Klimt 1918 – Sentimentale Jugend

Il lungo silenzio discografico dei Klimt 1918 viene ampiamente compensato dalla pubblicazione di un lavoro di livello eccelso.

Un periodo lungo sei anni può apparire molto breve o pressoché eterno, dipende tutto dal contesto e dall’importanza che riveste per ciascuno il concetto di tempo.

Fatto sta che i Klimt 1918 si palesano nuovamente all’attenzione dei musicofili alla costante ricerca di sonorità nelle quali malinconia e melodia si rincorrono, senza mai ammiccare ad una facile fruibilità.
Del resto, solo l’idea di ripresentarsi al pubblico con quasi due ore di musica non sembra proprio indicare una scelta biecamente commerciale, in tempi di ascolti usa e getta portati alle estreme conseguenze; tra l’altro, la musica della band romana non è certo un qualcosa che possa essere affrontata con noncuranza, nonostante una sua levità del tutto apparente: il pop rock dei Klimt 1918, ora screziato di oscurità, ora sognante all’insegna del migliore shoegaze, gode di una profondità che lo rende peculiare, scoraggiando chiunque provi a cercare termini di paragone comodi quanto fuorvianti.
Sentimentale Jugend è un album che ha avuto una lunga gestazione, e quello che sorprende di più è l’apprendere, dalle parole di presentazione dello stesso Marco Soellner, quanto il tutto si manifesti ad un tale livello di perfezione malgrado uno sviluppo in tempi così dilatati e le naturali interferenze che la vita quotidiana piazza sulla strada di musicisti impossibilitati, purtroppo, a campare delle propria arte. Anche per questo, quando ci viene fornita la possibilità di ascoltare opere di un certo spessore, dovremmo provare ad immedesimarci nelle difficoltà che affrontano le nostre band rispetto, per esempio, a quelle del Nord Europa, agevolate da organizzazioni statali che sicuramente favoriscono chi voglia trovare uno sbocco alla propria indole artistica.
Fatte le dovute premesse, non resta che tuffarsi in questo vasto oceano di note che, fin dal titolo, riporta ad una Berlino crepuscolare e ad un afflato poetico che, pur ispirandosi negli intenti alla scena settantiana della capitale tedesca, trae linfa dalla Città Eterna e dall’esplorazione dei suoi meandri più oscuri, cosa che è stata fatta con successo in epoca recente, pur utilizzando differenti coordinate sonore, da altre band capitoline come Riti Occulti, Rome in Monochrome o Raspail (questi ultimi collegati ai Klimt 1918  per la presenza in line-up di elementi comuni).
Montecristo, Comandante e La Notte è il trittico d’apertura del CD Sentimentale, che da solo basterebbe a nobilitare l’intera carriera di centinaia di gruppi: tre maniere diverse, ma ugualmente convincenti, di interpretare la materia, con il mio personale picco di gradimento per La Notte, brano cantato in italiano contraddistinto da un fremente crescendo; la prima delle due parti dell’opera vede ancora Belvedere e la title track quali ulteriori vertici qualitativi, senza dimenticare la splendida cover di Take My Breath Away, canzone composta per i Berlin esattamente trent’anni fa dal più “berlinese” dei musicisti italiani, Giorgio Moroder.
Il secondo CD, Jugend, non differisce più di tanto dal precedente dal punto di vista stilistico, a parte forse un piglio leggermente più nervoso, ben esplicitato dai ritmi sostenuti di Sant’Angelo (The Sound & The Fury), preceduta però dalle ariose aperture melodiche di Ciudad Lineal; qui altri picchi sono The Hunger Strike, canzone che gode di una seconda parte in cui i fiati vanno a sovrapporsi ad una progressione sognante, e la poesia musicata di Stupenda e Misera Città.
In questa lunga traccia, la voce del noto doppiatore Max Alto interpreta la prima parte del poemetto pasoliniano “Il pianto della scavatrice” sopra un tessuto sonoro che ne enfatizza l’impatto evocativo: l’omaggio ad un grande poeta si rivela l’ideale chiusura di un opera che, proprio nella poesia, trova il suo aspetto più caratterizzante, pur se veicolato dai suoni per lo più liquidi e morbidi dello shoegaze d’autore.
La scelta di una produzione volutamente non troppo “leccata” aumenta il potenziale oscuro di un lavoro la cui lunghezza, se da una parte ne rende più laboriosa l’assimilazione, dall’altra consente di godere di un robusto fatturato di musica emozionante, senza momenti deboli salvo, forse, la canzone più sbilanciata verso il pop britannico, Nostalghia, ma che probabilmente mi appare tale più per gusto personale che non per oggettivi demeriti dei Klimt 1918.
Per concludere, una nota di servizio utile ai molti che (si spera) decideranno di fare proprio Sentimentale Jugend: l’opera è disponibile nel formato integrale in doppio CD, ma Sentimentale e Jugend possono essere acquistati anche separatamente, con due diverse copertine; ritengo però difficile, ed anche inopportuno, che qualcuno possa optare per l’uno o l’altro disco, vista la citata contiguità stilistica che li accomuna, per cui consiglio vivamente di non fare troppi calcoli scegliendo la versione completa, ne vale davvero la pena.

Tracklist:
CD 1 Sentimentale
1.Montecristo
2.Comandante
3.La Notte
4.It Was To Be
5.Belvedere
6.Once We Were
7.Take My Breath Away
8.Sentimentale
9.Gaza Youth

CD 2 Jugend
1.Nostalghia
2.Fracture
3.Ciudad Lineal
4.Sant’Angelo (The Sound & The Fury)
5.Unemployed & Dreamrunner
6.The Hunger Strike
7.Resig-nation
8.Caelum Stellatum
9.Juvenile
10.Stupenda e Misera Città
11.Lycans

Line-up:
Marco Soellner – vocals & guitars
Paolo Soellner – drums & percussions
Davide Pesola – bass
Francesco Conte – guitars

KLIMT 1918 – Facebook

Southern Drinkstruction – Vultures Of The Black River

I Southern Drinkstruction sono uno dei migliori gruppi nel loro genere e danno alle stampe un disco clamoroso, tanto semplice quanto difficile, ma questi ragazzi di classe ne hanno da vendere.

Dal 2007 questi ragazzi romani allietano le nostre orecchie con diversi massacri sonori, e questo disco è il modo migliore per festeggiare, un po’ in anticipo, dieci anni di sbronza attività.

Bisogna dire subito che questo è il loro disco migliore, in mezzo a prove già ottime, come tutti i loro lavori precedenti. Rispetto a questi ultimi i Southern Drinkstruction si sono ulteriormente induriti, e sono diventati più veloci, senza perdere un grammo della loro potenza, anzi accrescendola. Si è anche ampliato e di molto il loro spettro sonoro, rendendo ancora più efficace la capacità di far del male all’ascoltatore. Cosa ancora più importante, questo disco non vi farà stare fermi, con un’intensità degna delle sparatorie di Tex Willer e dei suoi pards. Non si scende mai da questo cavallo lanciato in corsa contro il mondo. Il gruppo è cresciuto molto e Vultures Of The Black River è un disco molto bello e pesante, con forti influenze southern, davvero un metal ben registrato e all’altezza o anche sopra a tanti nomi ben più blasonati. Questi romani hanno una potenza impressionante e soprattutto una capacità di dare sempre il massimo, dote in possesso di pochi. In questi ultimi tempi pochi dischi si fanno ascoltare più e più volte come questo, e ad ogni curva si vede un paesaggio nuovo, una nuova porzione di sangue e sabbia. I Southern Drinkstruction sono uno dei migliori gruppi nel loro genere e danno alle stampe un disco clamoroso, tanto semplice quanto difficile, ma questi ragazzi di classe ne hanno da vendere. Attenti alle vostre birre quando sono nei paraggi. Southern metal style.

TRACKLIST
1.Appetite For Drinkstruction
2.Elvis In Chains
3.Vultures Of The Black River
4.Ass Parking Bitch
5.Goatboy
6.Back To Kill You
7.Say My Name
8.Out For Blood
9.Bloody Stone
10.THUV

LINE-UP
Francesco Basthard – Vocals
Pinuccio Ordnal – Guitars
Carlo Zorro – Bass
Andrea Vagenius – Drums

SOUTHERN DRINSTRUCTION – Facebook

Sentient Horror – Ungodly Forms

Ungodly Forms è un’entità estrema che va gustata dall’inizio alla fine senza cercare troppo il momento migliore, qui siamo nella perfezione assoluta

Si avvicina la fine dell’anno e si cerca di tirare le somme di quello che il 2016 ha regalato in campo metallico.

Le classifiche sono sempre affascinanti ma nel sottoscritto incutono il timore di dimenticare opere che meriterebbero un posto tra le migliori, specialmente se il numero di album citati si riduce a non più di una decina dopo che per tutto l’anno si è sguazzato tra i vari generi e fortunatamente in un numero abbondante di ottimi lavori.
Quando più o meno ero riuscito a farmi un’idea approssimativa dell’elenco finale, ecco che a stravolgere il tutto arriva questa bomba sonora targata Sentient Horror, band del New Jersey capitanata dall’ex Dark Empire Matt Moliti al primo, fenomenale, lavoro.
Dan Swanö , uomo di poche parole si è esposto sul gruppo con questa affermazione: uno dei migliori progetti Swedish Death che ho incontrato negli ultimi 20 anni, la miscela perfetta di tutti i punti salienti della scena svedese dall’ 89 al 91, davvero impressionante.
Intanto il mitico musicista e produttore ci ha messo lo zampino masterizzando Ungodly Forms dalle sue parti (Unisound Studios, ovviamente) e l’album se ne giova, esplodendo in tutta la sua carica estrema e quella brutalità melodica (se mi passate il termine) tipica dello storico sound scandinavo.
Ungodly Forms, un album talmente travolgente che spedisce direttamente all’inferno alle prime note dell’opener e vi tiene giù, anche se cercherete di scappare da una serie di inni al death metal che impressionano per carica distruttiva, songwriting ed un impatto che chiamare devastante è puro eufemismo.
Tutto è perfetto e magico in questa opera, si torna infatti a respirare l’aria putrida di cimiteri e tombe marcite dalla neve quasi perenne dei lunghi inverni scandinavi; perizia tecnica, talento melodico sopra le righe, un lotto di brani che non concede speranza se non quella di arrivare distrutti alla fine, per ricominciare a correre prima che le sei corde di Moliti e Jon Lopez taglino le nostre carni e che la sezione ritmica scopra il cuore ancora pulsante (Ian Jordan al basso e Ryan Cardoza alle pelli) e la diano in pasto al growl di Moliti (ancora lui), protagonista assoluto di questo monumento al death metal old school.
Una guardia destra che combatte come una guardia sinistra, raccontava il cronista di uno degli incontri di Sylvester Stallone nella famosa saga di Rocky, mentre qui abbiamo un gruppo americano che suona come Edge Of Sanity, Entombed, Grave, Dismember e Unleashed, il meglio del death scandinavo a cavallo dei due decenni a mio avviso più importanti per lo sviluppo del metal estremo.
Non biasimatemi se non vi cito qualche brano, Ungodly Forms è un’entità estrema che va gustata dall’inizio alla fine senza cercare troppo il momento migliore, qui siamo nella perfezione assoluta.

TRACKLIST
1. Into the Abyss
2. Abyssal Ways
3. Die Decay Devour
4. Blood Rot
5. Splinter The Cross
6. Beyond The Curse Of Death
7. Ungodly Forms
8. Suffer To The Grave
9. A Host Of Worms
10. Of Filth And Flesh
11. Mourning (Instrumental)
12. Celestial Carnage

LINE-UP
Matt Moliti – Vocals, Lead Guitar
Ian Jordan – Bass
Ryan Cardoza – Drums
Jon Lopez – Guitar

SENTIENT HORROR – Facebook

VV.AA. – Mister Folk Compilation Volume IV

La qualità delle prime tre era alta, ma questo quarto episodio è fantastico, dal livello altissimo.

Arriva uno dei più bei regali, non parliamo di Natale, che non esiste, ma come regalo in assoluto. Arriva la quarta raccolta in download gratuito di folk e viking metal del sito Mister Folk, semplicemente il migliore portale italiano e non solo riguardante il genere.

Dopo una breve pausa dovuta ai suoi mille impegni, Fabrizio Giosuè, la mente e il braccio di Mister Folk, ha ripreso alla grande il sito, che è migliorato, diventando più ricco e con molte recensioni sulle migliori produzioni del campo.Oltre ad essere un gran bel sito, Mister Folk ogni tanto rilascia delle bellissime raccolte di folk viking metal da tutto il mondo, sempre in free download. La qualità delle prime tre era alta, ma questo quarto episodio è fantastico, dal livello altissimo. Ci sono gruppi da tutto il mondo e la raccolta fotografa in maniera molto dettagliata e precisa la scena mondiale underground, quella migliore insomma. Il genere, negli ultimi anni, ha conosciuto una certa ribalta mondiale, soprattutto nei paesi scandinavi e in Russia, ma lo si può trovare nelle nazioni più disparate, anche dove te lo aspetteresti di meno come la Spagna e il Cile, invece il folk metal è un linguaggio comune a molti musicisti. Il livello delle produzioni folk metal non è sempre buono, anche perché è facile cadere nel ridicolo in questo genere, ma se seguirete i consigli di Mister Folk riuscirete sempre ad ascoltare il meglio, come in questa raccolta. In questo episodio vi sono anche gruppi italiani molto validi, come Scuorn, M.a.i.m. o Gotland, e ciò conferma l’ottima situazione della scena italiana, che a mio avviso ha un taglio molto particolare. La quarta raccolta di Mister Folk testimonia inoltre anche un cambiamento nella composizione del genere, che a mio avviso sta trovando una fantastica sintesi tra folk e metal, anche grazie ad una maggiore melodia, questo almeno nelle produzioni migliori. Insomma, questa raccolta è veramente valida, fatta con passione e competenza, le qualità che hanno portato Fabrizio a pubblicare anche la bibbia del genere, Folk Metal – Dalle Origini al Ragnarok – per la Crac Edizioni, e anche il bellissimo Tolkien Rocks – Viaggio Musicale nella Terra di Mezzo, vero e proprio duplice atto di amore per la musica metal e per Tolkien. Nello zip della raccolta vi sono due estratti dei libri.
Impreziosisce il tutto la fantastica copertina e booklet interno ad opera della disegnatrice Elisa Urbinati, andate sul suo sito www.elisaurbinati.it, ne vale davvero la visione.
Chiude idealmente il tutto una cover del vate caro agli dei, Quorthon, in arte Bathory, perché senza di lui tutto questo non sarebbe stato possibile.

TRACKLIST
1) Skyforger – Rāmava
2) SIG:AR:TYR – Northen
3) ODR – Fuochi Nelle Valli
4) Grimtotem – Kütral
5) An Theos – Chemarea Străbunilor
6) Scuorn – Fra Ciel’ E Terr’
7) Song Of Chu – Yu Ren
8) Storm Seeker – Jack
9) Æxylium – The Blind Crow
10) Heather Wasteland – The Sverd
11) Gotland – Traitor Or Savior
12) Goblin Hovel – The Menace
13) Helroth – To Forgotten Gods
14) Illdåd – Moder Natur
15) Ulfsark – Flames Of War
16) Harmasar – Porcu
17) Tears of Styrbjørn – Years Of Victory
18) Yomi – Fires Of War
19) M.A.I.M. – Freedom Tank
20) Boisson Divine – Sent Pencard
21) Bloodshed Walhalla – Drangon’s Breath (Bathory cover)

MISTER FOLK – Facebook

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Leprous – Live at Rockefeller Music Hall

Questo live consacra la band come nome cardine di un certo modo di suonare musica progressiva nel nuovo millennio

E giunse per progsters norvegesi Leprous il momento di immortalare la loro musica in un monumentale cd/dvd dove finalmente il loro talento viene nobilitato, sia nel supporto audio che video.

Analizzare un live non è così facile, una volta il classico live album che arrivava per fotografare il periodo di maggior successo di una band era supportato solo dal supporto audio, oggi i live si sprecano, ed i dvd che aggiungono la bellezza virtuale nel vedere lo spettacolo nella sua interezza non fanno più notizia, a meno che non si tralascino le solite band da un dvd all’anno e ci si regali qualcosa di unico come Live at Rockefeller Music Hall dei Leprous.
Quattro capolavori in studio nel giro di sei anni con i primi due assolutamente clamorosi (Tall Poppy Syndrome e Bilateral) e gli ultimi (Coal e The Congregation dello scorso anno) a confermare la maturità artistica e l’enorme talento dell’immenso Einar Solberg e compagni, la band come saprete ha trascorsi estremi e si sente, ancora di più in sede live, dove i suoni (straordinari) sono inevitabilmente induriti e l’atmosfera dark apocalittica di molte composizioni è accentuata nel supporto video dalla scenografia scarna ma spettacolare.
Con due ospiti d’eccezione, come il vecchio batterista Tobias Ørnes Andersen e sua maestà Ihsahn, con cui la band ha collaborato alle opere in studio, lo spettacolo progressivo di questo live tocca vette espressive altissime , altalenando momenti di bellissima musica estrema ad atmosfere dark progressive, ipnotizzati dalla voce fuori categoria di Solberg, un marziano per interpretazione e calore che emana, mentre il freddo glaciale di molti passaggi al limite del black travolgono l’ascoltatore in un turbinio di synth originalmente moderni e la lucida perfezione del battito delle bacchette sulle pelli di Baard Kolstad.
La band dà molto spazio all’ultimo lavoro che viene eseguito in quasi tutta la sua interezza e dove spiccano, nella magia dall’attimo, la stupenda Slave e The Flood che apre il concerto.
Un album perfetto in tutti i dettagli, una performance fuori dagli schemi ed un finale lasciato al capolavoro Contaminate Me, spettacolarizzata dal duetto tra Solberg e Ihsahn e che regala l’ultima della marea di emozioni che i Leprous sanno regalare anche e soprattutto dal vivo.
Questo live consacra la band come nome cardine di un certo modo di fare musica progressiva nel nuovo millennio, ignorare la musica dei Leprous è peccato mortale soprattutto se si è amanti del nuovo progressive, band dal valore qualitativo enorme.

TRACKLIST

Disc 1
1.The Flood
2.Foe
3.Third Law
4.Rewind
5.The Cloak
6.Acquired Taste
7.Red
8.Slave
9.The Price
10.Moon
11.Down
12.The Valley
13.Forced Entry
14.Contaminate Me

Disc 2
1.Behind the Scenes
2.Slave (Lyric Video)
3.Restless (Video Clip)
4.The Cloak (Video Clip)
5.The Price (Video Clip)
6.Leprous at Rockefeller 13 Years Earlier

LINE-UP
Tor Oddmund Suhrke – Guitars, Vocals (backing)
Einar Solberg – Keyboards, Vocals (lead)
Øystein Landsverk – Guitars, Vocals (backing)
Baard Kolstad – Drums

LEPROUS – Facebook

ALMASSACRO

La rabbia è sempre interessante e soprattutto viva nell’underground, e nei gruppi che continuano a prendere gli strumenti dopo il lavoro e vanno in sala prove per gridare la loro rabbia. Qui di seguito abbiamo intervistato un gran gruppo sardo, gli Almassacro, rapcore di qualità, fatto con cuore e coglioni.

iye Come nascono gli Almassacro ?

La band nasce nel 2010 come side project, la formazione era diversa e comprendeva membri dei Reminiscenza e Isojada e dei Sangue e Feccia.
Il nome Almassacro (scritto tutto attaccato) viene fuori dallo stato d’animo del momento, di fatto rappresenta una condizione,un modo di affrontare le cose di petto, mettendo in conto anche lo scontro fisico di chi affronta la vita e le avversità senza timori della serie ….pronti a tutto, Almassacro!
Nel 2012 a causa di avvenimenti indipendenti dalla band il progetto si ferma totalmente e finisce in cantina.
Nonostante le difficoltà, la band non muore, anche grazie all’ostinazione di Ese e Sgrakkio nel voler proseguire, e nel 2013 si rientra in sala con un cambio di elementi: dei membri fondatori restano appunto solo Ese e Sgrakkio ,che contattano il resto della formazione.
Si ricomincia in silenzio, con nuove idee e con tanta voglia di fare e dopo 6 mesi di prove si esce allo scoperto.
Abbiamo iniziato a fare un bel po’ di concerti con la nuova formazione e siamo stati molto fortunati, dobbiamo ammetterlo, perché abbiamo condiviso il palco con i Madball, GBH, Kaos One, Strenght Approach, Mezzosangue, Moscow Death Brigade, Ensi e tanti altri.
Nel 2015 registriamo Ostilità, il nostro primo EP, e lo portiamo in tour suonando anche in Francia e Svizzera.

iye Cosa vi ha spinto a fare musica ?

Lo stato delle cose, la realtà in cui siamo cresciuti, la necessità di esprimere il nostro dissenso e dire la nostra senza volerci omologare, la passione per ciò che facciamo, la volontà di essere e non di apparire .

iye A quale gruppo o musicista vi sentite più vicini ?

Nessuno in particolare, abbiamo tutti altri progetti musicali e tutti siamo cresciuti con diverse influenze e ascolti.
Sicuramente siamo legati alla scena rap italiana e statunitense anni ’90, quella che portava con sé un messaggio,
dd alcuni rapper europei di livello e a tutti quelli che di quella scena hanno preso il meglio e la portano avanti, alla scena hardcore tutta, compresa quella Italiana con cui siamo cresciuti, è parte del nostro sound e ci ha influenzato e continua a farlo anche nella vita di tutti i giorni.

iye La musica può essere uno strumento politico ?

Certamente lo è in quanto la musica è un linguaggio universale rivolto alle masse, spesso può portare con se anche un messaggio politico o politicizzato.
Chiunque salga su un palco o scriva dei dischi di fatto sta comunicando verso chi guarda e ascolta in maniera implicita.
Ma la politica è una cosa i partiti sono ben altro.
Facendo un distinguo, per noi i partiti politici non rappresentano che organizzazioni a delinquere legalizzate, nessuno escluso, non ci interessano, li odiamo tutti; la musica è un linguaggio che guarda oltre e abbatte ogni barriera ed è incontrollabile, questo per noi è il messaggio politico più importante che ci sia

iye E’ possibile in Italia fare musica da strada ?

E’ un amara constatazione, in Italia suonare in giro è sempre più difficile.
Mancano i posti e la scena ma, per fortuna, c’è chi resiste …
Oggi le nuove generazioni passano più tempo sui social che a vivere le loro esistenze, è molto triste ma
l’avvento di internet, nel bene e nel male, ha dato a tutti ampia scelta di vedere i concerti su Youtube e la gente non segue più i concerti: magari si scaricano il tuo pezzo ma non verranno mai ad un tuo concerto se prima sui social media non hanno fatto di te un fenomeno.
I ragazzi hanno saltato la fase più bella, quella adolescenziale: non hanno vissuto i concerti, lo sbattimento, il diy, la voglia di fare concerti e fare aggregazione, è sempre più raro vedere gente per strada o in cantine e capannoni in campagna a tirare su eventi … si è perso lo spirito e il tramandare i valori più sani, mancano lo stare insieme e la voglia di fare gruppo.

iye Cosa pensate del vostro paese e come immaginate il suo futuro ?

Ascoltando Colpo di grazia e A.C.A.B. ti puoi fare un idea del nostro pensiero …
Viviamo in una democrazia sospesa, in un paese che va a rotoli e nessuno che scenda in strada e reagisca … sono tutti leoni su Facebook … Noi a nostro modo cerchiamo di far capire, anche attraverso la nostra musica, che il fondo lo si sta grattando già da tempo: è il nostro piccolo contributo per tentare un risveglio delle coscienze!

iye Prossimi concerti ?

Noi siamo in giro … ovunque e comunque!

iye Progetti futuri ?

Siamo sul pezzo, lanceremo a breve il video on the road di Attitude, stiamo scrivendo e provando roba nuova e, salvo imprevisti, per il 2017 prevediamo di fare uscire il prossimo lavoro seguito da un tour promozionale.

Grazie mille agli Almassacro.
La lotta continua.

Almassacro – Ostilità

Uno dei migliori dischi underground italiani dell’anno, ed uno dei migliori lavori in ambito rapcore.

La musica ha molti usi, ognuno dentro di sé ne conosce il più intimo, quello più adatto a lui, ma sicuramente è il veicolo migliore della propria rabbia, e qui in Ostilità dei sardi Almassacro di rabbia ce n’è tanta.

Questo disco è una cosa rara, nel senso che musicalmente siamo nei sobborghi della New York anni novanta, dove il rap si abbracciava mortalmente al metal, o nella Los Angeles dei Downset, stessi codici facce diverse, come nella Sardinia del 2016. Gli Almassacro fanno un disco fantastico di metal e di rap, di cuore e di stomaco, testi bellissimi e una musica che viaggia benissimo. Il loro è un rapcore esplosivo, nemmeno politico, è rabbia che viene dal basso, contro i capi e i loro sgherri. Ostilità è proprio ciò che dice il titolo, ed è un lavoro esplosivo fatto benissimo, che fa il paio con un’altra meraviglia, ovvero il disco dei La Furia, altro capolavoro. Qui rispetto ai La Furia c’è più metal, più rapcore, anche perché i ragazzi del gruppo provengono da altre esperienze con gruppi prevalentemente hardcore, per cui le coordinate sono quelle ma si va oltre. Fa tantissimo anche l’essere sardi, perché sull’isola la rabbia gioca sempre in champions league. Colpisce durissimo questo disco, a partire da A.c.a.b.che non è la solita canzone contro le guardie, ma è molto di più, perché certi schemi in Italia si ripetono sempre e sono immutabili: leggete qui , e vedete se non vi ricorda Stefano Cucchi e molti altri, ma è un omicidio poliziesco del 1897…
Una delle cose migliori di questo disco sono i testi, davvero notevoli e intrisi di poesia urbana (che è un termine di merda ma è per intenderci), ed è uno dei migliori dischi underground italiani dell’anno nonchè in ambito rapcore. Qui non troverete salvezza, democrazia come la intendete voi, ma rabbia e voglia di vendetta di chi sulla strada c’è si è fatto le nocche dure; inoltre va a continuare una linea rossa che va dai Tear Me Down fino agli Almassacro, per continuare con gruppi come i Coru e Figau, e passa per spazi liberati, morti e carceri e non si interrompe mai, ma grida ancora.

TRACKLIST
1. Per Chi Sputa Sangue
2. Maschere di Cera
3. Atena Suicida
4. Colpo di Grazia
5. A.c.a.b.
6. Attitude
7. Nervi Tesi

LINE-UP
Ese – voice-
Yari – voice-
Sgrakkio – guitar-
Deddu – drum-
Safety – bass-

ALMASSACRO – Facebook

TENEBRAE + CHECKMATE : Genova 3/12/2016

Alcuni mesi dopo l’uscita in digitale del nuovo album, i Tenebrae hanno scelto la data del 3 dicembre 2016 per la presentazione dal vivo di My Next Dawn, presso la tradizionale location dell’Angelo Azzurro, quello che ormai è rimasto, di fatto, il solo avamposto genovese per gli amanti del rock e del metal.

Come già scritto in sede di recensione, i Tenebrae, con il loro ultimo lavoro, hanno trovato la probabile quadratura del cerchio di un percorso musicale che, con i due precedenti full length Memorie Nascoste e Il Fuoco Segreto, affondava le sue radici nella scuola progressive tricolore ammantandone le atmosfere di un’aura a tratti gotica: con My Next Dawn, invece, Marco “May” Arizzi sposta decisamente la barra su una forma di metal oscura ed atmosferica, dai molti richiami al doom, che si va a completare con l’uso della lingua inglese anziché di quella madre.
Ero molto curioso di scoprire quale sarebbe l’accoglienza del pubblico nei confronti della nuova opera, alla luce di una sua dimensione più ortodossamente metal: ho sempre ritenuto, infatti, che un elemento penalizzante nei confronti della band genovese fosse, per assurdo, proprio il fatto di muoversi all’interno della scena metal pur proponendo un genere che lo stesso leader in passato ha sempre preferito definire art rock: con My Next Dawn l’equivoco (ammesso che fosse tale) pare essersi definitivamente risolto, pur senza disconoscere l’enorme valore artistico delle due precedenti prove, ed il numero considerevole di persone accorse per l’occasione ha suffragato questa mia sensazione.

Veniamo quindi al racconto della serata: il compito di aprire è stato affidato ai milanesi Checkmate, band che onestamente non conoscevo, sia perché di recente formazione, sia per la proposta di un genere che non rientra tra i miei ascolti abituali: mi sono imbattuto, quindi, in un metal alternativo piuttosto grintoso e convincente in più di un passaggio, contraddistinto dall’alternanza tra voce femminile e growl maschile, ma forse non ancora abbastanza peculiare per riuscire a fare breccia nell’attenzione di ascoltatori distratti da miriadi di uscite. Le potenzialità per riuscirci però paiono esserci tutte, alla luce di quanto offerto nel corso della breve esibizione, dimostrandolo anche con la rielaborazione piuttosto personale di un brano storico come You Spin Me Round dei Dead Or Alive, dedicata alla memoria del recentemente scomparso Pete Burns.
Nel 2017 i Checkmate hanno pianificato l’uscita del loro album d’esordio, prova alla quale li attendiamo con un certo interesse.

checkmate

Dopo un cambio di palco piuttosto rapido sono entrati in scena i Tenebrae, alla prima uscita dal vivo con la formazione che ha registrato My Next Dawn – Paolo Ferrarese (voce), Marco Arizzi (chitarra), Fabrizio Garofalo (basso), Fulvio Parisi (tastiere) e Massimiliano Zerega (batteria).
Come in ogni release party che si rispetti, la band ha presentato dal vivo per intero la nuova opera, con la sola eccezione della riproposizione, a metà del set, della title track dell’album d’esordio Memorie Nascoste, per la quale stato chiamato sul palco l’originario tastierista Flavio Bignone. La resa on stage di My Next Dawn è stata decisamente ottimale, partendo comprensibilmente un po’ in sordina per poi snodarsi in un costante crescendo, grazie alla buona coesione dimostrata dai vari componenti e da suoni piuttosto buoni che hanno consentito di godere appieno di tutte le sfumature contenute nell’album.
Il nuovo corso dei Tenebrae ha senz’altro riscosso i favori dei presenti, ma non si trattava certo di una previsione azzardata: proprio l’orientamento più metallico del sound ha senza dubbio favorito l’assimilazione, da parte di un pubblico con un simile background, di brani splendidi come The Fallen One, Careless, My Next Dawn e As The Waves, solo per citare gli episodi migliori di una scaletta inattaccabile per qualità.

tenebrae1

Paolo Ferrarese ha dimostrato ancora una volta le sue doti di vocalist versatile, riuscendo a passare con disarmante semplicità da evocative clean vocals ad un growl profondo, incisivo e sempre intelligibile, ed ha visto valorizzata ancor più la sua convincente prestazione dal prezioso controcanto femminile prestato per l’occasione da Ilaria Testa, tastierista della band sul precedente Il Fuoco Segreto, mentre Marco Arizzi non apparterrà probabilmente alla categoria dei virtuosi delle sei corde, ma possiede la dote non comune di riuscire a comunicare emozioni con il suo strumento, una peculiarità questa che, a mio modo di vedere, è ben più importate rispetto a quello che per altri chitarristi troppo spesso si rivela un arido sfoggio di tecnica esecutiva.

tenebrae3

Il resto della band ha ben sorretto il lavoro dei due, contribuendo in maniera decisiva alla riuscita di una serata che ha visto, finalmente, un locale piuttosto affollato da un pubblico partecipe e desideroso di far sentire ai Tenebrae la propria approvazione relativa ad una svolta stilistica che, sicuramente, poteva presentare qualche rischio. Nonostante tutto, infatti, il trademark caratteristico della band genovese non viene meno, cambia solo il modo con il quale viene veicolato al pubblico e questo si è potuto cogliere appieno proprio quando è stata proposta Memorie Nascoste, una canzone che, pur nella sua evidente diversità rispetto ai brani di My Next Dawn, ha dimostrando senza ombra di dubbio che l’impronta compositiva è rimasta immutata.
Dopo diversi periodi carichi di dubbi e di incertezze è probabile che i Tenebrae, sia grazie all’accordo raggiunto con la Black Tears di Daniele Pascali, sia dopo aver potuto toccare con mano l’affetto e la vicinanza dei propri estimatori, possano trovare nuovo impulso ed ulteriore convinzione nel proporre la propria musica, perché, è inutile girarci attorno, My Next Dawn è stato in assoluto uno dei migliori album usciti quest’anno in Italia in ambito metal e si tratta solo di fare in modo che se accorga un numero di presone sempre maggiore.
Nel nostro piccolo noi di MetalEyes IYE la nostra parte la stiamo facendo, il resto è compito degli appassionati della buona musica.

tenebrae2

Dreariness – Fragments

I Dreariness confermano e rafforzano con Fragments il loro status di band capace di produrre musica di bellezza cristallina, ammantata da una spessa coltre di oscurità ed inquietudine.

Attendevo con curiosità il secondo album dei Dreariness, band che mi aveva colpito alla sua prima uscita (My Mind Is Too Weak To Forget – 2013) con una proposta radicata nel depressive, ma con quel qualcosa in più a livello poetico e melodico in grado di fare la differenza.

In questo nuovo Fragments il sound appare più meditato in molte sue parti, ma nulla cambia riguardo al tormento e la sofferenza che la musica dei Dreariness induce, utilizzando come strumento aggiunto la voce di Tenebra, che si dimostra una delle interpreti più credibili del settore.
Il suo screaming esasperato è accompagnato da vocals pulite (altro elemento di novità rispetto al passato) che ne sono l’ideale contraltare, e il tutto va a comporre un quadro compositivo che si potrebbe definire depressive blackgaze ma che, in fondo, è solo un modo come un altro, per quanto necessario, di definire un sound in cui le melodie create da Gris e ben punteggiate dal drumming di Torpor vengono trasformate in qualcosa di realmente inquietante dagli interventi vocali.
Infatti, se gli Alcest, con il loro shoegaze, ci conducono per mano all’interno dei sogni di Neige, con i Dreariness ci si addentra in una realtà onirica prossima all’incubo, quasi che le asprezze vocali intendano riportarci bruscamente ad una realtà che la mente immagina meno ostile e più rassicurante.
Vengono rappresentati frammenti di luce, a tratti abbacinante, che vivono nella nostra mente lo spazio della vita di una lucciola, prima d’essere oscurati dall’inquietudine e dal senso di costante inadeguatezza di fronte al mistero dell’esistenza: un qualcosa che ogni mente dotata di n minimo di raziocinio non può fare a meno di provare.
Melodie struggenti sono la colonna sonora di una vita in frantumi, la cui catarsi finale però non avviene necessariamente con l’autoannientamento, ma può giungere anche attraverso un azzeramento del proprio vissuto propedeutico ad una nuova rinascita.
Di certo l’ascolto di un album dei Dreariness non è mai né semplice né banale: questa è musica che provoca non poco turbamento, anche se le sonorità meno aspre rispetto al più classico depressive favoriscono un approccio meno ostico per chi dovesse approdare a Fragments con un background meno estremo.
Quasi un’ora di musica sognante, che la voce di Tenebra trasforma sovente in un incubo dal quale il risveglio, però, potrebbe rivelarsi tutt’altro che una liberazione, è il magnifico contenuto di un album dall’elevato impatto emotivo, nel quale ogni passaggio è funzionale allo scopo e dove The Blue ( traccia “novembrina” non solo per il titolo) e In The Deep Of Your Eyes catturano qualche consenso in più nella mia personale scala di gradimento, prima che la splendida Catharsis chiuda il lavoro quale autentico manifesto concettuale reso ancor più potente dall’utilizzo della nostra lingua.
I Dreariness confermano e rafforzano con Fragments il loro status di band capace di produrre musica di bellezza cristallina, ammantata da una spessa coltre di oscurità ed inquietudine: francamente, oggi, non credo ci sia in giro un’altra realtà, in questo specifico settore, capace di trasmettere con eguale forza e cristallina bellezza un tale senso di senso di prostrazione e smarrimento.

Tracklist:
1. Starless Night
2. The Blue
3. Essence
4. In the Deep of Your Eyes
5. Somnium
6. No Temporary Dreams
7. Catharsis

Line-up:
Tenebra – Vocals
Grìs – Guitars, Bass, Keys
Torpor – Drums

DREARINESS – Facebook

Ruxt – Behind The Masquerade

Un album d’altri tempi che, forse, avrebbe fatto eruttare vulcani, scintillare spadoni e creato in cielo ponti colorati: fatelo vostro e questi miracoli si avvereranno sotto l’effetto della musica dei Ruxt.

Forse non tutti sanno che Jorn Lande non solo è uno dei più accreditati eredi del grande Ronnie James Dio, ma in passato ha portato in giro per i palchi la musica degli Whitesnake con i The Snakes della coppia Moody/Marsden con cui ha registrato l’album di inediti Once Bitten ed un live nel 1998.

Il riferimento non è affatto casuale, perché questo nuovo super gruppo ligure chiamato Ruxt , ha nel vocalist Matt Bernardi (Purplesnake) il suo Jorn, spettacolare singer, perfetto per valorizzare questa sontuosa raccolta di brani che di classic metal si nutre, così come si abbevera alla fonte dell’hard rock.
In compagnia del singer troviamo la coppia di chitarristi Stefano Galleano ed Andrea Raffaele (Snake, Rock.It), il bassista Steve Vawamas (Athlantis, Mastercastle) e il batterista Alessio Spallarossa (Sadist).
In uscita per la label genovese Diamonds Prod., Behind The Masquerade letteralmente incanta grazie non solo alla clamorosa performance del cantante al microfono, ma anche per un songwriting ispiratissimo ed una produzione cristallina.
Quasi settanta minuti immersi nel heavy/ hard rock ispirato dalla famiglia Deep Purple, così oltre che al serpente bianco, anche l’arcobaleno più famoso del rock fa capolino tra le nobili note suonate dal gruppo, con l’aggiunta di un pizzico di Dio solista ed ovviamente della discografia del cantante norvegese che della famiglia è l’erede.
Dal momento in cui il mid tempo di Scare My Demons ci accoglie nel mondo dei Ruxt , per quasi settanta minuti veniamo travolti da suoni che hanno fatto storia, tra mid tempo epici, hard rock blues drammatici di scuola Whitesnake e sontuosi brani heavy metal, dove le chitarre non mancano di riversare tempeste di solos classici forgiati sul monte dove il pugno degli dei tenne stretto l’arcobaleno di Blackmore .
Niente di originale, solo hard & heavy che ogni amante del genere dovrebbe ascoltare con le mani giunte, ringraziando quello in cui crede per questo inatteso regalo, davvero straordinario nel tributare un modo di fare rock che fino ad oggi aveva i suoi massimi esponenti in Lande e negli svedesi Astral Doors, ma a cui si aggiunge il quartetto ligure grazie alle splendide Spirit Road, Where Eagles Fly, Lead Your Destiny (su cui si posa il corvo simbolo del Lande solista) e ancora Daisy e Between The Lies.
Un album d’altri tempi che, forse, avrebbe fatto eruttare vulcani, scintillare spadoni e creato in cielo ponti colorati: fatelo vostro e questi miracoli si avvereranno sotto l’effetto della musica dei Ruxt.

TRACKLIST
1.Intro
2.Scare My Demons
3.Soul Keeper
4.Spirit Road
5.Forever Be
6.Where Eagles Fly
7.Lead Your Destiny
8.A New Tomorrow
9.Daisy
10.Life
11.Between The Lies
12.Forgive me
13.Madness Of Man
14.Soldier of Fortune

LINE-UP
Matt Bernardi – Vocals
Stefano Galleano – Guitars
Andrea Raffaele – Guitars
Steve Vawamas – Bass
Alessio Spallarossa- Drums

RUXT – Facebook

CALLIGRAM

I Calligram sono una band emergente, di stanza a Londra ma composta da musicisti dalle diverse nazionalità. Il fatto che, tra questi, il vocalist sia l’italiano Matteo Rizzardo, ci ha offerto l’occasione di fare un interessante botta e risposta nella nostra lingua. Ecco cosa ne è scaturito.

iye Ciao Matteo, il fatto di potermi rapportare con te in italiano mi consentirà di porti probabilmente qualche domanda intelligente, cosa che con il mio inglese scolastico non sarei riuscito a fare …
Il primo quesito, però, temo mi smentisca subito, per quanto doveroso: come sei finito a Londra? Lavoro, affetti o semplicemente l’Italia di oggi ti sta stretta ?

Ciao Stefano. In tutta sincerità non l’ho ancora capito. Sai, credo che i percorsi che la vita intraprende a volte sfuggano del tutto alla possibilità di comprenderli a pieno, figli come sono del caos che tutti portiamo dentro. Certo, è innegabile che l’Italia, in cui le opportunità di lavoro per i giovani non sono affatto idilliache e in cui non ci sono segnali a breve termine che facciano pensare ad un cambio di rotta, possa stare un po’ stretta, come dici tu, ma non mi sento affatto di identificare in questo il motivo che mi ha spinto a partire. La verità è che a Londra ci sono finito quasi d’improvviso, un po’ per gioco e un po’ per caso; è il viverci, come sempre, che ti frega, perché col tempo ti si attacca sulla pelle la sensazione che la città in cui ti trovi senza nemmeno sapere come in realtà non abbia fatto altro che chiamarti a sé da tutta una vita. È magia pura.

iye Dopo la famigerata “Brexit” se ne sentono di tutti i colori, spesso distorti da un’informazione daltonica e, detto con molta benevolenza, superficiale. Mi piacerebbe sapere, da qualcuno che vive la situazione dall’interno, come stanno effettivamente le cose e come sono cambiate, nel caso.

Il clamore dei primi giorni è decisamente sfumato, e con esso pure l’accozzaglia di voci profetiche che ad esso si accompagnavano, e finalmente è arrivato il silenzio. Non sono un tecnico ma credo che un’analisi lucida e oggettiva sulla questione Brexit non possa che mettere in risalto l’impossibilità di azzardare alcuna previsione su quello che potrà accadere al Regno Unito (e all’UE), perché si è trattato di un evento senza precedenti le cui conseguenze si sottraggono a qualsiasi pronostico. Vissute dall’interno, da italiano residente a Londra, Brexit non ha cambiato di una virgola la vita di tutti i giorni. Anche perché, aldilà della sterlina in discesa fin dal primo giorno post-referendum, i veri contraccolpi si potranno sperimentare solo quando l’uscita sarà effettiva, fra due anni. Da musicista, però, ho ben chiari in mente i possibili problemi che potrebbero sorgere all’atto di porre barriere in un mondo, come quello della musica, dove il contatto costante e il flusso continuo sono vitali: ripercussioni negative sulla possibilità per le band straniere indipendenti di poter venire a suonare in UK, e viceversa, e sulla capacità di distribuzione per le piccole etichette discografiche sono solo alcuni dei problemi che si dovrebbe affrontare. Ma, di nuovo, sono solo supposizioni.

iye Veniamo ai Calligram. Dai vostri cognomi (Polotto, Desbos, Smittens, Cotones, Rizzardo) si evince una provenienza geografica piuttosto eterogenea, e mi incuriosisce non poco scoprire quali strane combinazioni astrali vi abbiano fatti incontrare nella capitale inglese.

Sì, questa effettivamente è la caratteristica che balza all’occhio non appena si legge la nostra biografia: due brasiliani, un francese, un inglese e un italiano, pare quasi l’incipit di una storiella divertente. E invece è una storia fatta di sacrifici e di sudore, di cinque ragazzi che pur provenendo da parti del mondo opposte amano scrivere musica e provano a portarla in giro il più possibile. In un certo senso la band rispecchia il multiculturalismo proprio di Londra, che è un crogiolo di etnie che convergono da tutti i continenti. Ardo e Bruno erano amici fin dai tempi in cui vivevano ancora in Brasile, l’idea della band è partita da loro, poi gli annunci di ricerca su internet hanno fatto il resto, portando all’arrivo immediato di Tim, e poi al mio e a quello di Smittens. É la rete che ci ha fatti incontrare, quindi, ma è la forte alchimia creatasi da subito ad averci tenuti insieme e addirittura rafforzati.

calligram

iye In sede di presentazione siete stati descritti come una band black metal, ed è un qualcosa che definire fuorviante è poco: basta vedere una vostra foto ed ascoltare poche note per uscire dall’equivoco, rinvenendo la corposa componente hardcore punk. Le etichette sono un male necessario per inquadrare in qualche modo l’offerta musicale di una band: voi come vi definireste, effettivamente?

La definizione più frequente nelle recensioni che finora abbiamo ricevuto è blackened hardcore, che mi trova d’accordo per sommi capi, ma immagino che qualsiasi neologismo che connetta il black metal con il crust core possa centrare il punto. Mi diverte molto la definizione che ha dato Dom Lawson di Metal Hammer, descrivendo la nostra musica come un “Flesh-flaying black metal punk rock”: in fin dei conti quello che facciamo è musica furiosa, veloce e incazzata ma la nostra attitudine, specie dal vivo, è assolutamente punk.

iye A seguito di tutto questo, quando vi esibite dal vivo, con quali tipi di band vi trovate a condividere normalmente il palco?

Nell’ultimo anno abbiamo condiviso il palco con band assolutamente fantastiche, che mi hanno aperto gli occhi su una scena underground inglese di qualità eccelsa e molto variegata – Art of Burning Water, Harrowed, Dead Harts, Ba’al, Mt Hell, Grappler, Svalbard, Surya, solo per citare alcuni esempi. I concerti in cui ci sentiamo più a nostro agio, e che fortunatamente sono sempre più frequenti in questi ultimi tempi, sono comunque quelli in cui ci troviamo a condividere il palco con band dai suoni pesanti e molto sporchi, siano essi veloci e impazziti come quelli tipici delle band crust-core oppure più lenti come quelli che caratterizzano le band doom e sludge. In fin dei conti ci lega, credo, lo stesso filo conduttore, la stessa idea di musica, la stessa ricerca sonora: la volontà di togliere groove a favore di una maniacale distorsione sonora.

iye Da dove nasce questo intreccio, comunque non così scontato, tra due generi che veicolano la rabbia in maniera opposta, l’uno (il black) tramite un atteggiamento misantropico e l’altro (l’hardcore/punk) attraverso una rabbia furente scagliata verso l’esterno?

L’idea di fondo è quella di suonare musica nel modo più violento possibile, senza fronzoli, imprecisa quel che basta per perdere ogni groove, portando la distorsione a livelli disumani. Ma perché ciò possa funzionare, senza apparire un ammasso informe di caos e rumore, serve dinamicità, e in questo senso il connubio tra punk e black metal fa esattamente al caso nostro. Con la componente punk innestiamo la furia d-beat, che è rabbia cieca, furente, scagliata in tutte le direzioni; la componente black metal invece entra in gioco nell’ibernare questa furia dentro le maglie di blastbeat asfissianti, e veicolandola attraverso le sue melodie essenziali e minimali, creando, almeno nelle intenzioni, un effetto claustrofobico devastante. Poi, ovviamente, queste sono riflessioni a posteriori, tutta filosofia spicciola che non entra in gioco, almeno consciamente, in fase di scrittura. Quello che facciamo, quando componiamo un pezzo nuovo, è semplicemente fare attenzione alla struttura e all’equilibrio della canzone, assicurandoci che le varie parti formino davvero un tutto coerente e non piuttosto un ammasso di pezzi attaccati con la colla. Penso che questa sia la sfida più grande per un musicista, far coesistere più cambi di ritmo e di sonorità in uno stesso brano facendoli apparire come naturali evoluzioni della canzone affinché essa possa mantenere così intatta la sua identità: in questo senso abbiamo ancora molto da imparare, anche se i risultati finora raggiunti fanno ben sperare, e se dovessi dire il nome di una band che al momento padroneggia alla perfezione quest’arte nominerei senza alcun dubbio gli Oathbreaker.

iye Quali sono i vocalist ai quali ti ispiri maggiormente ?

Ammiro molto George Clarke dei Deafheaven, Ryan McKenney dei Trap Them, Tompa Lindberg di At the Gates e Disfear, Jacob Bannon dei Coverge e Phil Anselmo, nonostante le infinite polemiche cui dà vita ogni vota con le sue affermazioni sempre discutibili, ma non credo di poter dire di ispirarmi a loro, perché quando canto, ispirazioni e modelli vengono meno e ciò con cui mi trovo ad aver a che fare è il mio timbro vocale, il mio modo di essere, anche sul palco: è lì che sei sempre solo con te stesso, e te la devi sbrigare coi tuoi mezzi.

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iye Anche se risiedi a Londra continui a seguire le vicende musicali italiane? Se sì, c’è qualche band che ritieni meritevole di maggiore attenzione?

Seguo sempre con attenzione lo sviluppo delle vicende musicali in Italia, che a livello di realtà underground non ha nulla da invidiare a nessuno. The Secret, ad esempio, è una band crust-grind italiana che amo alla follia, e che sta avendo anche all’estero il meritato riconoscimento, come del resto anche gli Ufomammut e i Deadly Carnage. Riferendomi più precisamente alla mia zona d’origine, la scena è viva e sempre più in salute, sono nati negli ultimi anni collettivi davvero interessanti come TrevisoPunx e VeneziaHC dalle quali sono uscite band fenomenali come gli Zeit, che vi consiglio caldamente di andarvi ad ascoltare se amate l’hardcore ultraviolento da calci sui denti, o i Messa, che sono una delle realtà più promettenti del panorama doom italiano. C’è anche un festival in provincia di Treviso, il Disintegrate your Ignorance, dedicato alle sonorità pesanti, da tenere d’occhio perché sta ottenendo anno dopo anno una caratura sempre più internazionale.

iye Ammetto d’aver curiosato sul tuo profilo facebook dove ho trovato una serie di frasi e di considerazioni , immagino di tuo esclusivo conio, che rappresentano degli assoluti lampi di genialità con un forte retrogusto amaro … Nella visione di Matteo Rizzardo il mondo è così brutto come lo si dipinge, o è anche peggio?

In realtà no, ho solo un senso dell’umorismo un po’ cinico e non mi piace prendermi sul serio. Certo, ho una vena profondamente nichilista ma mi piace anche prendermi per il culo e più in generale prendere in giro chi su facebook cerca di dare un’immagine di sé da vincenti. Prima che lo diciate voi, lo dico io: ovviamente la mia è invidia in quanto sono un perdente nato.

iye La storia dei Calligram è ancora all’inizio, sostanzialmente, ed i buoni riscontri ottenuti da Demimonde sono evidentemente uno stimolo in più per continuare su questa strada: quali saranno i vostri prossimi passi ?

A febbraio entreremo in studio di registrazione per il prossimo album, che sta già prendendo forma e ci vede tutti eccitatissimi a riguardo. Collaboreremo con Lewis Johns, che è un produttore navigato che ha già lavorato, e molto bene, con altre band che stimiamo e che riesce a dare ai lavori che produce quel tocco in più che li rende infallibili. I nuovi brani, inoltre, sono più strutturalmente maturi rispetto a quelli di Demimonde, e la ricezione avuta nei live, finora, è andata oltre ogni aspettativa. Per il resto, suonare il più possibile e interagire con nuove band rimane il nostro costante obiettivo, e possibilmente riuscire ad organizzare un tour per quest’estate.

Klee Project – The Long Way

Un’ opera rock moderna, a tratti sontuosa e dall’affascinante mood teatrale e, soprattutto, originale nel miscelare generi agli antipodi come per esempio il southern e l’elettronica .

Un’altra opera da annoverare tra le migliori uscite dell’anno in campo hard rock, anche questa volta nata nei nostri patri confini.

I Klee Project sono una sorta di super gruppo che vede unire i talenti di Roberto Sterpetti, cantante, ed Enrico “Erk” Scutti (ex Cheope, ex Figure of Six) ai cori e testi, a diversi musicisti di livello internazionale come Marco Sfogli (Pfm, James La Brie) alla chitarra, Lorenzo Poli (Vasco Rossi, Nek) al basso ed Antonio Aronne (Pavic, Figure Of Six) alla batteria, come se non bastasse l’importante contributo dell’orchestra sinfonica condotta da Francesco Santucci e di Tina Guo (Foo Fighters, Cirque Du Soleil, John Legend).
The Long Way è un concept basato su un viaggio, il sogno che si avvera di un musicista che attraversa l’ America sulla leggendaria Route 66 e da Memphis arriva nella città degli Angeli dove troverà l’amore , il successo, gli eccessi e la consapevolezza di dover ricominciare daccapo per ritrovare l’equilibrio perduto.
La musica che accompagna il protagonista attraverso le vicende narrate è un hard rock/alternative che spazia da bellissime ed emozionati note southern rock ad armonie orchestrali, dal metallo moderno ed alternativo all’ elettronica.
Un lavoro importante questo The Long Way, un’ opera rock moderna, a tratti sontuosa e dall’ affascinante mood teatrale, perfetta a mio parere da portare live come fatto per le storiche opere che hanno attraversato indenni più di quarant’anni di musica rock e, soprattutto,originale nel miscelare generi agli antipodi come per esempio il southern e l’elettronica .
Seguendo la trama e le varie vicende, il sound risulta vario, ma allo stesso tempo facile da seguire senza perdersi tra i generi e le moltitudini di sfumature.
Cantato, suonato e prodotto come e meglio di un top album internazionale, The Long Way vive di rock tradizionale e moderno, sudista e pop, metallico e melodico, duro come i riff forgiati nell’acciaio delle sei corde, delicato come il suono degli strumenti classici.
Tutte queste varianti e contraddizioni creano un suono entusiasmante ed è un attimo perdersi nella storia e nei vari capitoli che compongono l’opera.
Non ci sono brani migliori di altri, questo lavoro ha tutti i crismi dell’opera rock e come un’opera va ascoltata, capita e fatta propria. Bellissimo ed emozionante.

TRACKLIST
1.Everybody Knows
2.Southern Boy
3.The Long Way
4.If You Want
5.The Prisoner
6.Hereafter
7.Time Is Over
8.Your Sacrifice
9.Close To Me
10.You Should Be Mine
11.This Game
12.Lucrezia’s Night
13.Lucrezia’s Night (Reprise)

LINE-UP
Roberto Sterpetti – vocals
Enrico “Erk” Scutti – Chorus
Marco Sfogli – Guitars
Lorenzo Poli Bass
Antonio Aronne – Drums

KLEE PROJECT – Facebook

Draugsól – Volaða Land

I Draugsól fanno un black metal unico per intensità, potenza e melodia, vicino ai primi Ulver per epicità e maestosità.

Black metal dall’Islanda, incredibile vulcano musicale sempre attivo, con una qualità incredibile. Questa volta la splendida isola ci regala un disco di black metal molto bello e nero.

I Draugsól fanno un black metal unico per intensità, potenza e melodia. In un vortice sonoro questi islandesi, anche grazie ad un’ottima produzione riescono a metterci dentro davvero tante cose, riuscendo ad essere incisivi come pochi altri gruppi. Il loro orientamento è classicheggiante, ma hanno anche bordate improvvise, specialmente con le chitarre che li fanno avvicinare al migliore death metal. La musica che proviene dai Draugsól potrebbe essere la colonna sonora dell’avanzata verso la città di Minas Tirith, una massa abnorme e crudele. Ma in fondo queste narrazioni, il tutto fieramente in islandese, sono paradigmi per descrivere la lotta che abbiamo dentro noi stessi in quanto uomini, quelle continue tensioni e lanci nel vuoto. I Draugsól sottolineano il tremendo fatto che noi siamo i creatori e allo stesso tempo i distruttori di noi stessi, in un incessante cambio di abiti mentali e di progressioni miste a cadute incredibili. Si lotta senza tregua, come una canzone, ed è riduttivo definire così le creazioni dei Draugsól. In tutto ciò fa capolino la paura dello sconosciuto, tema che gli islandesi penso conoscano molto bene, dato che per loro c’è stato molto di sconosciuto, ma tutto ciò li ha portati ad essere un popolo ben definito e soprattutto un popolo che suona. Un album eccezionale, epico e maestoso, che ricorda i primi Ulver, ma che in realtà è solo Draugsól. Un gran disco di black metal islandese pubblicato da una grande etichetta portoghese, e nel black metal questa è la chiusura perfetta del cerchio.

TRACKLIST
1.Volaða Land
2.Formæling
3.Bót Eður Viðsjá Við illu Aðkasti
4.Spáfarir Og Útisetur
5.Váboðans Vals
6.Holdleysa

DRAUGSOL – Facebook

Esperoza – Aum Corrupted

Un cantico oscuro, un’ora di musica estrema e dalle evocative atmosfere sinfoniche

Un cantico oscuro, un’ora di musica estrema e dalle evocative atmosfere sinfoniche, in cui la parte gotica viene violentata da un bombardamento metallico, per un’opera che va molto vicino ai suoni di in un girone infernale messo a soqquadro dall’arma più letale in mano alle forze oscure, la musica.

Se è vero che l’arte delle sette note, o almeno una sua gran parte, è quanto di più vicino alle forze demoniache ci sia in questo mondo, se l’uomo si allontana da dio ipnotizzato dalle melodie lascive che amoreggiano con la brutalità dell’estremo, se l’umano lato oscuro è continuamente messo alla prova e ammaliato dal mistero e dalla perversione, con Aum Corrupted, nuovo album del gruppo moldavo Esperoza, siamo vicini alla perfezione.
Il trio di Chisinau è l’ennesima scoperta della WormHoleDeath, un altro gruppo assolutamente fuori dai soliti canoni, una creatura che fa dell’arte oscura una meravigliosa e destabilizzante musica estrema, classica nell’approccio, varia nel saper muoversi con sagacia in molti dei generi estremi, originale nell’amalgamare orchestrazioni con un metal brutale, devastante, intenso e a suo modo progressivo.
La musica degli Esperoza è teatrale nella sua più pura concezione, iniziando dall’uso della voce operistica, ma lontana anni luce dalle female fronted band odierne, interpretativa, evocativa, come uno spirito che porta la morte o la possessione, terribilmente affascinate ma pericolosissima, mentre il male, diretto, violento e terribile arriva ad imprigionare l’anima con growl e scream direttamente dal più buio pozzo di anime nere: quella la voce, che fino ad un momento prima, ipnotizzava e ci trascinava inconsapevoli verso la perdizione, si trasforma in un demoniaco ed ultimo cantico prima del buio infinito ed il silenzio perenne.
Zoya Belous , Dmitrii Prihodko e Vadim Cartovenko hanno creato un’opera entusiasmante, difficile da catalogare con la classica etichetta da scrivere in calce alla recensione: Aum Corrupted è un contenitore di musica che ha nell’estremo il suo credo, ma che si riempie di sfumature ed atmosfere, talmente varie da perdere ogni certezza man mano che ci avviciniamo alla conclusione.
Black metal, death, doom, dark prog, gothic, symphonic, ognuno troverà il suo appiglio per non perdersi irrimediabilmente tra i meandri di un sound che lascia indizi come le briciole di Pollicino, ma che se verranno seguite porteranno là, da dove non si torna più ed è facile che accada ascoltando gemme oscure come Egohypnotized, Tomb Of Deeds, Periods Of 8, ma è tutto il lavoro che lascia senza fiato.
Come detto è molto difficile fare paragoni, il sottoscritto ha trovato in molte atmosfere il maligno ed orrorifico talento dei Devil Doll, chiaramente in versione più estrema e sinfonica, ma le note che escono dal tocco dei tasti d’avorio mi conducono verso il mondo di Mr.Doctor, poi la furia estrema tocca devastanti vertici black, death e doom, che mantengono sempre alta la tensione in questa colonna sonora pregna di magnifica, teatrale e diabolica oscurità.

TRACKLIST
01. A Broken Passage (Intro)
02. Egohypnotized
03. Unknown Summons
04. Tomb of Deeds
05. Nocturne Opus 93
06. Blame it on Me
07. Periods of 8
Desolate Grief (Interlude)
09. I Rot
10. ..and here comes the immaculacy / Aum Mantra (you will be punished for your prayers)

LINE-UP
Zoya Belous – Vocals
Dmitrii Prihodko – Guitar
Vadim Cartovenko – Drums

ESPEROZA – Facebook

Trees Of Eternity – Hour Of The Nightingale

Hour Of The Nightingale è un disco perfetto che, purtroppo, non potrà mai avere un seguito, e questo è un altro buon motivo per riservargli un posto privilegiato tra i nostri ascolti, oggi e negli anni a venire.

Occuparsi di un disco come questo, ben sapendo tutto ciò che accaduto prima della sua uscita, rende dannatamente difficile mantenere il giusto distacco, fondamentale per evitare che il coinvolgimento emotivo finisca per deformare sensazioni ed impressioni.
Quindi proverò a parlare, almeno a livello descrittivo, di Hour Of The Nightingale come se fosse il “normale” disco d’esordio di una “normale” band.

I Trees Of Eternity nascono come progetto parallelo di Juha Raivio, chitarrista e compositore principale degli immensi Swallow The Sun, che ha chiamato a sé, oltre al suo vecchio compagno di band Kai Hahto alla batteria, la splendida vocalist sudafricana Aleah Stanbridge ed i fratelli Fredrik e Mattias Norrman, noti soprattutto per esser stati a lungo due travi portanti dei Katatonia.
Da una simile configurazione non poteva che venirne fuori una band dedita ad un sound oscuro ma, ovviamente, rispetto al robusto death doom melodico dei Swallow The Sun, viene esplorato il lato più intimista e soffuso, favorito dal timbro vocale di Aleah, delicato, a tratti quasi un sussurro lontano anni luce da gorgheggi o tentazioni operistiche e, forse anche per questo, del tutto adeguato alle intenzioni di Raivio.
Hour Of The Nightingale si rivela, fondamentalmente, uno scrigno di emozioni dal primo all’ultimo minuto, e non potevano esserci dubbi al riguardo, perché il musicista finnico ha dimostrato in tutti questi anni d’essere un compositore dotato di una sensibilità fuori dal comune, capace con il suo inconfondibile tocco chitarristico di indurre alla commozione gli innumerevoli fan della sua band principale.
Nei Trees Of Eternity, ovviamente, le coordinate sono ben diverse: la chitarra tesse sempre melodie struggenti, ma il tutto viene asservito alla voce carezzevole della Stanbridge piuttosto che a quella ben più ruvida di Kotamaki, e l’andamento dell’album procede di conseguenza, per oltre un’ora di poesia e bellezza che si fanno talvolta tangibili, quasi fisiche.
Dieci gemme musicali si susseguono senza che una pesante cappa di malinconia cessi di aleggiare sulle note prodotte da un gruppo in grado di offrire, a chi adora queste sonorità, un’esperienza unica per coinvolgimento emotivo …

Oh, al diavolo! Come si fa a continuare a parlare di questo disco senza tenere conto che Aleah non è più tra noi da quasi sei mesi? Come si può evitare d’esser trascinati in un gorgo di tristezza e disperazione nell’ascoltare le struggenti trame musicali e le laceranti e profetiche liriche che lei stessa ha scritto?
A partire da My Requiem, brano che apre l’album, dove Aleah canta “Too late you’re calling out my name /
To raise me up out of my grave / Alive in memory I’ll stay” fino ad arrivare alla strofa conclusiva di Gallows Bird (“As the last ray of hope is lost / fight and resistance / Nothing remains to hold / me to this existence”), non viene mai meno un costante groppo alla gola, che costringe ad un impari battaglia con la propria sensibilità per provare a ricacciare indietro le lacrime.
Quest’ultima, lunghissima traccia, che arriva dopo lo splendore acustico di Sinking Ships, ha davvero il sapore del commiato, con le sue atmosfere drammatiche nella fase iniziale, che riportano il sound al doom più dolente: la chitarra tesse melodie di incommensurabile bellezza mentre Aleah ci dona il privilegio di ascoltarla per l’ultima volta regalandoci, dopo l’intervento di un Nick Holmes mai così cupo, un’ultima parte in cui prevale, invece, un rabbrividente senso di pace e di consapevolezza.
Hour Of The Nightingale sarebbe stato lo stesso un disco stupendo, ma non si può negare che gli eventi nefasti precedenti l’uscita abbiano moltiplicato all’ennesima potenza un impatto emotivo già di suo oltre la norma.
Però, ripensandoci, l’idea di parlare di Aleah al presente non è stata affatto sbagliata: voglio credere che il suo spirito sia sempre accanto al suo compagno di vita Juha, aiutandolo a superare la sua perdita fornendogli l’ispirazione per elargirci altre impagabili emozioni.
E, in fondo, è proprio grazie all’immortalità conferita dall’arte che Aleah Stanbridge occuperà per sempre un posto di rilievo anche nel nostro cuore di semplici appassionati ed umili cronisti di tanta bellezza: Hour Of The Nightingale è un disco perfetto che, purtroppo, non potrà mai avere un seguito, e questo è un altro buon motivo per riservargli un posto privilegiato tra i nostri ascolti, oggi e negli anni a venire.

Tracklist:
1.My Requiem
2.Eye Of Night
3.Condemned To Silence (feat. Mick Moss)
4.A Million Tears
5.Hour Of The Nightingale
6.The Passage
7.Broken Mirror
8.Black Ocean
9.Sinking Ships
10.Gallows Bird (feat. Nick Holmes)

Line-up:
Aleah Stanbridge – Vocals, Lyrics, Songwriting
Juha Raivio – Guitars, Songwriting
Kai Hahto – Drums
Fredrik Norrman – Guitars
Mattias Norrman – Bass

TREES OF ETERNITY – Facebook

Art X – The Redemption Of Cain

The Redemption Of Cain è un’opera bellissima e coinvolgente, a conferma del livello altissimo raggiunto dalla scena italiana che ci regala un altro lavoro di cui andare fieri.

Un’opera mastodontica quella che andiamo a presentarvi e che si può definire, a buon diritto, di proporzioni bibliche.

Infatti, in The Redemption Of Cain, è sulla vicenda di Caino e Abele che si sviluppa questa ennesima metal opera, creata in tutto e per tutto dal nostro Gabriele Bernasconi, singer degli heavy metallers Clairvoyants, un passato da tribute band degli Iron Maiden, e negli ultimi anni protagonista di un paio di ottimi album, prima dello scioglimento.
Il singer comasco non si è perso d’animo e, con l’aiuto di un nugolo di eccellenze del panorama hard & heavy mondiale, ha creato questo bellissimo lavoro che richiama chiaramente le opere degli Avantasia, ma vive di un songwriting eccelso, impreziosito da un numero impressionante di ospiti da lasciare a bocca aperta i maestri Sammet e Lucassen, e scrivendo un’altra sontuosa pagina di musica nobilmente metallica.
Andrè Matos, Roberto Tiranti, Amanda Sommerville, Zachary Stevens, Blaze Bayley, Steve Di Giorgio,Tim Aymar e Giuseppe Orlando, insieme a molti altri musicisti, fanno parte del cast di The Redemption Of Cain, sontuoso anche nell’artwork, ad opera di Eliran Kantor (Sodom, Testament, Iced Earth).
I sensi di colpa e la redenzione di Caino dopo l’omicidio perpetuato ai danni del fratello Abele, fanno da sfondo a questa opera epica, teatrale e tragica, splendidamente metallica nel suo incedere, contornata da un’aura di leggendaria epicità e che apprezzerete nel suo insieme, come nelle migliori opere musicali, pur non mancando di esaltare nei momenti più aggressivi.
Oltre alle varie interpretazioni, che vedono Tiranti nel ruolo di Abele, Matos nell’Aangelo di Dio, lo stesso Bernasconi in quello di Caino e poi la Sommerville in quella di Lilith, è Tim Aymar a strappare applausi nella velenosa Lucifer, confermando l’impegno che i vari artisti hanno messo per rendere The Redemption Of Cain qualcosa di unico.
Il sound alterna spettacolari e rocciose heavy power song ad atmosfere da rock opera, intrise di epica orchestralità in un susseguirsi di colpi di scena ed attimi dove si rasenta la perfezione interpretativa e creativa.
The First & The Second Sacrifice, con Matos e Tiranti sugli scudi, la già citata Lucifer, The Keeper Of Eden con l’ugola di Zachary Stevens a regalare brividi e la conclusiva e magnifica Eden, Finally…., dieci minuti di pura arte metallica, sono i brani che suggellano un’opera bellissima e coinvolgente, confermando il livello altissimo raggiunto dalla scena italiana e regalando un altro capolavoro di cui andare fieri.

TRACKLIST
1. Memoriae
2. Knowledge & Death
3. The First Sacrifice
4. The Second Sacrifice
5. Crime, Pain and Penance
6. Lilith
7. Lucifer
8. A Wife’s Love
9. The Keeper
10.Eden, Finally…

LINE-UP
Gabriele Bernasconi: music & lyrics, voice of Cain
Luca Princiotta: lead, rhythm and acoustic guitars
Oliver Palotai: keyboards, orchestral arrangements and FX
Steve Di Giorgio: bass
Giuseppe Orlando: drums

The Vocalists:
Blaze Bailey as Adam
Selina Lusich as Eve
Roberto Tiranti as Abel
André Matos as The Angel of God
Amanda Sommerville as Lilith
Tim Aymar as Lucifer
Lucia Emmanueli as Cain’s Wife
Zachary Stevens as The Keeper of Eden

ART X – Facebook

Mammoth Weed Wizard Bastard – Y Proffwyd Dwyll

La band sostiene d’essere “la colonna sonora ideale per il nostro prossimo viaggio intergalattico”. Da sentire.

Dal Nord del Galles (Wrexham) discende questo immane flusso di energia doom con flavour psichedelico e cosmico; sono in quattro con stellare voce feminile (Jessica Ball) e sono emersi nel 2015 con un monolite nero (Nachthexen) di trenta minuti, replicato nello stesso anno con il full “Noeth ac Anoeth” che continua a definire il “loro” doom aggiungendo due ulteriori lunghe tracce ipnotiche e stordenti.

E ora nel settembre 2016 esplode, è proprio il caso di dirlo, questo nuovo lavoro con sei brani dal minutaggio più contenuto (in media 8-9 minuti) rispetto al precedente; il loro sound di una pesantezza trascendentale si alimenta di pachidermici riff accompagnati, sovrastati dalla ultraterrena voce della bassista e vocalist Jessica; il synth suonato un po’ da tutti i musicisti proietta il suono verso orizzonti cosmici sconfinati ed inesplorati, avvolgendo il tutto in spire scure e profonde.
A differenza della prima opera, dove spiccava il suddetto monolite nero di trenta minuti, qui i brani, tutti di simile alto valore, appaiono come una “massa” cangiante, inarrestabile nel suo scorrere che può ricordare il kraut rock degli anni 70′, con gocce ben udibili di suoni hawkindiani in alcuni tratti., il tutto sempre con spiccata sensibilità doom.
La band in questi 2 anni ha elaborato il suo suono, con diversi concerti in terra albionica e oltre mare suonando con gruppi come Monolord, Ramesses, All Them Witches, tutte realtà che profumano di doom “mutante”, non disdegnando di misurarsi anche con enormità come gli immensi Napalm Death e i polacchi Behemoth.
Accompagnato anche da un bella confezione apribile a formare una croce, il consiglio è quello di “assaggiare” il disco più e più volte per assaporare a fondo il viaggio intrapreso da questi ragazzi che, spero, decidano di farsi ascoltare “live” anche nelle nostre terre !

TRACKLIST
1. Valmasque
2. Y Proffwyd Dwyll
3. Gallego
4. Testudo
5. Osirian
6. Cithuula

LINE-UP
Paul M.Davies – lead guitar, moog synth, sampletron
Jessica Ball – bass,vocals, cello, sampletron
Wes Leon – rhythm guitar, moog synth
James Carrington – drums, moog synth

MAMMOTH WEED WIZARD BASTARD – Facebook