi nell’affolata scena black metal.

La maniera per farsi notare in questo specifico settore, tralasciando la remota possibilità che qualcuno che riesca ad introdurre particolari elementi innovativi nel proprio sound, è sicuramente quella di intepretare la materia in maniera coerente e competente, anche se non sempre si rivela ugualmente utile a raggiungere lo scopo.
Gli Insonus, in ogni caso, il loro compito lo svolgono in maniera egregia, con la proposta di un black che in certe parti sembra spingere più sul versante depressive, mentre in altre rimane nell’alveo della tradzione, il tutto però sempre con una buona propensione nel creare linee melodiche capaci di attrarre l’attenzione del’ascoltatore.
Proprio la capacità di variare le sfumature stilistiche da parte del duo, rende Nemo Optavit Vivere un lavoro di un certo interesse, proprio perché offre la sensazione di una ricerca musicale che va oltre la ripoposizione fedele degli stlemi del genere.
Così, se The Solution è una bella traccia nello stile dei migliri Arckanum, Bury Me esplora n manira decisa il versante depressive, con un andatura più rallentata ed il canonico scraming disperato a fare da corollario; Nihist Manifesto è un brano che, dopo un’introduzione pacata, diviene inarrestabile quando le ritmiche si fanno a trati parossistiche, mentre Life Hurts A Lot More Than Death è un pregevole episodio di matrice ambient.
L’ep indica senz’altro buone doti compositive da parte degli Insonus e gli scostamenti stilistici denotano il lodevole tentativo di non apparire eccessivamente calligrafici, cosa che riesce loro piuttosto bene: a mio avviso il brano più focalizzato ed incisivo è The Solution, ma anche i restanti risultano degni di una certa attenzione. Un esordio decisamente positivo.

Tracklist:
1. The Solution
2.Bury Me
3.Nihilist Manifesto
4.Life Hurts A Lot More Than Death

Line-up:
R. – Guitars, Additional Vocals, Songwriting
A. – Vocals, Lead guitars, Bass, Programming, Arrangements

INSONUS – Facebook

Roxin’ Palace – Freaks Of Society

Tredici brani per far rivivere ancora una volta il rito del rock’n’roll, con i suoi eccessi, le sue contraddizioni, i suoi successi e gli inevitabili fallimenti, ma assolutamente consolidato anche nel nuovo millennio.

Nell’underground metal/rock il ritorno della sonorità street/hard rock è diventato un piacevole dato di fatto, così a MetalEyes non passa giorno senza che arrivino pacchi virtuali al cui interno sono pronte ad esplodere travolgenti bombe a base di nitroglicerina rock’n’roll direttamente dal Sunset Boulevard.

E così vi presentiamo i Roxin’ Palace, gruppo italiano che, tramite la Sleaszy Rider Records, ci fa partecipi del secondo e selvaggio party, dopo la prima festa omonima licenziata nel 2013.
Nato da un’idea del chitarrista Alex Corona dei Revoltons, il gruppo conferma con Freaks Of Society l’ottimo livello della scena hard rock dai richiami street e sleazy che si è formata lungo lo stivale, un migliaio e rotti di chilometri su e giù per l’Italia a botte di sguaiato hard rock, come una lunghissima strada ad attraversare una Los Angeles ottantiana, in questo caso facendo pure l’occhiolino alla più attuale scena scandinava.
Freaks Of Society sta tutto qui e non è poco, aggiungo, con tredici brani inclusa ballad d’ordinanza a far rivivere ancora una volta il rito del rock’n’roll, con i suoi eccessi, le sue contraddizioni, i suoi successi e gli inevitabili fallimenti, ma assolutamente consolidato anche nel nuovo millennio.
Anche se il genere difficilmente tornerà a far bella mostra di sé nelle classifiche radiofoniche, è indubbio che negli ultimi tempi la fiamma è tornata a scaldare i cuori dei rockers tutti chiodo, mascara e Jack Daniels, con il nostro paese che non si è fatto trovare impreparato dando i natali ad almeno una decina di band tranquillamente in grado di conquistarsi un posto d’onore nel panorama odierno.
L’album dei Roxin’ Palace si posiziona nella parte più alta dell’ideale classifica, con il suo sound che regala quegli intramontabili spunti per i quali continuiamo ad essere innamorati di questo genere musicale, e allora, via con chorus da urlare in piena notte tra le vie di una città ormai deserta, solos taglienti che vi bruceranno dentro peggio dell’alcool ingurgitato per tutta la sera, riff scolpiti sui muri del Sunset Strip e ballatone per smaltire notti brave.
Monsters Love, Thai Of Mine, Monkey Junkie, Fading Idol: provate voi stare fermi, se ci riuscite …

TRACKLIST
1. Freaks Of Society
2. Monsters Love
3. Gangs Eraser
4. Thai Of Mine
5. Postatomic Hotel
6. L.A. Mist
7. Monkey Junkie
8. Rockers Of The Eagle
9. Neighbourhood Stars
10. Fading Idol
11. Freak
12. F.A.N.
13. Little Lizzy (bonus track)

LINE-UP
Al – Vocals
Crown – Guitars
Riggs – Guitars
Gian Roxx – Bass
Hell – Drums

ROXIN’ PALACE – Facebook

Phil Campbell And The Bastard Sons – Phil Campbell And The Bastard Sons

Cinque brani spumeggianti, con le sei corde che impazzano in veloci rincorse per spiccare il volo, magari non con questo ep ma, se le premesse verranno mantenute, con un prossimo ed eventuale full length.

Non deve essere stato facile per Phil Campbell e Mikkey Dee ripartire dopo la morte i Lemmy.

I Motörhead sono e resteranno un’ istituzione e la mancanza, oltre che di un grande artista, di un amico e fratello come lo storico bassista li tormenterà per tutta la vita.
Ma l’anima del musicista è più forte delle tragedie, così Mikkey Dee si è accomodato dietro ad un drum kit sontuoso come quello degli Scorpions, mentre il chitarrista trasforma la sua band famigliare in qualcosa di più che un passatempo con i propri figli.
Cambio di monicker da Phil Campbell All Star al più rock style Phil Campbell and the Bastard Sons e primo ep licenziato dall’etichetta che porta il nome dei Motörhead, in collaborazione con Warner.
Il gruppo è formato dalla famiglia Campbell (Phil, Todd alla seconda chitarra, Dane alla batteria e Tyla al basso) con l’aiuto dell’ottimo singer Neil Starr, un animale dotato di una voce calda e sanguigna.
E di hard rock’n’roll si tratta, tra tradizione e nuove influenze, ben collocato in questi primi anni del nuovo millennio senza guardare troppo allo scomodo passato dell’illustre axeman.
Ne escono cinque brani spumeggianti, con le sei corde che impazzano in veloci rincorse per spiccare il volo, magari non con questo ep ma, se le premesse verranno mantenute, con un prossimo ed eventuale full length.
Un sound che pesca a piene mani dal rock americano di questi ultimi tempi e si colloca tra i Velvet Revolver, qualche accenno alla scena scandinava e chiaramente un pizzico di verve motorheadiana, con l’opener Big Mouth che carica come un toro infuriato.
Spiders è un mid tempo dal buon groove che Campbell impreziosisce con un solos tagliente e metallico, mentre Take Aim è rock ‘n’ roll di origine controllata con non pochi riferimenti ai Backyard Babies.
No Turning Back torna alle famose ritmiche Lemmy/Dee, mentre il refrain odora di Velvet Revolver, con un Neil Starr ispiratissimo, mentre l’arrivederci al prossimo giro di whiskey è lasciata alle armonie acustiche di Life In Space, che ricordano sorprendentemente il terzo lavoro targato Led Zeppelin.
Non male davvero, il vecchio Phil è ancora in pista ed è tornato a far battere i cuori dei rockers sparsi per il globo, attendiamo con ansia nuovi sviluppi perché il progetto merita.

TRACKLIST
1.Big Mouth
2.Spiders
3.Take Aim
4.No Turning Back
5.Life In Space

LINE-UP
Phil Campbell – Guitars
Todd Campbell – Guitars
Dane Campbell – Drums
Tyla Campbell – Bass
Neil Starr – Vocals

PHIL CAMPBELL AND THE BASTARD SONS – Facebook

Infecting the Swarm – Abyss

Un meteorite brutal death in picchiata sul pianeta, potrete provare ad ignorarlo ma senza evitare d’esserne vittime.

Un’apocalisse sonora di matrice brutal arriva con la sua tonnellata di potenza devastante a riempire le serate dei deathsters estremi.

La causa di questo armageddon è il secondo lavoro della one man band tedesca Infecting The Swarm, creatura del polistrumentista Hannes S., che esce dall’abisso per portare il suo carico di morte Sci-Fi tramite la Lacerated Enemy records.
Hannes ha fatto le cose a modo, la produzione scintillante rende l’ascolto un’apoteosi di suoni violenti e senza soluzione di continuità, più di mezz’ora tra furia cieca, annichilenti parti rallentate e growl mostruosi, per un album che risulta, nel genere, una buona alternativa ai lavori delle band storiche del genere (forse) più estremo in circolazione.
Abyss non molla la presa sui testicoli, schiacciati dalla potenza e dal groove che brani devastanti come Perennial Ruins, The Bleak Abyss e Obscuring the Seventh Sun hanno sull’ascoltatore, con riff schiacciasassi, ritmiche dal groove maligno e le forti atmosfere di catastrofe imminente.
Un meteorite brutal death in picchiata sul pianeta, potrete provare ad ignorarlo ma senza evitare d’esserne vittime: consigliato agli amanti di Deeds Of Flesh e Cannibal Corpse, nel suo genere un buon lavoro.

TRACKLIST
1.Entropy
2.Perennial Ruins
3.Hypogean Awakening
4.Innate Divinity
5.The Bleak Abyss
6.Hollow Sphere
7.Obscuring the Seventh Sun
8.Spiral Fragmentation
9.Descension

LINE-UP
Hannes S. – Vocals, Guitars, Bass, Drums

INFECTING THE SWARM – Facebook