Battlesoul – Sunward And Starward

La forza di questo nuovo album targato Battlesoul è quella di mantenere un approccio estremo, pur lasciando che le melodie e le armonie folk siano presenti, accompagnando il concept celtico/guerresco.

Come sempre nel meraviglioso mondo della musica underground è quando meno te lo aspetti che ti ritrovi al cospetto di un album che ti fa sussultare ed innamorare, magari travolto da tempeste estreme, oppure divertito dall’irriverenza del rock’n’roll o ancora cullato dal lento andamento di un blues.

In questo caso invece ci vestiamo di pellicce, ci armiamo di scuri e scendiamo verso il lago Ontario, al comando dei Battlesoul, quartetto canadese che arriva al terzo album in dieci anni di eroici scontri tra folk, death metal melodico e power/thrash.
Lay Down Thy Burdens, licenziato nel 2010, e Tir Na Nog, uscito ormai cinque anni fa, sono i precedenti lavori (oltre all’ep di debutto) dei Battlesoul prima che Sunward And Starward ci costringa a fuggire lungo le valli intorno al grande lago, inseguiti dai  guerrieri canadese.
Che scrivere di un album del genere se non che vi ritroverete nel bel mezzo di epiche atmosfere belliche, spazzati da tempeste estreme, inseguiti da cavalcate power/thrash devastanti, valorizzate da un gusto per le melodie di stampo classico da applausi, mentre nobili tastiere e sfumature folk esaltano un sound tellurico.
La band non fa sconti e l’album viaggia a velocità sostenuta per quasi l’intera durata, la forza bruta sprigionata dai Battlesoul è immane, e brani come Arrival, Break The Day, la mastodontica title track ed il mid tempo pesantissimo, epico e drammatico del capolavoro The Loss Of Sons, sfiorano le gesta delle icone nordiche del genere, in un deliro di sangue e fango, muscoli e gloria che non fa prigionieri.
La forza di questo nuovo album della band canadese è quella di mantenere un approccio estremo, pur lasciando che le melodie e le armonie folk siano presenti, accompagnando il concept celtico/guerresco: Amon Amarth, Moonsorrow, primi Blind Guardian ed In Flames, vengono digeriti e risputati sotto forma di un sound entusiasmante e 100% Battlesoul.
Imperdibile.

Tracklist
1.All I Understand
2.Arrival
3.Azure Skies
4.Bearing The Word
5.break The Day
6.So It Goes
7.Sunward And Starward
8.The Loss Of Sons
9.The watcher
10.Totem

Line-up
Thomas Ireland – Guitar, Programming
Jon Doyle – Vocals, Bass, Keyboard
Mike Grund – Guitar
Nich Ireland – Drums

BATTLESOUL – Facebook

Anguish – Magna Est Vis Siugnah

Un intenso e arcano profumo di doom impregnato di death si sprigiona fin dalle prime note di Magna Est Vis Siugnah degli svedesi Anguish, che ci presentano una terza opera vibrante, intensa e oscura.

Un intenso e arcano profumo di doom impregnato di death si sprigiona fin dalle prime note della terza opera completa degli svedesi Anguish, che dopo aver prodotto due full length (Through the archdeamon’s head del 2012 e Mountain del 2014) per Dark Descent, esordiscono per High Roller con un album intenso e vibrante.

Sei brani dall’alto minutaggio e dall’andamento solenne e dolente creano un bel disco che cresce con gli ascolti e ci dona momenti carichi di atmosfera; i musicisti sembra che ci vogliano far immergere in antichi rituali e basta dare un’occhiata alla bella cover per cogliere tale suggestione. La musica, che può ricordare in alcuni tratti i Candlemass, è ricca di belle parti chitarristiche, si nota una ricerca di suoni e momenti non scontati. La title track nel suo alternarsi di riff e accordi tratteggia parti tragiche e veementi, aiutata anche dal growl del vocalist J.Dee, carico ed espressivo; i toni più estremi di Of the Once Ravenous con l’incedere solenne e ipnotico mostrano un lato introspettivo molto intenso tipico di partiture death doom di alta classe. La band non ricerca strade facili, è molto concentrata e ispirata, crea atmosfere opprimenti e angoscianti in tutti i brani avvolgendoli in una coltre dark e plumbea dove non filtra nessun raggio di luce (Requiescat in Pace). Le note addolorate di Elysian Fields of Fire con il loro lento incedere marchiano nel fuoco il doom della band, così come il pesante suono di organo e il vibrante guitar sound di Our Daughters Banner suggellano un’opera solida da parte di questi artisti scandinavi.

Tracklist
1. Blessed Be the Beast
2. Magna est vis Siugnah
3. Of the Once Ravenous
4. Requiescat in Pace
5. Elysian Fields of Fire
6. Our Daughters Banner

Line-up
J.Dee – Vocals,bass
Rasmus – drums
David – guitar
LInus -guitar

ANGUISH – Facebook

The Negative Bias / Golden Dawn – Temple of Cruel Empathy / Lunar Serpent

Questo split album, che riunisce due entità austriache dedite al black metal, offre diversi motivi di interesse a chi abbia voglia di approfondire e riscoprire quella scena tutt’altro che marginale.

Questo split album, che riunisce due entità austriache dedite al black metal, offre diversi motivi di interesse a chi abbia voglia di approfondire e riscoprire quella scena, tutt’altro che marginale visto che ha fornito band dello spessore di Belphegor, Abigor e Summoning, tra le altre.

I The Negative Bias li conosciamo già in virtù del loro ottimo album rilasciato qualche mese fa, con il quale il duo formato da I.F.S. e S.T. esibiva per la prima volta su lunga distanza la propria interpretazione cosmica ed atmosferica del black metal, e confermano in pieno le ottime impressioni fornite in quell’occasione con un traccia valide come The Temple of Cruel Empathy. In questo split album lo stesso S.T. (al secolo Stefan Traunmüller) occupa la seconda metà con il suo progetto solista Golden Dawn, attivo dalla metà degli anni ’90, presentando invece il genere in una versione più melodica e a suo modo raffinata, con il ricorso soluzioni ritmiche inusuali ed un utilizzo piuttosto originale delle tastiere, il che rende Lunar Serpent un brano di grande spessore, testimonianza della competenza in materia di un musicista tra i più credibili in ambito black, non soltanto sul suolo austriaco.
In definitiva, per chi predilige questo tipo di formato il connubio tra The Negative Bias e Golden Dawn potrebbe rivelarsi molto appetibile.

Tracklist:
1. The Negative Bias – The Temple of Cruel Empathy
2. Golden Dawn – Lunar Serpent

Line-up:
Golden Dawn
Dreamlord – Vocals, Guitars, Bass, Keyboards

The Negative Bias
S.T. – Bass, Guitars, Drums
I.F.S. – Vocals

THE NEGATIVE BIAS – Facebook

URBAN STEAM

Il lyric video di Under Concrete, dall’album omonimo in uscita a maggio (Red Cat).

Il lyric video di Under Concrete, dall’album omonimo in uscita a maggio (Red Cat).

Gli URBAN STEAM, alternative rock band di Roma, affidano a Red Cat Records il loro primo full length “Under Concrete”, previsto per maggio 2018.

Gli Urban Steam suonano insieme dall’autunno del 2012. La formazione è rimasta la stessa dall’inizio.
Tutti i membri vengono da varie esperienze in altre band, sia di musica originale che di cover e tributi.
L’obiettivo è stato da subito lo stesso per tutti: scrivere brani rock senza troppi vincoli di genere, senza farsi prendere dalla smania di costruire un repertorio adatto a compiacere qualche tipo di pubblico o aderire ad uno specifico genere musicale, solo il gusto di scrivere e suonare.
I 4 si sono quindi chiusi nella loro sala prove e hanno iniziato a scrivere brani e registrarli.
I gusti musicali musicali girano intorno al rock ma sono tutt’altro che omogenei. Facendo qualche nome a caso: Rush, Extreme, Dave Matthews Band, Mr Big, Cosmosquad, Hot Head Show, Toto, Sepultura, Whitesnake, R.J. Dio, Porcupine Tree, Damien Rice, Bruce Springsteen…
I brani ovviamente arrivano dalla miscela di queste band e tante altre che fanno parte del loro background musicale.
Dopo un primo demo di 3 brani registrato nel 2015 nel 2018 esce il loro primo disco.

CONTATTI BAND:
Website: www.urbansteam.it
Facebook: www.facebook.com/UrbanSteamRoma/
Youtube: www.youtube.com/user/urbansteam

LABEL:
www.redcatpromotion.com

Escaping Amenti – Awakening

Industrial, death metal, orchestrazioni e cori declamatori formano la colonna sonora di un’apocalisse della quale l’uomo è il maggiore responsabile, odioso colpevole di questo totale disfacimento.

Il metalcore, quando decide di far male è un mostro musicale che senza pietà infligge mazzate di potentissimo metallo moderno, a tratti attraversato da un mood estremo industriale che ci catapulta in un futuro apocalittico e post atomico assolutamente inumano.

Gli svedesi Escaping Amenti hanno creato un sound che rappresenta tutto questo, composto per il proprio debutto, un salto nell’anno 2370 dove il mondo come lo conosciamo non esiste più, lasciato all’oscurità ed alla distruzione.
Industrial, death metal, orchestrazioni e cori declamatori formano la colonna sonora di un’apocalisse della quale l’uomo è il maggiore responsabile, odioso colpevole di questo totale disfacimento.
Awakening ha nella sua ora di duratal’unico difetto, un po’ troppo per sopportare colate di lava core che inibiscono i padiglioni auricolari e che lasciano qualcosa in termini di scorrevolezza dei brani, ma per il resto l’album dona dignità ad un genere usato ultimamente solo per raccogliere qualche dollaro tra i ragazzetti a stelle e strisce.
Guerra, odore di distruzione, una potenza estrema che si può toccare, sono le caratteristiche di brani nati per raccontare un mondo neanche troppo lontano da noi, in un lotto di tracce come The Gathering, Nuclear o This Will Never End.
A tratti, nella musica dei sette musicisti scandinavi, sono riconoscibili influenze industrial che vanno dai Fear Factory ai Ministry, racchiusi in questo mostruoso esempio di metalcore che si specchia nel deathcore e nel thrash moderno.
Awakening, come dettocon una quindicina di minuti in meno sarebbe stato un lavoro quasi perfetto per il genere, ma rimane comunque una bella mazzata da infilare a forza nelle orecchie dei fans di gruppetti pericolosi come un criceto nella gabbietta.

Tracklist
1.Awakening
2.The Gathering
3.Our World
4.Nuclear
5.Riptide
6.This Will Never End
7.Voice of Mankind
8.First Blood
9.Diary, Pt. 1 (Seth vs Horus)
10.Memories
11.The Depths of Amenti
12.Echoes of the Void
13.The Secrets of the Past

Line-up
Strife – Vocals
Umbra – Vocals
A̸҉͢n̛͞im͏͜u͝s̡͜͡ – Bass, Keys
Ranzal – Guitar
Shemseth – Guitar
Anaktïsi – Guitar
Mangler – Drums

ESCAPING AMENTIA – Facebook

Antlers – Beneath.Below.Behold

Gli Antlers spaziano con disinvoltura tra pulsioni epiche ad aperture atmosferiche, addolcendo il tutto con delicati intermezzi pianistici e queste caratteristiche, fatte coesistere al meglio, rendono Beneath.Below.Behold un lavoro degno di ritagliarsi uno spazio di rilievo all’interno di una scena ricca come quella tedesca.

Ancora dalla fertile Germania, questa volta nei suoi contrafforti che furono orientali Lipsia giunge il secondo full length degli ottimi Antlers, autori di un black metal caratterizzato da un grande equilibrio nonché buon gusto compositivo.

Gli Antlers spaziano con disinvoltura tra pulsioni epiche ad aperture atmosferiche, addolcendo il tutto con delicati intermezzi pianistici e queste caratteristiche, fatte coesistere al meglio, rendono Beneath.Below.Behold un lavoro degno di ritagliarsi uno spazio di rilievo all’interno di una scena ricca come quella tedesca.
L’album arriva tre anni dopo il full length l’esordio e ripropone un sound ancor meglio focalizzato, diretto senza essere scontato, malinconico ed evocativo senza eccessi melodici, con il solo vezzo di presentare tre intermezzi acustici decisamente di buon gusto e tutt’altro che fuori luogo.
Fulcro ideale dell’album è l’accoppiata centrale formata da Beyond The Golden Light e Metempsychosis, solenne ed avvolgente la prima, impetuosa nel suo incedere la seconda, salvo un breve break centrale.
Ottime anche l’opener Theom ed una più “scandinava” Off With Their Tongues, con la chitarra che si fa spazio tra una muraglia sonora tessendo magnifiche linee metodiche, ma in generale è tutto il lavoro che si rivela privo di pecche, lasciando trasparire potenzialità di prim’ordine da parte degli Antlers, i quali avevano bisogno di un album di questo spessore per ricavarsi un minimo in più di spazio ed entrare a far parte del novero delle band da tenere sotto stretta osservazione fin da oggi.

Tracklist:
1. Theom
2. Heal
3. Nengures
4. Beyond The Golden Light
5. Metempsychosis
6. Drowned In A Well
7. Off With Their Tongues
8. The Tide
9. Lug´s Waters

Line-up:
Pablo C. Ursusson – Guitar, Classical Guitar, Zanfona
Ntx – Guitar, Keyboards, Vocals
M – Drums, Percussion
Mts – Bass, Vocals

ANTLERS – Facebook

Viboras – Eleven

I Viboras sono ancora, e forse anche più di prima, un ottimo gruppo punk rock.

Reunion per il gruppo italiano punk rock dei Viboras, che tornano dopo l’interruzione delle attività voluta nel 2010.

Nati nel 2003, mentre l’onda lunga del punk rock italiano si era trasformata in risacca, i Viboras, che hanno sempre avuto un approccio particolare alla materia, hanno prodotto fin dall’inizio un punk rock veloce e fisico, molto melodico, con punte di hardcore, il tutto assai apprezzabile. Nel 2015 tornano in pista con con un disco, e da quel momento la storia continua fino ai giorni nostri. Rispetto ai giorni gloriosi nei quali i Viboras erano sull’epica Ammonia Records molta acqua è passata sotto i ponti e tantissime cose sono mutate, specialmente nel mercato discografico. A quei tempi la cantante del gruppo Irene faceva video con J Ax e il genere era sulla bocca di tutti, mentre ora gli adepti sono sensibilmente calati, ma l’ottima notizia è che i Viboras fanno ancora ottimo punk rock. Le canzoni sono veloci, con ottime melodie, ben composte e ben prodotte, la carica ed il talento ci sono sempre e ne viene fuori un album entusiasmante, che non lascia spazio a dubbi o ripensamenti: la reunion di qualche anno fa è molto positiva e sta dando buoni frutti. Per i Viboras è inoltre molto importante la dimensione dal vivo, che completa e supera l’esperienza fonografica. Irene è in splendida forma, e con lei tutto il gruppo è oliato molto bene, anche grazie ai numerosi live che stanno facendo in giro per la penisola. I Viboras sono ancora, e forse anche più di prima, un ottimo gruppo punk rock.

Tracklist
1. Pray
2. I don’t care
3. Where were you
4. Run away
5. Leave this place
6. Drives me insane
7. Can’t breathe
8. No more
9. Jaime
10. Away from here
11. Raise

Line-up
Irene Viboras
Giò Poison
Beppe Best
Sal Viboras

VIBORAS – Facebook

Power From Hell – Blood’n’Spikes

Metal da battaglia, ignorante, veloce e senza compromessi, ma interpretato con un’attitudine che fa del gruppo una realtà convincente nel panorama underground legato a questo genere di suoni.

Un’altra band molto attiva in patria (Brasile), e che si è costruita una solida reputazione a colpi di black/thrash metal old school, sono i Power From Hell, trio attivo dal 2004 ed arrivato al traguardo del quinto album più una serie di lavori minori che vanno a formare una nutrita discografia.

Sodomic (chitarra e voce), Tormentor (basso) e Death (batteria) raccolgono tutti i demoni sparsi in Sudamerica e li nutrono a sague e black/thrash metal, quello nato negli anni ottanta, rigorosamente ispirato ai Venom, ai Possessed e compagnia di adoratori del diavolo: un metal da battaglia, ignorante, veloce e senza compromessi, ma interpretato con un’attitudine che fa del gruppo una realtà convincente nel panorama underground legato a questo genere di suoni.
Blood’n’Spikes è un ep formato da sei brani di metallo estremo vecchia scuola: le anime dannate dei gruppi classici del genere sono racchiuse in questi venti minuti di roboante sound fortemente anticristiano e maligno.
Ritmiche thrash, scream profondo e abissale, chitarre black, rallentamenti e ripartenze sono i soliti cliché che la band usa e abusa a suo piacimento, mentre l’odore di zolfo aumenta di brano in brano e sul muro della stanza si forma come d’incanto il malefico ghigno del malvagio caprone.
Nulla che non sia ad esclusiva dei fans del genere, ma una citazione particolare la merita la cover dei Judas Priest Freewheel Burning, suonata in Motorhead style e via verso l’inferno, accompagnati dai Power From Hell.

Tracklist
1.Hell’s Gang Bang
2. Swallowed By Darkness
3. Obscure Creation
4. Altars of the Black Rites
5. Into the Void of Death
6. Freewheel Burning (Judas Priest – Cover)

Line-up
Sodomic – Vocals, Guitars
Tormentor – Bass
Death – Drums

POWER FROM HELL – Facebook

Venus Mountain – Black Snake

I Venus Mountain sono ripartiti alla conquista del pianeta Terra: il lancio senza sosta di bombe con la scritta Black Snake porterà distruzione a colpi di rock’n’roll ed allearsi con i venusiani sarà l’unico modo possibile per sopravvivere.

Preparatevi ad un terremoto causato dall’esplosione di questi dieci brani più cover e conseguente tsunami, una catastrofe con i colpevoli provenienti dal pianeta Venere, extraterrestri che come transformers si scompongono per diventare delle irresistibili macchine da guerra rock’n’roll.

I Venus Mountain sono atterrati nel nostro paese, hanno costruito la loro base vicino a Brescia, sulle colline di Franciacorta,  da lì girano in lungo ed in largo per i palchi di mezzo mondo dal 2009 e sono al terzo lavoro licenziato dalla Volcano Records.
Il loro è un sound esplosivo, pura adrenalina hard rock sparata dai dischi volanti venusiani, ancora più devastanti delle solite armi nucleari e che, dalle bocche di fuoco delle navicelle spaziali, distruggono le città a suon di rock’n’roll tra hard & heavy e street rock di chiara matrice losangelina (e al Whisky A Go Go loro ci hanno suonato per davvero, laggiù nella città degli angeli dove negli anni ottanta si faceva la storia tra capelli cotonati e spandex colorati).
L’opener Rock City vi avverte che la detonazione sarà devastante, un brano alla Crue che letteralmente deflagra, graffiante ed irresistibile come la seguente We Are Coming From The Mountains of Venus e la title track, a formare un trittico che lascia senza fiato.
Il riff che tanto sa di Ac/Dc di Down To The Rainbow dà inizio al saliscendi tra i due generi basilari per la band, con ispirazioni che vanno dai Motorhead agli Whitesnake rifatti del periodo statunitense, dagli Zep ai Motley Crue e Cinderella, in un’orgia di suoni rock da un altro pianeta.
Impossibile resistere a RnR Burning, brano che risveglia immagini di show pirotecnici firmati Lee/Sixx , alla motorheadiana Hammer ed al classico Venus, una delle canzoni più coverizzate della storia.
I Venus Mountain sono ripartiti alla conquista del pianeta Terra: il lancio senza sosta di bombe con la scritta Black Snake porterà distruzione a colpi di rock’n’roll ed allearsi con i venusiani sarà l’unico modo possibile per sopravvivere.

Tracklist
1. Rock city
2. We are coming from the mountains of Venus
3. Black Snake
4. Down to the rainbow
5. You make me feel
6. RnR burning
7. Hammer
8. JJ the cowboy
9. Wake up call
10. Walk in the way
11. Venus

Line-up
Frax – Voice & Guitar
Mick – Guitar
Sexx Doxx – Bass
Morris – Drums

VENUS MOUNTAINS – Facebook

Thy Feeble Saviour – And Darkness Fell

Il black offerto dal duo statunitense è crudo ed essenziale, con sconfinamenti nel grind testimoniati anche dalla brevità dei quattordici brani inseriti nella tracklist il cui fatturato in termini di durata supera di poco la mezz’ora.

Dopo una storia iniziata quasi quindici anni fa, i Thy Feeble Saviour approdano al full length d’esordio, dopo gli accenni mostrati a metà dello scorso decennio nella configurazione di progetto solista di Francisco Pulido ed una ripresa dell’attività nel 2015 con l’ingresso in formazione del drummer Matt Hefner.

Il black offerto dal duo statunitense è crudo ed essenziale, con sconfinamenti nel grind testimoniati anche dalla brevità
dei quattordici brani inseriti nella tracklist il cui fatturato in termini di durata supera di poco la mezz’ora.
Pulido, in spregio al suo cognome, esprime la sua idea di metal estremo con sonorità ruvide e tutt’altro che limpide, vomitando le proprie blasfemie con un growl animalesco che riesce comunque a sovrastare l’apocalisse strumentale che viene riversata nella quasi totalità di And Darkness Fell.
L’album non è ovviamente roba per palati fini, e tutto sommato lo ritengo più adatto a chi ascolta grind piuttosto che black, pur essendo quest’ultima di base la matrice sonora, proprio per l’urgenza e la sintesi espressiva che sono tratto comune dell’intero lavoro, fatto salvo qualche morboso quanto efficace rallentamento (a tratti in Obscenity of the Cross e nella title track).
Ad emblema dell’album proviamo ad estrapolare Procession to Calvary, leggermente meno parossistica nel suo incedere ma ugualmente devastante, con il tentacolare Hefner che mette costantemente a rischio l’integrità del suo strumento.
Un lavoro come questo, intriso di un sound quanto mai primitivo e diretto, difficilmente porterà in auge il nome dei Thy Feeble Saviour, ma il solo sapere che ci sono ancora in giro figuri come questi mi provoca uno strano senso di benessere …

Tracklist:
1. Corpse of the Crucified
2. Engulfed in Abhorrence
3. Torture Stake
4. And Darkness Fell
5. Provoked Crucifixion
6. Procession to Calvary
7. Destruction of the Holy Sepulchre
8. Scourge Him
9. Obscenity of the Cross
10. Carrion for Beasts
11. Disgrace the Throne
12. Darkest Path to Death
13. Crurifracture (The End)
14. Mocked and Despised

Line-up:
Francisco Pulido – Guitars, Bass, Vocals
Matt Heffner – Drums

THY FEEBLE SAVIOUR – Facebook

Stark Denial – Covenant of Black

Gli indiani Stark Denial sono protagonisti di una prova convincente su tutta la linea, per quanto derivativa, perché qui il black metal di matrice scandinava viene esibito come meglio non si potrebbe.

Una delle cose particolari del black metal è il fatto che, più di altri generi, è possibile riscontrare una connotazione geografica abbastanza definita nella maggior parte dei lavori sottoposti alla nostra attenzione.

Questo significa che, a seconda della provenienza delle singole band, si palesa un tratto musicale che è sovente comune a ciascuna scena, anche se ovviamente questo non può mai valere in senso assoluto; di sicuro però, non è semplice riuscire ad identificare come tale un gruppo nato nell’estremo oriente (a meno che non vi siano pesanti influssi etnici quali elementi peculiari) visto che trattandosi di un movimento sviluppatosi in tempi relativamente più recenti, i musicisti che ne fanno parte attingono dalle più svariate sfumature stilistiche, inglobando diversi elementi e risputandoli fuori con un urgenza che compensa abbondantemente la somiglianza, talvolta evidente, alle band di rifermento.
Gli indiani Stark Denial, per esempio, sono protagonisti di una prova convincente su tutta la linea, per quanto evidentemente derivativa, proprio perché qui il black metal di matrice scandinava (più svedese che norvegese, in effetti) viene esibito come meglio non si potrebbe: la band di Mumbai erige una muraglia sonora che cinge un sound che ora abbraccia in toto l’ortodossia del genere (vedi la traccia autointitolata), ora invece lascia sfogare pulsioni slayerane (Dormant I Lie), per poi aprire uno spiraglio alla melodia con la title track Covenant of Black.
Questa band giunge così all’esordio su lunga distanza dopo una gavetta abbastanza lunga, attendendo probabilmente il momento più propizio per affacciarsi sul mercato e sembra proprio che tutte le mosse siano state effettuate senza lasciare nulla al caso: un gruppo di musicisti ancora giovani ma già esperti, un’etichetta come la Transcending Obscurity, che è una garanzia di qualità in ambito estremo, ed una scena musicale indiana in costante espansione sono tre indizi che fanno una prova.

Tracklist:
1. Intro
2. Stark Denial
3. As Life Descends
4. Dormant I Lie
5. Unknown World
6. Carnage Angel
7. Blackened
8. Covenant of Black
9. Hyllest Til Kulten (Bonus Track)

Line-up:
Kunal Gonsalves – Vocals
Ruark D’Souza – Guitars
Paresh Garude – Bass
Vineet Nair – Drums

STARK DENIAL – Facebook

Spiritual Front – Amour Braque

Amour Braque è il sesto episodio di una carriera discografica costellata di luci: la poetica del gruppo romano è pressoché unica, una commistione fra neo folk, rock per arrivare ad una formula davvero originale.

Torna uno dei migliori gruppi italiani, gli Spiritual Front da Roma.

Questo gruppo è molto apprezzato all’estero più che in Italia, ma potete rimediare ascoltando questa ultima prova. Il percorso musicale degli Spiritual Front è qualcosa in unico in Italia e non solo, una continua ricerca di tradurre in musica la potenza e la decadenza dei sentimenti umani. Ci si era lasciati cinque anni fa con la raccolta Open Wounds, che era una cesura nei confronti di quanto fatto fino a quel momento. Amour Braque è il sesto episodio di una carriera discografica costellata di luci, cosa notevole per un gruppo che ama il buio e le tenebre. Tutto cominciò nel 1999 per mano di Simone H. Salvatori, deus ex machina del gruppo e una delle figure più complete e singolari del panorama underground. Il gruppo suona in maniera splendide ballate per una gioventù nichilista, con un disco traboccante di sentimenti e di letti sfatti, sguardi assassini e coltelli che volano verso petti offesi dall’amore. La poetica del gruppo romano è pressoché unica, una commistione fra neo folk, rock per arrivare ad una formula davvero originale. Gli Spiritual Front tracciano percorsi gotici, luci ed ombre in narrazioni sempre interessanti, con un passato che è solo di chi lo ha vissuto, donne e amori che nono finiscono bene. Come in una notte romana troviamo violenza, sesso, amore, malinconia e soprattutto tanta vita, perché la vita è dolore, e dobbiamo combattere sul fronte dello spirito. Simone conduce amabilmente le danze, in un abbraccio sadomaso davanti ad una villa di vampiri, con dolcezza e forza come sempre. Stilisticamente il disco non si discosta dai precedenti, è forse più melodico e senza certe asperità di inizio carriera, sinceramente è difficile essere parziali con un gruppo che o si ama o si odia, ogni suo disco è comunque un’esperienza particolare e speciale, uno scendere all’inferno con Hellvis, ed è bellissimo. Da segnalare la presenza di grandi ospiti del calibro di King Dude e Matt Howden, fra gli altri.

Tracklist
1.Intro/Love’s Vision
2.Tenderness Through Violence
3.Disaffection
4.The Abyss Of Heaven
5.Children Of The Black Light
6.Pain Is Love
7.Beauty Of Decay
8.Devoted To You
9.This Past Was Only Mine
10.Battuage
11.An End Named Hope
12.The Man I’ve Become
13.Vladimir Central

Line-up
Simone “Hellvis” Salvatori: Vocals and acoustic Guitar
Andrea Freda: Drums
Riccardo Galati: Guitars

SPIRITUAL FRONT – Facebook

Ildra – Eðelland

 Eðelland è sicuramente un album che va recuperato e, anche se non dovesse avere più alcun seguito, rimane senza dubbio uno degli esempi più efficaci di pagan black offerti nel decennio in corso.

Cominciamo subito col dire che questo album dei britannici Ildra è la ristampa dell’unico full length finora pubblicato, Eðelland, risalente al 2011.

Se molto spesso la riproposizione di lavori vecchi di diversi anni la si può ritenere un’operazione superflua, di sicuro questo non vale per un album di tale spessore: il black metal dalla cospicua componente pagan folk contenuto in questi tre quarti d’ora di musica è quanto di meglio si possa ascoltare in quest’ambito stilistico, e sarebbe stato delittuoso quindi lasciare che Eðelland continuasse a languire in una sorta di oblio.
Bene ha fatto perciò la Heidens Hart Records, etichetta olandese specializzata in black metal, a riportare alla luce questo spaccato di sonorità epiche che, ovviamente, non contengono alcun elemento di novità ma sono semmai l’esaltante perpetrarsi di una tradizione che parte dai seminali Bathory ed arriva ai giorni nostri con band della caratura dei Primordial, con tutti gli altri nomi di peso compresi in questo perimetro (Falkenbach, Moosorrow, ecc.) .
Del valore degli Ildra,  dei quali non si è mai saputa la composizione oltre che le attuali sorti (se si va sulla loro pagina Facebook, questa appare desolatamente vuota) la misura ce la offrono due tracce in particolare, Rice Æfter Oðrum e Swa Cwæð se Eardstapa, veri e propri concentrati di solenne epicità, con un magnifico lavoro chitarristico capace di delineare melodie evocative (specialmente il crescendo finale del secondo dei due brani).
Eðelland è sicuramente un album che va recuperato e, anche se non dovesse avere più alcun seguito, rimane senza dubbio uno degli esempi più efficaci di pagan black offerti nel decennio in corso.

Tracklist:
1. Sweorda Ecgum
2. Rice Æfter Oðrum
3. Hrefnesholt Dæl I
4. Esa Blæd
5. Ofer Hwælweg We Comon
6. Nu is se Dæg Cumen
7. Earendel
8. Swa Cwæð se Eardstapa
9. On Þas Hwilnan Tid

Maidavale – Madness Is Too Pure

Le Maidavale si confermano realtà a sé stante nel panorama dell’hard rock vintage, con un’altra opera fuori dai soliti schemi dai suoni affascinanti, ipnotici e a loro modo pericolosissimi.

Tornano dopo pochi mesi dal loro ottimo esordio le quattro sacerdotesse di Fårösund, che sotto il monicker Maidavale ci invitano al secondo sabba sotto il cielo svedese.

Tales Of The Wicked West aveva trovato buoni riscontri, confermati da questo Madness Is Too Pure, viaggio a ritroso nel rock psichedelico e nell’hard rock di settantiana memoria.
Le Maidavale suonano musica vintage, retro rock con una forte ispirazione psichedelica, ma a differenza delle band di maggior successo il loro approccio è meno ruffiano e molto più underground.
Madness Is Too Pure non è un album di facile ascolto, l’atmosfera da jam viene distorta da sfumature psichedeliche e i balli intorno al fuoco sono dettati da una forte connotazione lisergica, lasciando l’approccio blues rock del precedente lavoro e puntando tutto su sfumature stregate dalla magia della psichedelia.
Una lunga jam che si divide in nove capitoli mentre ci contorciamo, rapiti dalla musica e storditi da sostanze preparate dalle quattro streghe svedesi, che non ne vogliono sapere di scrivere un riff di facile presa e ci bombardano con il loro rock che rapisce, stordisce e confonde.
Tra le note dell’opener e singolo Deadlock, e delle altre litanie che compongono l’album, si respira vecchie atmosfere psichedeliche degli anni sessanta, ancora più accentuate rispetto al con l’ipnotica Dark Clouds e la magica Trance a dettare gli incantesimi per ammaliare ascoltatori in ogni parte del mondo.
Le Maidavale si confermano realtà a sé stante nel panorama dell’hard rock vintage, con un’altra opera fuori dai soliti schemi dai suoni affascinanti, ipnotici e a loro modo pericolosissimi.

Tracklist
1.Deadlock
2.Oh Hysteria!
3.Gold Mind
4.Walk In Silence
5.Späktrum
6.Dark Clouds
7.Trance
8.She Is Gone
9.Another Dimension

Line-up
Matilda Roth – Vocals
Johanna Hansson – Drums
Linn Johanesson – Bass
Sofia Ström – Guitar

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The Dead Daisies – Burn It Down

Burn It Down è il quarto album in studio e la band fa un ulteriore balzo temporale all’indietro, inglobando in un sound che ha sempre poggiato le basi negli anni ottanta impulsi rock blues del decennio precedente, come se John Corabi e compagni avessero lasciato gli Whitesnake dopo il loro approdo a Los Angeles, per recuperare quelli più rudi e selvaggi delle origini.

I The Dead Daisies sono la più grande band che i fans dell’hard rock classico possono ascoltare di questi tempi su disco e vedere in versione live sui palchi di tutto il mondo.

Quello che era partito come un super gruppo dall’incerta durata nel tempo, si è trasformato in una meravigliosa realtà che, a ogni passo, lascia in eredità album di un’altra categoria incentrati sul rock duro e puro.
Burn It Down è il quarto album in studio e la band fa un ulteriore balzo temporale all’indietro, inglobando in un sound che ha sempre poggiato le basi negli anni ottanta impulsi rock blues del decennio precedente, come se John Corabi e compagni avessero lasciato gli Whitesnake dopo il loro approdo a Los Angeles, per recuperare quelli più rudi e selvaggi delle origini.
Ovviamente il tutto avviene in un contesto assolutamente potente e moderno e i The Dead Daisies, con il nuovo grande acquisto dietro alle pelli, Deen Castronovo (Bad English, Journey), che va ad affiancarsi e si affianca alle altre leggende presenti nella band, offrono uno spettacolo di hard rock impossessato dal demone del blues: la tracklist offre brani che spezzano schiene sotto i colpi inferti dai riff della coppia Lowy/Aldrich, con le ritmiche che vomitano tonnellate di groove potente e scarno (Castronovo/Mendoza formano una delle coppie ritmiche più potenti della scena), lasciando che Corabi sciorini la prestazione più emozionante, vera e bluesy che il sottoscritto ricordi nella lunga carriera del vocalist americano.
Ora, con queste premesse è ovvio che siamo al cospetto dell’ennesimo capolavoro che non avrà sicuramente il successo dei lavori dei gruppi leggendari dai quali prendono ispirazione e che in altri tempi avrebbe fatto scrivere fiumi di inchiostro e portato la band sulle copertine delle migliori riviste di settore, prima dell’ennesimo tour negli stadi delle grandi città.
Di questi tempi meglio goderseli in qualche teatro o locale più intimo, ma soprattutto far nostro questo bellissimo Burn It Down, che da Resurrected in poi non scende dall’eccellenza, grazie ad una tracklist spettacolare nella quale  hard rock, street e blues ancora una volta si alleano per regalare grande musica dura, emozionante, sanguigna, maleducata ed irresistibile.
Neppure quando mid tempo come la title track o stupende ballate blues come Set Me Free smorzano quell’inconfondibile impatto rock’n’roll che è marchio di fabbrica del gruppo, il livello emozionale si abbassa, anzi, è proprio con le calde note di Set Me Free che Corabi sfiora la perfezione nella sua prestazione di cantante a cui la natura ha donato un carisma riconosciuto a pochi prima di lui.
Burn It Down è dunque un altro magnifico album di hard rock firmato da questi cinque musicisti uniti sotto il monicker The Dead Daisies, approfittatene!

Tracklist
1. Resurrected
2. Rise Up
3. Burn It Down
4. Judgement Day
5. What Goes Around
6. Bitch
7. Set Me Free
8. Dead And Gone
9. Can’t Take It With You
10. Leave Me Alone
11. Revolution (Bonus Track)

Line-up
Deen Castronovo – Drums
David Lowy – Guitars
John Corabi – Vocals
Doug Aldrich – Guitars
Marco Mendoza – Bass

THE DEAD DAISIES – Facebook

Veiled – Black Celestial Orbs

Uno spaccato di black atmosferico dal mood cosmico che convince appieno, grazie ad una linearità che è la grande forza di una proposta priva di digressioni stilistiche, essendo incentrata su un impatto reiterato ed evocativo e lasciando che i vari mid tempo scorrano in maniera avvolgente e senza soluzione di continuità.

Con Black Celestial Orbs facciamo la conoscenza con questa nuova band statunitense capace di offrire un black atmosferico in grado di attrarre senz’altro l’attenzione degli appassionati più attenti.

A ben vedere, peraltro, proprio di nuova band non si tratterebbe perché i Veiled sono la nuova denominazione dei Gnosis Of The Witch, progetto che vedeva il fondatore Niðafjöll accompagnato alla batteria da Swartadauþaz, rimpiazzato poi nella nuova configurazione Dimman, drummer che fa parte della line-up dei magnifici When Nothing Remains.
Ciò che conta è che questo full length d’esordio offre uno spaccato di black atmosferico dal mood cosmico che convince appieno, grazie ad una linearità che è la grande forza di una proposta priva di digressioni stilistiche, essendo incentrata su un impatto reiterato ed evocativo e lasciando che i vari mid tempo scorrano in maniera avvolgente e senza soluzione di continuità.
Tutto ciò accade dal primo secondo di Luminous all’ultimo di Omnipotent, lasciando alle due parti che compongono la title track a l’offerta di qualche variazione sul tema, con la prima che vede un break strumentale piuttosto rarefatto e la seconda che è di fatto un episodio di matrice totalmente ambient.
Se in Portal si mostrano rallentamenti ai confini del doom uniti a sentori depressive, in Enshrouded qualche pausa più liquida spezza la tensione di un brano incessante per intensità: la provenienza statunitense della band, inoltre, comporta sfumature cascadiane che sono percepibili all’interno di un sound austero, solenne ed avvolgente.
Forse a qualcuno il tutto potrà apparire un po’ ripetitivo, ma questo è black atmosferico nella sua essenza più pura e già così, per quanto mi riguarda, merita un incondizionato apprezzamento, nonostante i margini per fare ancora meglio vi siano tutti.

Tracklist:
1. Luminous
2. Portal
3. Enshrouded
4. Omnipotent
5. Black Celestial Orbs I
6. Black Celestial Orbs II

Line-up:
Niðafjöll – Vocals, Guitars, Bass, Ambiance
Dimman – Drums

VEILED – Facebook

Hortus Animae – Piove Sangue – Live in Banská Bystrica

Piove Sangue – Live in Banská Bystrica è un gradito cadeau che, come contraltare, ci spinge a chiedere a Martyr Lucifer e ai suoi compagni di dare finalmente un seguito a Secular Music: i tempi paiono essere maturi.

Gli Hortus Animae sono una delle band icona del nostro metal estremo, in virtù di una discografia non ricchissima dal punto di vista quantitativo ma di valore inestimabile se la si misura attraverso parametri qualitativi.

Piove Sangue è il primo live offerto dalla band romagnola, guidata da Martyr Lucifer, che viene immortalata in quel di Banská Bystrica, amena località slovacca che ospita ogni anno un festival sempre molto ben frequentato.
Il set offerto è relativamente breve ma esaustivo delle varie fasi della carriera degli Hortus Animae, partendo dall’iniziale Furious Winds/Locusts, che era anche la traccia di apertura del seminale The Blow Of Fuorious Winds, per passare poi alle melodie chitarristiche che caratterizzano Chamber of Endless Nightmares e gli umori gotici di Doomsday (quest’ultima in versione accorciata), tratte dall’ultimo album di inediti Secular Music, per arrivare poi al Medley che assembla brani provenienti dal primo demo del 1998, An Abode for Spirit and Flesh, e dal successivo full length d’esordio The Melting Waltz, e all’ultimo inedito There’s No Sanctuary, facente parte dell’omonimo ep del 2016, altra canzone che mostra il caratteristico connubio tra metal estremo e sonorità gothic wave.
Come da abitudine consolidata anche nei lavori in studio, gli Hortus Animae chiudono questa celebrazione dei loro vent’anni di attività con la cover slayaeriana di Raining Blood (ecco spiegato il titolo dell’album) che vede quale ospite alla voce di Freddy Fredich degli storici thrashers tedeschi Necronomicon, con i quali i nostri hanno condiviso il tour europeo.
Piove Sangue – Live in Banská Bystrica è un gradito cadeau che, come contraltare, ci spinge a chiedere a Martyr Lucifer e ai suoi compagni di dare finalmente un seguito a Secular Music: i tempi paiono essere maturi.

Tracklist:
1. Furious Winds / Locusts
2. Chamber of Endless Nightmares
3. Doomsday
4. Medley: I – In Adoration of the Weeping Skies, II – Cruciatus Tacitus, III – Souls of the Cold Wind
5. There’s No Sanctuary
6. Raining Blood

Line-up:
Martyr Lucifer – vocals
Hypnos – guitars
Bless – keyboards
Adamant – bass
MG Desmadre – guitars
GL Ghöre – drums

HORTUS ANIMAE – Facebook

Feed The Rhino – The Silence

Sarebbe facile per chi ha qualche anno in più disprezzarlo ritenendolo leggero, invece questo gruppo ha delle peculiarità che lo rende apprezzabile anche da chi non è abituato a queste sonorità.

Album di metal moderno e radiofonico, melodia, entusiasmo e molto mestiere.

I Feed The Rhino vengono dalla città inglese di Kent e si sono formati nel 2008, e hanno alle spalle tre album. Questi ragazzi hanno un grande seguito, sopratutto fra i giovani ascoltatori di musica veloce. Sarebbe facile per chi ha qualche anno in più disprezzarlo ritenendolo leggero, invece questo gruppo ha delle peculiarità che lo rende apprezzabile anche da chi non è abituato a queste sonorità. Attento alla loro immagine come al loro suono, la band concentra nella sua musica ascolti che sono molto variegati e soprattutto risalenti agli anni novanta e duemila, infatti si possono sentire diverse influenze, come quella del grunge o del metal, con i Deftones molto presenti. Il disco si sviluppa bene, le canzoni si assomigliano un po’ fra loro, ma la scrittura è buona e non si cercano soluzioni ovvie, andando alla ricerca di un suono che vada oltre i cliché moderni. I Feed The Rhino sono un gruppo di metal moderno che non si ferma ad un facile successo, ma prova a produrre una formula personale. I loro concerti sono molto seguiti perché questi ragazzi riescono a trasferire la loro potenza ed energia sul palco. Ascoltando tutto il disco si può avere qualche sorpresa, come qualche citazione sonora di altri gruppi inglesi, forse volontaria forse no, come gli Earthtone 9, una delle band più clamorose mai uscite dalla terra di Albione. Per i Feed The Rhino si potrebbe fare lo stesso discorso che vale per la Premier League, il campionato inglese di calcio, ovvero che se si prende per buono l’assunto che il calcio come la musica debba essere intrattenimento e spettacolo, allora prendiamo la Premier e i Feed The Rhino, perché c’è qualità ed un buon livello. Per altro rivolgersi altrove.

Tracklist
01. Timewave Zero
02. Heedless
03. Losing Ground
04. 68
05. All Work And No Play Makes Jack A Dull Boy
06. Yellow And Green
07. Nerve Of A Sinister Killer
08. Fences
09. The Silence
10. Lost In Proximity
11. Featherweight

Line-up
James Colley : guitars
Chris Kybert : drums
Oz Craggs : bass
Sam Colley : guitars
Lee Tobin : vocals

FEED THE RHINO – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=8dT-YnBV4nUù

Michael Kratz – Live Your Life

In tempi in cui il genere fatica ad uscire da una dimensione ristretta, (specialmente in Italia), un album come Live Your Life è tesoro per pochi, scrigno di melodie da custodire gelosamente nella propria discografia.

Il lato più elegante e raffinato del rock viene nobilitato da Michael Kratz, già batterista dei rockers danesi Kandis e di questi tempi sul mercato con un album a suo nome, nel quale l’artista collabora con un buon numero di musicisti della scena aor/west coast internazionale.

Licenziato dalla Art Of Melody Music / Burning Minds Music Group in Europa e più avanti da AnderStein Music in Giappone, Live Your Life vede Kratz alle prese con una serie di brani dall’alto tasso qualitativo, debordanti di melodia ed ovviamente pregni di quelle atmosfere che faranno innamorare perdutamente gli amanti del rock melodico.
E di atmosfere e sfumature sognanti l’album è ricco, impreziosito dai tanti ospiti con cui il musicista ha collaborato, come Steve Lukather (Toto), Michael Landau, Dom Brown (Duran Duran), David Garfield, Christian Warburg (Paul Young) e Alessandro Del Vecchio (Revolution Saints, Hardline), tra gli altri, e valorizzato da arrangiamenti e produzione di assoluto livello internazionale.
Composto da dodici brani ricchi di melodie sopraffine, Live Your Life è un bellissimo e riuscito esempio di rock melodico che viaggia fuori dal tempo e dalle mode per arricchire anime di gustoso rock d’autore.
We All Live In This Nation e la title track aprono l’opera riassumendo perfettamente quello a cui l’ascoltatore andrà in contro, circondato da note che formano un lavoro che è già un classico, mentre Never Take Us Alive, le armonie acustiche di Paradise Lost e le atmosfere solari di Bye Bye confermano il l’alto livello di un songwriting che non accenna un passo falso.
In tempi in cui il genere fatica ad uscire da una dimensione ristretta, (specialmente in Italia), un album come Live Your Life è tesoro per pochi, scrigno di melodie da custodire gelosamente nella propria discografia.

Tracklist
01. We All Live In This Nation
02. Live Your Life
03. This Town Is Lost Without You
04. What Did I.. ?
05. Never Take Us Alive
06. Game Of Love (Over And Over)
07. Lying 08. Paradise Lost
09. Shade
10. Bye Bye
11. Dying Young
12. In Between

Line-up
Michael Kratz – Lead & Backing Vocals, Guitar, Drums
Kasper Viinberg – Drums, Bass, Guitars, Backing Vocals, Percussion, Accordion, Programming
Steve Lukather – Guitar solo
Michael Landau – Guitars
David Garfield – Keyboards, Hammond, Piano
Dom Brown – Guitars
Christian Warburg – Guitars
Alessandro Del Vecchio – Keyboards, Hammond
Mikkel Risum – Bass
Ole Kibsgaard – Backing Vocals
Ole Viinberg – Backing Vocals
Ida Lohmann – Backing Vocals
Emma Viinberg – Choir
Den Jyske Sangskole – Choir
Kenneth Bremer – Cowbell

MICHAEL KRATZ – Facebook

Nightwish – Decades

La monumentale raccolta che riassume i primi vent’anni di carriera della più famosa symphonic metal band del pianeta.

Sembra ieri quando per la prima volta mi imbattei nei Nightwish, signori indiscussi del power metal sinfonico da ormai vent’anni ed una delle poche band della generazione di fine secolo che può sedersi al tavolo con i grandi del metal.

Un genere portato al successo a colpi di album bellissimi, specialmente nella prima fase con la divina Tarja come sirena operistica al microfono, poi un calo e la crisi dopo la partenza del soprano più famoso del metal e l’entrata frettolosa della pur brava Annette Olzon, seguita dall’arrivo della valkiria olandese Floor Jansen e al ritorno in pompa magna con l’ultimo lavoro targato 2015 Endless Forms Most Beautiful.
E proprio dall’ultimo lavoro e dalla suite The Greatest Show on Earth che parte questo viaggio a ritroso nel mondo della band di Tuomas Holopainen, una monumentale raccolta che raccoglie in sè tutte le facce della creatura scandinava, dalle suite e dai brani più classici a quelli più diretti e prettamente metallici in un’apoteosi di suoni bombastici e magniloquenti che risultano praticamente il meglio che il symphonic metal abbia regalato per entrare di diritto nella storia.
Ovviamente Decades è pur sempre una raccolta, quindi i fans della band non troveranno che brani conosciuti a memoria e che costituiscono un esaustivo riassunto dei primi vent’anni di carriera, mentre il tutto è invece molto più congeniale a chi non ha mai approfondito la conoscenza del gruppo; il lavoro viene licenziato dalla Nuclear Blast nelle versioni doppio cd, triplo vinile e doppio cd Earbox, lasciando ai fans una buona scelta di acquisto.
Ovviamente seguirà un tour mondiale che porterà i Nightwish su tutti i palchi del mondo, compreso il nostro paese, in quello che si prospetta come l’evento metallico dei prossimi 12 mesi.
I brani sono quelli nella loro versione originale, quindi si possono assaporare le varie fasi della carriera di Holopainen e soci, scandita dal cambio delle muse al microfono e da un’evoluzione che, di fatto, non si è mai fermata arrivando alla piena maturazione con l’ultimo bellissimo lavoro, aspettando la calata in Italia e la celebrazione di questa favola metallica chiamata Nightwish.

Tracklist
1. The Greatest Show On Earth
2. Élan
3. My Walden
4. Storytime
5. I Want My Tears Back
6. Amaranth
7. The Poet And The Pendulum
8. Nemo
9. Wish I Had An Angel
10. Ghost Love Score
11. Slaying The Dreamer
12. End Of All Hope
13. 10 th Man Down
14. The Kingslayer
15. Dead Boy’s Poem
16. Gethsemane
17. Devil & The Deep Dark Ocean
18. Sacrament Of Wilderness
19. Sleeping Sun
20. Elvenpath
21. Carpenter
22. Nightwish (Demo)

Line-up
Tuomas Holopainen – Keyboards
Floor Jansen – Vocals
Marco Hietala – Bass & Vocals
Emppu Vuorinen – Guitar
Troy Donockley – Uilleann pipes & whistles
Kai Hahto – Drummer

NIGHTWISH – Facebook