In Twilight’s Embrace – Vanitas

Gli In Twilight’s Embrace hanno lasciato in parte la strada che li portava verso la Scandinavia per rimanere nel loro paese (la Polonia) e scovare sentieri ancora più estremi ed oscuri, una piccola svolta per il gruppo che non deluderà i loro ascoltatori.

The Grim Muse, licenziato un paio d’anni fa, mi aveva piacevolmente impressionato, dandomi la possibilità di conoscere gli In Twilight’s Embrace, gruppo polacco dal sound a metà strada tra il death metal scandinavo e il black metal suonato dalle loro parti.

Il quintetto di Poznań torna con un nuovo lavoro, questo oscuro esempio di death/black metal dalle melodie che accentuano la parte melanconica dell’anima del gruppo, intitolato Vanitas.
Un altro centro dopo l’ottimo album precedente, a mio parere più pesante e oscuro rispetto al death metal melodico dalle sfuriate black di The Grim Muse, in poche parole più estremo ed incentrato sul black death metal alla Behemoth.
Vanitas non mancherà di soddisfare chi già aveva apprezzato il lavoro precedente: la componente black si è fatta più presente, lasciando nell’ombra quella più melodica e mettendo l’ascoltatore al cospetto di un’opera dove l’oscurità è accentuata in maniera più decisa, mentre le melodie incorniciano brani pressanti come As Future Evaporates o Flesh Falls No Ghost Lift.
In conclusione, gli In Twilight’s Embrace hanno lasciato in parte la strada che li portava verso la Scandinavia per rimanere nel loro paese (la Polonia) e scovare sentieri ancora più estremi ed oscuri, una piccola svolta per il gruppo che non deluderà i loro ascoltatori.

Tracklist
1.The Hell of Mediocrity
2.Fan the Flame
3.As Future Evaporates
4.Trembling
5.Flesh Falls, No Ghost Lifts
6.Futility
7.The Rift
8.The Great Leveller

Line-up
Leszek Szlenk – Guitars (lead)
Cyprian Łakomy – Vocals
Marcin Rybicki – Bass
Dawid Bytnar – Drums

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IN TWILIGHT’S EMBRACE – Facebook

Tantal – Ruin

Il death metal melodico rimane il protagonista principale della musica dei Tantal, infarcito di ottime reminiscenze progressive che fanno di Ruin un altro bellissimo esempio di album metal tra death e prog.

Tornano freschi di firma per la Sleaszy Rider gli ottimi Tantal, band proveniente dalla madre Russia e di cui vi avevamo parlato tre anni fa in occasione dell’uscita del bellissimo secondo album Expectansy.

Molte cose sono cambiate in casa Tantal con appunto la line up stravolta, nella quale resta al suo posto il solo chitarrista Dmitriy Ignatiev, ed il sound che però mantiene il suo approccio heavy/death melodico su un tappeto di suoni darkwave e gothic.
Da quintetto, con la punta di diamante Milana Solovitskaya al microfono, la band è diventata un quartetto dove, oltre al  leader del progetto, troviamo Sofia Raykova alla voce, Ivan Izotov al basso e Srgey Serebrennikov dietro al drumkit a completare una line up che, anche questa volta, convince a più riprese.
La musica dei Tantal continua la sua non facile impresa di risultare fresca, pur animata da ispirazioni evidenti che si fanno spazio tra le trame dei brani, ma valorizzate da un songwriting di alto livello che fa risplendere anche questa nuova raccolta di brani chiamata Ruin.
Pur con tutti i cambiamenti il sound varia di quel tanto da non far sembrare l’album una fotocopia del precedente lavoro, la parte elettronica e l’andamento liquido di alcuni brani avvicinano di più la band a realtà come i nostrani Lacuna Coil, merito anche della voce della nuova arrivata dietro al microfono, anche se il punto di forza del gruppo rimane il death metal melodico, infarcito di ottime reminiscenze progressive che fanno di Ruin un altro bellissimo esempio di album metal tra death e prog.
Quindi si sfugge a lunghi e noiosi piagnistei gothic, perché qui si viaggia a velocità sostenuta, tra tecnica sopraffina (Ignatiev conferma d’essere un chitarrista davvero bravo), passaggi progressivi di scuola Dream Theater e tempeste estreme, melodiche e suggestive alla Dark Tranquillity, a cui come scritto si aggiunge quel tocco più moderno che ricorda i Lacuna Coil.
Ruin rimane di altissimo livello per tutta la sua durata e brani come Torn Inside, la suadente Low e la moderna title track confermano il valore di questa ottima realtà che abbiamo avuto modo di incontrare di nuovo sul nostro cammino.
Con l’aiuto della Sleaszy Rider, i Tantal troveranno sicuramente nuovi ammiratori, e noi non possiamo che consigliare il nuovo album agli amanti del genere che cercano un sound fresco ma ancora legato al metal.

Tracklist
01 – Constant Failure
02 – Denial
03 – Torn Inside
04 – Drained
05 – Torpid
06 – A Hopeful Lie
07 – Low 08 – Ruin
09 – Tears Of Yesterday
10 – The Awakening

Line-up
Sofia Raykova – vocals
Dmitry Ignatiev – guitars/keys
Ivan Izotov – bass
Srgey Serebrennikov – drums

TANTAL – Facebook

Warcrab – Scars of Aeons

Gli Warcrab hanno il merito di riportare alla natia casa britannica un certo tipo di death metal, con il valore aggiunto di una componente sludge doom che lo rende parzialmente più attuale ma, al di là di tutto, Scars of Aeons è il segno tangibile di una maturazione avvenuta in tempi lunghi ma decisamente importante da parte di questa ottima band.

Riprendiamo con un po’ di ritardo rispetto alla sua uscita Scars of Aeons, che a sua volta è la riedizione in formato cd, a cura dell’Indiana Transcending Obscurity Records, del secondo full length degli inglesi Warcrab, edito solo in digitale nel 2016 dalla Black Bow Records.

Detto così può sembrare tutto molto complicato, ma in realtà si tratta soltanto di intercettare la musica quando è lei che ti si viene a proporre e non viceversa, con il grande vantaggio che, come tutte le forme d’arte, dopo che si è compiuta può tranquillamente restare in attesa per un periodo indeterminato prima che qualcuno sollevi il velo e la porti alla luce.
L’etichetta di Mumbai è una tra quelle che maggiormente spicca nella sua opera di meritoria rilucidatura di opere che, altrimenti, rischierebbero di restare confinate a pochi intimi e questo è appunto il caso di Scars of Aeons, esempio mirabile di death sludge che prende in misura piuttosto equa sia dalla più guerresca tradizione death albionica (quindi Bolt Thrower), sia dal fangoso ma ritmato sludge d’oltreoceano (con gentaglia come i Crowbar a guidarne le fila).
Il risultato è decisamente gustoso, perché gli ottimi Warcrab in poco più di mezzora scaraventano nelle nostre orecchie cinque macigni che hanno il grande pregio di non farsi notare solo per la loro pesantezza ma, anche e soprattutto, per la capacità della band di variare sul tema scovando riff memorabili, oltre a regalare anche ottime parti di chitarra solista che non è cosi scontato ascoltare in certi ambiti.
Ecco perché questa terza uscita targata Warcrab (dopo l’omonimo full length d’esordio del 2012 e l’ep Ashes Of Carnage del 2014) possiede tutti i crismi per soddisfare gli amanti del death così come quelli del doom, con attimi di feroce piacere derivante dall’ascolto di un traccia killer come Destroyer of Worlds.

Gli Warcrab hanno il merito di riportare alla natia casa britannica un certo tipo di death metal, con il valore aggiunto di una componente sludge doom che lo rende parzialmente più attuale ma, al di là di tutto, Scars of Aeons è il segno tangibile di una maturazione avvenuta in tempi lunghi ma decisamente importante da parte di questa ottima band.

Tracklist:
1.Conquest
2.Destroyer of Worlds
3.In the Shadow of Grief
4.Bury Me Before I’m Born
5.Scars of Aeons

Line-up:
Vocals – Martyn Grant
Guitar – Paul “Budgie” Garbett
Guitar – Leigh Jones
Lead Guitar – Geoff Holmes
Bass – Dave “Guppy” Simmonds
Drums – Rich Parker

WARCRAB – Facebook

Dark Matter Secret – Perfect World Creation

Perfect World Creation è il classico album da scritto da musicisti per musicisti, con l’autoreferenzialità formale che prevale in maniera schiacciante su un aspetto emotivo pari a zero.

Nell’ambito del technical death metal e del progressive estremo, i gruppi che lasciano senza fiato per tecnica esecutiva perdono molti punti se si parla di pure emozioni, importantissime per entrare nel cuore dell’ascoltatore; ci si imbatte così molto spesso in maestri dello strumento dalla tecnica invidiabile, che mostrano i muscoli con scale ultra veloci e ritmiche inumane, ma che già al secondo ascolto delle loro opere sono destinati ad essere dimenticati, così come temporali passeggeri nelle serate estive.

I Dark Matter Secret sono tre musicisti russi provenienti da Mosca il cui primo album intitolato Perfect World Creation segue di un paio d’anni l’ep Xenoform, suonano progressive technical death metal strumentale all’interno del quale si riescono a captare alcuni momenti dal buon impatto melodico, sommersi da altri che si rivelano esercizi tecnici fini a se stessi, lunghe scale già sentite migliaia di volte nel genere e strutturate su ritmiche funamboliche ma che, alla lunga, lasciano il tempo che trovano non appena svanisce lo stupore nel constatare l’abilità del trio.
Perfect World Creation è il classico album da scritto da musicisti per musicisti, con l’autoreferenzialità formale che prevale in maniera schiacciante su un aspetto emotivo pari a zero: un’opera che avvicina la band a gruppi come gli Obscura e a tutta la scena technical death, ma che troverà fans entusiasti solo in coloro che godranno per le intricate parti che sfiorano il nonsense in brani come Ancient Gods Genesis, Synthesis Of Matter o la title track.

Tracklist
1.Chaos Born
2.Ancient Gods Genesis
3.Emergence of Time
4.Synthesis of Matter
5.Constellation Glows
6.Organic Nucleation
7.Perfect World Creation

Line-up
Pavel Semin – Bass
Denis Shvarts – Guitars
Andrey Ischenko – Drums

DARK MATTER SECRET – Facebook

Kartikeya – Samudra

Colmo di riferimenti alla cultura Indù ed alla sacra Trimurti, Samudra è uno scrigno colmo di sorprese, con una band che tecnicamente lascia a bocca aperta riuscendo con grande disinvoltura a far convivere generi apparentemente lontani tra loro.

Cercando nel vasto mondo del metal se ne trovano di gioielli musicali, basta avere voglia di non fermarsi in superficie e scavare in un sottosuolo dove si muovono realtà sconosciute ai più ma di altissimo valore.

Senza paraocchi e con una visione della musica a 360° si possono fare piacevolissimi incontri, sotto forma di gruppi autori di lavori sorprendenti come per esempio i russi Kartikeya con questa bellissima opera estrema dal titolo Samudra.
Ispirato concettualmente alla religione indù, l’album è un concept che si sviluppa in settanta minuti di metal estremo progressivo, il Carnatic Metal come lo chiamano loro, una straordinaria alleanza tra blackened death metal, progressive e folk che sfocia in un saliscendi artistico, un’altalena di emozioni tra tempeste estreme, bellissime parti progressive e suggestive atmosfere folk di origine indiane e arabe.
Colmo di riferimenti alla religione della Sacra Trimurti, Samudra è uno scrigno colmo di sorprese, la band che tecnicamente lascia a bocca aperta riesce con clamorosa disinvoltura a far convivere generi apparentemente lontani tra loro in un sound che tiene incollati alle cuffie, bellissimo esempio di come il metal sia tutt’altro che un genere conservatore come vorrebbe qualcuno ma che, anzi, in questi anni si è trasformato, grazie a gruppi come il sestetto moscovita, in musica camaleontica ed estremamente volubile.
In Russia, come in India, i gruppi sono meno legati alle regole di mercato statunitensi ed europee, così che è facile incontrare realtà di levatura superiore ed assolutamente fuori da qualsivoglia ambizione commerciale; qui a parlare è la musica, con brani fuori dagli schemi e di una bellezza disarmante come Tandava, Mask Of The Blind, Kannada – Munjaaneddu Kumbaaranna (con l’ospite Karl Sanders, leader dei Nile) e i tredici minuti progressivamente estremi di Dharma, Pt. 2 – Into the Tranquil Skies.
Orphaned Land e Melechesh, ma rimanendo in ambito molto più underground e nel territorio indiano, Demonic Resurrection e Fragarak, sono le band accostabili a questi sei geniali musicisti russi, giusto per fornire qualche coordinata in più a chi si volesse accostare a questo magnifico lavoro.

Tracklist
1. Dharma pt. 1 – Into The Sacred Waves
2. Tandava
3. Durga Puja
4. Pranama
5. The Horrors Of Home (feat. Keith Merrow)
6. Mask Of The Blind
7. Samudra
8. The Golden Blades
9. We Shall Never Die
10. Kannada – Munjaaneddu Kumbaaranna (feat. Sai Shankar & Karl Sanders / Nile)
11. Tunnels Of Naraka (feat. David Maxim Micic)
12. The Crimson Age 13. Kumari Kandam
14. Dharma pt. 2 – Into The Tranquil Skies

Line-up
Anton Mars – Vocals
Roman Arsafes – Guitars, Vocals, Ethnic Instruments
Sasha Miro – Bass
Misha Talanov – Violin
Dmitriy Drevo – Percussion
Alex Smirnov – Drums

KARTIKEYA – Facebook

Corpse Garden – IAO 269

Death metal brutale e progressivo, musica estrema ispirata da un innato talento per soluzioni che vanno sempre un passo fuori dai consueti schemi, con una serie di brani devastanti che uniscono in un unico sound, death metal, doom e musica estrema progressiva.

Death metal brutale e progressivo, musica estrema ispirata da un innato talento per soluzioni che vanno sempre un passo fuori dai consueti schemi con una serie di brani devastanti che uniscono in un unico sound, death metal, doom e musica estrema progressiva.

I Corpse Garden sono un gruppo centroamericano attivo da quasi una decina d’anni, ed arrivano al terzo full length tramite Godz Ov War Productions.
Il loro sound prende ispirazioni dal death oscuro e pesantissimo dei Morbid Angel, dal doom di una cult band come i Confessor e dalle trame dissonanti ed alternative progressive dei tedeschi Incubator, altra realtà di culto uscita dai primi anni novanta.
IAO 269 è un pianeta a sé nell’universo estremo attuale, e la band costaricense gioca con lo spartito per rendere la propria musica il più originale e fuori dagli schemi possibile, riuscendoci per merito di un songwriting variegato e soprattutto una tecnica invidiabile.
Dimenticate però le classiche prog death metal band che tanto fanno parlare gli addetti ai lavori, le note che compongono brani tragicamente ed inesorabilmente estremi come Death Heax, Selenomantic Ecstasies o The Elevenfold Vibration, sono quanto di più dissonanti, disturbanti ed assolutamente pericolose possiate trovare in giro nel il panorama musicale odierno.
Un album che al sottoscritto porta alla mente il McGillroy The Housefly degli ormai scomparsi Incubator, ma mentre la band tedesca usava alternative parti grunge ad imbastardire il sound di chiara ispirazione death, i Corpse Garden lo violentano con esplosioni di dissacrante noise e doom progressivo, imponendosi con una buonissima opera rivolta ad un’audience piuttosto selezionata.

Tracklist
1.Aeon of Horus
2.Death Hex
3.Ain Soph Aur
4.Selenomantic Ecstasies
5.La muerte: Principio y redención
6.IAO 269
7.The Elevenfold Vibration
8.Expanding the Vision Call
9.Loathing

Line-up
Erick Mejia – Drums
Federico Gutierrez – Guitars
Esteban Sancho – Guitars
Carlos Venegas – Bass
Felipe Tencio – Vocals

CORPSE GARDEN – Facebook

Worstenemy – Deception

E’ giunta l’ora in cui la seconda apocalisse targata Worstenemy si abbatta su di voi senza lasciarvi scampo.

E’ giunta l’ora in cui la seconda apocalisse targata Worstenemy si abbatta su di voi senza lasciarvi scampo.

Il gruppo sardo torna con un nuovo lavoro, il devastante parto estremo intitolato Deception, a quattro anni di distanza dal notevole Revelation, album che lo aveva fatto conoscere ad una più ampia fetta di amanti del death metal tramite la Wormholedeath.
I nuovi Worstenemy sono formati dall’ormai storico chitarrista e cantante Mario Pulisci, accompagnato questa volta dall’ex Hour Of Penance Simone “Arconda” Piras alla batteria e Luigi Cara (Deathcrush / Malignant Defecation) alle prese con basso e voce.
Di death metal si tratta, chiamatelo old school o come volete, rimane il fatto che Deception è un martello pneumatico che penetra inesorabile sulla vostra testa, seminando materia cerebrale nella stanza dove senza cautela alcuna avrete schiacciato il tasto play.
Una sezione ritmica devastante, un sound pieno, mastodontico e pesantissimo, una prova notevole a livello tecnico al servizio di un lotto di brani debordanti, fanno di Deception uno degli album più riusciti degli ultimi tempi, ovviamente parlando di death metal.
La title track è un inizio fulminante e i brani da macello metallico alternano a tratti rallentamenti doom/death da copione per poi ripartire più minacciosi e cattivi di prima; le band storiche del panorama estremo statunitense sono ancora ben presenti nel sound degli Worstenemy i quali, dalla loro, possono vantare un songwriting ispirato e tanta personalità.
Conquer The Illusion, Blood And Dust, Seasons Of War, in odore di Bolt Thrower ed unica concessione “europea” al sound di Deception, e la magnifica cover di Grind (brano degli Alice In Chains dall’omonimo terzo lavoro), prendono per mano l’intera tracklist formando un muro sonoro invalicabile; mastodontico e penetrante, l’album non concede tregua, e le macerie su cui passeggiano i tre musicisti nostrani dopo il micidiale passaggio di questi inesorabili undici schiacciasassi estremi confermano il tiro di un’altra categoria del combo sardo.

Tracklist
1.Deception
2.Solis
3.Conquer the Illusions
4.Fog or Shine
5.Blood and Dust
6.A Mortal God
7.5th Level of Suffering
8.Seasons of War
9.New Era of Terror
10.Grind (Alice in Chains cover)
11.I

Line-up
Mario Pulisci – Vocals, Guitars
Luigi Cara – Bass, Vocals
Simone “Arconda” Piras – Drums

WORSTENEMY – Facebook

Deos – In Nomine Romae

In Nomine Romae è consigliato sia ai fans del black metal sinfonico che a quelli del death epico e guerresco.

L’impero romano glorificato a colpi di blackened death metal, orchestrale e melodico, epico e suggestivo, questo è In Nomine Romae secondo album dei francesi Deos.

Attiva da soli tre anni e con il precedente album licenziato due anni fa (Ghosts Of The Empire), la legione romana trapiantata in Francia strappa la firma con Buil2Kill Records e ci scaraventa in pieno impero, alla conquista del mondo all’epoca conosciuto, celebrando la sua grandezza ad ogni nota che compone l’opera divisa in tredici brani più intro.
Ovviamente epico, il sound dei Deos, a tratti davvero suggestivo, prende forza dal black metal, lo potenzia con il death che fa da fedele centurione e lo armonizza con tappeti orchestrali che tanto sanno di Emperor.
Dopo l’intro “italiana” L’armata Dei Coraggiosi, l’opera prende il via tra ritmiche veloci, orchestrazioni oscure ed un scream/growl che riempie di epica e guerresca cattiveria le atmosfere di brani come Caput Mundi, mentre le sfumature si fanno sempre più oscure e l’odore di morte più intenso all’ascolto di Memento Mori e Laudatio Funebris, un mid tempo funereo e molto suggestivo.
L’atmosfera dell’album non accenna a lasciare territori oscuri, mentre le conquiste si moltiplicano e così le lodi all’impero; le trame epiche si avvicinano agli Amon Amarth, ma sono le band fedeli alla storia dell’Urbe che tornano prepotentemente in auge all’ascolto dell’opera (Ex Deo ed i nostrani Ade, coi quali il gruppo partirà per un tour).
Più vicini al black metal, i Deos risultano sicuramente più oscuri e maligni: In Nomine Romae è quindi consigliato sia ai fans del black metal sinfonico che a quelli del death epico e guerresco, che troveranno di che esaltarsi tra le trame delle varie Cunctator e Delenda Carthago.

Tracklist
1.L’armatura dei coraggiosi
2.Pro Iovis Pro Mars
3.Caput Mundi
4.Sapere Aude
5.Oderint Dum Metuant
6.Memento Mori
7.Cincinnatus
8.Laudatio Funebris
9.Mylae
10.Post Tenebras Lux
11.Cunctator
12.Aut Vincere Aut Mori
13.Delenda Carthago

Line-up
Jack Graved – Bass, Vocals
Loïc Depauwe – Drums
François Giraud – Guitars
Fabio Battistella – Guitars
Harsh Wave – Keyboards

DEOS – Facebook

Dauthuz – Destined For Death

Un granitico e micidiale attacco all’insegna di un death metal vecchia scuola, una serie di pugni in pieno volto portati dai Dauthuz che rifilano, uno dietro l’altro, dieci ganci estremi senza soluzione di continuità, massacrando e sfigurando, senza lasciare scampo.

Un granitico e micidiale attacco all’insegna di un death metal vecchia scuola, una serie di pugni in pieno volto portati dai Dauthuz che rifilano, uno dietro l’altro, dieci ganci estremi senza soluzione di continuità, massacrando e sfigurando, senza lasciare scampo.

Il quintetto olandese arriva al primo lavoro sulla lunga distanza firmando un contratto per la distribuzione con la Wormholedeath , dopo due anni dalla nascita, un ep ed un singolo prima che Destined For Death arrivi a confermare il buon fiuto della label e la devozione del gruppo per il death metal old school.
Ovviamente ispirato alla scena del loro paese, storica rappresentante del metal estremo dai primi anni novanta, con accenni alla primissima ondata scandinava (specialmente nel riffing), l’album è una mazzata nei denti ben assestata, con un growl che è un’incessante ed animalesca aggressione proveniente dall’angolo più recondito dell’inferno, una pesantezza fuori dal comune e non ultima una serie di tracce che nella loro assoluta natura estrema si attaccano alle pareti della nostra scatola cranica come perfidi e famelici parassiti.
Dying Breed, cantata dalla singer dei conterranei Izegrim, Marloes Voskuil, e da cui è tratto un video, rimane il brano simbolo di Destined For Death, ma lasciate che l’album arrivi alla conclusione perché gli attimi di devastazione sonora di una certa consistenza non mancano (Honoured To Serve, Tormentor e la conclusiva Warmaster) così da regalare agli amanti del death metal vecchia scuola un’altra band da segnare sulla proprio personale e sanguinante taccuino.

Tracklist
1.Destined for Death
2.The Hunt
3.Dying Breed (feat. Marloes Voskuil)
4.Made in Blood
5.Honoured to Serve
6.Killing in the Woods
7.Killed in the Woods (Reprise)
8.Tormentor
9.Deep Inside Your Soul
10.Warmaster

Line-up
Manoloxx – Vocals
Dennis Jak – Guitar
Hans Bijland – Guitar
Tim Roeper – Bass
Nick de Vet – Drums

DAUTHUZ – Facebook

D With Us – Searching For The Light

Melodic death metal e metalcore si uniscono nel sound dei D With Us dando vita così ad un ottimo lavoro, potente e melodico, scandito da ritmiche moderne, ma valorizzato da solos e soluzioni di stampo death e più orientate alla tradizione estrema di stampo classico.

Arrivano all’esordio tramite l’attivissima label napoletana Volcano Records & Promotion i D With Us, quartetto piemontese protagonista di un ottimo melodic death metal unito alla forza ritmica del metalcore.

La band è attiva dal 2013, voluta da Maurizio Molonato in memoria del figlio Davor, chitarrista e pianista scomparso all’età di quindici anni, ma i non pochi cambi di line up hanno portato il gruppo alla formazione attuale che vede impegnati Daniele Salomone (chitarra e voce), Matteo De Faveri (chitarra), Gioele Sechi (basso), Lorenzo Bonak Bonaccorso (batteria); l ‘ep di debutto si intitola Searching For The Light ed è stato registrato nei DDstudiorecords dallo stesso Maurizio Molonato.
Melodic death metal e metalcore si uniscono nel sound dei D With Us dando vita così ad un ottimo lavoro, potente e melodico, scandito da ritmiche moderne, ma valorizzato da solos e soluzioni di stampo death e più orientate alla tradizione estrema di stampo classico; l’ep possiede un tiro sufficiente per destare l’attenzione degli amanti del genere, dall’opener Warrior’s Heart, preceduta dall’intro, passando per l’ottima struttura della title track, scelta come singolo e brano perfetto tra riff di stampo swedish death, ritmi moderni e refrain melodico quanto basta per non uscire più dalla testa.
I quattro giovani musicisti non si fanno pregare e picchiano quando serve oppure valorizzano l’atmosfera dei brani con accordi melodici ed intimisti (The Passage), prima che la tempesta metallica torni ad abbattersi sull’ascoltatore.
Echi elettronici ed atmosfere industrial fanno da preludio alla conclusiva Threat Presence, mentre precedentemente Never Stop Until The End si era rivelato come il brano più diretto di Searching For The Light un buon inizio per i D With Us che, sommato alle ottime impressioni suscitate nel corso delle esibizioni  dal vivo, ne fanno una realtà da seguire con attenzione.

Tracklist
1. Intro
2. Warrior’s Heart
3. Searching For The Light
4. The Passage
5. Never Stop Until The End
6. Threat Presence

Line-up
Daniele Salomone – Vocals, Guitar
Matteo De Faveri – Guitars
Gioele Sechi – Bass)
Lorenzo Bonak Bonaccorso – Drums

D WITH US – Facebook

Ursinne – Swimming With The Leviathan

Una tempesta di ritmiche e riffing che vanno ad abbracciare le due correnti storiche del death, con una più marcata predisposizione per la battaglia musicale insita nel sound del gruppo britannico.

Un super gruppo estremo nuovo di zecca, anzi un super duo diventato trio con l’entrata in formazione della bassista Sonia “Anubis” Nusselder, un’alleanza Olanda/Svezia/Regno Unito che porta alla guerra musicale con i generali in comando Dave Ingram (Down Among the Dead Men, Echelon, Just Before Dawn, ex Bolt Thrower, Hail Of Bullets e Benediction) e Jonny Pettersson (Ashcloud, Gods Forsaken, Henry Kane, Human Harvest, Just Before Dawn, Pale King, ma la lista sarebbe ancora più lunga).

Ingram ovviamente dà la carica dietro al microfono ed il polistrumentista svedese ci fa sanguinare i timpani suonando come il giorno dell’esplosione della Terra, fanno del debutto degli Ursinne un’imperdibile opera old school per i deathsters che hanno ancora nelle orecchie le opere dei Bolt Thrower come quelle dei primi Entombed; infatti questa pericolosissima alleanza porta inevitabilmente il sound verso la coesione tra il death metal belligerante dello storico gruppo britannico e quello tradizionale, suonato nel nord Europa.
Così nasce Swimming With The Leviathan, sviluppandosi su dodici brani, incluse quattro cover pescate in giro per il circuito rock mondiale (The Osmonds, The Vapors, Queen Of The Stone Age, Siouxie And The Banshees): una tempesta di ritmiche e riff che vanno ad abbracciare le due correnti storiche del death con una più marcata predisposizione per la battaglia musicale insita nel sound del gruppo britannico, mentre il rifferama di stampo swedish death è comunque presente.
Ne è il più fulgide esempio il potentissimo mid tempo di cui è composta Bullet Bitten, apice compositivo di questo mostruoso lavoro, a cui se si vuole trovare un difetto lo si può riscontrare nel numero di cover, comunque all’altezza della situazione.
Ingram è il solito soldato/orco, temibile mercenario al servizio della guerra, Pettersson sa il fatto suo e la drum-machine fa il suo sporco lavoro anche se un più caldo e umano drumming avrebbe sicuramente giovato all’intera opera.
Niente di più, niente di meno, Swimming With The Leviathan farà la gioia dei deathsters orfani dei Bolt Thrower e vogliosi di ascoltare l’ordine di attaccare potente e belluino del generale Ingram.

Tracklist
01. Devil May Care
02. I, Serpentine
03. Bullet Bitten
04. The Chimes of Midnight
05. Crazy Horses (The Osmonds cover)
06. Talons
07. Underworld
08. Turning Japanese (The Vapors cover)
09. Hollow Hearse
10. Something Wicked This Way Comes
11. Monsters in the Parasol (Queens of the Stone Age cover)
12. Spellbound (Siouxsie and the Banshees cover)

Line-up
Dave Ingram – Vocals
Jonny Pettersson – All instruments
Sonia Nusselder – Bass

URSINNE – Facebook

Gates Of Ishtar – A Bloodred Path

Ottima iniziativa della Century Media che ristampa con un nuovo artwork i tre full length degli svedesi Gates Of Ishtar, tra cui A Bloodred Path, debutto della band licenziato nel 1996.

Era il lontano 1992 quando i Gates Of Ishtar si unirono alle truppe scandinave per conquistare il mondo a colpi di death metal melodico con tre full lenght dal 1996 al 1998 e la popolarità acquisita tra gli amanti del genere, grazie ad un sound che ripercorreva le strade di Dissection e compagnia, quindi la frangia più black del melodic death metal scandinavo.

La band svedese ci riprova oggi, con l’aiuto della Century Media che dà una nuova vita a queste opere estreme di valore assoluto, ad iniziare dal primo bellissimo A Bloodred Path.
Nuovi artwork, una rimasterizzazione che valorizza il lavoro del gruppo e purtroppo una brutta notizia dovuta alla morte del batterista Oskar Karlsson lo scorso anno, sono le novità che porta con sé la band svedese, uno dei più fulgidi esempi di quanta ottima musica metal veniva creata tra le pianure innevate della Scandinavia negli anni novanta.
A Bloodred Path si avvicina senza indugi al sound dei Dissection, senza raggiungere i picchi della band che fu di Jon Nodtveidt, ma lasciando fluire con ottimi risultati tempestose parti black, veloci e furiose come il vento che spazza le bianche distese ghiacciate, assieme a più tecnici momenti death, nei quali la band dimostra un’ottima preparazione e soprattutto un talento naturale per il genere.
Un debutto sorprendente che all’epoca fece felice i più attenti fans del genere, sommersi da decine di uscite che seguivano la strada tracciata dai gruppi più importanti, ora tornato a risplendere sotto una nuova veste consentendo all’ascoltatore di apprezzare ottimi brani come The Silence, Tears e la title track.
La band tornerà ad infuocare i palchi e probabilmente a dare un seguito ai tre passati lavori e, se siete giovani ed avete a cuore la storia del melodic death metal, questa operazione è il modo migliore per fare la conoscenza di un gruppo che non ha niente da invidiare a quelli più famosi.

Tracklist
1.Inanna
2.Where the Winds of Darkness Blow
3.The Silence
4.Tears
5.The Dreaming Glade
6.When Daylight’s Gone
7.Into Seasons of Frost
8.A Bloodred Path
9.I Wanna Be Somebody (W.A.S.P. cover)

Line-up
Mikael Sandorf – Vocals
Andreas Johansson – Guitar
Tomas Jutenfäldt – Guitar
Niclas Svensson – Bass
Oscar Karlsson – Drums

https://www.facebook.com/gatesofishtarofficial

Inverted Serenity – As Spectres Wither

As Spectres Wither è un album che riconcilia con il metal estremo dalle ambiziose parti tecnico progressive e gli Inverted Serenity escono rinforzati nella loro già buona reputazione che li accomuna agli storici Death, leggermente più brutali ed al passo con gli anni che scorrono inesorabili, anche per il metal estremo.

Negli ultimi tempi gli album arrivati in redazione che riguardano la frangia più tecnica del death metal non mi hanno convinto più di tanto: tutti lavori ineccepibili sotto l’aspetto prettamente tecnico, ma che mancano di quel tocco compositivo in grado di passare da un’accozzaglia di funamboliche e cervellotiche articolazioni a musica estrema sostenuta da grande tecnica e contemporaneamente in grado di stringere l’ascoltatore in una morsa emotiva che non lo faccia stancare.

Se poi si parla di death metal, oscuro e brutale, l’anima progressiva deve per forza fare in modo che il songwriting mantenga una sufficiente forma canzone per essere apprezzato, ed è quello che succede con il terzo album dei deathsters canadesi Inverted Serenity.
Il quartetto torna sul mercato con As Spectres Wither, nove brani devastanti di death metal old school ma dall’anima progressiva, tecnicamente suonato al meglio e con un songwriting che mantiene quella forma canzone (come già scritto) non così scontata di questi tempi.
La musica dei nostri non esce troppo dai binari di un death metal furioso e dall’approccio tradizionale, ma si fa bello di un lavoro chitarristico sopra la media senza perdere un grammo in impatto.
Dead Dialectics dà fuoco alle polveri e quando il banco salta sono dolori, con la band che gira a mille, la velocità che incalza, gli stop & go che sono forieri di parti progressive e l’atmosfera da tregenda che viene nobilitata da spartiti ardenti sotto le note di Cornerstones e Grave.
Lunar Cradle conclude un album che riconcilia con il metal estremo dalle ambiziose parti tecnico-progressive, e gli Inverted Serenity escono rinforzati nella loro già buona reputazione che li accomuna agli storici Death, dei quali appaiono leggermente più brutali oltre che al passo con gli anni che scorrono inesorabili, anche per il metal estremo.

Tracklist
1. Dead Dialectics
2. Mitral Genesis
3. We Who Wander
4. Cornerstones
5. Paragon
6. Mechanical Gods
7. Grave
8. Lunar Cradle
9. Mountains of Stoke (Hidden Track)

Line-up
Benjamin Deveau – Drums
Drew Peacock – Guitars, Vocals
Marc-André Simard – Guitars, Vocals
Tomas Ingham – Bass, Vocals

INVERTED SERENITY – Facebook

Misto – Helios

La giusta durata che non lascia spazio alla prolissità è un valore aggiunto alla fruibilità dell’opera, così che Helios si possa apprezzare nella sua interezza, mentre le onde si placano ed il nostro mare torna placido sulle ultime note di Time To Destroy My Life Capsule.

La musica di Misto è come il mare su cui si affaccia la sua città, Genova.

Da calma e tranquilla si increspa irrequieta o diventa impetuosa come le lunghe onde quando i venti soffiano forti , per poi tornare a dormire e, sonnecchiando, cullare la mente e il fisico di noi che da essa ci nutriamo, avidi di note.
Misto è il progetto solista del polistrumentista Mirko Viscuso, al secondo lavoro dopo l’ep Infinite Mirrors, licenziato lo scorso anno.
Parliamo di post rock strumentale, dall’anima progressiva e a tratti introspettivo, poetico ed incline ad un leggero mood psichedelico che lo rende misterioso, liquido e molto affascinante, proprio come il mare e come tale soggetto a repentini cambi di umore, in un vortice di tempi che non danno una precisa identità al sound, ma variano e si alternano, tra rock ed elettronica con  le burrasche elettriche che  agitano lo spartito avvicinandosi al post metal (Set Your Farearms Against The Sun).
Ma come per il mare, passata la tempesta si torna in armonia prima che attimi di musica dalle reminiscenze pinkfloydiane valorizzino la bellissima title track.
Helios è un lavoro strumentale che, come ci hanno abituato le giovani generazioni di musicisti, lascia da parte ogni forma di autocompiacimento tecnico a favore di un approccio emotivo altissimo: la giusta durata che non lascia spazio alla prolissità è un valore aggiunto alla fruibilità dell’opera, così che Helios si possa apprezzare nella sua interezza, mentre le onde si placano ed il nostro mare torna placido sulle ultime note di Time To Destroy My Life Capsule.

Tracklist
1.Buried Under Remote Lands
2.Polemic Guy Wants To Fight
3.Daffodils Crashing Into The Water
4.Set Your Firearms Against The Sun
5.Helios
6.Time To Destroy My Life Capsule

Line-up
Mirko Viscuso – All instruments

MISTO – Facebook

Damnation Defaced – Invader From Beyond

Sviluppato su una quarantina di minuti, il terzo lavoro dei Damnation Defaced scorre che è un piacere, mai troppo diretto e veloce, ma potente nei suoi tanti mid tempo dal buon groove ritmico e dagli ottimi ricami tastieristici, valorizzati dal lavoro in sala del guru svedese Dan Swanö.

I tedeschi Damnation Defaced pubblicano un album death metal molto ispirato, il terzo sulla lunga distanza  intitolato Invader From Beyond, che alterna e amalgama la tradizione old school con il filone melodico e progressivo.

La presenza in studio di registrazione di uno come Dan Swanö è garanzia di qualità, e grazie alle cure del produttore e musicista svedese anche il nuovo lavoro del gruppo tedesco trova un equilibrio melodico di spessore, incastonato tra death metal brutale e parti progressive, con l’uso di synth e tasti d’avorio, se non in abbondanza, almeno presenti il giusto per donare un tocco di eleganza all’estremo attacco dall’aldilà.
Invader From Beyond gioca le sue carte così, senza mai affondare il colpo né dal lato melodico né da quello estremo, riuscendo a mantenere un continuo bilanciamento tra il death alla Bolt Thrower e quello melodico scandinavo, con un mood epico e prog che. senza andare a parare nelle realtà a firma Swanö, ci regala ottima musica estrema melodica.
Sviluppato su una quarantina di minuti l’album scorre che è un piacere, mai troppo diretto e veloce, ma potente nei suoi tanti mid tempo dal buon groove ritmico e dagli ottimi ricami tastieristici che fanno da tappeto e struttura a bombe come Goddess Of Machines, The Observers, la diretta Back From Apathy e la progressiva Embraced By Infinity.
Invader From Beyond è una buona prova che vive anche del buon impatto di un gruppo al suo terzo lavoro, di solito quello della verità, e i Damnation Defaced le loro carte se le sono giocate al meglio.

Tracklist
01. NIOM: 004D004F0049004E
02. Goddess Of Machines
03. Invader From Beyond
04. Mark Of Cain
05. The Observer
06. The Key To Your Voice
07. Rendezvous With Destiny
08. All Comes To Its End
09. Back From Apathy
10. The Creator’s Fall
11. Embraced By Infinity

Line-up
Philipp Bischoff – Vocals
Lutz Gudehus – Guitar
Lutz Neeman – Guitar
Lucas Katzmann – Drums
Kim-Patrick Friedrichs – Bass

DAMNATION DEFACED – Facebook

Mercyless – Coloured Funeral

L’album è un fulgido esempio di cosa si suonava in materia estrema nei primi anni novanta, un death metal oscuro, intriso di un’anima doom, vario nel saper alternare mid tempo e ripartenze, profondo come un nero abisso di morte e nobilitato da un tocco progressivo che dimostrava quanto di buono a livello tecnico avessero da offrire band come i Mercyless.

La debordante death metal band francese chiamata Mercyless è tornata da qualche anno a devastare palchi e padiglioni auricolari, prima con Unholy Black Splendor, uscito nel 2011 dopo tredici anni di silenzio (l’ultimo album di inediti licenziato risaliva infatti al 2000 e si intitolava Sure To Be Pure) e lo scorso anno con l’ottimo Pathetic Divinity.

Il 2017  ha visto la band impegnata in vari progetti minori ed ora arriva questa notevole iniziativa da parte della Xenokorp, ristampa il capolavoro del gruppo, quel Coloured Funeral uscito originariamente nel lontano 1993 e che risulta il cuore compositivo dei Mercyless, all’epoca sul mercato con quattro lavori in otto anni, dal 1992 anno di uscita del primo Abject Offerings, fino al 2000 ed alla pubblicazione Sure To Be Pure.
In mezzo il gruppo transalpino sparò due atomiche di death metal che oggi chiamiamo old school ma a quei tempi era il sound che regnava sul mercato estremo, scalfito dalla furia black metal che dalla Scandinavia scendeva verso l’Europa meridionale a colpi di chiese bruciate, omicidi e suicidi più o meno famosi.
Coloured Funeral e C.O.L.D (1996) sono sicuramente il meglio della produzione del gruppo, qui davvero sopra le righe con un lavoro che nulla aveva da invidiare ai gruppi storici e ai relativi lavori che hanno fatto scuola.
Prodotto da Colin Richardson, all’epoca guru del death metal mondiale, l’album è un fulgido esempio di cosa si suonava in materia estrema nei primi anni novanta, un death metal oscuro, intriso di un’anima doom, vario nel saper alternare mid tempo e ripartenze, profondo come un nero abisso di morte e nobilitato da un tocco progressivo che dimostrava quanto di buono a livello tecnico avessero da offrire band come i Mercyless.
Mirrors Of Melancholy, la tellurica Forgotten Fragments e Serenades (Into Your Limbs) sono brani di una bellezza estrema sconvolgente, con la band che non sfigurava di certo al cospetto di colleghi illustri come Asphyx, Morbid Angel ed Immolation, esibendo una sua precisa identità che lo rende ancor oggi un gruppo di primo piano anche se meno conosciuto rispetto a molti nomi contemporanei.
Se vi siete persi Coloured Funeral ai tempi avete la possibilità di rimediare, mentre se siete giovani e volete conoscere la storia del genere l’album è sicuramente un acquisto consigliato.

Tracklist
1. Spiral of Flowers
2. Mirrors of Melancholy
3. Travel Through a Strange Emotion
4. Forgotten Fragments
5. Contemplations
6. Agrazabeth
7. Serenades… (into Your Limbs)
8. Naked Forms
9. Beyond God

Line-up
Stéphane Viard – Guitars (lead)
Max Otero – Vocals, Guitars
Gerald Guenzi – Drums
Rade Radojcic – Bass

MERCYLESS – Facebook

Incarnal – Mortuary Cult

Un buon esempio di come la tradizione scandinava possa andare tranquillamente a braccetto con quella americana e fare male, tra Entombed e Morbid Angel, qualche accenno melodico e tanta oscura attitudine.

Death metal vecchia scuola, feroce e senza compromessi, per restare una buona mezzora immersi nelle atmosfere putride ed estreme degli Incarnal e del loro nuovo album, Mortuary Cult.

Nata nel 2010, la band polacca debutta due anni dopo con il primo full length, Where Evil Has Its Beginning, seguito da un ep e dal secondo lavoro licenziato nel 2014 ed intitolato Hexenhammer.
Tre anni dopo i cinque deathsters riaffiorano dagli inferi con Mortuary Cult, un concentrato di death metal oscuro ed abissale, epico a tratti e profondo come la gola di un mostro dimenticato nell’abisso più oscuro dove nascono questi otto inni al death metal: un buon esempio di come la tradizione scandinava possa andare tranquillamente a braccetto con quella americana e fare male, tra Entombed e Morbid Angel, qualche accenno melodico e tanta oscura attitudine.
A brani più ordinari ne spiccano altri davvero interessanti, in un vortice di fetida aria putrefatta che sale verso il suolo: il gruppo alterna così tracce violente e devastanti a mid tempo potenti ed evocativi come la bellissima Wolves Of The God, introdotta da canti gregoriani e tenuta a freno da un affascinante giro di tastiere.
Under The Sign Of Fire segue la strada della traccia precedente, aumenta quel tanto che basta la velocità e forma il cuore nero di questo lavoro, che fa degli Incarnal un gruppo da seguire nel folto panorama estremo.
Ovviamente non mancano i momenti in cui il blackened death metal di tradizione del loro paese compare come un demone in uno specchio, ma il sound di Mortuary Cult rimane legato al death metal old school.

Tracklist
1.Behold the King of Mortuary Cult
2.Night on Bald Mountain
3.In Blood I Bathe
4.Wolves of the God
5.Under the Sign of Fire
6.Cold as the Dead Man’s Skin
7.In Death We Trust
8.Bestial Rising Tide

Line-up
Karol “North” Łapczyński – vocals
Krzysztof Kiecana – guitars
Alek Szymański – guitars
Mikołaj “Total” Kujda – drums
Mateusz “Raven” Szymanek – bassR

INCARNAL – Facebook

Genus Ordinis Dei – Great Olden Dynasty

Il death metal viene glorificato dai Genus Ordinis Dei, che ne accentuano l’epicità e la magniloquenza con sfavillanti orchestrazioni, atmosfere oscure rese drammatiche dai tasti d’avorio che ci fanno sentire circondati dalla musica.

La premessa doverosa sulla qualità altissima dei prodotti che escono dal nostro paese è diventata una prassi da ormai qualche anno, rischiando persino che le lodi alla scena rock/metal italiana diventino un qualcosa di scritto e ripetuto all’infinito.

D’altronde davanti a opere come Great Olden Dynasty, secondo lavoro dei Genus Ordinis Dei, non si può che supportare con ancora più convinzione le band di casa nostra, ormai perfettamente in grado di tenere botta ai colleghi stranieri.
La band di Crema, fondata nel 2009 e con un bellissimo esordio alle spalle datato 2013 (The Middle), torna dopo tre anni dall’ep omonimo con questo bellissimo esempio di death metal feroce, epico e maestoso.
Prodotto da Simone Mularoni ai Domination Studio, con Cristina Scabbia dei Lacuna Coil presente come ospite sulla conclusiva Salem, il nuovo lavoro dei Genus Ordinis Dei è un bellissimo esempio di metal estremo che, accompagnato dalle orchestrazioni sempre presenti e non solo usate come intro o outro ai brani, travolge l’ascoltatore con un suono violento e pomposo, vario e dal taglio progressivo nelle ritmiche, diretto e dall’impatto di un carro armato sinfonico.
Nick K, singer dotato di un growl da brividi, prende per mano il sound, valorizzato dalle splendide orchestrazioni create da Tommy Mastermind e dal lavoro ritmico di Steven F.Olda (basso) e Richard Meiz (batteria) e l’album deflagra fin dall’opener The Unleashed per non scendere più sotto il livello d’eccellenza.
Il death metal viene glorificato dai Genus Ordinis Dei, che ne accentuano l’epicità e la magniloquenza con sfavillanti orchestrazioni, atmosfere oscure rese drammatiche dai tasti d’avorio che ci fanno sentire circondati dalla musica.
Dall’ascolto escono prepotentemente la straordinaria bellezza di Morten, brano in crescendo che, da una partenza atmosferica da ballata metal, si trasforma in una portentosa traccia progressiva, e le mille varianti ritmiche ed atmosferiche della conclusiva Greyhouse, traccia che torna al sound caratterizzante l’album dopo la parentesi Salem, canzone più in linea con il death metal dal piglio melodico valorizzato dalla voce di Cristina e da un ottimo chorus.
Great Olden Dynasty è un album intenso ed estremo, che arriva come un fulmine a ciel sereno in questo ultimo scorcio dell’anno, ennesimo colpo di coda di una scena metal nazionale di altissimo livello.

Tracklist
1. The Unleashed
2. You Die In Roma
3. Cold Water
4. The Flemish Obituary
5. Sanctuary Burns
6. Morten
7. ID 13401
8. Halls of Human Delights
9. Salem (featuring Cristina Scabbia)
10.Greyhouse

Line-up
Nick K – vocals & guitars
Tommy Mastermind – guitars & orchestra
Steven F. Olda – bass
Richard Meiz – drums

GENUS ORDINIS DEI – Facebook

Rabid Dogs – Italian Mysteries

Questo senso carnale, un morso sulla vita, è trasmesso molto bene dai Rabid Dogs, che partiti da territori più pesanti hanno sviluppato un discorso musicale tutto loro, pieno di contenuti e di metallica ricchezza.

Gli abruzzesi Rabid Dogs stanno diventando grandi, spingendosi in territori ancora inesplorati sia per loro che per molti degli ascoltatori. Nati nel 2009 ispirandosi al cinema popolare italiano, e al famoso ventre molle dell’Italia, i nostri sono arrivati con Italian Mysteries al quarto disco, e questo lavoro è la loro fatica più convincente.

I Rabid Dogs fanno un genere unico, un misto di stoner, metal, punk e puntate nel grindcore. Ci sono giri di chitarra che danno pugni in faccia, la batteria che picchia incessante, ma si può trovare anche l’armonica, o qualcosa di southern, e anche tanto altro, infatti ci sono anche momenti che esulano dal metal. Italian Mysteries è una discesa dentro il nostro paese, una spirale di merda e diamanti, dove tutto è apparenza, ma anche il suo contrario è falso. Questo senso carnale, un morso sulla vita, è trasmesso molto bene dai Rabid Dogs, che partiti da territori più pesanti hanno sviluppato un discorso musicale tutto loro, pieno di contenuti e di metallica ricchezza. I Rabid Dogs sono un gruppo che appartiene a quella schiera di band e musicisti come i Southern Drinkstruction, che affrontano il metal con passione ed ironia. Il disco è un concentrato di tante cose, ma soprattutto di durezza e bravura nel rendere certe situazioni che a noi italiani sembrano scontate solo perché le viviamo tutte i giorni, ma che in realtà sono tragicomiche. Rimane nel sottobosco del loro suono una forte attitudine punk hardcore, ed è forse questa la loro spinta in più: il risultato è buono e finalmente divertente, cosa che per un disco di questi tempi non è affatto facile o scontata.

Tracklist
1. Blu Notte
2. King Midas
3. John Philip Forsythe
4. Straight To Jail!
5. Total Clan War
6. The Black Mind
7. The Lodge
8. Alfa 146
9. Milk Of Mother-In-Law
10. What If You’re Right And They’re Wrong
11. Flower Of Bad

Line-up
Doc – Guitar & Vocals;
Blade – Bass & Vocals;
32 – Drums & Vocals

RABID DOGS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=SVZagHlr6BU

Arkhon Infaustus – Passing The Nekromanteion

Death metal e black si uniscono per portare morte e distruzione, con un sound assolutamente estremo e senza compromessi: d’altronde le ispirazioni degli Arkhon Infaustus sono satanismo, perversione, oscenità e droghe, mentre il monumento al male che costruiscono avanza tra le macerie create da questi quattro terribili brani.

Tornano dopo dieci anni esatti dall’ultimo full length gli Arkhon Infaustus, band storica della scena estrema transalpina, con questo ep di quattro tracce dal titolo Passing The Nekromanteion.

Si ripresentano oggi come duo, composto da Deviant (voci, basso e chitarra) e Skvm (batteria), schiacciando gli ascoltatori con  la mole di questa cattedrale estrema ottimamente raffigurata in copertina, un’arma apocalittica che prende forza direttamente dall’inferno e distrugge senza pietà.
Death metal e black si uniscono per portare morte e distruzione, con un sound assolutamente estremo e senza compromessi: d’altronde le ispirazioni degli Arkhon Infaustus sono satanismo, perversione, oscenità e droghe, mentre il monumento al male che costruiscono avanza tra le macerie create da questi quattro terribili brani.
Il sound non è mai velocissimo e a tratti si fa marziale, ma in queste lunghe tracce è il caos a regnare, portato dalla terribile e drastica missione di morte ordita dalle truppe demoniache comandate dagli Arkhon Infaustus, in una guerra totale che Amphessatamine Nexion e, soprattutto, la conclusiva e malata Corruped Epignosis raccontano al meglio.
Un buon ritorno questo ep, che al giorno d’oggi si può certamente considerare come un full length, e che segna il ritorno di una band scomoda, consigliata con cautela agli amanti delle dissonanze black death.

Tracklist
1.Amphessatamine Nexion
2.The Precipice Where Souls Slither
3.Yesh Le-El Yadi
4.Corrupted Épignosis

Line-up
Deviant – All vocals, guitars and bass
Skvm – Drums

ARKHON INFAUSTUS – Facebook