Tomorrow’s Eve – Mirror Of Creation III – Project Ikaros

Prog metal duro come l’acciaio, diviso da una sottile quanto resistente linea con l’heavy metal e valorizzato da spettacolari cambi di tempo e porzioni strumentali che attaccano al muro, forti di una grinta metallica invidiabile.

Le vie del progressive metal sono infinite, le sue intricate strade passano agevolmente dalle lunghissime highway americane alle nebbie umide del Regno Unito, dalle coste mediterranee alle nevi scandinave e giungono alla sempre più metallica Germania, terra da sempre culla dell’hard & heavy nella vecchia Europa.

I Tomorrow’s Eve sono una band che del progressive metal ha fatto la sua missione fino dal lontano 1998, vent’anni intervallati da ottimi lavori e lunghi silenzi, rotti dall’arrivo del terzo capitolo della saga Mirror Of Creation, titolo che torna dopo anni sulla copertina di un album del gruppo dopo Mirror Of Creation licenziato nel lontano 2003 e Mirror Of Creation II – Genesis, licenziato tre anni dopo.
Siamo entrati nel 2018, segnato dal ritorno del gruppo con Mirror Of Creation III – Project Ikaros, monumentale lavoro dalla durata importante (quasi settanta minuti) e dalla qualità che non inficia la reputazione della band che, a una distanza rilevante dall’ultimo album (una decina d’anni), spazza via la polvere accumulata da anni di inattività e regala agli amanti del genere un album davvero ben fatto.
Prog metal duro come l’acciaio, diviso da una sottile, quanto resistente linea con l’heavy metal e valorizzato da spettacolari cambi di tempo e porzioni strumentali che attaccano al muro, forti di una grinta metallica invidiabile;
un grande cantante come Martin Le Mar (Mekong Delta, Lalu, Nachtgeschrei) e due pezzi da novanta come Mike Lepond al basso (Symphony X, Ross The Boss) e John Macaluso alle pelli (Yngwie Malmsteen, Labyrinth, Ark, TNT), affiancano i pur bravi Rainer Grund alla sei corde e Oliver Schwickert alle tastiere, per una line up scintillante ed un lavoro che merita l’attenzione degli amanti del genere.
Ovviamente ci si scontra con un album di genere, quindi prog metal duro e puro, tecnicissimo ed ispirato ai Symphony X nelle parti più spinte e ai Threshold in quelle più melodiche, un album roboante e mastodontico, da far vostro in tutta la sua potente natura metallica.

Tracklist
01.Welcome To The Show
02.Morpheus
03.Bread And Circuses
04.Imago
05.The System
06.Law And Order
07.Dream Within A Dream
08.Terminal
09.Inner Sanctum
10.Somnium Ex Machina
11.Gods Among Each Other

Line-up
Martin Le Mar – Vocals
Rainer Grund – Guitars
Oliver Schwickert – Keyboards
Mike Lepond – Bass
John Macaluso – Drums

TOMORROW’S EVE – Facebook

Killing Addiction – Omega Factor

Tramite la Xtreem ritorna a devastare l’udito dei deathsters mondiali questo album, diventato di culto tra gli appassionati ed ora finalmente ripresentato con l’artwork originale rinnovato, un suono notevolmente migliorato e la chicca dei due demo che valorizzano ancora di più l’operazione.

9 Marzo 1993 / 9 Marzo 2018 a distanza di venticinque anni esatti torna sul mercato. tramite la Xtreem, Omega Factor, primo full length dglei statunitensi Killing Addiction, band vissuta per qualche anno all’ombra dei gruppi storici dalle parti della Florida.

La band iniziò la sua avventura nel mondo del metal estremo nel 1990 e, dopo due demo (Legacies Of Terror e Necrosphere) che troverete come bonus su questa ristampa, licenziò l’album in questione e dopo un altro paio di lavori minori interruppe l’attività dal 1998 al 2010, anno di uscita del secondo lavoro sulla lunga distanza (Fall of the Archetypes); ancora altri due ep e si arriva al 2016 e al lutto che ha colpito il gruppo, con la morte del chitarrista Chad Bailey, fratello del cantante e bassista Pat.
Tramite la Xtreem ritorna a devastare l’udito dei deathsters mondiali questo album, diventato di culto tra gli appassionati ed ora finalmente ripresentato con l’artwork originale rinnovato, un suono notevolmente migliorato e la chicca dei due demo che valorizzano ancora di più l’operazione.
Omega Factor è il classico album dell’epoca, quindi si parla di death metal old school di matrice statunitense che i Killing Addiction rendono ancora più estremo con soluzioni grind, mentre i tradizionali rallentamenti doom portano la musica del gruppo nel mondo abissale e maligno dei Morbid Angel.
Una buona varietà nel sound fa di Omega Factor un ascolto interessante, con la band che usa a suo piacimento tutti i cliché del genere, mentre il cantato passa come la musica da growl profondi a scream di natura grindcore.
Equating The Trinity, Altered At Birth e la conclusiva Impaled sono i brani migliori di un debutto sicuramente da rivalutare, soprattutto se siete fans incalliti del death metal tradizionale.
I due lavori minori vedono all’opera  invece una band ancora acerba, alle prese con un metal estremo che dal death passa al thrash di natura slayerana, sicuramente non imperdibile ma nel contesto del prodotto sicuramente affascinanti e che ben fotografano le gesta dei Killing Addiction nei primi anni di vita.

Tracklist
1.Omega Factor
2.Equating The Trinity
3.Nothing Remains
4.Dehumanized
5.Altered At Birth
6.Necrosphere
7.Global Freezing
8.Impaled
9.Necrosphere (7” EP)
10.Covenant Of Pain (7” EP)
11.Impaled (7” EP)
12.Nothing Remains (Demo)
13.Well Of Souls (Demo)
14.Condemned (Demo)
15.Necrosphere (Demo)

Line-up
Patrick Bailey – Bass, Vocals, Lyrics
Chris Wicklein – Guitars
Chad Bailey – Guitars
Chris York – Drums

KILLING ADDICTION – Facebook

Arya – Dreamwars

Una musica che è interpretazione e drammatica teatralità, con i brani che formano una suite alienante ma suo modo originale, soprattutto in un genere come quello del rock progressivo moderno dove ormai diventa difficilissimo trovare strade musicali non ancora battute.

Album coraggioso e di difficile catalogazione, Dreamwars è il secondo lavoro degli Arya, band riminese al debutto nel 2015 con In Distant Oceans e tornata dunque dopo tre anni con un’opera intrigante, ma a cui ci si deve dedicare molto tempo prima che i suoni che inglobano nello stesso sound post rock e progressive riescano a fare breccia nell’ascoltatore.

Ritmiche marziali, marcette, la teatralità innata nel canto particolare della singer Virginia Bertozzi (uscita poi dalla band e sostituita da Clara J. Pagliero), una tecnica sopraffina che esce timida dalle nebbie di una musica intimista ed a suo modo dark, fanno di questo Dreamwars una complessa narrazione delle difficoltà dell’uomo, tra solitudine, incomunicabilità e suicidio, conseguenze della competitività in atto nella società contemporanea.
Quello degli Arya è un rock moderno, attraversato da una vena progressiva, un fiume di ritmiche e dissonanze strumentali su cui la cantante interpreta i vari stadi che l’uomo attraversa in questo inferno reale che è la vita.
Una musica che è interpretazione e drammatica teatralità, con i brani che formano una suite alienante ma suo modo originale, soprattutto in un genere come quello del rock progressivo moderno dove ormai diventa difficilissimo trovare strade musicali non ancora battute.
Gli Arya ci sono riusciti, anche se il loro album rimane un’opera di difficile assimilazione e per questo molto affascinante, adatto a chi non si spaventa al cospetto di brani intricati più per la loro atmosfera di altissima tensione emotiva che per la mera tecnica strumentale.
Non esistono singoli e brani che possano spiegare in modo soddisfacente quello che troverete in Dreamwars, un album da ascoltare per intero più volte per trovare la chiave che vi aprirà la porta per entrare nel concept degli Arya.

Tracklist
01. Sirens
02. Irriverence
03. NAND you
04. Commuters
05. Faith
06. Transistors
07. Arjuna
08. Rhinos
09. Eyes in eyes
10. Dreamwars
11. Gandharva

Line-up
Virginia Bertozzi – Vocals
Simone Succi – Guitars
Luca Pasini – Guitars
Namig Musayev – Bass
Alessandro Crociati – Drums
*Nicola Renzi – Vocals on NAND You

ARYA – Facebook

Hell Obelisco – Swamp Wizard Rises

Il disco degli Hell Obelisco è il frutto della collaborazione fra musicisti maturi e di esperienza che si divertono a fare musica e a spandere bordate musicali a destra e manca.

Il disco degli Hell Obelisco è il frutto della collaborazione fra musicisti maturi e di esperienza che si divertono a fare musica e a spandere bordate musicali a destra e manca.

I ragazzi vengono da Bologna e sono tutti dei veterani delle scene musicali pesanti, che hanno pensato di mettersi insieme e di fare quello che preferiscono. Il loro debutto è un concentrato di potenza e di pesantezza, con una forte influenza southern e una grande visione musicale d’insieme. I componenti degli Hell Obelisco provengono da gruppi come Addiction, Monumentum, Schizo, Tying Tiffany, Evilgroove e The Dallaz, per cui di esperienza musicale se ne trova in abbondanza. Ascoltando Swamp Wizard Rises si riassapora quel gusto per la musica pesante che si trova sempre più raramente, a partire dalla cure nel confezionare il suono, grazie anche alle sapienti mani di Para del Boat Studio e Paso dello Studio 73. Il disco funziona molto bene, ogni canzone è di alto livello e ciò che colpisce di più è la  completa padronanza della materia. I riferimenti musicali sono molti e svariati, dai Pantera allo sludge più southern, ma l’impronta degli Hell Obelisco è molto forte. Tutto è bello in questo album di debutto a partire dalla fantastica copertina ad opera di Roberto Toderico, che ha collaborato a stretto contatto con i componenti del gruppo, facendo portare le loro personali visioni del mago della palude. Un grande contributo è dato dall’affiatamento fra i vari membri della band, dato che si conoscono da venticinque anni. Un disco che diverte e che rende un gran servigio alle tenebre che ci portiamo dentro, noi che amiamo la musica pesante ed oscura.

Tracklist
1.Voodoo Alligator Blood
2.Teenage Mammoth Club
3.Escaping Devil Bullets
4.Earth Rage Apocalypse
5.Biting Killing Machine
6.Death Moloch Rising
7.Dead Dawn Duel
8.High Speed Demon
9.Black Desert Doom

Line-up
Andrew – Front Row Mammoth
Doc – Six Sludge Strings
Fraz – Seven Doomed and Lowered Strings
Alex – Behind The Skins

HELL OBELISCO – Facebook

Serum Dreg – Lustful Vengeance

Per i due figuri dell’Oregon il black deve essere un espressione intrisa di oscura malignità, con il compito principale di disturbare e, perché no, disgustare tramite un’offerta fatta di sonorità sporche, dirette ma nel contempo piuttosto assimilabili.

Tra le varie forme interpretative del black metal non viene mai meno quella che aderisce alla sua essenza primaria, offrendo un sound scarnificato ed essenziale.

E’ il caso appunto di questi Serum Dreg, provenienti da Portland e formati da una coppia di musicisti attiva anche con i più noti Ash Borer, che decidono di muoversi in direzione ostinata e contraria rispetto ad ogni idea di contaminazione del genere: questo primo ep offre pochi più di venti minuti che non faranno la storia del back metal ma che senz’altro la rievocano con buona proprietà e chiarezza di intenti.
Per i due figuri dell’Oregon il black deve essere un espressione intrisa di oscura malignità, con il compito principale di disturbare e, perché no, disgustare tramite un’offerta fatta di sonorità sporche, dirette ma nel contempo piuttosto assimilabili.
Valga così l ascolto di una traccia come l’opener Rotten Pillar / Lustful Vengeance che, dopo un canonico intro, riporta di peso a sonorità che vanno all’indietro, anche oltre la codifica scandinava del genere come lo conosciamo, andando a ripescare il proto black strettamente avvinghiato al trash degli anni ottanta, oppure la più immediata Holy Disease, tralasciando la furibonda title track, incalzante ma afflitta da un parossismo che lambisce il caos.
L’operato dei Serum Dreg è soddisfacente se si ricerca una forma di black semplice e di consumo immediato, versante palla lunga e pedalare, lo è un po’ meno se si predilige un sound appena un po’ più elaborato e con qualche minima variazione sul tema.

Tracklist:
1. Rotten Pillar / Lustful Vengeance
2. Edifice of Hatred
3. Holy Disease
4. Death Ritual
5. Impure Ceremony
6. Blasphemic Black Death Noise

Line-up:
Ad Infinitum – guitars, bass, keyboards, vocals
Conjure of Plague – drums, vocals

Angor Animi – Cyclothymia

Cyclothymia è un lavoro rivolto a chi l”angor animi” se lo porta dentro fin dalla nascita, pur se in maniera latente: solo così allora può concretizzarsi questa sorta di scambio emozionale che porta l’ascoltatore a condividere gli stati d’animo evocati dalla musicista.

Kjiel è una delle musiciste più attive nonché tra le interpreti di spicco all’interno della scena nazionale gravitante attorno al depressive black, in virtù della sua militanza negli ottimi Eyelessight e di diverse collaborazioni con band italiane e non.

Angor Animi è il monicker del suo progetto solista che vede la luce con questo magnifico Cyclothymia, lavoro con il quale la musicista abruzzese può dare ancor più liberamente sfogo alla sua sensibilità artistica volta ad esplorare gli anfratti più bui dell’animo umano.
Per fare tutto ciò Kjiel si avvale della presenza in qualità di ospite di Déhà, un nome che è una sorta di marchio di qualità non solo per tutti i suoi innumerevoli progetti personali (tra i quali ricordiamo per affinità agli Angor Animi quelli denominati Yhdarl e Imber Luminis), ma anche per quelli altrui ai quali si trova a fornire il suo personale contributo.
Va detto per amor di precisione che in Cyclothymia il musicista belga si occupa dell’intera parte ritmica e di alcune parti di chitarra in qualità di ospite, lasciando a Kjiel l’intero il peso compositivo oltre alla possibilità di esprimersi al meglio con la sei corde e con la sua lancinante interpretazione, integrata anche dall’apporto della voce maschile di HK (Eyelessight), dell’altra femminile di Tenebra (Dreariness) e dal piano di Maylord (Dark Haunters).
Il risultato di tutte queste componenti è un album di un’intensità portata alle estreme conseguenze, che dal DSBM mutua soprattutto l’impostazione vocale, mentre a livello strettamente musicale siamo sul piano di un black/post metal atmosferico e dall’enorme impatto emotivo.
Cyclothymia è un lavoro rivolto a chi l”angor animi” se lo porta dentro fin dalla nascita, pur se in maniera latente: solo così allora può concretizzarsi questa sorta di scambio emozionale che porta l’ascoltatore a condividere gli stati d’animo evocati dalla musicista.
Kjiel, con questo suo personale progetto, si conferma come una delle interpreti migliori e più credibili di questo particolare sottogenere, rivolto sicuramente ad una nicchia di appassionati che non hanno il timore di essere sopraffatti dal disagio e dalla sofferenza che si fanno musica.

Tracklist:
01 – Quantum
02 – Matter
03 – Hyle
04 – Cosmi
05 – Lumis
06 – Ifene
07 – Fractals
08 – Divide
09 – Entropia

Line-up:
1. Prelude to an End;
2. Everlasting Lethargy
3. After Years of Broken Dreams
4. Melanchomania
5. Cleithrophobia
6. Longing My Life Away
7. Cyclothymia
8. Self-Deception
9. No Way Out(ro)

Line-up:
Kjiel – Vocals, Guitars

Guests:
HK – Vocals
Déhà – Guitars, Bass, Drums
Maylord – Piano
Tenebra – Vocals

ANGOR ANIMI – Facebook

Nigredo – Flesh Torn – Spirit Pierced

Rispetto ai canoni tipici della scuola greca mancano del tutto le venature epiche, le quali vengono abbondantemente compensate da una ferocia degna del miglior black di matrice scandinava : tutto questo rende il lavoro dei Nigredo un passo oltre il livello standard al quale ci ha abituato il genere.

Anche per il duo ateniese denominato Nigredo giunge il momento del debutto su lunga distanza a tre anni dall’ep Facets of Death.

I musicisti coinvolti sono abbastanza conosciuti all’interno della scena ellenica e non stupisce quindi il fatto di trovarsi al cospetto di un lavoro maturo e senza dubbio interessante; Flesh Torn – Spirit Pierced solo apparentemente può sembrare una semplice esibizione di un furente black’n’roll perché, in realtà, troviamo quel qualcosa in più che si mostra sotto forma di dissonanze che non vanno a scalfire il tiro di un sound impietoso quanto coinvolgente, che si muove sulla scia di band più ortodosse come Norse o Impiety da un lato, e la consueta accoppiata transalpina Deathspell Omega/Blut Aus Nord dall’altra.
Va detto che in casi come questo la formazione a due, con un batterista in carne ed ossa, completa non poco il lavoro di A. (Ravencult), visto che Maelstrom (martello degli dei nei mitici Thou Art Lord, oltre che che in un’altra decina di band elleniche) offre il travolgente contenuto ritmico del quale necessita una proposta strutturata il tal modo.
Se si può fare qualche appunto rispetto ad una varietà piuttosto ridotta, chi apprezza la frangia del genere più martellante ed orientata al trash troverà di che divertirsi in questi tre quarti d’ora che non prevedono pausa né cedimenti di alcun genere, con il valore aggiunto di suoni dalla resa ottimale per le medie del genere e di una prestazione, come detto, del tutto convincente offerta da questa coppia di torturatori uditivi.
Rispetto ai canoni tipici della scuola greca mancano del tutto le venature epiche, le quali vengono abbondantemente compensate da una ferocia degna del miglior black di matrice scandinava : tutto questo rende il lavoro dei Nigredo un passo oltre il livello standard al quale ci ha abituato il genere.

Tracklist:
1. Ten Repellent Antiforces
2. Necrolatry
3. Choronzon Possession
4. Mental Glimpses At Cosmic Horrors
5. Saturnian Death Cult
6. Sons Of Worthlessness
7. Towards The Monolith
8. Raging Tides Of Time

Line-up:
A. – Vocals, Guitars, Bass
Maelstrom – Drums

NIGREDO – Facebook

Destruction – Bestial Invasion From Hell

La cassetta che, nel 1984, creò il thrash in Germania: un crogiolo primordiale di cattiveria e belluina velocità di ascendenza venomiana, non senza già una certa personalità.

In principio vi erano i Knight of Demon, sorti nel 1983. Pochi mesi e mutarono monicker. Nacquero così, agli inizi del 1984, i Destruction.

Il trio tedesco affilò immediatamente le armi e lo fece con un demo tape che, di fatto, fondò il thrash in Germania. Bestial Invasion From Hell, pubblicato il 10 di agosto del 1984, proponeva sei tracce che avrebbero trovato in seguito posto (sino al 1986) sugli LP dei Destruction, ponendo le basi del thrash teutonico, e le fondamenta del mito di Schmier e sodali: rispetto ai modelli americani della Bay Area, le sonorità erano più tetre e oscure, nere e tenebrose. Il thrash si abbeverava in Baviera alla fonte maligna del dark-black inglese di Venom ed Angel Witch, per uscirne se possibile ancora più veloce e claustrofobico, tracciando una strada percorsa in quegli stessi mesi pure dagli amici Sodom, a nord del paese. I venti minuti scarsi di Bestial Invasion From Hell, nel 2000, sono stati interamente risuonati dai Destruction: la band ha aggiunto la registrazione, come bonus-cd, alla prima edizione di All Hell Breaks Loose, il disco che ha segnato il loro grande e definitivo ritorno fra i maestri indiscussi del genere. Un ponte fra passato e presente, fra giovinezza e maturità, fra innocenza e meritato successo.

Tracklist
1- Mad Butcher
2- Total Desaster
3- Antichrist
4- Front Beast
5- Satan’s Vengeance
6- Tormentor

Line up
Mike Sifringer – Guitars
Schmier – Bass / Vocals
Tommy Sandmann – Drums

Descrizione breve

1984 – Autoproduzione

Michael Schenker Fest – Resurrection

Questo nuovo lavoro targato Michael Schenker ci consegna un’artista ancora in grado di dettare le regole dell’hard & heavy, trasformandolo in musica di alta qualità valorizzata dalla tecnica superiore in suo possesso, così come dei musicisti che lo circondano.

UFO, Scorpions e MSG: basterebbe citare queste tre band per accogliere questo nuovo album targato Michael Schenker come una delle uscite più importanti di questa prima metà dell’anno di grazia 2018.

Vero che gli anni passano e che, oggi, l’attempato rocker tedesco è stato sorpassato, in termini di popolarità, da molti dei musicisti che grazie a lui hanno preso in mano per la prima volta una chitarra, ma per chi comincia ad avere qualche primavera di troppo sul groppone il buon Michael rimane un’icona di quel rock ancora lontano dal tramontare.
Con il monicker Michael Schenker Fest il nostro torna con un nuovo album, accompagnato da quattro cantanti di assoluto valore (Gary Barden, Graham Bonnet, Robin McAuley e Doogie White) ed altrettanti musicisti di fama internazionale (Steve Mann alla chitarra e tastiere, Chris Glen al basso e Ted McKenna alla batteria), regalandoci un album di hard’n’heavy ispirato, intitolato Resurrection.
E come vi aspettavate, vi troverete al cospetto di un esempio sfavillante di musica heavy d’autore, con i solos di Schenker che come un mostro fagocitano l’attenzione, un turbine di melodie irresistibili e tanta voglia di suonare rock come si faceva ai bei tempi.
Attenzione però, perché su Resurrection troverete poco di degli UFO, niente degli Scorpions, semmai magari qualche riff che richiama i momenti migliori del Michael Schenker Group, qualche atmosfera epic folk molto suggestiva e cavalcate in tempi medi da smuovere catene montuose.
Prodotto benissimo e pubblicato da Nuclear Blast, nuovo lavoro targato Michael Schenker ci consegna un’artista ancora in grado di dettare le regole dell’hard’n’heavy, trasformandolo in musica di alta qualità valorizzata dalla tecnica superiore in suo possesso, così come dei musicisti che lo circondano.
Heart And Soul (con Kirk Hammett in veste di ospite), l’epico incedere medievale di Warrior, la cavalcata Take Me To The Church e tutte le altre tracce che compongono Resurrection sono il vangelo per gli amanti del genere: bentornato Mr. Schenker.

Tracklist
01. Heart And Soul
02. Warrior
03. Take Me To The Church
04. Night Moods
05. The Girl With The Stars In Her Eyes
06. Everest
07. Messing Around
08. Time Knows When It´s Time
09. Anchors Away
10. Salvation
11. Living A Life Worth Living
12. The Last Supper

Line-up
Gary Barden – Vocals
Graham Bonnet – Vocals
Robin McAuley – Vocals
Doogie White – Vocals
Michael Schenker – Guitars
Steve Mann – Guitars, Keyboards
Chris Glen – Bass
Ted McKenna – Drums

MICHAEL SCHENKER – Facebook

Disembowel – Plagues And Ancient Rites

I Disembowel sono il classico combo che fa dell’attitudine old school la sua forza, quindi è inevitabile consigliarli solo ai fans del genere che avranno di che godere della nuvola di zolfo che si alzerà fin dalla prima nota di questo Plagues And Ancient Rites.

Non solo Brasile, ma l’intero Sudamerica è continente metallico e le realtà underground provenienti dagli altri paesi si sommano così alla consolidata tradizione verdeoro.

Se poi il nostro interesse va alla frangia estrema del metal, le sorprese non mancano, con Argentina e Cile a regalarci putridi esempi in tutte le sue abominevoli forme.
I Disembowel, per esempio, nascono in Cile nel 2012, arrivano all’esordio sulla lunga distanza dopo un ep (Act Of Invocation) e un demo (Form The Depths) uscito pochi mesi prima di questo marcissimo Plagues And Ancient Rites.
L’esordio conferma la natura old school del trio formato da Leviathan (voce, basso), Azathoth (chitarra) e Goat (batteria), e l’album sprigiona una carica maligna e morbosa: la band si rifà alle opere di H.P. Lovecraft e ad una attitudine anticristiana inglobata in un sound assolutamente datato, sotto forma di un death/thrash senza soluzione di continuità e dallo spirito underground che si evince anche da una produzione scarna e malata.
Plagues and Ancient Rites rivela la sua natura diabolica ed oscura fin dalla intro che sfocia nell’arrembante Lord Of Shadows, con ritmiche serrate e solos slayerani in un vortice estremo ed assolutamente evil; l’album ha comunque nella title track il suo momento migliore, anche se si rivela un macigno dall’anima corrotta dall’inizio alla fine.
I Disembowel sono il classico combo che fa dell’attitudine old school la sua forza, quindi è inevitabile consigliarli solo ai fans del genere che avranno di che godere della nuvola di zolfo che si alzerà fin dalla prima nota di questo Plagues And Ancient Rites.

Tracklist
1.Intro – Innsmouth Evocation
2.Lord of Shadows
3.IA! IA! Nyarlathotep
4.The Pact with the Sect of the Sea
5.Los Antiguos Eran… Los Antiguos Son… Los Antiguos seránS
6.Plagues of the Ancient Rites
7.The Ancient Cult of Cthulhu
8.En el Abismo
9.Antra Gnomorum

Line-up
Goat – Drums
Azathoth – Guitars
Leviathan – Vocals, Bass

CELLAR DARLING + Sick N’ Beautiful Insubria Festival 2018 – Marcallo con Casone (MI)

I CELLAR DARLING nascono da una costola degli Eluveitie nel 2016. In poco meno di due anni sono una delle band di punta del roster Nuclear Blast e tra le più interessanti realtà alternative folk rock.

Abbiamo il piacere di annunciare una nuova data in Italia della band, ad ingresso gratuito. Saranno infatti gli headliner della giornata del 28 aprile dell’Insubria Festival 2018. Location dell’evento: Parco Ghiotti di Marcallo con Casone (MI). Il festival è ormai un’istituzione nella scena celtica italiana, con musica, cibo e rievocazioni, in scena quest’anno dal 25 al 29 aprile.

I Cellar Darling hanno pubblicato il loro album di debutto “This Is The Sound” a fine giugno 2017. La band è composta da Anna Murphy (voce), Merlin Sutter (batteria) e Ivo Henzi (chitarra e basso). Dopo lo split con gli Eluveitie, il trio pubblica il singolo “Challenge” a cui segue la firma con Nuclear Blast.

“Avalanche” Official Video -> https://youtu.be/NWMiBj0yDJg

Special guest dello show saranno i nostri SICK N’ BEAUTIFUL. Gli alieni stanno per tornare con il nuovo album “Element Of Sex” in uscita per Rosary Lane Records, finanziato con successo tramite la piattaforma Pledge Music.

“Megalomaniacal” Official Video -> https://youtu.be/_MI9W9dtMmk

CELLAR DARLING + Sick N’ Beautiful
Insubria Festival 2018 – Marcallo con Casone (MI)
Sabato 28 Aprile
Evento Facebook -> https://www.facebook.com/events/2016242668701071/
Ingresso Gratuito

Ulteriori info nelle prossime settimane.

www.baganarock.com
www.insubriafestival.org

Teratoma – The Inside Reborn…The Flesh

Growl profondo, malato e animalesco, ritmiche forsennate e solos strappati con forza belluina dalle sei corde sono le caratteristiche principali del sound dei Teratoma, quindi niente di nuovo ed assolutamente per gli appassionati più devoti.

Nuovo ep per i brutali Teratoma, band estrema catalana dal monicker che ricorda un particolare tipo di tumore.

Il quartetto di Barcellona risulta attivo addirittura da più di vent’anni anche se la sua discografia si ferma a un demo del 1996, il debutto sulla lunga distanza uscito quattordici anni dopo (The Terato-Genus Reborn, 2000), un altro demo nel 2016 e questo In The Inside Reborn…The Flesh ep, composto da cinque brani più intro di brutal death metal sui generis.
Growl profondo, malato e animalesco, ritmiche forsennate e solos strappati con forza belluina dalle sei corde sono le caratteristiche principali del sound dei Teratoma, quindi niente di nuovo ed assolutamente per gli appassionati più devoti.
Il concept del gruppo si concentra sull’anatomia e la sofferenza, magari più portata da terribili malattie che dai soliti serial killers, anche se la copertina di questo lavoro ispira scenari horror/gore.
Il gruppo è da seguire se siete amanti del genere e vi piace curiosare tra il sottobosco delle varie scene in giro per il mondo: il suo sound segue le coordinate di Cannibal Corpse, Suffocation e Mortician, ma i Teratoma non hanno mai trovato la giusta costanza per non farsi dimenticare; magari questa è la volta buona.

Tracklist
1.In the Inside Reborn the Flesh
2.Taking over Brains
3.The Brundelfly Project
4.Zombies A.D
5.The Hidden Church
6.Suffering

Line-up
TITOPSY- Vocals
JUANMA- Guitars
JUANJO- Guitars
SERGI- Drums
JOXE- Bass

TERATOMA – Facebook

This Broken Machine – Departures

Per chi non conosceva ancora la band, l’album risulta una vera sorpresa, perché si va oltre il compitino ormai abusato nel metalcore, per abbracciare influssi nu metal dai toni dark e a tratti progressivi, colpiti da micidiali mazzate estreme.

Un sound maturo, alternativo e a tratti estremo, con le atmosfere che cambiano veloci, tra parti più intimiste e melodiche, altre più nervose e dalle reminiscenze nu metal, per arrivare a bordate di moderno metal estremo dalle sincopate ritmiche metalcore.

Departures è il nuovo album dei This Broken Machine, band milanese che si presenta sul mercato in questa prima parte dell’anno, dopo un primo ep uscito nel 2007 ed intitolato Songs About Chaos e l’album The Inhuman Use of Human Beings licenziato sei anni fa.
Per chi non conosceva ancora la band, l’album risulta una vera sorpresa, perché si va oltre il compitino ormai abusato nel metalcore, per abbracciare influssi nu metal dai toni dark e a tratti progressivi, colpiti da micidiali mazzate estreme.
Testi profondi affrontano il tema di alcuni stati d’animo come distacco, separazione e smarrimento che provocano inevitabili cambiamenti, tra dolore e sofferenza, il tutto sovrastato da sound vario ma drammatico, che porta l’ascoltatore ad intraprendere un viaggio musicale molto suggestivo, con il metal e la sua parte più moderna quale  perfetta colonna sonora del male di vivere che diventa spesso compagno quotidiano dell’uomo.
Departures è una raccolta di brani che continuano senza soluzione di continuità ad alternare parti pacate ed introspettive  a poderosi assalti sonori, perfettamente inglobati nel sound per richiamare la rabbia e l’opprimente dolore che soffoca l’individuo fino alla svolta e alla ricerca di una speranza.
Si rivela ottimo l’uso delle due voci, protagoniste di interpretazioni da brividi, come nel capolavoro Distant Stars, brano di un’intensità straordinaria e picco di questo bellissimo lavoro che non concede un solo attimo di calo qualitativo.
Deftones, Tool e Gojira sono i possibili riferimenti, ma è difficile e forse ingiusto fare dei nomi, anche se si parla di icone del metal moderno, perché Departures vive di luce propria, anche se ci parla delle più oscure ombre dell’umano vivere.

Tracklist
1.Departing
2.Weight
3.The Tower
4.Return to Nowhere
5.Distant Stars
6.This Grace
7.As You Fall
8.…And That Would Be the End of Us

Line-up
Fabrizio – Guitar
Luca – Guitar, Vocals
Andrea – Bass, Vocals
Matteo – Drums

THIS BROKEN MACHINE – Facebook

W.A.I.L. – Wisdom Through Agony into Illumination and Lunacy vol. II

Quello dei finlandesi W.A.I.L. è un approccio decisamente trasversale alla materia estrema, definibile in qualche modo progressivo nel senso che i frequenti cambi di ritmo e di umore, all’interno di due brani che assommano complessivamente un’ora di durata, depone a favore di una costruzione del sound in costante divenire.

Quello dei finlandesi W.A.I.L. è un approccio decisamente trasversale alla materia estrema, definibile in qualche modo progressivo nel senso che i frequenti cambi di ritmo e di umore, all’interno di due brani che assommano complessivamente un’ora di durata, depone a favore di una costruzione del sound in costante divenire.

Partendo da una base soprattutto doom, questo quintetto dà un seguito dopo ben nove anni al primo full length avente lo stesso titolo, Wisdom Through Agony into Illumination and Lunacy, continuando con questa sua seconda parte a percorrere i sentieri lirici basati su un un concept filosofico piuttosto profondo nonché intricato, basato sostanzialmente sulla volontà di dimostrare che bene e male non sono entità a sé stanti bensì fortemente interconnesse tra loro, smentendo quello che di fatto è un meccanismo mentale precostituito della mente umana.
Se il concept non è semplice da decrittare non è che la musica sia da meno, anche se in effetti i W.A.I.L. cercano sempre di dare un senso logico ad ogni svolta sonora, offrendo anzi in più di un caso passaggi dalle parvenze melodiche.
La descrizione di un’opera cosi strutturata è quanto mai complessa e dagli esiti improbabili, per cui non resta che godersi queste due lunghe tracce che sicuramente sono in grado di soddisfare gli ascoltatori più esigenti, tra il black doom piuttosto ruvido della prima parte di Through Will to Exaltation Whence Descent into a Bottomless Black Abyss, che nel suo lungo finale si stempera in liquidi passaggi acustici, e il doom atmosferico dell’incipit di Reawakening through Anguish into Gestalt of Absolute, nella quale sono racchiusi anche cinque minuti di delicato neoclassicismo pianistico, prima di chiudere il lavoro con una dissonante cavalcata.
Un gran bel lavoro, dunque, a patto d’avere la pazienza necessaria per lavorarlo per un tempo commisurato alla sua ritrosia nello svelarsi durante i primi approcci.

Tracklist:
1. Through Will to Exaltation Whence Descent into a Bottomless Black Abyss
2. Reawakening through Anguish into Gestalt of Absolute

Line-up:
A.E. – Guitars, vocals
S.F. – Drums, percussions, bass, additional solo guitars, kantele, recorder, didgeridoo, synthesizer, grand piano
J.I. – Bass, recording, mixing, mastering
P.R. – Main vocals
L.L. – Violin
Main vocals on “Absolute” and all vocals on “Reawakening” by A.E.

Et Moriemur – Epigrammata

Un tocco di solennità ed un altro di malignità per questa band ceca, che esibisceun ottimo potenziale ancora però da esprimere a pieno.

Gli Epigrammata sono dei componimenti in versi usati dai poeti latini perlopiù per elogi funebri. Su questa scia si muovono gli Et Moriemur, band della Repubblica Ceca di recente formazione, con un ep e tre full-length all’attivo (compreso quest’ultimo).

Ascoltando Epigrammata ci si trova immersi in quell’universo funebre d’altri tempi. Nonostante ciò, per tutta la durata del disco, non si avverte mai una sensazione di pesantezza o noia, e grande merito va ai musicisti in egual misura per aver creato un’atmosfera coinvolgente e a tratti magica. La solennità la fa da padrona, ma va di pari passo con una giusta dose di death/doom che rasserena gli animi più metallari all’ascolto.
Una intro molto azzeccata come Introitus spalanca le porte ad uno scenario evocativo che ha probabilmente il suo picco in Dies Irae, brano variegato ma in pieno accordo con lo stile di Epigrammata. Il monito lanciato dagli Et Moriemur assomiglia tanto ad un “memento mori”, e l’idea che si ha alla fine dell’ascolto è quella che il messaggio sia passato anche più del necessario.
Per concludere, con Epigrammata la band ceca ha calcato molto più la mano sulla magnificenza rispetto all’album precedente, datato 2014, che invece valorizzava soprattutto la loro componente death. Il risultato è di alto livello ma resta l’impressione che gli Et Moriemur esprimano il loro meglio in chiave diabolica piuttosto che sacrale. Resta da vedere se la strada tracciata con quest’album verrà proseguita oppure no, e in che modo.

Tracklist
1. Introitus
2. Requiem Aeternam
3. Agnus Dei
4. Dies Irae
5. Offertorium
6. Communio
7. Libera Me
8. Absolve Domine
9. Sanctus
10. In Paradisum

Line-up
Zdeněk Nevělík – Vocals, Keyboards
Michal “Datel” Rak – Drums
Aleš Vilingr – Guitars
Karel “Kabrio” Kovařík – Bass

ET MORIEMUR – Facebook

REESE

Il video di Perfect Waitings, dall’album Black Russian (Sorry Mom!).

Il video di Perfect Waitings, dall’album Black Russian (Sorry Mom!).

“Le attese perfette non esistono / devi solo correre il rischio”.

Questo il significato del brano, racchiuso nei primi due versi della canzone.

La canzone è un’ esortazione a credere in se stessi e a tentare di realizzarsi, uscendo dalla condizione di eterna attesa e prendendo in mano la situazione.

Il video, realizzato da Luca Sammartin di Produzioni Fantasma, è stato girato in una fredda mattinata del gennaio 2018 nei dintorni di Vicenza, città natale della band.

I REESE suonano un energico alternative rock melodico e moderno, soggetto a diverse influenze.
Dopo un primo periodo di assestamento, la band si è definitivamente formata nel 2010 a Vicenza ed ha pubblicato successivamente due demo ed un EP: “Just Human Words” (demo),”View From The Tree” (demo) e “Under The Carpet” (EP, 2013).

Nel 2014 i REESE hanno vinto alcuni contest locali (nord Italia) per band emergenti e successivamente hanno aperto anche ad artisti di fama internazionale.
Dopo un’incessante attività live, la band è stata impegnata nella realizzazione del primo full length album “Black Russian”, uscito il 27 ottobre 2017 per Sorry Mom!, dal quale sono tratti i primi due singoli “Scarecrow Soldiers” e “Perfect Waitings”, con relativi videoclip.

La band sta attualmente promuovendo l’album con una serie di date Italiane.

www.facebook.com/reesemusic

www.sorrymom.it

Altars Of Grief – Iris

Iris gode di una produzione eccellente, che ne esalta sia i toni cupi che le parti più aggressive, e favorisce quell’amalgama tra i musicisti che è uno dei segreti della riuscita di questo lavoro, senza dimenticare ovviamente l’alchimia di una band autrice dell’opera perfetta, un qualcosa che accade solo a pochi nell’arco di un’intera carriera.

I canadesi Altars Of Grief sono nati nel 2013, fondamentalmente come progetto estemporaneo per Evan Paulson e i suo compagni, per poi diventare di fatto per tutti loro la band principale nella quale convogliare ogni sforzo.

Se già il full length d’esordio forniva segnali incoraggianti sul potenziale del gruppo ed il successivo split con i Nachtterror rafforzava non poco tali impressioni, è con il meraviglioso Iris che i ragazzi dello Saskatchewan esplodono letteralmente, dando alle stampe quello che rischia seriamente d’essere in assoluto uno degli album migliori di quest’anno.
Gli Altars Of Grief non sono da considerarsi una doom band nel senso più puro del termine, visto che gli influssi black entrano pesantemente in scena a livello ritmico, creando così un’alternanza tra momenti  ruvidi ed altri relativamente melodici resa con grande fluidità e, soprattutto, sempre avvolta da una cappa di disperazione che aleggia su tutto il lavoro (il piano emotivo sul quale si snoda il disco è quello di Canto III degli Eye Of Solitude, tanto per fornire un esempio tangibile).
Del resto il concept su cui si basa Iris non lascia spazio a bagliori di ottimismo, in uno snodarsi di testi che raccontano di malattia, abbandono, morte e disincanto religioso, divenendo parte integrante e fondamentale dell’album e non solo un grazioso orpello.
La bravura della band canadese risiede appunto nel suo riuscire a sintetizzare al meglio ogni diverso aspetto di una proposta artistica curata nei particolari, esibendo anche il contributo in buona parte dei brani del violoncellista Raphael Weinroth-Browne, abile con il suo strumento a fornire quell’ulteriore tocco decadente ad un album che sovente scorre rabbioso, prima di stemperarsi in momenti di struggente malinconia.
Isolation inaugura l’opera nella maniera migliore, rivelandosi un brano di rara intensità nel quale possiamo già apprezzare l’ottima alternanza tra growl e clean vocals offerta dall’ottimo ed espressivo Damian Smith, andando a creare un percorso di dolorosa bellezza, mentre Desolation è una sorta di quintessenza del black doom, nel suo scorrere su ritmiche forsennate ma sempre intrise di quel sentire dolente che è il tratto dominante dell’intero lavoro.
La title track cambia registro, avviandosi con un incedere che ricorda le migliori band di death doom melodico ma è uno spunto che si riscontra soprattutto in tale frangente, perché le sfuriate in doppia cassa subentrano impetuose a creare quel carico di insostenibile tensione emotiva che si confà alla perfezione ad un brano nel quale il racconto trova il suo climax emotivo, evocato anche da una splendida linea chitarristica.
Qui si chiude il trittico iniziale, fatto di canzoni di un livello tale da rendere il resto dell’album impercettibilmente meno efficace ma, come detto, ciò è dovuto alla bellezza di quelle tracce, perché già Broken Hymns fa capire che l’album non scenderà mai al di sotto di quella soglia di eccellenza che gli Altars Of Grief, soprattutto nella persona del principale compositore Evan Paulson, hanno costruito con pazienza nel corso egli anni, mettendo la loro ispirazione al servizio di un sound vario ma sempre contraddistinto da un’intensità capace di fare la differenza.
I nostri fanno tesoro delle proprie radici canadesi e, così, nel loro sound possiamo trovare qualche riferimento a connazionali di un certo peso come i magnifici Woods Of Ypres, a livello musicale, mente gli Into Eternity di un album drammatico come The Incurable Tragedy, probabilmente, hanno aperto una strada importante nella costruzione di un concept terribilmente crudo, per la sua espressione dello sgomento di fronte al dolore legato alla malattia, al terrore provocato dalla paura della morte e all’angoscia derivante da tutte le incognite di un “dopo” tanto auspicato quanto temuto.
Iris gode di una produzione eccellente, che ne esalta sia i toni cupi che le parti più aggressive, e favorisce quell’amalgama tra i musicisti che è uno dei segreti della riuscita di questo lavoro, senza dimenticare ovviamente l’alchimia di una band autrice dell’opera perfetta, un qualcosa che accade solo a pochi nell’arco di un’intera carriera.

Tracklist:
1. Isolation
2. Desolation
3. Iris
4. Broken Hymns
5. Child of Light
6. Voices of Winter
7. Becoming Intangible
8. Epilogue

Line-up:
Donny Pinay – Bass, Vocals (backing)
Zack Bellina – Drums, Vocals (on track 5)
Evan Paulson – Guitars, Programming, Vocals (backing)
Damian Smith – Vocals
Erik Labossiere – Guitar, Vocals (backing)

Cello on tracks 1, 4, 5, 6 and 7 written and performed by Raphael Weinroth-Browne
Track 8, “Epilogue” written and performed by Raphael Weinroth-Browne

ALTARS OF GRIEF – Facebook

Coldawn – …In The Dawn

Questo disco è la testimonianza che il black metal può davvero sposarsi con tutto, essere un terreno fertile per molte sperimentazioni e fusioni sonore, ma soprattutto servono la fantasia ed il talento dei musicisti, cosa presente in maniera massiccia in questo caso.

Chi fa parte di una band sa quanto sia difficile provare e suonare, anche se si è vicini di casa o a distanza di pochi chilometri.

Davvero difficile immaginare come sia gestire un gruppo dislocato in tre continenti, ovvero Sudamerica, Europa e Oceania. Eppure, sicuramente grazie al fondamentale aiuto della rete, ecco qui il buon disco di debutto dei Coldawn: la band suona un black metal molto arioso e con forti innesti musicali classici, quasi un’orchestrazione, per poi esplodere in cavalcate in stile blackgaze, una definizione molto alla moda ma che rende abbastanza bene l’idea. Per capire meglio il tutto bisogna assolutamente ascoltare con attenzione questo …In The Dawn, perché racchiude in sé una grande melodia ed un grande lavoro musicale e di composizione. La visione dei Coldawn è grande e potente, questo disco è solo l’inizio di un percorso musicale che sarà fecondo, perché già ascoltando questo lavoro si viene trasportati lontano, si chiudono gli occhi e si va lontano. Il titolo è assai azzeccato, perché tutto il lavoro dà l’impressione di un qualcosa che si apre sotto le prime luci del sole, e la speranza seppur malconcia c’è ancora. I Coldawn disegnano un bell’affresco sonoro, con colori molto particolati e grande sapienza compositiva, dando l’impressione di avere molto da dire. Questo disco è la testimonianza che il black metal può davvero sposarsi con tutto, essere un terreno fertile per molte sperimentazioni e fusioni sonore, ma soprattutto servono la fantasia ed il talento dei musicisti, cosa presente in maniera massiccia in questo caso. Tre continenti, un esordio che fa sognare e che lascia molto soddisfatti.

Tracklist
1.Spectral Horizon
2.My Escape
3.The Essence
4.Only Moments
5.La Primavera No Llegara Esta Vez
6….In the Dawn
7.This: Over
8.My Destiny

Line-up
Ausk
B.
Tim Yatras
B. M.

COLDAWN – Facebook

Against Evil – All Hail The King

Ritorno con il botto per i quattro guerrieri metallici provenienti dalla lontana India, con un nuovo lavoro imperdibile per gli appassionati di heavy metal classico.

Tornano gli indiani Against Evil con il loro debutto sulla lunga distanza intitolato All Hail The King, bellissimo lavoro che segue di tre anni l’ep Fatal Assault, ep che aveva fatto conoscere il quartetto fuori dai confini della loro immensa terra.

Prodotto dalla band, che ha lasciato come in passato il compito al nostro Simone Mularoni di masterizzare e mixare il tutto ai Domination Studio, l’album continua a strabiliare gli amanti dell’heavy metal classico con una serie di brani epici, dai suoni cristallini ed assolutamente irresistibili.
La leggenda di Zoltan, tra spade, scudi e sangue, crea un’atmosfera di epico metallo che ricorda a più riprese le prime battaglie del guerriero degli Hammerfall, anche se gli eroi indiani continuano a mantenere un poco di legame con il thrash metal, genere che aveva caratterizzato il primo ep, all’interno di una valanga di melodie incastonate come diamanti sullo spartito di un album heavy metal quasi perfetto.
Una bella copertina e Jeff Loomis ad impreziosire con la sua chitarra la thrash oriented Sentenced To Death sono dettagli importanti di questa tempesta metallica, assolutamente old school, per niente originale ma entusiasmante, soprattutto se siete fans dell’heavy metal duro e puro.
I musicisti indiani ci mettono pochi minuti a convincervi che siete al cospetto di un lavoro magnifico, il tempo che l’intro Enemy At The Gates lasci spazio all’epico mid tempo di The Army Of Four, seguita dalla title track, primo inno gridato al cielo un attimo prima di buttarsi nella mischia in nome del re.
L’album non ha pause e ci trascina in un delirio di refrain, solos e cori che strappano lacrime di sangue con Stand Up And Fight! che segue la title track alla conquista della gloria eterna.
All Hail The King arriva alla fine in un attimo, lasciandoci con la voglia di ributtarci a capofitto nello scontro accompagnati dalle note che illuminano la notte insanguinata, con We Won’t Stop e Gods Of Metal.
Ritorno con il botto, quinsi, per i quattro guerrieri metallici provenienti dalla lontana India, con un nuovo lavoro imperdibile per gli appassionati di heavy metal classico.

Tracklist
1.Enemy At The Gates
2.The Army Of Four
3.All Hail The King
4.Stand Up And Fight!
5.Sentenced To death
6.Bad Luck
7.We Won’t Stop
8.Gods Of Metal
9.Mean Machine

Line-up
Siri – Vocals, Bass
Sravan – Vocals, guitars
Shasank – Guitars
Noble John – Drums

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Pino Scotto – Eye For An Eye

Eye For An Eye è un lavoro arcigno e graffiante, fatto di hard’n’heavy duro e puro, con Pino che torna all’idioma inglese e si circonda di vecchi amici con Dario Bucca al basso e Marco Di Salvia alle pelli e il grande Steve Angarthal che, oltre a suonare la chitarra, riveste il ruolo di coautore ed arrangiatore dei brani presenti sull’album.

Pino Scotto torna in questa primavera 2018 e lo fa come se il tempo e tutte le avventure e le collaborazioni che lo hanno visto protagonista nell’ ultimo ventennio fossero state spazzate via da una tempesta magnetica che fa scorrere il tempo a ritroso fino ai gloriosi anni ottanta, quando l’hard & heavy classico e dalle reminiscenze blues era al suo massimo splendore.

D’altronde, il carismatico cantante è senza ombra di dubbio l’unica vera icona del rock tricolore, e quei temi li ha vissuti in prima persona, in principio con i Pulsar e poi con gli ormai leggendari Vanadium, ancora oggi probabilmente la band più conosciuta fuori dai confini nazionali, parlando di heavy metal e hard rock (e non me ne vogliano le molte e bravissime realtà odierne).
Un nuovo album targato Pino Scotto è quindi da considerare un evento in una scena che, aldilà dell’ottima qualità di cui si può fregiare negli ultimi anni, fatica a trovare un minimo di considerazione in un paese sempre più lontano dalla cultura rock e metal e in tempi nei quali anche la musica è ormai considerata una mera cornice alle nefandezze che riempiono il web.
Eye For An Eye è un lavoro arcigno e graffiante, fatto di hard’n’heavy duro e puro, con Pino che torna all’idioma inglese e si circonda di vecchi amici con Dario Bucca al basso e Marco Di Salvia alle pelli e il grande Steve Angarthal che, oltre a suonare la chitarra, riveste il ruolo di coautore ed arrangiatore dei brani presenti sull’album.
Con la partecipazione come ospite del bluesman Fabio Treves all’armonica, Eye For An Eye è stato registrato all’Asgardh Music Studio di Milano da Steve Angarthal, e mixato e masterizzato da Tommy Talamanca (Sadist) ai Nadir Music Studios di Genova per un risultato a dir poco straordinario, ovvero un album dal taglio internazionale che esalta con il ritorno al sound che ha reso famoso Pino Scotto.
Quasi un’ora di grande hard’n’heavy, quindi, animato da una vena blues marchio di fabbrica del rocker, una prestazione all’altezza dei musicisti coinvolti, con un Angarthal che dimostra ancora una volta il suo talento facendo piangere la sua sei corde, tra solos heavy metal che alzano la temperatura e sanguigni passaggi nei quali la mera grinta lascia spazio all’emozione provocata da un sound forgiato sul delta del grande fiume americano.
La title track, One Against The Other, la diretta Two Guns, le ballate heavy/blues Angel Of Mercy e Wise Man Tale, il rock blues di One Way Out che odora di palude limacciose, alternano classic metal, hard rock e blues in un uno scontro tra tradizione britannica e statunitense, ma con la bandiera tricolore che sventola fiera, almeno questa volta, sullo spartito di queste undici canzoni …. ancora una volta merito di Pino Scotto, e non è una novità.

Tracklist
1.Eye for an Eye
2.The One
3.One Against the Other
4.Two Guns
5.Cage of Mind
6.Crashing Tonight
7.Angel of Mercy
8.Looking for the Way
9.Wise Man Tale
10.There’s Only One Way to Rock
11.One Way Out

Line-up
Pino Scotto – Vocals
Steve Angarthal – Guitars
Marco Di Salvia – Drums
Dario Bucca – Bass

PINO SCOTTO – Facebook