VV.AA. – Transcending Obscurity Label Sampler 2016

Cliccando il link che troverete in calce all’articolo, avrete la ghiotta opportunità di fare un bel giro metallico del globo, gentilmente offerto da Kunal Choksi e dalla sua Transcending Obscurity.

La Transcending Obscurity è un’etichetta alla quale noi di MetalEyes siamo particolarmente affezionati: intanto perché, quando abbiamo iniziato ad occuparci di metal qualche anno fa, ancora all’interno di In Your Eyes, la label indiana è stata una delle prime a darci credito senza farsi troppe domande su chi fossimo o quanti contatti facessimo, e poi, soprattutto, perché colui che ne regge fila, Kunal Choksi, è uno di quei personaggi che dovrebbero essere clonati per tutto quello che ha fatto e sta facendo per la diffusione del verbo metallico in Asia.

Dopo questo doveroso panerigico nei confronti del dinamico discografico di Mumbai, non resta che invitare ogni appassionato di metal che si rispetti a fare propria questa esaustiva compilation contenente un brano di ciascuna delle band appartenenti alla scuderia delle Transcending Obscurity, tanto più che il tutto è scaricabile gratuitamente dal bandcamp.
Lì troviamo cinquantacinque tracce che offrono contributi provenienti da nomi già noti ed altri ancora da scoprire, abbracciando tutti i generi estremi, a partire soprattutto dal death metal, spesso rappresentato nella sua versione old schol, passando per il black ed il doom, con qualche sconfinamento nel thrash, nello stoner/sludge e nel più tradizionale heavy metal.
Molti di questi brani fanno parte di album che abbiamo avuto il piacere di recensire, quasi tutti accompagnati da valutazioni lusinghiere, segno di un roster dal livello medio molto elevato, benché composto per lo più da realtà dalla notorietà confinata all’underground.
Quasi superfluo segnalare uno o l’altro brano, si può solo aggiungere che per chi ama il death c’è da sbizzarrirsi, tra i Paganizer dell’onnipresente Rogga Johnasson, i Sepulchral Curse e gli storici Warlord UK, per i death/doomsters le icone Officium Triste e Mythological Cold Towers e i più recenti Chalice of Suffering e Illimitable Dolor, mentre per chi predilige sonorità più distorte e stonate ci sono gli Altar Of Betelgeuze, gli Algoma e i The Whorehouse Massacre e per i blacksters realtà stimolanti come i Norse, i Seedna ed i Somnium Nox, tutto questo senza voler fare alcun torto a chi non è stato citato.
Infine, questa compilation offre la possibilità anche ai più scettici di farsi un’idea di quale sia il livello raggiunto dalle band asiatiche, autrici spesso di opere di livello pari, se non superiori, a quelle dei corrispettivi europei od americani: cito tra queste i “vedic metallers” Rudra, i Grossty, i Dormant Inferno ed i Darkrypt (da notare che la sezione asiatica è facilmente individuabile essendo stata racchiusa negli ultimi quindici brani).
Quindi, cliccando il link che troverete in calce all’articolo, avrete la ghiotta opportunità di fare un bel giro metallico del globo, gentilmente offerto da Kunal Choksi e dalla sua Transcending Obscurity.

Tracklist:
1. Officium Triste (Netherlands) – Your Heaven, My Underworld (Death/Doom Metal)
2. Mythological Cold Towers (Brazil) – Vetustus (Death/Doom Metal)
3. Paganizer (Sweden) – Adjacent to Purgatory (Old School Death Metal)
4. Ursinne (International) – Talons (Old School Death Metal)
5. Echelon (International) – Lex Talionis (Classic Death Metal)
6. Henry Kane (Sweden) – Skuld Och Begar (Death Metal/Crust)
7. Stench Price (International) – Living Fumes ft. Dan Lilker (Experimental Grindcore)
8. Sepulchral Curse (Finland) – Envisioned In Scars (Blackened Death Metal)
9. Fetid Zombie (US) – Devour the Virtuous (Old School Death Metal)
10. Infinitum Obscure (Mexico) – Towards the Eternal Dark (Dark Death Metal)
11. Altar of Betelgeuze (Finland) – Among the Ruins (Stoner Death Metal)
12. Illimitable Dolor (Australia) – Comet Dies or Shines (Atmospheric Doom/Death)
13. The Furor (Australia) – Cavalries of the Occult (Black/Death Metal)
14. Warlord UK (United Kingdom) – Maximum Carnage (Old School Death Metal)
15. Norse (Australia) – Drowned By Hope (Dissonant Black Metal)
16. Soothsayer (Ireland) – Of Locust and Moths (Atmospheric Doom/Sludge)
17. Swampcult (Netherlands) – Chapter I: The Village (Lovecraftian Black/Doom Metal)
18. Seedna (Sweden) – Wander (Atmospheric Black Metal)
19. The Slow Death (Australia) – Adrift (Atmospheric Doom Metal)
20. Arkheth (Australia) – Your Swamp My Wretched Queen (Experimental Black Metal)
21. Mindkult (US) – Howling Witch (Doom/Stoner Metal)
22. Warcrab (UK) – Destroyer of Worlds (Death Metal/Sludge)
23. Isgherurd Morth (International) – Lucir Stormalah (Avant-garde Black Metal)
24. Lurk (Finland) – Ostrakismos (Atmospheric Doom/Sludge Metal)
25. Come Back From The Dead (Spain) – Better Morbid Than Slaves (Old School Death Metal)
26. Somnium Nox (Australia) – Apocrypha (Atmospheric Black Metal)
27. MRTVI (UK) – This Shell Is A Mess (Experimental Black Metal)
28. Veilburner (US) – Necroquantum Plague Asylum (Experimental Black/Death Metal)
29. Jupiterian (Brazil) – Permanent Grey (Doom/Sludge Metal)
30. Exordium Mors (New Zealand) – As Vultures Descend (Black/Thrash Metal)
31. Embalmed (US) – Brutal Delivery of Vengeance (Brutal Death Metal)
32. Gloom (Spain) – Erik Zann (Blackened Brutal Death Metal)
33. Marasmus (US) – Conjuring Enormity (Death Metal)
34. Algoma (Canada) – Reclaimed By The Forest (Sludge/Doom Metal)
35. Cemetery Winds (Finland) – Realm of the Open Tombs (Blackened Death Metal)
36. Marginal (Belgium) – Sign of the Times (Crust/Grind)
37. Chalice of Suffering (US) – Who Will Cry (Death/Doom Metal)
38. Briargh (Spain) – Sword of Woe (Pagan Black Metal)
39. Ashen Horde (US) – Desecration of the Sanctuary (Progressive Black Metal)
40. The Whorehouse Massacre (Canada) – Intergalactic Hell (Atmospheric Sludge)
41. Rudra (Singapore) – Ancient Fourth (Vedic Metal)
42. Dusk (Pakistan) – For Majestic Nights (Death/Doom Metal)
43. Ilemauzar (Singapore) – The Dissolute Assumption (Black/Death Metal)
44. Severe Dementia (Bangladesh) – The Tormentor (Old School Death Metal)
45. Warhound (Bangladesh) – Flesh Decay (Old School Death Metal)
46. Assault (Singapore) – Ghettos (Death/Thrash Metal)
47. Gutslit (India) – Scaphism (Brutal Death/Grind)
48. Plague Throat (India) – Inherited Failure (Death Metal)
49. Darkrypt (India) – Dark Crypt (Dark Death Metal)
50. Against Evil (India) – Stand Up and Fight! (Heavy Metal)
51. Grossty (India) – Gounder Grind (Grindcore/Crust)
52. Dormant Inferno (India) – Embers of You (Death/Doom Metal)
53. Carnage Inc. (India) – Defiled (Thrash Metal)
54. Lucidreams (India) – Ballox (Heavy Metal)
55. Nightgrave (India) – Augment (Experimental Black Metal/Shoegaze)

TRANSCENDING OBSCURITY – Facebook

The Press Gang – Medusa 5

Un altro delizioso e trascinante viaggio tra le note di un passato che continua imperterrito a vivere nelle note di gruppi come i The Press Gang.

Dieci anni all’insegna dell’hard & heavy ottantiano, un buon esempio di heavy metal che a braccetto con il punk rock attraversa decenni di musica dura con il suo affascinante concept fantascientifico in bella mostra.

I The Press Gang sono un gruppo canadese che quest’anno festeggia il decimo anno di attività con un nuovo album, Medusa 5, dalla bellissima copertina epico/fantascientifica in bella mostra e una valanga di note metal/rock al suo interno.
Nato appunto dieci anni fa, il gruppo di Calgary arriva così al suo quinto lavoro in studio di una discografia iniziata nel 2009 con il debutto omonimo e che lo scorso anno vedeva pubblicato l’ottimo Optimal Running Speed.
Medusa 5 continua imperterrito la tradizione del quartetto di Calgary, così che quando partiranno le prime note di Dagger For The Eye verrete travolti da una tempesta di hard & heavy vintage, ottantiano nell’anima metallica ma seventies nello spirito punk rock che anima i brani all’interno del cd.
Palla lunga e pedalare, intendiamoci, ma i The Press Gang sono divertentissimi e pure con il loro nuovo album vi assaliranno con il loro irresistibile sound pregno di quei cliché che sono il pane ed il vino di ogni rocker, almeno quelli dalla quarantina in su.
Nei solchi di queste dieci tracce ogni passaggio lascia nei padiglioni auricolari echi motorheadiani, maideniani e poi d’ incanto, una ritmica ci trasporta nel bel mezzo della Londra punk del 1978, o nei primi vagiti del metal estremo targato Voivod.
In tutta questa alternanza tra generi e miti di noi ormai attempati metallari, le canzoni funzionano benissimo e Colin McCulloch e soci ci regalano un altro delizioso e trascinante viaggio, tra le note di un passato che continua imperterrito a vivere nelle note di gruppi come i The Press Gang.

TRACKLIST
1.Dagger For The Eye
2.Churning The Rust
3.Bumblebee
4.Rise
5.Blister & Boil
6.Bone & Gravel
7.Die Inquisitor Die
8.Brontosaurus
9.Kill The Bastards
10.Ship & Sail

LINE-UP
Colin McCulloch – Lead Vox, Rhythm Guitar
Chad Laing – Lead Guitar
Lindsay Arnold – Bass Guitar
Derek Lindzon – Drums

THE PRESS GANG – Facebook

Black Motel Six – Everything On Its Place

I Black Motel Six sono potenti, non abdicano di fronte alla necessità di essere melodici e sono orecchiabili e radiofonici, ovviamente non le radio che si sentono normalmente, pur non rinunciando ad avere una grande carica metal.

Suona tutto molto bene nell’esordio dei Black Motel Six, gruppo romano di groove metal, o meglio, di metal moderno.

Il loro suono arriva da molti generi, da ascolti come gli Stone Sour, o da schegge di metalcore e di death melodico, ma la referenza migliore è il groove metal. Questi ragazzi romani riescono a fondere insieme potenza, melodia e precisione, ed ogni canzone è una bella e piacevole mazzata. I Black Motel Six sono potenti, non abdicano di fronte alla necessità di essere melodici e sono orecchiabili e radiofonici, ovviamente non le radio che si sentono normalmente, pur non rinunciando ad avere una grande carica metal. La produzione supporta al meglio gli sforzi del gruppo, sottolineandone la pressoché perfetta calibrazione. Le canzoni arrivano come un fiume fresco d’estate, passano e lasciano una bella sensazione, e il loro linguaggio musicale è composto da molto più di diecimila parole. Qui non si tratta di novità, ma di una materia modellata bene, con forza di volontà ed anche coraggio, perché non è mai facile fare un’opera metallica ed al contempo melodica, ma questi romani grazie anche alla loro indubbia bravura tecnica ci riescono molto bene. Addirittura in certi passaggi la doppia cassa e la chitarra sono apertamente southern metal, eppure le ottime melodie sono tangibili. Sicuramente si ripropone una vessata quaestio, dicendo che un disco simile certe affermate realtà straniere se lo sognano di notte, eppure è così, però anche grazie a gruppi come i Black Motel Six dovremmo smettere di considerarci i figli minori del dio del metal: dischi così sono ottimi a prescindere, godiamoceli.

TRACKLIST
1.ON MY WOUNDS
2.SCREAM
3.HANDFUL OF DUST
4.F.Y.S.O.B. 03:54
5.LANDSLIDE PT.1
6.LANDSLIDE PT.2
7.THROUGH A NEW PHASE
8.EVERYTHING IN ITS PLACE
9.GN’R
10.SHAME ON YOU

LINE-UP
Steph – Vocals
Marco – Lead Guitars
Emanuele – Bass
Alessio – Drums

BLACK MOTEL SIX – Facebook

Coffin Surfer – Rot A’ Rolla

Undici minuti bastano per convincerci d’essere al cospetto di una band originale ed irresistibile, assolutamente fuori dal comune e per questo ancora più sorprendente.

Rot A’ Rolla, ovvero quando undici minuti bastano per convincerci di essere al cospetto di una cult band, originale ed irresistibile, assolutamente fuori dal comune e per questo ancora più sorprendente.

I bolognesi Coffin Surfer, un quartetto di pazzi grindsters con la passione per il rock’n’roll, hanno un solo demo alle spalle, uscito tre anni fa e tornano sul mercato underground con questo ep di cinque brani che riescono nell’intento da sempre perseguito dalla band : far ballare e scapocciare zombie e pin up a colpi di rock’n’roll, death, grind e surf.
La voce campionata di Phil Anselmo ci introduce nel mondo di Rot A’ Rolla e Nutria esplode tra ritmiche surf e grind/death: i grugniti classici del grind si confondono tra pesantissimo groove e devastanti ripartenze estreme e, come un orologio, il gruppo risulta preciso e perfetto, con Headless Chicks Rodeo se possibile ancora più devastante e violenta.
Saint Fetus è death metal feroce e sguaiato, mentre i venti secondi di Escape From India ci introducono alla conclusiva Deathroll, dove Motorhead, Napalm Death ed Elvis Presley vengono evocati all’unisono per sconvolgere le normali dinamiche del metal rock mondiale.
Grande band quella formata da questi ragazzi bolognesi, che sanno soprattutto suonare e lo dimostrano pur mantenendo un approccio alla propria musica violento e scanzonato in uguale misura. Resta solo da ascoltare per credere.

TRACKLIST
1.Nutria
2.Headless Chicks Rodeo
3.Saint Fetus
4.Escape From India
5.Deathroll

LINE-UP
Pica – Vocals
Balbo – Drums
Vale – Guitars
Raffa – Bass

COFFIN SURFER – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

NORÐ – Alpha

Alpha è da annoverare tra le nuove proposte di metal moderno, tramite il quale il gruppo cerca di rendere il sound più adulto possibile, a tratti riuscendoci grazie a passaggi introspettivi e drammatici, mentre non sempre convince nei momenti estremi, troppo vicini alle soluzioni di stampo core.

Debutto in formato ep per il quintetto danese dei NORÐ sotto l’ ala della Inverse Records.

La band ,nata nel 2013, arriva con Alpha all’esordio discografico portando all’attenzione degli appassionati il suo sound che vive di diverse sfumature prese dal variegato mondo del metal.
Metallo progressivo, come sostiene l’etichetta, o un buon mix di diverse atmosfere e generi?
A mio parere l’elemento progressivo si ferma a qualche cambio di ritmo, mentre dall’ascolto di questi quattro brani si evince un buon mix di generi che vanno dal metalcore a quello classico, un uso parsimonioso ma centrato di melodie malinconiche e l’ormai abusata soluzione della doppia voce, in scream e pulita.
Alpha è da annoverare, dunque, tra le nuove proposte di metal moderno, tramite il quale il gruppo cerca di rendere il sound più adulto possibile, a tratti riuscendoci grazie a passaggi introspettivi e drammatici (Restless), mentre non sempre convince nei momenti estremi, troppo vicini alle soluzioni di stampo core.
In generale i brani funzionano, Kill The Marshalls, per esempio, è un’opener dall’ottimo impatto tra metallo estremo e melodie tragicamente moderne, ma per un futuro lavoro sulla lunga distanza ai musicisti danesi serve qualche idea in più per non perdersi nei meandri del già sentito.

TRACKLIST
1. Kill the Marshalls
2. Rosehip Garden
3. Restless
4. Omega

LINE-UP
Bjarne Brogaard Matthiesen – Vocals
Niels Thybæk-Hansen – Guitar
Thomas Bøgh Jensen – Guitar
Peter Littau – Bass
Magnus Elisson – Drums

NORÐ – Facebook

Aborym – Shifting.Negative

Shifting.Negative è quello che, senza alcuna remora, si può definire lo stato dell’arte di un certo modo di rimodellare la materia metal, rendendola moderna e sperimentale senza farla apparire nel contempo plastificata o cervellotica.

Accostare oggi gli Aborym ai Nine Inch Nails, per quanto possa essere accettabile, rischia d’essere riduttivo nei confronti della band di Fabban, anche se immagino che per lui l’essere avvicinato ad uno dei personaggi più influenti della musica contemporanea, come è Trent Reznor, non credo sia affatto sminuente.

Del resto gli Aborym non sono giunti alla forma espressa in questo nuovo Shifting.Negative da un giorno all’altro, bensì attraverso un percorso lungo oltre un ventennio ed in costante progressione, raggiungendo infine un risultato che va anche ben oltre quelli ottenuti in tempi recenti da chi, a torto o ragione, viene considerato il loro più naturale punto di riferimento (assieme ai NIN non è peccato aggiungervi anche i Ministry).
Mi azzardo ad affermare ciò, visto che né Reznor né Jourgensen si sono mai spinti così avanti, in un non luogo dove la forma canzone riesce misteriosamente a sopravvivere, nonostante la sua essenza sia costantemente messa a repentaglio da una sorta di “schizofrenia illuminata”, esasperata da un’instabilità che ben rappresenta gli umori cupi e poco rassicuranti dei quali l’album è pervaso ed esaltata, infine, da una produzione capace di rendere essenziale qualsiasi battito o rumore in sottofondo; la scelta di affidare il lavoro alle mani esperte di professionisti del calibro di Guido Elmi e Marc Urselli lucida al meglio l’ineccepibile prestazione d’assieme di tutti musicisti, tra i quali non si può fare a meno di citare il contributo chitarristico di Davide Tiso , senza per questo dimenticare i fondamentali Dan V, RG Narchost e Stefano Angiulli.
In buona sostanza, più ascolto Shifting.Negative e più mi rendo conto d’essere al cospetto di un’opera in grado di lasciare il segno, collocandosi temporalmente molto più avanti di gran parte della musica oggi in circolazione; non è neppure facile descrivere in maniera esauriente un lavoro di questa natura, con il rischio concreto di scrivere delle solenni fesserie o, peggio ancora, delle banalità, cercherò quindi di esprimere alcune delle impressioni derivanti da molteplici ascolti.
Partirei, quindi, da Precarious, singolo/video che ha anticipato l’uscita del disco e che ne ha rappresentato il mio primo approccio: tanto per far capire quanto la nostra mente sia condizionata da schemi precostituiti, ho trascorso circa sei minuti ad attendere quell’esplosione fragorosa che invece non sarebbe mai arrivata, percependo solo dopo diversi passaggi che quei momenti apparentemente interlocutori altro non erano che il naturale sviluppo di un brano intimo, intenso e disturbante allo stesso tempo, e tutto questo senza fare nemmeno ricorso a particolari artifici.
Già questo era il segno premonitore di un album che avrebbe in qualche modo scombinato i piani di chi si sarebbe aspettato, magari, un altro passo in direzione di quella relativa fruibilità che aveva mostrato a tratti il precedente Dirty: Shifting.Negative non stravolge il marchio di fabbrica degli Aborym, bensì lo consolida rendendolo ancor più peculiare ed imprevedibile, facendo apparire anche il passaggio più ostico quale inevitabile approdo di una creatività artistica segnata dall’inquietudine.
Concludo citando altri momenti chiave quali Unpleasantness, traccia che apre magistralmente l’album risultando probabilmente anche quella più orecchiabile (prendendo con tutte le cautele del caso questo aggettivo applicato alla musica degli Aborym) in virtù di un chorus piuttosto arioso, pure se inserito in un contesto aspro e disturbato da incursioni elettroniche, e l’accoppiata centrale formata da Slipping throught the cracks e You can’t handle the truth, in cui le già citate band icona del genere vengono omaggiate e non saccheggiate.
Shifting.Negative è quello che, senza alcuna remora, si può definire lo stato dell’arte di un certo modo di rimodellare la materia metal, rendendola moderna e sperimentale senza farla apparire nel contempo plastificata o cervellotica: un disco fondamentale per chiunque abbia voglia di osare qualcosa in più, spingendosi oltre schemi prestabiliti ed ascolti rassicuranti.

Tracklist:
1. Unpleasantness
2. Precarious
3. Decadence in a nutshell
4. 10050 cielo drive
5. Slipping throught the cracks
6. You can’t handle the truth
7. For a better past
8. Tragedies for sales
9. Going new places
10. Big h

Line-up:
Fabban: programming, modulars, synth and vocals
Dan V: guitars and bass
Davide Tiso: guitars
Stefano Angiulli: synths and keyboard
RG Narchost: additional guitars

ABORYM – Facebook

Pessimist – Call To War (reissue)

L’aggiunta dei brani provenienti dal primo demo non fa che rendere ancora più appetibile questa riedizione di Call To War da parte della MDD.

Tempo di ristampa anche per i tedeschi Pessimist e del loro primo album sulla lunga distanza, il notevole Call To War uscito originariamente nel 2010 ed ora di nuovo sul mercato con l’aggiunta dei brani del primo demo Nuclear Holocaust del 2007.

E Call To War è un album che merita senz’altro un’altra occasione, perciò se siete dei thrashers incalliti l’album sarà sicuramente fonte di grosse soddisfazioni.
Tedesco di nascita ma americano nell’approccio al genere, il quintetto nel 2010 usciva con questa prova di forza niente male, un thrash metal veloce, letale, esagerato, pregno di rabbia metallica, perfetto sia nelle ritmiche che nella valanga di solos, cantato con tutta la rabbiosa aggressione che può avere un soldato sul campo di battaglia.
Dall’opener Trommelfeuer in poi, Call To War risulta un pezzo di granito estremo, perfetto nel bilanciare impatto e tecnica esecutiva, sconvolgente a tratti nei brani dove la verve strumentale prende il comando delle operazioni, assolutamente vincente in ogni suo passaggio.
Thrash metal senza compromessi ma da stropicciarsi gli occhi e le orecchie, irruento e violento come le battaglie descritte (The Massacre of Nanking, devastante traccia thrash/speed che parla dei terribili fatti di Nanchino, nel 1939 capitale cinese, da parte dell’esercito giapponese), un’apocalisse alla velocità della luce che per i thrashers duri e puri si trasforma in un’autentica perla di metal ottantiano.
L’aggiunta dei brani provenienti dal primo demo non fa che rendere ancora più appetibile questa riedizione da parte della MDD: nel frattempo sono passati tre anni dal suo successore Death from Above, dunque non perdete l’occasione di recuperare Call To War e mettetevi in attesa del prossimo massacro targato Pessimist.

TRACKLIST
01. Trommelfeuer
02. The Massacre of Nanking
03. Infernal Death
04. Prelude Arm for War
05. Call to War
06. Son of Satan
07. It’s Time To…
08. Death by Torture
09. Another Day in Mania
10. Hell of War (Bonus Track)
11. Kill or be Killed (Bonus Track)
12. Armageddon (Bonus Track)
13. I Hate You (Bonus Track)
14. Nuclear Holocaust (Bonus Track)

LINE-UP
Michael ‘TZ’ Schweitzer – Vocals
Patrick ‘Peppi’ Pfefferle – Guitar, Backing Vocals
Richard Beck – Guitar
Severin ‘Sevi’ Wössner – Bass, Backing Vocals
Raphael ‘Raphi’ Gamboni – Drums

PESSIMIST – Facebook

Ursa – The Yerba Buena Session

Gli Ursa riescono a mantenere un’ottima tensione per tutto il disco, e queste sessioni assumono il carattere di jam composte molto bene.

Gli Ursa sono la dimostrazione che con talento e passione si può fare un ottimo doom stoner metal, pur provenendo da un ambito diverso dell’universo metal.

I tre provengono da Petaluma in California, stato fresco della legalizzazione dell’erba, e questo disco è appunto un lungo viaggio in cinque canzoni in download libero.
La nascita degli Ursa si deve ad un progetto parallelo di tre quarti dei Cormorant, un buon gruppo black metal. I tre si staccano momentaneamente dal gruppo madre per fare del doom stoner di alta qualità.
Il loro suono parte dalle coordinate classiche del genere, con un passo arioso ma che non tralascia momenti maggiormente veloci, anche con l’ottimo ausilio di un organo. Gli Ursa riescono a mantenere un’ottima tensione per tutto il disco, e queste sessioni assumono il carattere di jam composte molto bene. Una delle grandi protagoniste in questo disco è l’epicità delle canzoni, e anche i testi riflettono un amore per il fantasy e per il fantastico in genere. A volte spunta il loro amore per il black metal in alcune energiche tirate, che non sono di fatto black ma che lasciano trasparire ciò. Ci si deve addentrare in The Yerba Buena Sessions per carpirne il forte carattere e la gran classe, e per gustare a fondo questo ottimo ed epico doom stoner.
In definitiva un disco che vi stupirà e che conferma l’ottima via americana al doom epico.

TRACKLIST
1.Wizard’s Path
2.Frost Giantess
3.Thirteen Witches
4.Scourge of Uraeus
5.Dragon’s Beard

LINE-UP
Brennan – Drums & Synth
Matt – Bass & Vocals
Nick – Guitars & Synth

Evilgroove – Cosmosis

Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche, atmosfere southern e grunge rock.

C’è né voluto di tempo, ma alla fine anche gli Evilgroove arrivano al traguardo del primo lavoro sulla lunga distanza grazie alla nostrana Atomic Stuff.

Attivi sotto il monicker di Sunburn dal 1997 in quel di Bologna, Daniele “Doc” Medici alla chitarra, Matteo “Matte” Frazzoni al basso e Luca “Fraz” Frazzoni alla voce, dopo un paio di demo nel 2005 cambiano il nome in Evilgroove, prendendo parte a varie compilation e tributi.
Il 2014 è l’anno dell’entrata in formazione del batterista Christian “Sepo” Rovatti , e un paio di anni dopo iniziano a lavorare a Cosmosis, album che ci fa tornare indietro fino ai primi anni novanta, tra metal e grunge, hard rock e groove metal tra Pantera e Black Label Society, insomma una goduria per gli amanti del rock americano con il quale abbiamo attraversato l’ultimo decennio del secolo scorso.
I primi anni novanta per molti sono stati un periodo di vacche magre per l’heavy metal, mentre il grunge, l’alternative ed il metal estremo seminavano per raccogliere i frutti artistici tra crossover, nuove tendenze e voglia di mettersi in gioco.
Con il successo della musica di Seattle il rock americano ha vissuto un periodo d’oro, non solo per merito delle truppe del grunge: Corrosion Of Conformity, Tool, Black Label Society sono realtà che poco hanno a che fare con le note create nella piovosa città dello stato di Washington, ma è indubbia l’importanza dei loro album per il metal/rock di quel periodo.
Oggi, chi segue le vicende intorno al rock raccoglie i frutti di quella semina, anche e soprattutto per merito della scena underground colma di band che, ispirate dal suono di quello splendido periodo, creano lavori intensi e sopra la media.
E gli Evilgroove, con Cosmosis, fungono da perfetto esempio, proponendo un lavoro che trae ispirazione dai gruppi di cui si accennava in precedenza, dunque non un lavoro che brilla per originalità (ma chi di questi tempi, suonando hard rock chi può vantarsene?), bensì un ottimo album hard rock/metal con tutti i crismi per soddisfare gli amanti dei suoni americani.
Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche panteriane, atmosfere southern tra Corrosion Of Conformity e Black Label Society e grunge più vicino ai Soundgarden che ai Nirvana, tanto per ribadire che qui si fa hard rock, alternativo quanto si vuole ma con i piedi ben piantati nel genere.
I brani meriterebbero tutti una menzione ma, oltre a ricordarvi le portentose Locusta, I The Wicked e Soul River, vi invito semplicemente a far vostro Cosmosis senza indugi.

TRACKLIST
01. Turn Your Head
02. Lucusta
03. Space Totem
04. I, The Wicked
05. Kick The Can
06. Physalia
07. Voodoo Dawn
08. Soul River
09. What I Mean
10. Cosmosis

LINE-UP
Daniele “DOC ” Medici – Guitar
Matteo “MATTE” Frazzoni – Bass
Luca “FRAZ” Frazzoni – Vocals
Christian Rovatti – Drums

EVILGROOVE – Facebook

Four Star Revival – The Underdog EP

I Four Star Revival non si chiudono a riccio difendendo a spada tratta il metal old school, ma lo approcciano con un piglio moderno che, a conti fatti, dimostra come certe sonorità, se rinfrescate a dovere, possano ancora dire la loro.

Tornano con un nuovo ep di cinque brani i Four Star Revival, gruppo statunitense composto da vecchie volpi dell’hard rock ed heavy metal del nuovo continente.

Ed Girard (ex Common Social Phenomenon) al basso, Benny Bodine (ex Warminister) alla sei corde, il batterista Paul Strausburg ed il singer Jack Emrick, ex Live After Death e con un presente negli storici Armored Saint, formano questa sorta di super gruppo, che fece parlare di sé un paio di anni fa con il debutto sulla lunga distanza intitolato Knights of the Revival.
In attesa di un nuovo full length la band licenzia The Underdog ep che funge da parentesi tra il primo lavoro ed il prossimo.
Il sound del quartetto americano si compone di un’ottima amalgama di sonorità della tradizione metallica statunitense che vanno dall’hard rock all’heavy power, sorrette da potentissime bordate ritmiche, suoni chitarristici forgiati nell’U.S. metal ed una prestazione sontuosa del cantante, classico esempio della scuola d’ oltreoceano, dall’ugola maschia d’impostazione hard rock e molto interpretativa.
I Four Star Revival non si chiudono a riccio difendendo a spada tratta il metal old school, ma lo approcciano con un piglio moderno che, a conti fatti, dimostra come certe sonorità, se rinfrescate a dovere, possano ancora dire la loro.
The Underdog spara subito due cannonate come la title track e Liar, heavy power song con groove a manetta e solos tonanti, mentre il vocalist dimostra subito che, dietro al microfono degli Armored Saint non ci si finisce per caso.
Rumors Of War è un mid tempo leggermente più scontato , mentre con Broken si vola sulle ali di una semi ballad in crescendo e The Garden Of Good And Evil chiude alla grande questo ep con fuochi d’ artificio di scuola primi Savatage e i già citati Armored Saint.
Un ottimo mini che conferma la bontà del gruppo dell’Ohio e ci consegna un’altra band da seguire nel suo cammino metallico, sperando che i tempi di attesa per il prossimo album non siano troppo dilatati.

TRACKLIST
1.The Underdog
2.Liar
3.Rumors Of War
4.Broken
5.The Garden Of Good And Evil

LINE-UP
Jack Emrick – vocals
Benny Bodine – guitar
Ed Girard – bass
Paul Strausburg – drums

http://www.facebook.com/FourStarRevival

Yith – Dread

Yith sforna un disco cthulhiano dai nobili e orrorifici propositi che, pur non potendo dirsi un capolavoro, vale il prezzo del biglietto

Dread – un dischetto ibrido black / doom che non si lascia andare ad eccessi avanguardisti – è il debutto di Yith, one-man band statunitense che negli anni scorsi ci aveva deliziati con svariati demo che lasciavano ben sperare per il futuro. Prodotto, questo, confezionato con cura maniacale fin dalle copertine: la prima è un bellissimo olio di G. Illness – uno dei maggiori paesaggisti della pittura americana moderna – mentre la seconda riporta Le Prisonnier di Odilon Redon, oggi conservato al Musée des Beaux Arts di Nantes.

Dread è un’opera lovecraftiana fin dai titoli (Centuries of Horror, ad esempio, fa sicuramente venire in mente l’epica e l’universo dello scrittore statunitense) che si propone di narrare in musica l’odissea esistenziale degli umani che vengono a contatto con l’orrore del malevolo Cthulhu, Yuggoth e consoci: il ché – ammetteranno gli appassionati – non è certo compito facile visto la portata del genio letterario di cui stiamo parlando. Se il concetto che vi sta dietro è interessante e complesso, il lavoro finito è più solido che brillante. L’album si apre con Time and Loss: arpeggi acustici, di tentazione (trattenuta) quasi neo-folk, che esplodono prestissimo in un dapprima monolitico e veloce black metal ortodosso che rallenta a tratti per farsi doom. Ma è dalla seconda traccia che l’album svolta: Resentment è forse il brano più rappresentativo del disco. Brano compatto che si apre, verso la fine, ad un pattern di interessantissimi riff astrali alternati a momenti più funerei, a simboleggiare la “doppia dimensione” lovecraftiana, divisa tra gli spazi cosmici e multidimensionali – comunque sempre cupi e spaventosi – in cui vivono le forze e l’entità del suo universo e il mistero, tutto terreno, che suscita agli involontari umani e agli adepti che vengono a contatto con rimandi, culti, sette iniziatiche, tracce che tali entità hanno sparso nel mondo: soluzione interessantissima questa ai fini di tradurre in musica il concept dell’album, che sarebbe potuta esser sfruttata in maniera maggiormente coraggiosa, azzardando qualcosina di più. Successivamente, mentre Remembrance funziona da intermezzo acustico (piuttosto inutile e superficiale), Upon Dark Shores sorprende per il suo dividersi equamente – a frazioni – tra un black tanto oscuro quanto canonico e certi raffinati citazionismi a quella scuola doom anni ’90, sulla falsa riga dei primi Thergothon di Fhtagn-nagh Yog-Sothoth – a loro volta affascinati dallo scrittore statunitense -. Infine, la breve e inaspettata Immurement – con tastiere, synth eterei e lugubri, certe sonorità alla Lustre in versione più funeral – chiude il lavoro in maniera azzeccata: misterica e ambienteggiante.

Se il concept che sottostà a questo disco – patrizio nelle intenzioni – è indubbiamente notevole, il prodotto finito purtroppo non è sempre all’altezza dei propositi. Le vocalità non sono mai particolarmente originali o incisive, ma la fase di produzione è attenta e curata. Il tutto vanta comunque la ripresa di un mondo letterario nobilissimo, oltre a momenti e cavalcate talvolta avvincenti e interessanti. Purtroppo è un album che, vista la sovrabbondanza di dischi simili e/o di superiore livello, rischia di finire presto risucchiato e dimenticato in quel gigantesco maelstrom da fast-food che è il metal attuale: merita invece a nostro giudizio almeno un ascolto, perlomeno da quella nobilissima frangia di cultori più attenta, colta e fanatica. E poi, diciamocelo, il binomio Lovecraft / black-doom è sempre sfiziosissimo.

TRACKLIST:
1. Time and Loss
2. Resentment
3. Remembrance
4. Dread
5. Centuries of Horror
6. Upon Dark Shores
7. Immurement

LINE-UP:
Yith – All instruments

YITH – Facebook

Crossbones – WWIII

WWIII è un disco che convince e che fa venire voglia di sentirlo più volte, perché qui dentro c’è il vero metal, quello fatto con passione e olio di gomito, senza nascondersi dentro una tastiera o con effetti particolari.

I Crossbones sono semplicemente il primo e tuttora il migliore gruppo metal albanese, ed ascoltando WWIII il motivo lo capirete facilmente.

Il loro thrash con inserti di groove metal crea un suono molto interessante, con canzoni ben composte e passaggi sonori vari ed azzeccati. Questo disco, mixato e masterizzato da Tommy Talamanca ai Nadir Studios, è il primo prodotto in un certa maniera nella più che ventennale carriera dei Crossbones, dato che sono nati nel 1996 e nel 1997 hanno prodotto il primo disco metal albanese, Days Of Rage, ancora oggi insuperato pilone della storia del metal e del rock in Albania. Ai Crossbones non basta però fare la storia perché vogliono continuare a produrre ottimo metal, come avviene in questo caso. Le architetture sonore sono abbastanza complesse e rendono le canzoni stratificate, con un percorso che porta le melodie in primo piano, mentre la pesantezza del suono è molto ben bilanciata, grazie anche al notevole lavoro di Tommy Talamanca, ma le basi ci sono tutte. Suonano più freschi ed interessanti i Crossbones che tanti altri gruppi molto più giovani, ma anche maggiormente stereotipati e noiosi. WWIII è un disco che convince e che fa venire voglia di sentirlo più volte, perché qui dentro c’è il vero metal, quello fatto con passione e olio di gomito, senza nascondersi dentro una tastiera o con effetti particolari: un lavoro ben fatto, complesso senza essere difficile, e ha quel sentire che i metallari capiscono al volo e che fa del metal una delle cose più belle sul globo terracqueo. I ragazzi dall’Albania saranno in questi giorni insieme ai Septem in tour, due gruppi da seguire senz’altro, anche dal vivo.

TRACKLIST
1. I’m God
2. Gates of Hell
3. Gjallë
4. WTF
5. Messing with the Masses
6. Schizo
7. Rise
8. You Fool
9. That Kind of Feeling
10. I’m God, Pt. 2

LINE-UP
Ols Ballta – vocals
Theo Napoloni – drums
Ben Turku – guitars
Klejd Guza – bass

CROSSBONES

tps://www.youtube.com/watch?v=ye69hCwHxRE

Sonus Mortis – Hail The Tragedies Of Man

Ogni ascoltatore preparato ed attento proverà il giusto piacere addentrandosi con pazienza e curiosità nella musica creata da Kevin Byrne, ideale soundtrack delle sue visioni apocalittiche.

Il progetto solista del dublinese Kevin Byrne, denominato Sonus Mortis, era stato nel 2014 una di quelle piacevoli scoperte capaci di cambiare in meglio l’umore di ogni appassionati di musica a 360 gradi.

Propaganda Dream Sequence aveva evidenziato un approccio fresco e personale alla materia estrema nel suo abbinare elementi sinfonici, pulsioni industriali e una base death doom, anche se, ovviamente, per sua natura il sound dei Sonus Mortis risultava rallentato solo a tratti, prediligendo spesso ritmi più martellanti.

Il successivo War Prophecy ha poi consolidato il livello raggiunto con il full length d’esordio e, mantenendo la cadenza di in un’uscita all’anno, Kevin nel 2016 ha puntualmente offerto ai propri estimatori questo Hail The Tragedies Of Man.
Se vogliamo, l’unico aspetto negativo del fare centro al primo colpo con un lavori di livello superiore alla media, rende più complessa la progressione con i lavori successivi, ma non è neppure facile mantenere comunque uno standard ugualmente elevato: il musicista irlandese ci riesce anche stavolta in virtù di una capacità di scrittura sempre efficace e in grado di integrare un sound aspro con notevoli spunti melodici.
Non resta che ribadire, ad uso e consumo di chi si volesse avvicinare all’operato del bravo Byrne, gli accostamenti naturali con gli ultimi Samael e soprattutto con i Mechina (e di conseguenza Fear Factory): in particolare il parallelismo con la creatura di Joe Tiberi (che puntualmente ha pubblicato il suo probabile nuovo capolavoro nel primo giorno dell’anno) appare il più interessante proprio per un percorso simile ma che diverge in maniera sostanziale per il diverso background musicale dei musicisti counvolti.
Se dall’altra parte dell’oceano quella che giunge fino a noi è una tempesta di suoni futuristici, solenni e spaziali, nel senso più autentico del temine, i Sonus Mortis mettono in scena il lato più atmosferico e, non a caso, gran parte dei brani si avvalgono di incipit rallentati che preludono a altrettante esplosioni sonore, alternate a brillanti aperture atmosferiche; inoltre, va segnalato un più ampio ricorso a clean vocals che si rivelano del tutto efficaci nella sua alternanza al più consueto screaming growl filtrato, pur non possendo il buon Kevin un estensione vocale particolarmente ampia.
Hail The Tragedies Of Man mostra una serie di variazioni sul tema che rendono interessante il lavoro in ogni frangente, in barba alla sua ora e passa di durata: a tale riguardo, basti l’ascolto di due brani contigui per collocazione in scaletta ma ben diversi per approccio, come The Great Catholic Collapse, dalle magnifiche progressioni chitarrstiche ed un andamento più rallentato, e I See Humans But No Humanity, furiosa per la prima metà nel suo snodarsi per oltre otto minuti (seconda per durata solo all’opener Chant Demigod) per poi adagiarsi su un assolo prolungato e vibrante.
Non è parlando di ogni brano che si rende il servizio migliore ai Sonus Mortis: l’ascoltatore preparato ed attento proverà il giusto piacere addentrandosi con pazienza e curiosità nella musica creata da Kevin Byrne, ideale soundtrack delle sue visioni apocalittiche.
Come per i già citati Mechina, continuo a meravigliarmi del fatto che nessuna label di spessore internazionale non abbia ancora gettato il suo sguardo sui Sonus Mortis: un peccato, soprattutto perché la conoscenza di realtà di tale spessore meriterebbe d’essere estesa ad un’audience infinitamente più ampia di quanto possa produrre un volenteroso passaparola sul web.

Tracklist:
1.Chant Demigod
2.Null And Void
3.Subproject 54
4.No Escape
5.And So We Became Slaves Forever
6.End Of Days
7.The Great Catholic Collapse
8.I See Humans But No Humanity
9.Chaos Reigns
10.Wretched Flesh, I Embrace
11.Hail The Tragedies Of Man

Line-up:
Kevin Byrne

SONUS MORTIS – Facebook

Necronomicon – Advent Of Human God

Tornano i canadesi Necronomicon con il loro sound che ultimamente ha posato gli occhi sulla scena polacca, ma che presenta orchestrazioni e sinfonie oscure dai rimandi alle opere dei Dimmu Borgir.

Il genere che, dalla seconda metà degli anni novanta in poi, fece sfracelli tra i fans del metal estremo, oggi risulta un sound sorpassato se non inutile, almeno per molti degli addetti ai lavori.

Ebbene sì, il symphonic black metal non è più uno dei generi top dell’estremo suonare, ma se si scova tra l’underground metallico qualche buona proposta la si trova ancora, in barba ai soliti criticoni dalla bocciatura facile.
Advent Of Human God, per esempio è un buon lavoro, arriva dal Canada e a crearlo è una band storica del genere, i Necronomicon, trio attivo dalla fine degli anni ottanta e con (oltre ad un ep) quattro precedenti album tra il 1999 ed il 2013.
Tre anni sono passati dall’ultimo lavoro ed il gruppo torna con il suo death/ black che ultimamente ha posato gli occhi sulla scena polacca, ma che presenta orchestrazioni e sinfonie oscure dai rimandi alle opere dei Dimmu Borgir.
Dopo l’intro d’ordinanza prende avvio l’ascesa dagli inferi con la title track, un compendio di ritmiche serrate e blast beat, fino ad arrivare alla prima frenata atmosferica orchestrale e tornare alla carica con The Golden Gods e l’ottima Crown Of Thorns, scelta come video e brano trainate dell’album.
Il trio di Fjord Of Sanguenay, zona che si avvicina molto per conformazione alla famosa costa norvegese e che ispira da sempre, insieme ai testi di Lovecraft, i Necronomicon, convince nelle parti violente mentre qualche orchestrazione risulta forzata nell’economia dei brani, ma siamo ai dettagli: se ancora tra i vostri ascolti compaiono il gruppo di Shagrath ed i Behemoth, Advent Of Human God risulterà senza dubbio un ascolto soddisfacente.

TRACKLIST
1. The Descent
2. Advent of the Human God
3. The Golden Gods
4. Okkultis Trinity
5. Unification of the Pillars
6. Crown of Thorns
7. The Fjord 8. Gaia
9. I (Bringer of Light)
10. Innocence and Wrath [Celtic Frost cover]
11. Alchemy of the Avatar

LINE-UP
Rick – Drums
Rob “The Witch” Tremblay – Vocals, Guitars
Mars – Bass

NECRONOMICON – Facebook

Zeit – The World Is Nothing

Questo hardcore è suonato molto bene, è estremo e molto interessante, con interessanti linee melodiche e giusti sconfinamenti in molti generi, dal technical death metal, al math, al noise ed altro ancora.

Ristampa in cd a cura di diverse etichette del primo disco di questo gruppo hardcore veneziano.

La loro proposta è un concentrato di velocità e potenza, molto vicino al chaotic hardcore e al percorso tracciato dai Converge e gruppi affini. La potenza degli Zeit non è inferiore alla loro tecnica, che è notevole, e tutto ciò si va a sposare con un’ottima capacità compositiva, che fa di questa prima prova sulla lunga distanza un gran disco. Questo hardcore è suonato molto bene, è estremo e con interessanti linee melodiche e giusti sconfinamenti in diversi generi, dal technical death metal, al math, al noise ed altro ancora. In The World Is Nothing troviamo la giusta tensione ed il giusto pathos che devono essere presenti in un buon disco hardcore, ma qui dentro c’è di più. Molti gruppi sono potenti, calibrati e fanno sensazione, ma l’hardcore deve scavarti qualcosa dentro, ed in questo gli Zeit sono molto bravi. Come detto il disco ha visto la luce in cd grazie alla collaborazione fra diverse belle realtà musicali, e gli Zeit collaborano anche musicalmente e non con alcune realtà veneziane, come Trivel Collective e Venezia Hardcore, facendo parte di una florida scena assieme a gruppi come gli Slander, ma gli Zeit sono maggiormente metallici e contundenti.
Un debutto di grande hardcore, let’s mosh.

TRACKLIST
01. World And Distances
02. Weaving
03. Distance And Difference
04. Disguised
05. Chasing The Void
06 Tautologies
07. Lack Of Parts
08. No Conception
09. The Walls Of The World
10. Past Meanings

LINE-UP
Alessandro Maculan – Guitar
Sebastiano Busato – Voices
Gabriele Tesolin – Bass
Francesco Begotti – Drums

ZEIT – Facebook

Invisible Mirror – On the Edge of Tomorrow

Un’altra band da annoverare tra le più brillanti scoperte dell’insaziabile WormHoleDeath, con un album da custodire gelosamente se siete amanti dell’heavy metal dai tratti progressivi e dark.

Che la Svizzera, oltre ad essere una terra incantevole, sia anche madre di molte importanti band del mondo metallico non è una novità.

Puntuali come i suoi famosi orologi, ogni anno spuntano nuove realtà che si affacciano sul mercato continuando la tradizione hard & heavy del paese del cioccolato, tra violenza estrema e melodie hard rock, continuando ad essere punto di riferimento degli amanti dei suoni metallici europei.
La WormHoleDeath, label che pesca talenti metallici come pesce azzurro sulle coste mediterranee, si aggiudica le prestazioni degli Invisible Mirror, band di heavy power melodic metal, all’esordio con questo bellissimo lavoro dal titolo On The Edge Of Tomorrow, prodotto niente meno che da Connie Andreska (ex Mystic Prophecy) e Dani Löble (Helloween), coppia d’assi del power metal europeo.
Ero curioso di ascoltare questo lavoro, non fosse altro per la scelta dell’etichetta italiana, al solito attenta a sonorità estreme, dal death al core, passando per il symphonic gothic metal, ma finora parca di proposte classiche e la mia curiosità è stata premiata.
La band, infatti, è protagonista di un heavy metal dalle melodie oscure, molto melodico, a tratti progressivo e di classe, non facendo mancare ritmiche riconducibili al power, ma elegante nel far confluire nel proprio sound elementi U.S. metal in un contesto che, comunque, rimane europeo.
E allora prendete il metal dalle tinte dark dei Metal Church e valorizzatelo con parti progressive alla Stygma IV o Evergrey, e power heavy metal di scuola Angel Dust, ed avrete un’idea di massima della musica prodotta dal quartetto: certo non manca qualche assolo e parti più classicamente indirizzate verso nomi altisonanti dell’heavy metal, ma l’eleganza artistica degli Invisible Mirror ne avvicina la musica a quei gruppi meno fruibili dalle masse, ma di livello altissimo in quanto a mera qualità musicale.
Menzione particolare per Chris Schwarz, un cantante dotato di qualità interpretative sopra la media , che funge da ciliegina sulla torta ad un gruppo tecnicamente buono, quanto basta per creare emozioni a profusione.
E di emozioni vive On The Edge Of Tomorrow, tragico, dark sontuosamente metallico e trascinato da un lotto di brani che trovano il loro punto più alto nelle notevoli Frozen River, nella monumentale title track e nella power progressiva The Loner.
Un’altra band da annoverare tra le più brillanti scoperte dell’insaziabile WormHoleDeath, con un album da custodire gelosamente se siete amanti dell’heavy metal dai tratti progressivi e dark.

TRACKLIST
1. Frozen River
2. Strike Back
3. Different Ways
4. Believe
5. Conspiracy of Minds
6. Life of a Stranger
7. Hungry for Love
8. On the Edge of Tomorrow
9. Beyond the Sky
10.The Loner

LINE-UP
Chris Schwarz – Lead Vocals
Ricky Bonazza – Bass, Vocal
Claude Magyar – Guitars
Seba Dixon – Drums

INVISIBLE MIRROR – Facebook

Tàlesien – Tàlesien

Un gruppo che sa manipolare la materia progressiva con soluzioni orchestrali sontuose e almeno due o tre brani sopra la media, ma la scelta della lingua madre rischia di limitare le potenzialità di un’opera del genere,

I Tàlesien sono un sestetto galiziano che propone un buon esempio di metal prog: attivi già tra la fine del secolo scorso e l’inizio del nuovo millennio, tornano con un nuovo lavoro tramite la Suspiria Records dopo tre full length di cui l’ultimo (El Silencio) uscito nel 2012.

Una buona fama raggiunta nel loro paese (anche per l’uso della lingua madre) negli anni li ha portati a dividere il palco con alcuni nome importanti del metal internazionale, ed il nuovo lavoro conferma la buona salute del metal nato in quelle terre.
Lontano dal prog folk dei Mago de Oz, così come dal power di Tierra Santa e Avalanch, il sound del gruppo è da annoverare nel classico metallo progressivo sulle orme lasciate negli anni dai Dream Theater, a cui il gruppo deve molto e da cui si differenzia, oltre che per l’uso dell’idioma, per qualche soluzione melodica più accentuata, specialmente nelle orchestrazioni che a tratti rasentano il musical (Sexta Extinciòn).
Una marcata vena melodica, qualche ritmica più potente e poi, con questo quarto album omonimo, la band vola sulle ali del progressive, con ottimi cambi di tempo nelle ritmiche, solos che non mancano di brillare per tecnica e gusto, chorus azzeccati, una buona prova del vocalist il quale ha molte frecce da scagliare nell’ora di musica a disposizione del gruppo.
I Tàlesien sono una band che sa manipolare la materia progressiva con soluzioni orchestrali sontuose e almeno due o tre brani sopra la media, ma la scelta della lingua madre rischia di limitare le potenzialità di un’opera del genere nei confronti di chi è abituato al più classico idioma britannico, ma se la cosa non crea disturbo Tàlesien risulterà un buon ascolto.

TRACKLIST
1. Noa
2. Lazarus
3. A-Legato
4. Sexta Extinciòn
5. Neftalì
6. Incomprensiòn
7. Alama Encadenada
8. Insomnio
9. Apàtrida
10. Màrtires
11. Sublime

LINE-UP
P. Javier García – Vocals
Juan Carlos Cotelo – Guitars
Nano Vikendi – Guitarra
M.A. Justo “Macaco” – Bass
Iñigo Uribe – Orchestration
Anxo Silveira – Drums

TALESIEN – Facebook

Ovnev – Cycle Of Survival

A causa di qualche imperfezione formale l’album non raggiunge l’eccellenza ed è un peccato, perché l’interpretazione del genere è genuina e ricca di spunti tutt’altro che banali.

Ovnev è il nome di una delle tante valide one man band che sorgono negli Stati Uniti con l’intento di proporre black metal, per lo più dai tratti atmosferici.

Quindi, se è lecito non attendersi qualcosa di innovativo, è altrettanto plausibile avvicinarsi con una certa fiducia riguardo all’esito di questo lavoro d’esordio.
Cycle Of Survival è, infatti, un album che si dipana con grande scorrevolezza andando a lambire le diverse sfaccettature del black, pur non spingendosi mai sul versante più tradizionale; del resto, da qualcuno che quale manifesto esibisce uno copertina con montagne innevate non c’è che da attendersi un’espressione austera, solenne e melodica al contempo, con più di un riferimento naturale alla corrente cascadiana del genere.
In questi frangenti siamo ben lontani da produzioni cristalline e soprattutto i passaggi di chitarra solista, fondamentali nell’economia dell’album, sono incrinati da qualche limite esecutivo che la bontà della scrittura ed il loro potenziale evocativo non riescono a nascondere. Proprio per questo l’album non raggiunge l’eccellenza ed è un peccato, perché l’interpretazione del genere è genuina e ricca di spunti tutt’altro che banali; comunque chi ricerca, a prescindere, una certa purezza nell’approccio alla materia dia un ascolto ad una traccia come The Observatory, che rappresenta in maniera efficace i contenuti di un lavoro interessante ma decisamente perfettibile nei suoi aspetti formali.

Tracklist:
1. The Observatory
2. Thrill of Pursuit
3. Prosperous Desperation
4. Cycle of Survival
5. Suspended In Spirit

Line-up:
West

OVNEV – Facebook

Skáphe – Skáphe²

Gli Skáphe tentano di rendersi interessanti rendendosi fastidiosi: se la loro missione era di provocare all’ascoltatore una tremenda emicrania, missione compiuta

Gli Skáphe – progetto recente di quell’Alex Poole, stacanovista dell’extreme metal, che si è imposto al mondo del metal sotto lo pseudonimo Chaos Moon (oltre a Esoterica e Krieg) – prima di Skáphe² erano una delle innumerevoli band statunitensi, di Philadelphia, di discrete prospettive e aspirazioni: l’esordio nel 2014, dal titolo omonimo, difficilmente avrebbe potuto far pensare ad un secondo lavoro di questa portata, nel bene e specialmente nel male.

L’uscita di Skáphe² – una specie di black metal / horror noise dai molteplici riferimenti – è stata accompagnata da un certo hype nel mondo del metal, essendo stato arruolato per l’occasione quel D.G. dei Misþyrming (oltreché Naðra) che piuttosto bene avevano fatto nel 2015, con Söngvar elds og óreiðu.
Vi sarebbe molto di cui discutere sulla legittimità del riferirsi a quest’album di circa 36 minuti – fortunatamente per chi lo deve ascoltare il disco non è eccessivamente lungo – definendolo un album black metal, e non tanto perché i nostri facciano un uso massiccio di harsh noise, suoni dronici che sconfinano in territori pseudo-avanguardisti (ricercati specialmente tramite ritmiche squinternate), quanto perché – almeno per la prima parte del disco – non vi è la possibilità di distinguere precisamente finanche un solo riff o una qualche forma di melodia: quanto invece una pressoché completa atonalità e una mancanza di qualsivoglia senso dell’armonia. L’unica cosa che un ascoltatore percepirà durante la prima metà del disco – rinominato I, II e III – sarà un’atmosfera orrorifica ma monotona, miasmi da incubo che vorrebbero a loro modo suonare dejonghiani. Discernere la fine e l’inizio di un brano dall’altro e provare ad analizzarli singolarmente è virtualmente impossibile (tant’è che le stesse tracce sono semplicemente ordinate tramite numerazione romana, come facessero parte di una suite, da intendersi come un flusso). Un ulteriore guaio per i tre brani iniziali, da ascoltarsi preferibilmente come un unico e lungo intro, risiede nel fatto che il tutto non riesce neppure a suscitare il tanto agognato inferno esistenziale che invece manifestamente ricerca: in termini sonici il wall of sound è certamente monolitico, ma suona un po’ retorico, come se fosse più importante il concetto astratto della concreta esperienza sonora. Al punto che sembra quasi che se si prendesse una qualsiasi frazione di una traccia e la si spostasse altrove non verrebbe tolto e aggiunto pressoché nulla all’esperienza finale di ascolto: il ché non è definibile esattamente come “un risultato apprezzabile”, se parliamo di “cose black metal” e non di cose merzbowiane. Poi succede qualcosa e, superata la metà del disco, a partire da IV, il tutto magicamente si apre a ricametti, cacofonie e circolarità – finanche interessanti e non banali – post-metal, mentre in V si raggiunge il climax ritualistico del lavoro. Ma è troppo poco per impressionare: nel momento in cui comincia ad essere divertente l’album presto finisce.
Riferimenti: gli Skáphe saccheggiano un po’ da tutti e rovinano un po’ tutto, da alcune tra le cose migliori dei Deathspell Omega e dei Blut Aus Nord fino ai Portal e ai Mitochondrion, e soprattutto da un Gnaw Their Tongues appiattito e privato della sua consueta eleganza di stampo mefistofelico (eleganza manifesta anche nell’ultimo Hyms for the Broken, Swollen and Silent, questo invece, sì, un disco notevole). In conclusione: il fatto che Skáphe² risulti ermetico non significa necessariamente che sia un album profondo. L’impossibilità di cogliere – a larghi tratti – non dico significati e sensi (e “la musica” – tra la quale ovviamente anche il BM -, ricordiamolo, è o dovrebbe essere in prima istanza fondazione di significati e sensi) ma anche solamente una qualche sorta di melodia non nobilita necessariamente un disco: a tratti Skáphe² è affascinante, molto più spesso è retorico, ma alla fine resta fondamentalmente un prodotto di mera estetica, troppo superficiale, astratto e tronfio, oltreché terribilmente fastidioso all’orecchio, per poter rappresentare il futuro del black metal.

TRACKLIST:
1. I
2. II
3. III
4. IV
5. V
6. VI

LINE-UP
Alex Poole
D.G.

SKAPHE – Facebook