Sirgaus – Il Treno Fantasma

Molto più “raccontato” rispetto all’opera precedente, Il Treno Fantasma è un altro viaggio meraviglioso nel mondo dei Sirgaus, un ennesimo lavoro da custodire gelosamente tra gli esempi che travalicano i generi musicali e donano arte a 360°.

La ricchezza culturale e la soddisfazione di un “non” lavoro come le fatiche dietro ad una webzine musicale, sono ripagate nel conoscere e vivere il percorso di fulgidi talenti dello spartito, che probabilmente non si sarebbero mai raggiunti ed approfonditi come semplici fruitori delle sette note, anche perché dubito (pur augurandolo ai protagonisti) che questi eroi della sacra arte possano trovare quel successo che, in un mondo guidato dalla bellezza e non dal denaro, avrebbero già ampiamente raggiunto.

Ma non credo che a Mattia Gosetti e Sonja Da Col, tornati come Sirgaus con questa nuova ed affascinate opera, interessi granché, molto più probabile che al duo proveniente dalla provincia di Belluno, come musicisti di altri tempi e affascinanti artisti di un teatro che compare dal nulla e scompare alla fine di ogni spettacolo, basti creare e lasciare la loro arte a chi la sa apprezzare.
Dopo il bellissimo Sofia’s Forgotten Violin, concept album licenziato nel 2013 e finito nella mia personale play list di fine anno, Mattia Gosetti, compositore e musicista sopraffino, aveva messo a riposo i Sirgaus per uscire a suo nome con il capolavoro Il Bianco Sospiro della Montagna, un’opera portata sul palco di un teatro con la cantante e moglie in veste di attrice.
Era il 2015 e questo splendido esempio di musica contemporanea tra rock, metal e operetta finì ancora una volta tra gli album più belli dell’anno, almeno per il sottoscritto, ancora una volta qui a raccontarvi (non a recensire) delle gesta di questi talenti persi tra le montagne dolomitiche.
Il Treno Fantasma è un’altra opera rock sontuosa, più oscura e dark musicalmente parlando rispetto ai lavori precedenti, meno epica rispetto a Il Bianco Sospiro Della Montagna, anche per la storia che, pur lasciando al centro delle vicende la terra d’origine del duo, lascia le tematiche sulla guerra per affrontare i cambiamenti frutto dello sviluppo e dei tempi in cui viviamo.
Molti ospiti accompagnano l’ennesimo viaggio musicale dei Sirgaus, dai cantanti Matteo Scagnet, Denis Losso, Michaela Dorenkamp e il figlio della coppia Diego Gosetti, alle pelli di Salvatore Bonaccorso, la chitarra di Daniele Bressa, ed il violino del sempre presente Fabio “Lethien” Polo dei folk metallers nostrani Elvenking.
Quasi ottanta minuti sul treno fantasma in una folle corse tra le trame orchestrali create da Gosetti, drammatiche e perfette nel raccontare le vicende dei protagonisti, nell’affrontare cambiamenti e scelte per continuare una vita lontana da casa o stretta tra i vicoli dei piccoli paesi di una montagna che sta stretta alle nuove generazione, fermi davanti ad un cavalcavia, linea di confine tra la solitudine e la tradizione della montagna e la caotica vita nella grande città.
A Train To The Mountains segna il ritorno della protagonista verso il paese dopo cinque anni, le melodie orchestrali mantengono linee malinconiche, mentre si fanno più dirette e metallicamente sinfoniche nella bellissima Fischia Nella Notte.
Pur con le sue differenze, Il Treno Fantasma mette in evidenza l’eleganza orchestrale della scrittura di Gosetti, già ampiamente dimostrata sui lavori precedenti, valorizzata dalla particolare e teatrale voce della Da Col, mentre l’opera viaggia spedita sui binari dell’eccellenza con perle come La Versione Di Girollino, La Regina Del Sottosuolo e L’Impero Cadente.
Molto più “raccontato” rispetto all’opera precedente, Il Treno Fantasma è un altro viaggio meraviglioso nel mondo di questo compositore nostrano, un ennesimo lavoro da custodire gelosamente tra gli esempi che travalicano i generi musicali e donano arte a 360°.

TRACKLIST
1.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi
2.Incontro Sul cavalcavia
3. A Train To The Mountains
4.Fischia Nella Notte
5.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi (seconda parte)
6.Un secco ramo
7.Riparerò Questi binari
8.Il Bosco Nero
9.La Versione Di Girollino
10.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi (terza parte)
11.La Regina Del sottosuolo
12.Il Folle Piano
13.La Rivalsa Di Girollino
14.Carbone Per La Mia Fornace
15.L’Impero Cadente
16.La Strada Verso Il Crescere

LINE-UP
Mattia Gosetti – Basso, Chitarra, Orchestrazione, Produzione
Sonja Da Col – Voce
Denis Losso, Matteo Scagnet, Michaela Dorenkamp, Andrea Sonaglia, Diego Gosetti – cantanti ospiti
Fabio Lethien Polo – Violino Elettrico
Daniele Bressa – Chitarra Solista
Salvatore Bonaccorso – Batteria

SIRGAUS – Facebook

Broken Key – Face In The Dust

Un buon lavoro senza grossi picchi ma potente e soprattutto suonato con gli attributi.

Si continua a suonare metal moderno in giro per il mondo, magari meno influenzato dall’ormai abusato metalcore, e più genuinamente groove.

Niente di originale, e abusato anche questo, ma forse più puro ed underground rispetto alla finta rabbia delle boy band ispirate all’ormai obsoleto ed ennesimo sogno americano.
I Broken Key, per esempio, sono una giovane band tedesca, proveniente da Halle Saale, hanno un solo ep alle spalle e per la STF licenziano il loro primo album, questo calcio nei denti che di nome intitolato Face In The Dust e che piacerà agli amanti dei suoni moderni, sempre in bilico tra hardcore e groove metal.
Una quarantina di minuti alle corde, messi all’angolo dal nostro avversario che non ne vuol sapere di rallentare la sua letale scarica di pugni che spezzano ossa in ogni parte del corpo, più o meno è questo che risulta l’album, non male per il combo tedesco.
Mid tempo pesantissimi, dove il groove metal prende il sopravvento, si alternano con ripartenze hardcore secche come un diretto in pieno volto inaspettato e devastante.
Il vocione rabbioso, il muro sonoro dalla buona potenza non fanno che rincarare la dose massiccia di violenza, mentre scorrono le note di brani, alla lunga un po troppo simili (questo è il genere, prendere o lasciare), ma per i metal fans dal berrettino con visiera, Black Hole, Runaway e Members Of Old School saranno graditi muri sonori.
In conclusione, un buon lavoro senza grossi picchi ma potente e soprattutto suonato con gli attributi.

TRACKLIST
1.Brick
2.Black Hole
3.All The Fucking Sluts
4.Runaway
5.Face In The Dust
6.Sick Soldiers
7.Skull Behind Your Face
8.Enemy
9.Members Of Old School
10.Never Say No

LINE-UP
Rene Richter – Vocals
Marcus Griebel – Guitar
Tommy Kogut – Guitar
Robin Schuchardt – Bass
Carlo Hagedorn – Drums

BROKEN KEY – Facebook

VV.AA. – Transcending Obscurity Label Sampler 2016

Cliccando il link che troverete in calce all’articolo, avrete la ghiotta opportunità di fare un bel giro metallico del globo, gentilmente offerto da Kunal Choksi e dalla sua Transcending Obscurity.

La Transcending Obscurity è un’etichetta alla quale noi di MetalEyes siamo particolarmente affezionati: intanto perché, quando abbiamo iniziato ad occuparci di metal qualche anno fa, ancora all’interno di In Your Eyes, la label indiana è stata una delle prime a darci credito senza farsi troppe domande su chi fossimo o quanti contatti facessimo, e poi, soprattutto, perché colui che ne regge fila, Kunal Choksi, è uno di quei personaggi che dovrebbero essere clonati per tutto quello che ha fatto e sta facendo per la diffusione del verbo metallico in Asia.

Dopo questo doveroso panerigico nei confronti del dinamico discografico di Mumbai, non resta che invitare ogni appassionato di metal che si rispetti a fare propria questa esaustiva compilation contenente un brano di ciascuna delle band appartenenti alla scuderia delle Transcending Obscurity, tanto più che il tutto è scaricabile gratuitamente dal bandcamp.
Lì troviamo cinquantacinque tracce che offrono contributi provenienti da nomi già noti ed altri ancora da scoprire, abbracciando tutti i generi estremi, a partire soprattutto dal death metal, spesso rappresentato nella sua versione old schol, passando per il black ed il doom, con qualche sconfinamento nel thrash, nello stoner/sludge e nel più tradizionale heavy metal.
Molti di questi brani fanno parte di album che abbiamo avuto il piacere di recensire, quasi tutti accompagnati da valutazioni lusinghiere, segno di un roster dal livello medio molto elevato, benché composto per lo più da realtà dalla notorietà confinata all’underground.
Quasi superfluo segnalare uno o l’altro brano, si può solo aggiungere che per chi ama il death c’è da sbizzarrirsi, tra i Paganizer dell’onnipresente Rogga Johnasson, i Sepulchral Curse e gli storici Warlord UK, per i death/doomsters le icone Officium Triste e Mythological Cold Towers e i più recenti Chalice of Suffering e Illimitable Dolor, mentre per chi predilige sonorità più distorte e stonate ci sono gli Altar Of Betelgeuze, gli Algoma e i The Whorehouse Massacre e per i blacksters realtà stimolanti come i Norse, i Seedna ed i Somnium Nox, tutto questo senza voler fare alcun torto a chi non è stato citato.
Infine, questa compilation offre la possibilità anche ai più scettici di farsi un’idea di quale sia il livello raggiunto dalle band asiatiche, autrici spesso di opere di livello pari, se non superiori, a quelle dei corrispettivi europei od americani: cito tra queste i “vedic metallers” Rudra, i Grossty, i Dormant Inferno ed i Darkrypt (da notare che la sezione asiatica è facilmente individuabile essendo stata racchiusa negli ultimi quindici brani).
Quindi, cliccando il link che troverete in calce all’articolo, avrete la ghiotta opportunità di fare un bel giro metallico del globo, gentilmente offerto da Kunal Choksi e dalla sua Transcending Obscurity.

Tracklist:
1. Officium Triste (Netherlands) – Your Heaven, My Underworld (Death/Doom Metal)
2. Mythological Cold Towers (Brazil) – Vetustus (Death/Doom Metal)
3. Paganizer (Sweden) – Adjacent to Purgatory (Old School Death Metal)
4. Ursinne (International) – Talons (Old School Death Metal)
5. Echelon (International) – Lex Talionis (Classic Death Metal)
6. Henry Kane (Sweden) – Skuld Och Begar (Death Metal/Crust)
7. Stench Price (International) – Living Fumes ft. Dan Lilker (Experimental Grindcore)
8. Sepulchral Curse (Finland) – Envisioned In Scars (Blackened Death Metal)
9. Fetid Zombie (US) – Devour the Virtuous (Old School Death Metal)
10. Infinitum Obscure (Mexico) – Towards the Eternal Dark (Dark Death Metal)
11. Altar of Betelgeuze (Finland) – Among the Ruins (Stoner Death Metal)
12. Illimitable Dolor (Australia) – Comet Dies or Shines (Atmospheric Doom/Death)
13. The Furor (Australia) – Cavalries of the Occult (Black/Death Metal)
14. Warlord UK (United Kingdom) – Maximum Carnage (Old School Death Metal)
15. Norse (Australia) – Drowned By Hope (Dissonant Black Metal)
16. Soothsayer (Ireland) – Of Locust and Moths (Atmospheric Doom/Sludge)
17. Swampcult (Netherlands) – Chapter I: The Village (Lovecraftian Black/Doom Metal)
18. Seedna (Sweden) – Wander (Atmospheric Black Metal)
19. The Slow Death (Australia) – Adrift (Atmospheric Doom Metal)
20. Arkheth (Australia) – Your Swamp My Wretched Queen (Experimental Black Metal)
21. Mindkult (US) – Howling Witch (Doom/Stoner Metal)
22. Warcrab (UK) – Destroyer of Worlds (Death Metal/Sludge)
23. Isgherurd Morth (International) – Lucir Stormalah (Avant-garde Black Metal)
24. Lurk (Finland) – Ostrakismos (Atmospheric Doom/Sludge Metal)
25. Come Back From The Dead (Spain) – Better Morbid Than Slaves (Old School Death Metal)
26. Somnium Nox (Australia) – Apocrypha (Atmospheric Black Metal)
27. MRTVI (UK) – This Shell Is A Mess (Experimental Black Metal)
28. Veilburner (US) – Necroquantum Plague Asylum (Experimental Black/Death Metal)
29. Jupiterian (Brazil) – Permanent Grey (Doom/Sludge Metal)
30. Exordium Mors (New Zealand) – As Vultures Descend (Black/Thrash Metal)
31. Embalmed (US) – Brutal Delivery of Vengeance (Brutal Death Metal)
32. Gloom (Spain) – Erik Zann (Blackened Brutal Death Metal)
33. Marasmus (US) – Conjuring Enormity (Death Metal)
34. Algoma (Canada) – Reclaimed By The Forest (Sludge/Doom Metal)
35. Cemetery Winds (Finland) – Realm of the Open Tombs (Blackened Death Metal)
36. Marginal (Belgium) – Sign of the Times (Crust/Grind)
37. Chalice of Suffering (US) – Who Will Cry (Death/Doom Metal)
38. Briargh (Spain) – Sword of Woe (Pagan Black Metal)
39. Ashen Horde (US) – Desecration of the Sanctuary (Progressive Black Metal)
40. The Whorehouse Massacre (Canada) – Intergalactic Hell (Atmospheric Sludge)
41. Rudra (Singapore) – Ancient Fourth (Vedic Metal)
42. Dusk (Pakistan) – For Majestic Nights (Death/Doom Metal)
43. Ilemauzar (Singapore) – The Dissolute Assumption (Black/Death Metal)
44. Severe Dementia (Bangladesh) – The Tormentor (Old School Death Metal)
45. Warhound (Bangladesh) – Flesh Decay (Old School Death Metal)
46. Assault (Singapore) – Ghettos (Death/Thrash Metal)
47. Gutslit (India) – Scaphism (Brutal Death/Grind)
48. Plague Throat (India) – Inherited Failure (Death Metal)
49. Darkrypt (India) – Dark Crypt (Dark Death Metal)
50. Against Evil (India) – Stand Up and Fight! (Heavy Metal)
51. Grossty (India) – Gounder Grind (Grindcore/Crust)
52. Dormant Inferno (India) – Embers of You (Death/Doom Metal)
53. Carnage Inc. (India) – Defiled (Thrash Metal)
54. Lucidreams (India) – Ballox (Heavy Metal)
55. Nightgrave (India) – Augment (Experimental Black Metal/Shoegaze)

TRANSCENDING OBSCURITY – Facebook

The Press Gang – Medusa 5

Un altro delizioso e trascinante viaggio tra le note di un passato che continua imperterrito a vivere nelle note di gruppi come i The Press Gang.

Dieci anni all’insegna dell’hard & heavy ottantiano, un buon esempio di heavy metal che a braccetto con il punk rock attraversa decenni di musica dura con il suo affascinante concept fantascientifico in bella mostra.

I The Press Gang sono un gruppo canadese che quest’anno festeggia il decimo anno di attività con un nuovo album, Medusa 5, dalla bellissima copertina epico/fantascientifica in bella mostra e una valanga di note metal/rock al suo interno.
Nato appunto dieci anni fa, il gruppo di Calgary arriva così al suo quinto lavoro in studio di una discografia iniziata nel 2009 con il debutto omonimo e che lo scorso anno vedeva pubblicato l’ottimo Optimal Running Speed.
Medusa 5 continua imperterrito la tradizione del quartetto di Calgary, così che quando partiranno le prime note di Dagger For The Eye verrete travolti da una tempesta di hard & heavy vintage, ottantiano nell’anima metallica ma seventies nello spirito punk rock che anima i brani all’interno del cd.
Palla lunga e pedalare, intendiamoci, ma i The Press Gang sono divertentissimi e pure con il loro nuovo album vi assaliranno con il loro irresistibile sound pregno di quei cliché che sono il pane ed il vino di ogni rocker, almeno quelli dalla quarantina in su.
Nei solchi di queste dieci tracce ogni passaggio lascia nei padiglioni auricolari echi motorheadiani, maideniani e poi d’ incanto, una ritmica ci trasporta nel bel mezzo della Londra punk del 1978, o nei primi vagiti del metal estremo targato Voivod.
In tutta questa alternanza tra generi e miti di noi ormai attempati metallari, le canzoni funzionano benissimo e Colin McCulloch e soci ci regalano un altro delizioso e trascinante viaggio, tra le note di un passato che continua imperterrito a vivere nelle note di gruppi come i The Press Gang.

TRACKLIST
1.Dagger For The Eye
2.Churning The Rust
3.Bumblebee
4.Rise
5.Blister & Boil
6.Bone & Gravel
7.Die Inquisitor Die
8.Brontosaurus
9.Kill The Bastards
10.Ship & Sail

LINE-UP
Colin McCulloch – Lead Vox, Rhythm Guitar
Chad Laing – Lead Guitar
Lindsay Arnold – Bass Guitar
Derek Lindzon – Drums

THE PRESS GANG – Facebook

Black Motel Six – Everything On Its Place

I Black Motel Six sono potenti, non abdicano di fronte alla necessità di essere melodici e sono orecchiabili e radiofonici, ovviamente non le radio che si sentono normalmente, pur non rinunciando ad avere una grande carica metal.

Suona tutto molto bene nell’esordio dei Black Motel Six, gruppo romano di groove metal, o meglio, di metal moderno.

Il loro suono arriva da molti generi, da ascolti come gli Stone Sour, o da schegge di metalcore e di death melodico, ma la referenza migliore è il groove metal. Questi ragazzi romani riescono a fondere insieme potenza, melodia e precisione, ed ogni canzone è una bella e piacevole mazzata. I Black Motel Six sono potenti, non abdicano di fronte alla necessità di essere melodici e sono orecchiabili e radiofonici, ovviamente non le radio che si sentono normalmente, pur non rinunciando ad avere una grande carica metal. La produzione supporta al meglio gli sforzi del gruppo, sottolineandone la pressoché perfetta calibrazione. Le canzoni arrivano come un fiume fresco d’estate, passano e lasciano una bella sensazione, e il loro linguaggio musicale è composto da molto più di diecimila parole. Qui non si tratta di novità, ma di una materia modellata bene, con forza di volontà ed anche coraggio, perché non è mai facile fare un’opera metallica ed al contempo melodica, ma questi romani grazie anche alla loro indubbia bravura tecnica ci riescono molto bene. Addirittura in certi passaggi la doppia cassa e la chitarra sono apertamente southern metal, eppure le ottime melodie sono tangibili. Sicuramente si ripropone una vessata quaestio, dicendo che un disco simile certe affermate realtà straniere se lo sognano di notte, eppure è così, però anche grazie a gruppi come i Black Motel Six dovremmo smettere di considerarci i figli minori del dio del metal: dischi così sono ottimi a prescindere, godiamoceli.

TRACKLIST
1.ON MY WOUNDS
2.SCREAM
3.HANDFUL OF DUST
4.F.Y.S.O.B. 03:54
5.LANDSLIDE PT.1
6.LANDSLIDE PT.2
7.THROUGH A NEW PHASE
8.EVERYTHING IN ITS PLACE
9.GN’R
10.SHAME ON YOU

LINE-UP
Steph – Vocals
Marco – Lead Guitars
Emanuele – Bass
Alessio – Drums

BLACK MOTEL SIX – Facebook

Coffin Surfer – Rot A’ Rolla

Undici minuti bastano per convincerci d’essere al cospetto di una band originale ed irresistibile, assolutamente fuori dal comune e per questo ancora più sorprendente.

Rot A’ Rolla, ovvero quando undici minuti bastano per convincerci di essere al cospetto di una cult band, originale ed irresistibile, assolutamente fuori dal comune e per questo ancora più sorprendente.

I bolognesi Coffin Surfer, un quartetto di pazzi grindsters con la passione per il rock’n’roll, hanno un solo demo alle spalle, uscito tre anni fa e tornano sul mercato underground con questo ep di cinque brani che riescono nell’intento da sempre perseguito dalla band : far ballare e scapocciare zombie e pin up a colpi di rock’n’roll, death, grind e surf.
La voce campionata di Phil Anselmo ci introduce nel mondo di Rot A’ Rolla e Nutria esplode tra ritmiche surf e grind/death: i grugniti classici del grind si confondono tra pesantissimo groove e devastanti ripartenze estreme e, come un orologio, il gruppo risulta preciso e perfetto, con Headless Chicks Rodeo se possibile ancora più devastante e violenta.
Saint Fetus è death metal feroce e sguaiato, mentre i venti secondi di Escape From India ci introducono alla conclusiva Deathroll, dove Motorhead, Napalm Death ed Elvis Presley vengono evocati all’unisono per sconvolgere le normali dinamiche del metal rock mondiale.
Grande band quella formata da questi ragazzi bolognesi, che sanno soprattutto suonare e lo dimostrano pur mantenendo un approccio alla propria musica violento e scanzonato in uguale misura. Resta solo da ascoltare per credere.

TRACKLIST
1.Nutria
2.Headless Chicks Rodeo
3.Saint Fetus
4.Escape From India
5.Deathroll

LINE-UP
Pica – Vocals
Balbo – Drums
Vale – Guitars
Raffa – Bass

COFFIN SURFER – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

NORÐ – Alpha

Alpha è da annoverare tra le nuove proposte di metal moderno, tramite il quale il gruppo cerca di rendere il sound più adulto possibile, a tratti riuscendoci grazie a passaggi introspettivi e drammatici, mentre non sempre convince nei momenti estremi, troppo vicini alle soluzioni di stampo core.

Debutto in formato ep per il quintetto danese dei NORÐ sotto l’ ala della Inverse Records.

La band ,nata nel 2013, arriva con Alpha all’esordio discografico portando all’attenzione degli appassionati il suo sound che vive di diverse sfumature prese dal variegato mondo del metal.
Metallo progressivo, come sostiene l’etichetta, o un buon mix di diverse atmosfere e generi?
A mio parere l’elemento progressivo si ferma a qualche cambio di ritmo, mentre dall’ascolto di questi quattro brani si evince un buon mix di generi che vanno dal metalcore a quello classico, un uso parsimonioso ma centrato di melodie malinconiche e l’ormai abusata soluzione della doppia voce, in scream e pulita.
Alpha è da annoverare, dunque, tra le nuove proposte di metal moderno, tramite il quale il gruppo cerca di rendere il sound più adulto possibile, a tratti riuscendoci grazie a passaggi introspettivi e drammatici (Restless), mentre non sempre convince nei momenti estremi, troppo vicini alle soluzioni di stampo core.
In generale i brani funzionano, Kill The Marshalls, per esempio, è un’opener dall’ottimo impatto tra metallo estremo e melodie tragicamente moderne, ma per un futuro lavoro sulla lunga distanza ai musicisti danesi serve qualche idea in più per non perdersi nei meandri del già sentito.

TRACKLIST
1. Kill the Marshalls
2. Rosehip Garden
3. Restless
4. Omega

LINE-UP
Bjarne Brogaard Matthiesen – Vocals
Niels Thybæk-Hansen – Guitar
Thomas Bøgh Jensen – Guitar
Peter Littau – Bass
Magnus Elisson – Drums

NORÐ – Facebook

Aborym – Shifting.Negative

Shifting.Negative è quello che, senza alcuna remora, si può definire lo stato dell’arte di un certo modo di rimodellare la materia metal, rendendola moderna e sperimentale senza farla apparire nel contempo plastificata o cervellotica.

Accostare oggi gli Aborym ai Nine Inch Nails, per quanto possa essere accettabile, rischia d’essere riduttivo nei confronti della band di Fabban, anche se immagino che per lui l’essere avvicinato ad uno dei personaggi più influenti della musica contemporanea, come è Trent Reznor, non credo sia affatto sminuente.

Del resto gli Aborym non sono giunti alla forma espressa in questo nuovo Shifting.Negative da un giorno all’altro, bensì attraverso un percorso lungo oltre un ventennio ed in costante progressione, raggiungendo infine un risultato che va anche ben oltre quelli ottenuti in tempi recenti da chi, a torto o ragione, viene considerato il loro più naturale punto di riferimento (assieme ai NIN non è peccato aggiungervi anche i Ministry).
Mi azzardo ad affermare ciò, visto che né Reznor né Jourgensen si sono mai spinti così avanti, in un non luogo dove la forma canzone riesce misteriosamente a sopravvivere, nonostante la sua essenza sia costantemente messa a repentaglio da una sorta di “schizofrenia illuminata”, esasperata da un’instabilità che ben rappresenta gli umori cupi e poco rassicuranti dei quali l’album è pervaso ed esaltata, infine, da una produzione capace di rendere essenziale qualsiasi battito o rumore in sottofondo; la scelta di affidare il lavoro alle mani esperte di professionisti del calibro di Guido Elmi e Marc Urselli lucida al meglio l’ineccepibile prestazione d’assieme di tutti musicisti, tra i quali non si può fare a meno di citare il contributo chitarristico di Davide Tiso , senza per questo dimenticare i fondamentali Dan V, RG Narchost e Stefano Angiulli.
In buona sostanza, più ascolto Shifting.Negative e più mi rendo conto d’essere al cospetto di un’opera in grado di lasciare il segno, collocandosi temporalmente molto più avanti di gran parte della musica oggi in circolazione; non è neppure facile descrivere in maniera esauriente un lavoro di questa natura, con il rischio concreto di scrivere delle solenni fesserie o, peggio ancora, delle banalità, cercherò quindi di esprimere alcune delle impressioni derivanti da molteplici ascolti.
Partirei, quindi, da Precarious, singolo/video che ha anticipato l’uscita del disco e che ne ha rappresentato il mio primo approccio: tanto per far capire quanto la nostra mente sia condizionata da schemi precostituiti, ho trascorso circa sei minuti ad attendere quell’esplosione fragorosa che invece non sarebbe mai arrivata, percependo solo dopo diversi passaggi che quei momenti apparentemente interlocutori altro non erano che il naturale sviluppo di un brano intimo, intenso e disturbante allo stesso tempo, e tutto questo senza fare nemmeno ricorso a particolari artifici.
Già questo era il segno premonitore di un album che avrebbe in qualche modo scombinato i piani di chi si sarebbe aspettato, magari, un altro passo in direzione di quella relativa fruibilità che aveva mostrato a tratti il precedente Dirty: Shifting.Negative non stravolge il marchio di fabbrica degli Aborym, bensì lo consolida rendendolo ancor più peculiare ed imprevedibile, facendo apparire anche il passaggio più ostico quale inevitabile approdo di una creatività artistica segnata dall’inquietudine.
Concludo citando altri momenti chiave quali Unpleasantness, traccia che apre magistralmente l’album risultando probabilmente anche quella più orecchiabile (prendendo con tutte le cautele del caso questo aggettivo applicato alla musica degli Aborym) in virtù di un chorus piuttosto arioso, pure se inserito in un contesto aspro e disturbato da incursioni elettroniche, e l’accoppiata centrale formata da Slipping throught the cracks e You can’t handle the truth, in cui le già citate band icona del genere vengono omaggiate e non saccheggiate.
Shifting.Negative è quello che, senza alcuna remora, si può definire lo stato dell’arte di un certo modo di rimodellare la materia metal, rendendola moderna e sperimentale senza farla apparire nel contempo plastificata o cervellotica: un disco fondamentale per chiunque abbia voglia di osare qualcosa in più, spingendosi oltre schemi prestabiliti ed ascolti rassicuranti.

Tracklist:
1. Unpleasantness
2. Precarious
3. Decadence in a nutshell
4. 10050 cielo drive
5. Slipping throught the cracks
6. You can’t handle the truth
7. For a better past
8. Tragedies for sales
9. Going new places
10. Big h

Line-up:
Fabban: programming, modulars, synth and vocals
Dan V: guitars and bass
Davide Tiso: guitars
Stefano Angiulli: synths and keyboard
RG Narchost: additional guitars

ABORYM – Facebook

Pessimist – Call To War (reissue)

L’aggiunta dei brani provenienti dal primo demo non fa che rendere ancora più appetibile questa riedizione di Call To War da parte della MDD.

Tempo di ristampa anche per i tedeschi Pessimist e del loro primo album sulla lunga distanza, il notevole Call To War uscito originariamente nel 2010 ed ora di nuovo sul mercato con l’aggiunta dei brani del primo demo Nuclear Holocaust del 2007.

E Call To War è un album che merita senz’altro un’altra occasione, perciò se siete dei thrashers incalliti l’album sarà sicuramente fonte di grosse soddisfazioni.
Tedesco di nascita ma americano nell’approccio al genere, il quintetto nel 2010 usciva con questa prova di forza niente male, un thrash metal veloce, letale, esagerato, pregno di rabbia metallica, perfetto sia nelle ritmiche che nella valanga di solos, cantato con tutta la rabbiosa aggressione che può avere un soldato sul campo di battaglia.
Dall’opener Trommelfeuer in poi, Call To War risulta un pezzo di granito estremo, perfetto nel bilanciare impatto e tecnica esecutiva, sconvolgente a tratti nei brani dove la verve strumentale prende il comando delle operazioni, assolutamente vincente in ogni suo passaggio.
Thrash metal senza compromessi ma da stropicciarsi gli occhi e le orecchie, irruento e violento come le battaglie descritte (The Massacre of Nanking, devastante traccia thrash/speed che parla dei terribili fatti di Nanchino, nel 1939 capitale cinese, da parte dell’esercito giapponese), un’apocalisse alla velocità della luce che per i thrashers duri e puri si trasforma in un’autentica perla di metal ottantiano.
L’aggiunta dei brani provenienti dal primo demo non fa che rendere ancora più appetibile questa riedizione da parte della MDD: nel frattempo sono passati tre anni dal suo successore Death from Above, dunque non perdete l’occasione di recuperare Call To War e mettetevi in attesa del prossimo massacro targato Pessimist.

TRACKLIST
01. Trommelfeuer
02. The Massacre of Nanking
03. Infernal Death
04. Prelude Arm for War
05. Call to War
06. Son of Satan
07. It’s Time To…
08. Death by Torture
09. Another Day in Mania
10. Hell of War (Bonus Track)
11. Kill or be Killed (Bonus Track)
12. Armageddon (Bonus Track)
13. I Hate You (Bonus Track)
14. Nuclear Holocaust (Bonus Track)

LINE-UP
Michael ‘TZ’ Schweitzer – Vocals
Patrick ‘Peppi’ Pfefferle – Guitar, Backing Vocals
Richard Beck – Guitar
Severin ‘Sevi’ Wössner – Bass, Backing Vocals
Raphael ‘Raphi’ Gamboni – Drums

PESSIMIST – Facebook

Ursa – The Yerba Buena Session

Gli Ursa riescono a mantenere un’ottima tensione per tutto il disco, e queste sessioni assumono il carattere di jam composte molto bene.

Gli Ursa sono la dimostrazione che con talento e passione si può fare un ottimo doom stoner metal, pur provenendo da un ambito diverso dell’universo metal.

I tre provengono da Petaluma in California, stato fresco della legalizzazione dell’erba, e questo disco è appunto un lungo viaggio in cinque canzoni in download libero.
La nascita degli Ursa si deve ad un progetto parallelo di tre quarti dei Cormorant, un buon gruppo black metal. I tre si staccano momentaneamente dal gruppo madre per fare del doom stoner di alta qualità.
Il loro suono parte dalle coordinate classiche del genere, con un passo arioso ma che non tralascia momenti maggiormente veloci, anche con l’ottimo ausilio di un organo. Gli Ursa riescono a mantenere un’ottima tensione per tutto il disco, e queste sessioni assumono il carattere di jam composte molto bene. Una delle grandi protagoniste in questo disco è l’epicità delle canzoni, e anche i testi riflettono un amore per il fantasy e per il fantastico in genere. A volte spunta il loro amore per il black metal in alcune energiche tirate, che non sono di fatto black ma che lasciano trasparire ciò. Ci si deve addentrare in The Yerba Buena Sessions per carpirne il forte carattere e la gran classe, e per gustare a fondo questo ottimo ed epico doom stoner.
In definitiva un disco che vi stupirà e che conferma l’ottima via americana al doom epico.

TRACKLIST
1.Wizard’s Path
2.Frost Giantess
3.Thirteen Witches
4.Scourge of Uraeus
5.Dragon’s Beard

LINE-UP
Brennan – Drums & Synth
Matt – Bass & Vocals
Nick – Guitars & Synth

Evilgroove – Cosmosis

Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche, atmosfere southern e grunge rock.

C’è né voluto di tempo, ma alla fine anche gli Evilgroove arrivano al traguardo del primo lavoro sulla lunga distanza grazie alla nostrana Atomic Stuff.

Attivi sotto il monicker di Sunburn dal 1997 in quel di Bologna, Daniele “Doc” Medici alla chitarra, Matteo “Matte” Frazzoni al basso e Luca “Fraz” Frazzoni alla voce, dopo un paio di demo nel 2005 cambiano il nome in Evilgroove, prendendo parte a varie compilation e tributi.
Il 2014 è l’anno dell’entrata in formazione del batterista Christian “Sepo” Rovatti , e un paio di anni dopo iniziano a lavorare a Cosmosis, album che ci fa tornare indietro fino ai primi anni novanta, tra metal e grunge, hard rock e groove metal tra Pantera e Black Label Society, insomma una goduria per gli amanti del rock americano con il quale abbiamo attraversato l’ultimo decennio del secolo scorso.
I primi anni novanta per molti sono stati un periodo di vacche magre per l’heavy metal, mentre il grunge, l’alternative ed il metal estremo seminavano per raccogliere i frutti artistici tra crossover, nuove tendenze e voglia di mettersi in gioco.
Con il successo della musica di Seattle il rock americano ha vissuto un periodo d’oro, non solo per merito delle truppe del grunge: Corrosion Of Conformity, Tool, Black Label Society sono realtà che poco hanno a che fare con le note create nella piovosa città dello stato di Washington, ma è indubbia l’importanza dei loro album per il metal/rock di quel periodo.
Oggi, chi segue le vicende intorno al rock raccoglie i frutti di quella semina, anche e soprattutto per merito della scena underground colma di band che, ispirate dal suono di quello splendido periodo, creano lavori intensi e sopra la media.
E gli Evilgroove, con Cosmosis, fungono da perfetto esempio, proponendo un lavoro che trae ispirazione dai gruppi di cui si accennava in precedenza, dunque non un lavoro che brilla per originalità (ma chi di questi tempi, suonando hard rock chi può vantarsene?), bensì un ottimo album hard rock/metal con tutti i crismi per soddisfare gli amanti dei suoni americani.
Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche panteriane, atmosfere southern tra Corrosion Of Conformity e Black Label Society e grunge più vicino ai Soundgarden che ai Nirvana, tanto per ribadire che qui si fa hard rock, alternativo quanto si vuole ma con i piedi ben piantati nel genere.
I brani meriterebbero tutti una menzione ma, oltre a ricordarvi le portentose Locusta, I The Wicked e Soul River, vi invito semplicemente a far vostro Cosmosis senza indugi.

TRACKLIST
01. Turn Your Head
02. Lucusta
03. Space Totem
04. I, The Wicked
05. Kick The Can
06. Physalia
07. Voodoo Dawn
08. Soul River
09. What I Mean
10. Cosmosis

LINE-UP
Daniele “DOC ” Medici – Guitar
Matteo “MATTE” Frazzoni – Bass
Luca “FRAZ” Frazzoni – Vocals
Christian Rovatti – Drums

EVILGROOVE – Facebook

Four Star Revival – The Underdog EP

I Four Star Revival non si chiudono a riccio difendendo a spada tratta il metal old school, ma lo approcciano con un piglio moderno che, a conti fatti, dimostra come certe sonorità, se rinfrescate a dovere, possano ancora dire la loro.

Tornano con un nuovo ep di cinque brani i Four Star Revival, gruppo statunitense composto da vecchie volpi dell’hard rock ed heavy metal del nuovo continente.

Ed Girard (ex Common Social Phenomenon) al basso, Benny Bodine (ex Warminister) alla sei corde, il batterista Paul Strausburg ed il singer Jack Emrick, ex Live After Death e con un presente negli storici Armored Saint, formano questa sorta di super gruppo, che fece parlare di sé un paio di anni fa con il debutto sulla lunga distanza intitolato Knights of the Revival.
In attesa di un nuovo full length la band licenzia The Underdog ep che funge da parentesi tra il primo lavoro ed il prossimo.
Il sound del quartetto americano si compone di un’ottima amalgama di sonorità della tradizione metallica statunitense che vanno dall’hard rock all’heavy power, sorrette da potentissime bordate ritmiche, suoni chitarristici forgiati nell’U.S. metal ed una prestazione sontuosa del cantante, classico esempio della scuola d’ oltreoceano, dall’ugola maschia d’impostazione hard rock e molto interpretativa.
I Four Star Revival non si chiudono a riccio difendendo a spada tratta il metal old school, ma lo approcciano con un piglio moderno che, a conti fatti, dimostra come certe sonorità, se rinfrescate a dovere, possano ancora dire la loro.
The Underdog spara subito due cannonate come la title track e Liar, heavy power song con groove a manetta e solos tonanti, mentre il vocalist dimostra subito che, dietro al microfono degli Armored Saint non ci si finisce per caso.
Rumors Of War è un mid tempo leggermente più scontato , mentre con Broken si vola sulle ali di una semi ballad in crescendo e The Garden Of Good And Evil chiude alla grande questo ep con fuochi d’ artificio di scuola primi Savatage e i già citati Armored Saint.
Un ottimo mini che conferma la bontà del gruppo dell’Ohio e ci consegna un’altra band da seguire nel suo cammino metallico, sperando che i tempi di attesa per il prossimo album non siano troppo dilatati.

TRACKLIST
1.The Underdog
2.Liar
3.Rumors Of War
4.Broken
5.The Garden Of Good And Evil

LINE-UP
Jack Emrick – vocals
Benny Bodine – guitar
Ed Girard – bass
Paul Strausburg – drums

http://www.facebook.com/FourStarRevival

Yith – Dread

Yith sforna un disco cthulhiano dai nobili e orrorifici propositi che, pur non potendo dirsi un capolavoro, vale il prezzo del biglietto

Dread – un dischetto ibrido black / doom che non si lascia andare ad eccessi avanguardisti – è il debutto di Yith, one-man band statunitense che negli anni scorsi ci aveva deliziati con svariati demo che lasciavano ben sperare per il futuro. Prodotto, questo, confezionato con cura maniacale fin dalle copertine: la prima è un bellissimo olio di G. Illness – uno dei maggiori paesaggisti della pittura americana moderna – mentre la seconda riporta Le Prisonnier di Odilon Redon, oggi conservato al Musée des Beaux Arts di Nantes.

Dread è un’opera lovecraftiana fin dai titoli (Centuries of Horror, ad esempio, fa sicuramente venire in mente l’epica e l’universo dello scrittore statunitense) che si propone di narrare in musica l’odissea esistenziale degli umani che vengono a contatto con l’orrore del malevolo Cthulhu, Yuggoth e consoci: il ché – ammetteranno gli appassionati – non è certo compito facile visto la portata del genio letterario di cui stiamo parlando. Se il concetto che vi sta dietro è interessante e complesso, il lavoro finito è più solido che brillante. L’album si apre con Time and Loss: arpeggi acustici, di tentazione (trattenuta) quasi neo-folk, che esplodono prestissimo in un dapprima monolitico e veloce black metal ortodosso che rallenta a tratti per farsi doom. Ma è dalla seconda traccia che l’album svolta: Resentment è forse il brano più rappresentativo del disco. Brano compatto che si apre, verso la fine, ad un pattern di interessantissimi riff astrali alternati a momenti più funerei, a simboleggiare la “doppia dimensione” lovecraftiana, divisa tra gli spazi cosmici e multidimensionali – comunque sempre cupi e spaventosi – in cui vivono le forze e l’entità del suo universo e il mistero, tutto terreno, che suscita agli involontari umani e agli adepti che vengono a contatto con rimandi, culti, sette iniziatiche, tracce che tali entità hanno sparso nel mondo: soluzione interessantissima questa ai fini di tradurre in musica il concept dell’album, che sarebbe potuta esser sfruttata in maniera maggiormente coraggiosa, azzardando qualcosina di più. Successivamente, mentre Remembrance funziona da intermezzo acustico (piuttosto inutile e superficiale), Upon Dark Shores sorprende per il suo dividersi equamente – a frazioni – tra un black tanto oscuro quanto canonico e certi raffinati citazionismi a quella scuola doom anni ’90, sulla falsa riga dei primi Thergothon di Fhtagn-nagh Yog-Sothoth – a loro volta affascinati dallo scrittore statunitense -. Infine, la breve e inaspettata Immurement – con tastiere, synth eterei e lugubri, certe sonorità alla Lustre in versione più funeral – chiude il lavoro in maniera azzeccata: misterica e ambienteggiante.

Se il concept che sottostà a questo disco – patrizio nelle intenzioni – è indubbiamente notevole, il prodotto finito purtroppo non è sempre all’altezza dei propositi. Le vocalità non sono mai particolarmente originali o incisive, ma la fase di produzione è attenta e curata. Il tutto vanta comunque la ripresa di un mondo letterario nobilissimo, oltre a momenti e cavalcate talvolta avvincenti e interessanti. Purtroppo è un album che, vista la sovrabbondanza di dischi simili e/o di superiore livello, rischia di finire presto risucchiato e dimenticato in quel gigantesco maelstrom da fast-food che è il metal attuale: merita invece a nostro giudizio almeno un ascolto, perlomeno da quella nobilissima frangia di cultori più attenta, colta e fanatica. E poi, diciamocelo, il binomio Lovecraft / black-doom è sempre sfiziosissimo.

TRACKLIST:
1. Time and Loss
2. Resentment
3. Remembrance
4. Dread
5. Centuries of Horror
6. Upon Dark Shores
7. Immurement

LINE-UP:
Yith – All instruments

YITH – Facebook

Crossbones – WWIII

WWIII è un disco che convince e che fa venire voglia di sentirlo più volte, perché qui dentro c’è il vero metal, quello fatto con passione e olio di gomito, senza nascondersi dentro una tastiera o con effetti particolari.

I Crossbones sono semplicemente il primo e tuttora il migliore gruppo metal albanese, ed ascoltando WWIII il motivo lo capirete facilmente.

Il loro thrash con inserti di groove metal crea un suono molto interessante, con canzoni ben composte e passaggi sonori vari ed azzeccati. Questo disco, mixato e masterizzato da Tommy Talamanca ai Nadir Studios, è il primo prodotto in un certa maniera nella più che ventennale carriera dei Crossbones, dato che sono nati nel 1996 e nel 1997 hanno prodotto il primo disco metal albanese, Days Of Rage, ancora oggi insuperato pilone della storia del metal e del rock in Albania. Ai Crossbones non basta però fare la storia perché vogliono continuare a produrre ottimo metal, come avviene in questo caso. Le architetture sonore sono abbastanza complesse e rendono le canzoni stratificate, con un percorso che porta le melodie in primo piano, mentre la pesantezza del suono è molto ben bilanciata, grazie anche al notevole lavoro di Tommy Talamanca, ma le basi ci sono tutte. Suonano più freschi ed interessanti i Crossbones che tanti altri gruppi molto più giovani, ma anche maggiormente stereotipati e noiosi. WWIII è un disco che convince e che fa venire voglia di sentirlo più volte, perché qui dentro c’è il vero metal, quello fatto con passione e olio di gomito, senza nascondersi dentro una tastiera o con effetti particolari: un lavoro ben fatto, complesso senza essere difficile, e ha quel sentire che i metallari capiscono al volo e che fa del metal una delle cose più belle sul globo terracqueo. I ragazzi dall’Albania saranno in questi giorni insieme ai Septem in tour, due gruppi da seguire senz’altro, anche dal vivo.

TRACKLIST
1. I’m God
2. Gates of Hell
3. Gjallë
4. WTF
5. Messing with the Masses
6. Schizo
7. Rise
8. You Fool
9. That Kind of Feeling
10. I’m God, Pt. 2

LINE-UP
Ols Ballta – vocals
Theo Napoloni – drums
Ben Turku – guitars
Klejd Guza – bass

CROSSBONES

tps://www.youtube.com/watch?v=ye69hCwHxRE

Magnet – Feel Your Fire

E’ difficile che Feel Your Fire, con un sound così vintage, possa entrare nei gusti dei rockers attuali, mentre piacerà molto a chi con queste sonorità ci è cresciuto e si ritrova il mento imbiancato da un pizzetto mefistofelico.

Atmosfere occulte, suoni vintage di matrice rock blues, linee chitarristiche eleganti e sfumature sabbatiche e lascive donano un tocco sacrilego e magico al rock settantiano suonato da questo gruppo capitanato da Riccardo Giuffrè, bassista dei Psychedelic Witchcraft, qui alle prese con voce e chitarra.

E di blues è pregno Feel Your Fire, un album che continua imperterrito a solcare la strada dei Magnet, anche se il sound risulta più dinamico e rock ‘n’roll, specialmente nell’opener Buried Alive With Thee.
Le atmosfere vintage donano all’album un’aura di magia musicale, e i riferimenti espliciti a nomi di spicco del panorama hard rock non inficiano la buona riuscita di brani dal forte sentore di incenso, messianici pur non essendo esplicitamente doom.
Un rito, musica che non insegue la chimera dell’originalità, ma che sa donare ancora forti emozioni, così esposta ai delicati venti blues pur mantenendo una buona verve hard e leggere sfumature psichedeliche: si viaggia in un trip settantiano per tutta la durata dell’album, con atmosfere che passano dal rock’n’roll al blues occulto e ricco di magia (Ouroborus, Little Moon) al finale tutto dedicato ai Black Sabbath con Magnet Caravan, brano tributo alla Planet Caravan di Iommi e soci.
E’ difficile che Feel Your Fire, con un sound così vintage, possa entrare nei gusti dei rockers attuali, mentre piacerà molto a chi con queste sonorità ci è cresciuto e si ritrova il mento imbiancato da un pizzetto mefistofelico.

TRACKLIST
1. Buried Alive With Thee
2. Ouroboros
3. Light
4. Little Moon
5. Drive Me Crazy
6. Feel Your Fire
7. Satan’s Daughter
8. Magnet Caravan

LINE-UP
Riccardo Giuffrè
Jacopo Fallai
Mirko Buia
Vanni Fanfani

MAGNET – Facebook

childthemewp.com