Violent Revolution – State of Unrest

L’urlo di protesta che parte con l’opener Resist e prosegue con la titletrack richiama la vecchia scuola americana

Capitanati dall’ex Agent Steel George Robb irrompono sul mercato, tramite Iron Shield, i thrashers statunitensi Violent Revolution.

Il gruppo proveniente dall’Arizona, attivo da appena due anni, solca le strade falciate dalla protesta politico sociale, gli scontri sono inevitabili nel grigiore del fumo provocato dai lacrimogeni e dalle bombe carta, il sangue che sgorga dalle teste spaccate dai manganelli sporca le vie e non serve vivere negli States per vedere scene di guerriglia urbana comuni in ogni parte del mondo, specialmente di questi tempi dove l’ingiustizia dilaga e salgono i moti di ribellione.
La colonna sonora per descrivere questo allucinante quadro non può che essere un violentissimo e velocissimo thrash metal, fortemente influenzato dal punk, old school nell’approccio, diretto ed assolutamente in your face.
L’urlo di protesta, che parte con l’opener Resist e prosegue con la titletrack, richiama la vecchia scuola americana, con ritmiche velocissime, una voce che grida disagio e lancinanti solos metallici che rincorrono l’urgenza ritmica dei brani.
Siamo a cavallo tra il decennio ottantiano e quello successivo, dove i gruppi metal della scena ambivano ad un crossover tra la forza metallica del thrash e l’irruenza sociale che il punk si portava dietro dagli ultimi sgoccioli del periodo settantiano: è forte, infatti, il richiamo hardcore nei brani dei Violent Revolution (il nome della band è una chiara dichiarazione d’intenti), ed in poco più di mezzora State Of Unrest spara le proprie cartucce, veloci, infallibili e senza compromessi.
Il gruppo è formato da musicisti di provata esperienza e sotto l’aspetto tecnico nulla da dire, anche se le sonorità lasciano un leggero senso di stantio.
Poco male, il genere è questo, prendere o lasciare, e State Of Unrest non mancherà di far proseliti tra gli amanti del crossover thrash/punk di fine anni ottanta, dunque se siete orientati verso sonorità più moderne probabilmente non fa per voi.

TRACKLIST
1. Resist
2. Violent Revolution
3. Damaged
4. State of Unrest
5. Final Vow
6. Wake Up
7. All Hail
8. Code of Conduct
9. Sudden Death
10. Trainwreck

LINE-UP
George Robb – Bass, Vocals (backing)
John Gilleland – Drums
Nate Garduno – Guitars
Don Funk – Guitars, Vocals (lead)

VIOLENT REVOLUTION – facebook

Evil Spirit – Cauldron Messiah

Gli Evil Spirit danno l’impressione di farsi guidare da un istinto a tratti selvaggio, che va a rivestire di una certa freschezza una proposta che affonda le proprie radici comunque nel passato.

Gli Evil Spirit sono una band che ha la propria base sul suolo tedesco, anche se all’interno del trio è preponderante la componente sudamericana con i suoi fondatori Marcelo Aguirre (voce e batteria) ed Ari Almeida chitarra), in seguito raggiunti dal bassista Saäth Nokr.

Non paia superflua questa precisazione, perché, come abbiamo già visto in passato, la scuola metallica sudamericana mostra una spiccata propensione verso un genere come il doom-death di matrice tradizionale, che è appunto quanto offerto dal trio.
Cauldron Messiah è il solo full length pubblicato finora dalla band, in prima battuta nel 2014 ad opera della Horror Records, unicamente in vinile e cassetta: la Terror From Hell Records ne cura due anni dopo l’uscita nel più pratico formato in cd, compiendo cosa gradita perché trattasi di un’opera del tutto meritevole di una riscoperta.
Come detto, il doom degli Evil Spirit è quanto mai legato alla tradizione, sia quando il sound appare più canonico e pulito, sia quando viene lasciato galoppare in accelerazioni violente e sporcato da un’anima death che va a comporre un quadro complessivo sicuramente vintage, ma ricco di un suo fascino.
Volendo trovare un aggancio con qualche album del passato, direi che l’ascolto della title track, posta a suggello del buon lavoro, svela quale sia una delle fonti alle quali si abbeverano gli Evil Spirit: difficile, infatti, non rinvenire forti richiami al seminale Forest Of Equlibrium dei Cathedral, anche se il terzetto ha una spiccata tendenza a lasciarsi andare ad accelerazioni improvvise, quanto furiose e quasi convulse rispetto al monolitico incedere che fu di Dorrian e soci, ed è questo che conferisce a Cauldron Messiah una piacevole imprevedibilità.
Gli Evil Spirit danno l’impressione di farsi guidare da un istinto a tratti selvaggio, che va a rivestire di una certa freschezza una proposta che affonda le proprie radici comunque nel passato: bravi quindi i nostri nello spremere il massimo dalle loro potenzialità.
Del resto il doom è sempre necessario, pure quando è brutto sporco e cattivo e non offerto nella sua più avvolgente forma melodica ed evocativa.

Tracklist:
1. Intro (Him the Almighty Power)
2. Grey Ashes of the Reptile
3. Eve of the Beholder
4. Let the Dragon Be My Guide
5. Reino sangrento
6. Push Angie Back into the Swamp
7. Cauldron Messiah

Line-up:
Marcelo Aguirre Drums, Vocals, Percussion
Saäth Nokr Bass
Ari Almeida Guitars

EVIL SPIRIT – Facebook

Running Wild – Rapid Foray

Una band che continua dal vivo a divertire non poco, ma come molte altre dalla lunga carriera, in leggero affanno quando si tratta di creare nuova musica.

Trittico di nuove uscite in casa Steamhammer che vedono coinvolte tre band storiche del metal, quali Sodom, Vicious Rumors e Running Wild, la banda di pirati capitanata dal mai domo Rolf Kasparek, in arte Rock ‘n’ Rolf.

Lo storico gruppo tedesco dal concept piratesco che, negli anni ottanta, conquistò anime metalliche come galeoni a spasso per il Mar dei Sargassi, di fatto è ormai da considerarsi un duo, con Rock’n’Rolf accompagnato dal fido Peter Jordan e raggiunto in sede live dall’accoppiata ritmica Ole Hempelmann al basso e Michael Wolpers alle pelli.
Poco male, l’anima dei Running Wild è ben salda tra le mani del leader, che continua imperterrito a portare il proprio vascello all’arrembaggio con il classico sound che prende dal power tedesco e dall’hard rock , per trasformarsi nel solito assalto sonoro.
Come ormai da un po’ di anni l’aspetto melodico è diventato preponderante nella musica del combo, ed anche in questo ultimo lavoro Rolf ha puntato molto sulle atmosfere e sui solos, addomesticando la belva power, con ritmiche più controllate e meno impatto diretto come nelle produzioni ’80/’90.
Prodotto dallo stesso Kasparek con l’aiuto del tecnico del suono Niki Nowy e presentato da una copertina che rispecchia il mood piratesco del gruppo, Rapid Foray torna dopo tre anni dall’ultimo lavoro (Resilient), album che sicuramente non aveva fatto gridare al miracolo ma si era assestato sul livello del classico compitino che, se pur svolto bene, non andava oltre un giudizio discreto.
Quest’ultimo lavoro non cambia di molto la situazione anche se, dove il gruppo rischia qualcosa in più sotto l’aspetto del songwriting, escono brani molto melodici e sostenuti da portentose cavalcate, come le due tracce che risultano il cuore pulsante dell’album: la strumentale The Depth Of The Sea – Nautilus e l’ottima power hard rock oriented Black Bart che, con la conclusiva e maideniana Last Of The Mohicans, sono ciò di meglio ha da offrire il gruppo nell’anno di grazia 2016.
Con tutto questo, Rapid Foray rimane un prodotto godibile e ben confezionato; il mood eroico e battagliero con cui la ciurma di Amburgo ha costruito la sua discografia è ben presente, risultando per i fans un lavoro degno della loro reputazione, anche se (è bene precisarlo) siamo ormai lontani dalle gloriose gesta piratesche di classici come Under Jolly Roger, Port Royal e quel gran bel disco che fu Masquerade, sicuramente un lavoro da rivalutare nella discografia immensa dei Running Wild.
Una band che continua dal vivo a divertire non poco, specialmente quando i riff dei classici riprendono vita dalle chitarre ma, come molte altre dalla lunga carriera, in leggero affanno quando si tratta di creare nuova musica: d’altronde gli anni passano per tutti, anche per gli eroi della Tortuga.

TRACKLIST
1. Black Skies, Red Flag
2. Warmongers
3. Stick To Your Guns
4. Rapid Foray
5. By The Blood In Your Heart
6. The Depth Of The Sea – Nautilus (instr.)
7. Black Bart
8. Hellestrified
9. Blood Moon Rising
10. Into The West
11. Last Of The Mohicans

LINE-UP
Rock N’ Rolf – vocals, guitars
Peter Jordan – guitars
Live:
Ole Hempelmann – bass
Michael Wolpers – drums

RUNNING WILD – Facebook

Vlad In Tears – Unbroken

Spiacenti, ma il gothic/dark, anche se moderno e alternativo, è davvero un’altra cosa.

Le lacrime di Dracula sono copiose, hanno perso completamente quel romanticismo decadente che le rendeva affascinanti e nel nuovo millennio sono pregne di disperazione alternativa.

Per le giovanissime anime della notte, tornano i Vlad In Tears, band della scena gothic berlinese al quinto lavoro in poco meno di dieci anni.
Il gruppo, con il nuovo album, imprime con forza il sound alternativo nella sua proposta musicale, un moderno dark/gothic con la presunzione di scalare le classifiche, ma scarsamente emozionale, derivativo e soprattutto poco curato sia come produzione che a livello vocale.
Ne esce un piagnisteo lungo quasi un’ora, dove l’elettronica, il rock alternativo e uno spruzzata di nu metal soffocano inesorabilmente l’elemento dark/gothic, perdendo la sua partita con le emozioni, oscure e romantiche, importantissime in un album del genere.
Non mancheranno di trovare estimatori e consolidare lo zoccolo duro dei propri fans tra i quindicenni brufolosi alle prime esperienze con le insidie della notte, ma l’alba è alle porte ed il ritorno a casa coinciderà con un padre furioso in attesa sulla soglia di casa.
Marilyn Manson, e via, una dopo l’altra, tutte le band che hanno sfilato in questi anni sui canali satellitari, sfoggiando pantaloni in pelle e magliette nere, una punta di mascara sugli occhi e faccine da angelo nero in preda a disperazione adolescenziale: niente più di questo si intravede tra i solchi di Unbroken, poco per meritare una sufficienza che sarebbe arrivata perlomeno con una voce più profonda e meno monocorde.
Spiacenti, ma il gothic/dark, anche se moderno e alternativo è davvero un’altra cosa.

TRACKLIST
01.Blame Yourself
02.Massive Slayer
03.Burn Inside
04.Lies
05.Don´t Let Us Fall
06.Okay
07.Far Away
08.Over Again
09.Still Here
10.My Shade
11.Dew
12.Slave
13.Brocken Bones
14.We´re Done
15.Still Here (Piano-Version)

LINE-UP
Kris Vlad – Vocals
Dario Vlad – Bass
Gregor Friday – Guitar
Cosmo Cadar – Drums

VLAD IN TEARS – Facebook

Martyrion – Our Dystopia

Quasi settanta minuti di musica sono tanti per un album che vive di alti e bassi: comprimendo il tutto, la resa sarebbe stata certamente migliore.

Death metal moderno e melodico, a tratti apocalittico, quello suonato dai Martyrion, band tedesca attiva da una decina d’anni e con alle spalle due precedenti full length e due ep.

Successore di Refugium: Exile, uscito anch’esso quest’anno, il nuovo lavoro del gruppo continua a dispensare metal estremo dai connotati moderni, melodico in molte sue parti e frenato da un mood marziale.
La caratteristica peculiare del sound è composta da una sequenza di riff melodici su di una base ritmica dal buon groove, il growl profondo e brutale infonde la giusta tensione, scontrandosi atmosfericamente con i solos ipermelodici delle chitarre.
Nulla di clamoroso ma sicuramente ben fatto, Our Dystopia ha la sua pecca nella prolissità; quasi settanta minuti di musica sono tanti e la band tende a replicare più volte la stessa formula.
Per molti è un male, ma se siete amanti del death metal melodico, la cosa non disturba troppo, anche se l’album vive di alti e bassi e riassumendo il tutto, avrebbe certamente reso di più.
Alcune parti ritmiche che sconfinano nel thrash, danno quella varietà sufficiente per non scadere nella noia, e diverse tracce meritano di essere menzionate (In the End, la thrashy The Calm After the Storm, il picco qualitativo We Are Only Human) mentre nella seconda parte l’attenzione scema leggermente per tornare ancora una volta alle prime note pianistiche dell’ottima No Fear No Obedience, oscura, melodica e dall’anima dark.
Siamo nel mondo del death metal melodico, la band non dimentica la sua provenienza ed aggiunge quel tocco dark/gothic apocalittico di cui i tedeschi sono maestri e l’album strappa un voto buono proprio per l’uso di atmosfere oscure e solos drammaticamente melanconici; se siete amanti del genere Our Dystopia è senz’altro un buon ascolto, i riferimenti sono da annoverare tra le fila del metal estremo nord europeo e dalla ombrosa scena dark/gothic tedesca.

TRACKLIST
1. Our Dystopia
2. In the End
3. Genozenith
4. The Calm After the Storm
5. What We Leave Behind
6. We Are Only Human
7. From Reality into Fear
8. The End of Eternity
9. The Uncertain Future Dies
10. When the World Watches
11. No Fear No Obedience
12. The Storm
13. With My Eyes Unaffected

LINE-UP
Jannik Baur- Drums
Felix Lüpke – Guitars
Hendrik Franke – Bass
See also: Transgression
Marian Freye – Guitars
David Schäfer – Vocals

MARTYRION – Facebook

DGM – The Passage

Il passaggio su Frontiers non ha alterato la proposta DGM. La band ha compiuto ancora un ulteriore passo in avanti verso la magnificenza.

Dopo il magnifico “Momentum” del 2013, mi giunge come graditissima sorpresa per il mio secondo contributo su Metal Eyes la proposta del Cavanna di recensire l’ultimo lavoro dei DGM.

L’attuale formazione è stabile da quasi un decennio e, per nostra gioia, ha composto grande musica. Quale fan dei Symphony X, mi sento molto vicino a quanto finora proposto dalla band italiana, e questi ultimi non hanno mai peraltro dissimulato l’influenza dei giganti americani.
Mi immergo perciò in questi 60 minuti con voluttà e le ampie aspettative (le ho ancora, malgrado la veneranda età) vengono rispettate fin dall’opener The Secret (Part I), 8 minuti buoni di eccellente power prog nei quali potenza, tecnica e feeling non lasciano spazio ai pensieri, tant’è la forza espressiva dei nostri. La mini suite si estende in The Secret (Part II), le atmosfere distese e l’andatura più riflessiva, caratterizzata da aperture melodiche di chitarra e tastiere ora brillanti, ora elegiache nel finale. Animal è diretta abilmente dalla chitarra di Simone Mularoni, ottimo compositore e sorgente inesauribile di riff coinvolgenti e fraseggi mai banali. Ghosts Of Insanity (con la partecipazione di Tom Englund degli Evergrey) mostra muscoli e perizia compositiva con un riff iniziale al fulmicotone, possente, vera màcina che sfocia in un ritornello delizioso, fino all’assolo di chitarra scintillante con un finale finale martellante e cupo.
Attacca Fallen e picchia al cuore alternando riff di matrice thrash a refrain ariosi da cantare a pieni polmoni. La title track mette i brividi con un riff iniziale tostissimo e geniale, una composizione entusiasmante che rallenta fino al sublime dialogo tra chitarra/tastiera e dal finale improvviso. La dolce Disguise per piano e voce introduce l’infuocata Portrait, dove tutti gli attributi dei talentuosi power metallers romani vengono esibiti senza inibizioni. La successiva Daydreamer allenta la presa ed è forse la traccia meno entusiasmante, ma Dogma ci inocula nuova adrenalina sempre alternando parti plasmate nell’acciaio ad altre di più ampio (e breve) respiro dove Mark Basile esprime potenza e melodia con linee vocali sempre ispirate, supportate egregiamente da tutti gli altri componenti, compreso l’ospite eccellente a nome Michael “SX” Romeo. La conclusiva In Sorrow ci culla e sfuma nel silenzio rimarcando l’eco di questo magnifico album che ha il solo vizio di essere ancora deliziosamente “dipendente” dalla Symphonia metallica del New Jersey.

TRACKLIST
01. The Secret (Part I)
02. The Secret (Part II)
03. Animal
04. Ghosts Of Insanity
05. Fallen
06. The Passage
07. Disguise
08. Portrait
09. Daydreamer
10. Dogma
11. In Sorrow

LINE-UP
Mark Basile – vocals
Simone Mularoni – Guitars
Emanuele Casali – Keyboards
Andrea Arcangeli – Bass
Fabio Costantino – Drums

DGM – Facebook

VV.AA – Witchery Flames Of Underground Lust – Metal Scrap Compilation #9

Nona compilation celebrativa per l’etichetta ucraina Metal Scrap

Nona compilation celebrativa per l’etichetta ucraina Metal Scrap che, in questi ultimi anni, si è messa in evidenza proponendo una serie di band di notevole fattura, alcune di queste già finite in passato nel nostro mirino.

All’interno di questa raccolta troviamo, quindi, brani di realtà conosciute e di sicuro livello, come gli originali deathsters russi Druknroll, la atmospheric black one man band americana Nihilistinen Barbaarisuus, i melodic blacksters polacchi Psychophobia, i misantropici ucraini Aeternus Prophet, i fantasiosi australiani One Step Beyond, i thrashers statunitensi Phantasmal, i più classici greci Sunlight e i devastanti bergamaschi Xpus.
Oltre a questi nomi ed alle relative buone canzoni, va segnalata anche la presenza di una delle migliori band estreme italiane, gli Hortus Animae, alle prese con una fantastica Ungrateful Fate (cover degli Entity); inoltre, appaiono rimarchevoli sia il power dei polacchi Divine Weep, con una traccia tratta dal loro ultimo disco, la cui recensione è di prossima uscita, sia il feroce industrial dei russi Ungrace, con una mazzata che va a porre la pietra tombale su un’opera che, come tutte le compilation del genere, ottiene il doppio scopo di rivelarsi utile sia alla label, per far conoscere le band presenti nel proprio roster, sia agli ascoltatori, i quali avranno modo di testare il livello di realtà fino ad oggi magari sconosciute.
Non resta che fare i complimenti ad Anatoliy Kondyuk, incoraggiandolo a continuare su questa strada all’insegna di proposte sempre brillanti per versatilità e qualità.

Tracklist:
1. DRUKNROLL – The Loop of World Creation
2. PSYCHOPHOBIA – The Fall
3. AETERNUS PROPHET – White Rot of Missing Thoughts
4. HORTUS ANIMAE – Ungrateful Fate
5. SABOTAGE – Don’t Panic
6. ESTATE – Hero
7. ONE STEP BEYOND – Enlightenment
8. BROKDAR – Lycanthropy
9. PHANTASMAL – Specter of Death
10. SUNLIGHT – Struggle for Deliverance
11. DARK MOROK – Night of the Shadows
12. NIHILISTINEN BARBAARISUUS – The Child Must Die
13. STRIDENT – Final Warhead Blast
14. XPUS – Primordial Evil Essence
15. GRENOUER – No Sense Aligned
16. DIVINE WEEP – Age of the Immortal
17. UNGRACE – Dead Ugly Hearts

METAL SCRAP – Facebook

Underdamped System – Phantom Pain

Un gigante elettrico che travolge a colpi di groove metal e che farà fumare i vostri impianti stereo dal primo all’ultimo brano.

La Polonia nel mondo del metal non è solo terra foriera di sonorità death/black, come in tutti i paesi del mondo le varie scene pullulano di realtà dalle più svariate influenze.

A confermare ciò la Metal Scrap licenzia il debutto di questi Underdamped System, al debutto con questo devastante e monolitico Phantom Pain.
Groove metal, industrial, melodie psichedeliche e disturrbanti compongono il sound del gruppo di Częstochowa, nato nel 2008 ed arrivato solo ora al traguardo del primo full length.
Il quintetto si nutre di queste sonorità con un approccio senza compromessi li colloca perfettamente tra i Pantera ed il sound di Meshuggah e gruppi affini.
Una bella mazzata direte voi, ed infatti Phantom Pain urla la sua rabbia contro il decadimento del genere umano a colpi di metallo cadenzato, pura lava dal groove pesantissimo, un bombardamento di note rese ancora più estreme da destabilizzanti esplosioni di riff secchi, una vena industriale che nelle ritmiche si trasforma in rotolanti pezzi di granito psichedelici, continuando il suo incedere verso la distruzione totale di menti travolte e spogliate da ogni certezza.
Le urla belluine di stampo hardcore convincono, in questo lavoro ci si aggira tra le periferie grigie di una Polonia rabbiosa, povera e lasciata allo sbando, la rabbia viene convogliata ed amplificata da tremende esplosioni di metallo che scintilla sbattuto in faccia ad un sistema nemico dell’uomo comune, sempre più belva assetata di sangue, bestia che fagocita vite lasciate a marcire tra i casermoni e strade lacerate dal disfacimento.
Un pesantissimo monolite che si abbatterà sulle vostre teste, una raccolta di brani dove tutto viene amplificato da un sound dall’enorme mole, un gigante elettrico che travolge a colpi di groove metal e che farà fumare i vostri impianti stereo dal primo all’ultimo brano.
Potenzialmente siamo al cospetto di un gruppo che nel genere saprà farsi valere; le band storiche sono ancora lontane, ma gli Underdamped System accorceranno sicuramente il gap, va solo dato loro il tempo.

TRACKLIST
1. Phantom
2. Prophecy
3. Abyssus
4. Legacy
5. Coffin (Lid Encryption)
6. Device
7. Wrath
8. Exile
9. Pain

LINE-UP
David – drums
Jaca – guitar
Marcin – guitar
Radek – bass
Kamil – vocals

UNDERDAMPED SYSTEM – Facebook

Kerasphorus – Kerasphorus

Il loro suono è violento e cattivo, a cavallo tra il death ed il black, con una forte preponderanza del secondo.

Band proveniente dalla Florida con una travagliata storia di line up alle spalle.

Tutto comincia nel 2008 quando Pete Helmkamp e Gene Palubicki decidono di mettere in pausa a tempo indeterminato la loro band Angelcorpse.
Prende quindi vita la creatura chiamata Kerasphorus, composta da Helmkamp al basso e alla voce e da Wolaniuk alle chitarre, il tutto per essere ancora più aggressivi rispetto alla band precedente. Nel 2009, grazie anche alla presenza di un batterista turnista, viene pubblicato il mini cd Cloven Hands At The Holocust Dawn. Dopo due anni e in due giorni di prove e registrazioni vede la luce o meglio le tenebre il 12” Necronaut. Entrambi i dischi ricevono una buona accoglienza dal pubblico e dalla critica, ma batterista e bassista si rifiutano di suonare dal vivo. Dopo varie discussioni con Palubicki e Palmer, che ora sono due membri fissi del gruppo, viene deciso di far diventare i Kerapshorus un lato più oscuro e cattivo degli Angelcorpse. Il loro suono è violento e cattivo, a cavallo tra il death ed il black, con una forte preponderanza del secondo. Aggressività ed intensità sono i marchi di fabbrica di questo gruppo, che fa la sua figura nel roster della Hellsheadbangers, etichetta a cui piace molto questo suono ibrido diretto e cattivo. In questo disco è contenuta la discografia del gruppo fino a questo punto, e anche se sono solo sei pezzi la raccolta è molto buona. Un altro grande gruppo dalla Florida.

TRACKLIST
1.Locust Nexus
2.Through the Spiral Void
3.The Abyssal Sanhedrin
4.Aosoth Paradigm
5.Disturb the Furthest Stars
6.Swarm Intelligentsia

LINE-UP
P. Helmkamp
G. Palubicki
R. Parmer

KERASPHORUS – Facebook

Carnal Tomb – Rotten Remains

Non è sicuramente a lavori come Rotten Remains che si chiedono originalità e personalità, ma i Carnal Tomb fanno pienamente il loro dovere.

Il death metal old school non accenna a diminuire i suoi putridi e malefici parti e i fans del genere, pur non cevdendo più i loro beniamini sulle copertine delle riviste di settore, se rivolgono lo sguardo leggermente più in basso troveranno di che sfamarsi, nutriti dal mondo dell’underground metallico.

Tra le strade buie di Berlino, zombie affamati aspettano di mutilare irrimediabilmente i vostri corpi, sempre in caccia di cibo e risvegliati dai deathsters Carnal Tomb, al debutto sulla lunga distanza con Rotten Remains, licenziato dalla Memento Mori.
In due anni di attività il gruppo tedesco ha dato alle stampe un demo ed un ep, raccolti poi nella compilation Revived dello scorso anno, ora però è il momento di Rotten Remains, devastante lavoro di death metal old school che richiama in modo particolare le storiche band scandinave e gli album usciti nei primi anni novanta.
Basta guardare la foto sul profilo facebook della band per capire che gli Entombed (l’immagine richiama una foto storica del gruppo svedese) sono tra le principali influenze del combo berlinese, così come i Dismember e compagnia di deathsters nordici che, ormai quasi trentanni fa,scrissero le tavole della legge del genere.
Rotten Remains dunque è un album che raccoglie l’eredità dei gruppi citati e, senza cambiare una virgola, ripropone quel tipo di sound in modo maniacale.
Non male l’impatto che i Carnal Tomb hanno sull’ascoltatore, l’album fila via che è un piacere, rallentamenti e furiose accelerazioni, solos che sanguinano come un arto staccato da un morso, un growl animalesco ed una montagna di riff giganteschi ed oscuri, sono le armi con cui il gruppo convince, rimanendo ancorato a soluzioni che più old school di così non si può.
Non è sicuramente a lavori come Rotten Remains che si chiedono originalità e personalità: Beneath The Coffins, Cycle Of Horror e la titletrack fanno il loro dovere, cioè massacrare l’ascoltatore con mazzate di death metal vecchia scuola, confrontandosi con le loro illustri influenze con rispetto e devozione.
Per gli amanti del genere un buon ritorno alle origini.

TRACKLIST
1. Undead Dread
2. Beneath the Coffins
3. Funeral
4. Cycle of Horror
5. Rotten Remains
6. Cemetery Inversion
7. Repository
8. Waking in a Casket
9. Repulsive Mutilation

LINE-UP
Corpse Ripper – Bass, Vocals
Cryptic Tormentor – Vocals, Guitars, Programming
Vomitchrist – Drums
Lobotomizer – Guitars

CARNAL TOMB – Facebook

Even Vast – Hear Me Out

La riedizione dell’album d’esordio può rivelarsi utile nel tornare a far parlare degli Even Vast, ma rischia d’essere fuorviante per chi intendesse seguirli nella loro nuova avventura.

La Sleaszy Rider è un’etichetta piuttosto attiva che, oltre a segnalarsi per un buon roster, è specializzata anche nella riedizione di album usciti diverso tempo fa; così, assieme all’utile e gradita rilucidatura  di Sleep Of The Angels dei Rotting Christ, troviamo anche la riproposizione di Hear Me Out, disco d’esordio degli Even Vast.

Tale scelta, relativa ad una lavoro che non può essere certo paragonabile per valore a quello della band di Sakis, trova una sua motivazione con la recente firma della band italiana con l’etichetta ellenica, ma non ne fotografa la massima espressione artistica e dubito che possa anche rappresentare un’utile introduzione a quello che verrà, alla luce dei preannunciati cambiamenti stilistici e di line-up.
Hear Me Out uscì originariamente nel 1999, andando a collocarsi all’interno del filone del gothic doom con voce femminile che, in quel decennio, visse i momenti di massimo splendore: lo stile della band aostana era molto più asciutto e privo di fronzoli atmosferici rispetto a modelli quali Theatre Of Tragedy o Within Temptation, ma quell’esordio si rivelava ancora acerbo, soprattutto nell’interpretazione vocale di una Antonietta Scilipoti che, nei dischi successivi, sarebbe decisamente progredita contribuendo fattivamente alla riuscita di un buon lavoro come Outsleeping (2003).
Dopo qualche anno di silenzio, gli Even Vast diedero infine alle stampe nel 2007 Teach Me How to Bleed, album che mostrava una svolta elettronica sulla falsariga di quanto fecero a inizio millennio i già citati Theatre Of Tragedy con Musique, per poi non dare più segnali di attività fino a quest’anno.
Tornando a Hear Me Out, non mancavano brani di buona fattura (su tutti Foolish Game) ma la sensazione, oggi, è quella di ascoltare una band che si trovava ancora in una fase embrionale nella quale alcuni ottimi spunti risultavano frammisti a diverse imperfezioni, e le bonus track inserite nella riedizione, trattandosi di tracce registrate dal vivo, non fanno altro che accentuare gli aspetti negativi.
Della line-up originale è rimasto oggi il solo Luca Martello, nel frattempo trasferitosi in Inghilterra dove ha ridato vita alla band che dovrebbe aver virato decisamente verso lo sludge doom, abbandonando le pulsioni gotiche del decennio scorso.
Anche per questo, la riedizione dell’album d’esordio può rivelarsi utile nel tornare a far parlare degli Even Vast, ma rischia d’essere fuorviante per chi intendesse seguirli nella loro nuova avventura.

Tracklist:
1. Never Hear Me
2. Once Again
3. The One You Wish
4. Foolish Game
5. Memories
6. Energy
7. Believe Me
8. RU
9. The One You Wish (live) * bonus track
10. Once Again (live) * bonus track
11. Over (live) * bonus track

Line-up:
Antonietta Scilipoti – vocals
Luca Martello – guitars
Diego Maniscalco – bass
Paolo Baltaro – drums, keyboards

EVEN VAST – Facebook

Vicious Rumors – Concussion Protocol

Non mancano brani che ricordano il passato glorioso del gruppo statunitense ed il songwriting si attesta su di una media medio alta per tutto lo scorrere del lavoro.

Geoff Thorpe non molla la presa e, a distanza di tre anni da Electric Punishment, torna con un nuovo album (il dodicesimo) dei suoi Vicious Rumors, heavy power metal band made in U.S.A., amata da chiunque si professi un amante dei suoni metallici fin dall’anno di grazia 1988, da quando cioè uscì il loro capolavoro Digital Dictators.

Una carriera quella del gruppo californiano tra alti e bassi, con un periodo che li vide affrontare suoni dal mood più moderno e cool, una sfilza di vocalist che si sono avvicendati dietro al microfono ed il ritorno alle sonorità heavy power con le ultimissime uscite.
Concussion Protocol, prodotto dal chitarrista e Juan Urteaga ai Trident Studio, famosi per aver già ospitato artisti come Testament, Heathen, Machine Head ed Exodus, e con la partecipazione di due ospiti d’eccezione come Brad Gillis (Night Ranger) e Steve Smyth (Nevermore, Testament, Forbidden), vede due nuovi entrati nella line up del gruppo rispetto al suo predecessore: l’ottimo singer Nick Holleman vero animale metallico, ed il bassista Tilen Hudrap.
Valorizzato come sempre dal sontuoso lavoro di Thorpe alla sei corde e aiutato dall’ascia di Thaen Rasmussen, l’album si sviluppa su un concept catastrofico riguardante la caduta di un asteroide sulla terra ed il conseguente armageddon a cui va incontro il genere umano; il gruppo viaggia a mille all’ora tra power metal e ritmiche thrash risultando devastante e melodico, ruggente e molto heavy.
L’heavy metal classico ha appunto un ruolo fondamentale in questo lavoro, la voce di Holleman spazza via ogni tentazione moderna regalandoci una prova da singer di razza, nato e cresciuto nella più pura tradizione metallica e le songs ci guadagnano in impatto ed appeal melodico.
Non mancano brani che ricordano il passato glorioso del gruppo statunitense (Digital Dictators, Vicious Rumors e Welcome to the Ball, album fondamentali per il movimento metallico d’oltroceano) ed il songwriting si attesta su di una media medio alta per tutto lo scorrere del lavoro.
I cinque californiani picchiano che è un piacere, le chitarre fumano sotto le dita degli axeman e le ritmiche sono tempeste sulla costa, le ottime Chemical Slaves, Victims of a Digital World, dal mood hard rock, ed il massacro sonoro ad opera di 1000 Years sono solluchero per i padiglioni auricolari metallizati dal sound old school che il gruppo, almeno questa volta, riesce ad imprimere in questa raccolta di canzoni che non mancherà di soddisfare gli amanti della musica di Thorpe.
Un buon ritorno, il tempo è passato troppo in fretta ma la voglia di suonare metallo è tornata quella di una volta.

TRACKLIST
1. Concussion Protocol
2. Chemical Slaves
3. Victims Of A Digital World
4. Chasing The Priest
5. Last Of Our Kind
6. 1000 Years
7. Circle Of Secrets
8. Take It Or Leave It
9. Bastards
10.Every Blessing Is A Curse
11. Life For A Life

LINE-UP
Nick Holleman – vocals
Geoff Thorpe – guitars
Thaen Rasmussen – guitars
Tilen Hudrap – bass
Larry Howe – drums

VICIOUS RUMOURS – Facebook

Svoid – Storming Voices of Inner Devotion

Album molto originale, prodotto benissimo e dall’assoluta qualità compositiva

Non mi starò a dilungare su quanto le etichette date alla musica in generale siano molte volte riduttive se non fuorvianti e mentre a chi scrive servono per lasciare un minimo di indicazione per il lettore, in alcuni casi diventano dei boomerang che si abbattono sul recensore di turno che, magari in buona fede, cerca di spiegare l’arte musicale contenuta in un album.

Storming Voices Of Inner Devotion è uno di questi album, pregno di così tanta originalità da mettere in difficoltà più di un ascoltatore, figuriamoci chi oltre ad ascoltare deve pure provare a descriverlo.
Post black metal, parto da qui e in effetti molte ritmiche, l’aura oscura che aleggia sui brani e l’uso dello scream portano sicuramente verso questa direzione, ma basta un attimo agli Svoid per far cadere tutte le certezze che ad un primo e superficiale ascolto ci siamo creati, allargando i confini persino di questo genere che, partendo da una solida base black, dona sfumature diverse a seconda di chi ci si approccia.
Il gruppo (un terzetto) è attivo dal 2009, proviene dall’Ungheria e questo lavoro è il suo secondo full length, successore di To Never Return del 2013 e del debutto in formato ep uscito nel 2011 (Ars Kha).
Storming Voices of Inner Devotion è un bellissimo affresco di musica estrema, il black metal è sicuramente una parte importante del sound proposto, ma il gruppo va oltre, cercando (riuscendoci) di rompere un bel po’ di barriere, non solo tra i generi estremi, convogliando note figlie di altri mondi musicali,in un unico spartito.
Musica estrema dall’alto tasso progressivo, questo è certo, ritmiche ed atmosfere rock che si incontrano e lasciano spazio a parti metalliche in modo talmente naturale (o cosi la band le fa sembrare) che, appunto, bisognerebbe trovare un’etichetta specifica solo per la musica degli Svoid.
Loro la chiamano anti-cosmic metal, io per questa volta ci rinuncio e vi lascio alle bellissime Crown Of Doom, Never To Redeem, all’irresistibile chorus di Eternal , al basso che sa tanto di The Cure di Forlorn Heart e alla furia estrema della conclusiva In Damnation Vast.
Album molto originale, prodotto benissimo e dall’assoluta qualità compositiva, un perfetto vestito nero cucito con stoffa proveniente dal black, dall’alternative, dal dark e dal prog moderno, la taglia non conta, magicamente vi si cucirà addosso e non riuscirete più a toglierlo.

TRACKLIST
1. Through the Horizon
2. Crown of Doom
3. Never to Redeem
4. Death, Holy End
5. Eternal
6. A Mind in Chains
7. Lefelé a setét mélységbe
8. Forlorn Heart
9. Bloodline
10. Long I’ve Gone (Where All Sinks)
11. In Damnation Vast

LINE-UP
S – Bass, Vocals, Guitars
Dániel – Drums, Vocals
Gergő – Guitars, Vocals

SVOID – Facebook

Slaughtbbath / Grave Desecrator – Musica De Nuestra Muerte

Un ottimo split che ha lo scopo di promuovere due ottime realtà sudamericane di rumore e satanismo.

Sette pollici split fra due grandi band sudamericane, i cileni Slaughtbbath e i brasiliani Grave Descrator.

I primi usciranno preso sempre su Hellheadbangers, e i secondi sono già usciti per questa etichetta che tiene alto il nome delle vere produzioni metal. Gli Sl1aughtbbath fanno un black metal fortemente influenzato dal death, con molti richiami sia ai classici del black sia al death metal della Florida degli anni novanta. Cattiveria ed oscurità vi porteranno in catacombe lo fi da dove non ne uscirete più. Nelle note di questi cileni possiamo anche ascoltare gli echi di una fiera tradizione black metal sudamericana che non molla mai, ma che anzi continua. Se andate sul loro bandcamp troverete molti dei loro ottimi album in download libero, e ne vale davvero la pena. In questo split hanno una traccia sola ma che rende molto bene l’idea.
I brasiliani Grave Desecrator fanno invece un speed metal molto sporco e molto devoto agli anni ottanta, con della cattiveria in più. Hanno pubblicato da poco anche il nuovo disco Dust To Lust. Le loro composizioni sono stratificate e notevoli, e questo brano gli rende molta giustizia.
In definitiva un ottimo split che ha lo scopo di promuovere due ottime realtà sudamericane di rumore e satanismo.

TRACKLIST
1. SLAUGHTBBATH: Nefast Fireground / Tyranny From Sodom
2. GRAVE DESECRATOR: The Fallen (Intro)
3. GRAVE DESECRATOR: SxSxSx (Sex, Sin and Satanism)

Bloodred – Nemesis

Un sound roccioso che si nutre di death, black e thrash

Un lavoro autoprodotto dalla natura estrema, che esce cristallino e perfettamente godibile in tutte le sue parti, acquista valore anche per lo sforzo della band nel consegnare ai posteri un prodotto il più professionele possibile.

Nemesis è tutto questo e non solo, primo lavoro sulla lunga distanza dei Bloodred di Ron Merz, polistrumentista tedesco, in questo caso aiutato alle pelli da Joris Nijenhuis (Leaves´ Eyes, Atrocity, ex-DrDoom), una piovra dannatamente potente ed efficace, non per niente batterista di nomi altisonanti del metal europeo. Non
solo il batterista, la famiglia Leaves’Eyes/Atrocity è ben presente nella creazione di Nemesis con il mastermind Alexander Krull, dietro alla consolle per i lavori di produzione, mix e mastering avvenuti nei Mastersound Studio e con l’artwork curato da Stefan Heilemann, artista già al servizio per il gruppo di Krull e Liv Kristine e altre top band del genere come Nightwish, Epica e Lindemann.
Con queste premesse non poteva che uscire un album notevole, ed infatti al primo colpo (il primo vagito dei Bloodred risale all’ep di due anni fa con The Lost Ones) Ron Merz centra il bersaglio: la sua creatura vive di umori estremi devastanti, epici, battaglieri, in una tregenda portata dall’invasione della creatura Bloodred, mai doma, affamata di sangue, dominatrice e tremendamente oscura.
Un sound roccioso che si nutre di death, black e thrash, non in parti uguali ma a formare una macchina da guerra paurosa, con Joris Nijenhuis che nell’oscurità semina morte e distruzione con feroci blast beat ed una prova in generale sopra le righe, e Merz che vomita odio dalla bocca e tremendi riff dal taglio black con la sei corde che si trasforma in una rocciosa e devastante arma death/thrash.
Si passa con disinvoltura da violente scariche di metal estremo dal taglio nordico (la titletrack) a furiose tempeste di note che pescano dal metal estremo più in linea con le produzioni europee, la scuola tedesca è ben presente, sia per quanto riguarda l’anima thrash sia per quella più oscura del death metal e le chicche non mancano (Tragedien i Svenskehuset e The Lost Ones su tutte).
Discorso a parte per la conclusiva Im kalten Licht der Ewigkeit, un brano cantato in lingua madre, gelido come il vento del nord che spazza via le anime dai corpi putrefatti dei caduti sul campo di battaglia, una marcia verso l’inferno, cadenzata e straziante, atmosfericamente terrificante e colma di lugubri sfumature true Norwegian black metal.
Non mi resta che fare i complimenti al musicista tedesco ed obbligarvi a far vostro questo gran bel pezzo di metallo estremo.

TRACKLIST
1. Fell Voices on the Wind
2. Tragedien i Svenskehuset
3. Nemesis
4. The Hail-Storm
5. Collateral Murder
6. The Lost Ones
7. Spirits of the Dead
8. Im kalten Licht der Ewigkeit

LINE-UP
Ron Merz – Guitars, Bass & VocalsDrums
Joris Nijenhuis – Drums

BLOODRED – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Hyponic – 前行者

Un buon ritorno che si spera sia propedeutico ad altre future uscite

Gli Hyponic sono una realtà proveniente da Hong Kong e dedita ad un funeral doom davvero stimolante.

Presi sotto l’ala protettiva della Weird Truth Productions, la label giapponese specializzata in doom e gestita, non a caso, da Makoto Fujishima, massimo esponente del genere nel paese del Sol Levante, gli Hyponic infatti si rifanno vivi con il loro terzo full length dopo oltre un decennio di silenzio discografico.
Il titolo dell’album, così come quelli dei brani (ad eccezione della cover dei Virus, Intro), sono tutti composti da ideogrammi per noi indecifrabili per cui identificherò le tracce con l’ordine di posizionamento nella tracklist.
Il funeral doom degli Hyponic è decisamente interessante, proprio in quanto di difficile collocazione stilistica, e denota, pertanto, una buona dose di personalità e di predisposizione ad una sperimentazione tutt’altro che velleitaria; infatti, nonostante la musica di provenienza asiatica, talvolta viva di una luce riflessa rispetto alle proprie fonti di ispirazione, siano esse di matrice europea od americana, si può dire che la proposta in questo caso ha una sua spiccata peculiarità, nel senso che le influenze vengono elaborate ed espresse in maniera non calligrafica, come avviene con le aperture drammatiche in stile primi Monolithe, e con passaggi di matrice ambient e rarefazioni acustiche che possono ricondurre a grandi linee agli Esoteric o anche agli stessi Funeral Moth di Fujishima.
In sostanza, quest’album degli Hyponic è di egregia fattura, anche se di non semplice ascolto: è fuor di dubbio che aiutano non poco, a livello di fruizione, le ottime aperture chitarristiche in versione solista che troviamo sia nella traccia d’apertura sia, in una più disturbante veste, nell’eccellente quarto brano; come già detto, però, più spesso è una componente ambient a prendere il sopravvento, rendendo l’album non meno interessante e, per quanto elaborato, tutt’altro che tedioso, offrendo la possibilità di godere di una band in grado di tenere alto il vessillo del doom estremo di matrice asiatica, grazie ad un buon ritorno che si spera sia propedeutico ad altre future uscite.

Tracklist:
1. 前行者
2. 誅滅零八
3. 最後陳述
4. 寧劈不回
5. 飄流
6. Intro (Virus cover)

Line-up:
Roy – Drums
Wah – Vocals, Guitars
Mei Fun – Bass

HYPONIC – Facebook

Sodom – Decision Day

Decision Day non diventerà un classico, i bei tempi sono passati ormai, ma sicuramente non farà rimpiangere più di tanto i vecchi lavori del gruppo tedesco

Ne hanno fatte di battaglie i Sodom dai primi anni della decade ottantiana, anni che per i true metallers rimangono quelli d’oro per antonomasia del metal considerato classico (o per alcuni old school), dove le prime avvisaglie estremiste cominciavano a contaminare l’heavy metal, per trasformarsi in orde barbariche death e thrash.

Tom Angelripper, insieme a Mille Petrozza dei Kreator e Schmier dei Destruction, si possono considerare come il padre, il figlio e spirito santo della cosiddetta sacra triade di questo mostro chiamato thrash metal e che in terra tedesca trovò i suoi migliori interpreti, almeno per quanto riguarda la vecchia Europa.
Siamo nel 2016, sono passati quasi quarant’anni, eppure in pochi mesi ritroviamo più in forma che mai le due anime più legate al thrash tout court della triade, appunto Destruction (freschi di stampa con l’ultimo e bellissimo Under Attack) ed ora Sodom, con questo ritorno che a conti fatti risulta un ottimo lavoro.
Il quindicesimo album dell’infinita discografia del terzetto di Gelsenkirchen, che vede (oltre al buon Tom come sempre alle prese con basso e voce) anche Bernemann alla sei corde e Markus “Makka” Freiwald alle pelli, continua la tradizione guerresca del gruppo: oggi la band ci porta nel Giugno del 1944 e ai fatti che spinsero gli alleati a sbarcare, non senza dolorose e numerosissime perdite sulle coste della Normandia con la missione di liberare l’Europa dall’oppressione nazista.
Decision Day, titolo molto “americano” è stato prodotto da Cornelius ´Corny` Rambadt, batterista e tecnico del suono del progetto solista di Angelripper, ed illustrato da Joe Petagno, storico artista e grafico al lavoro con icone del metal e del rock come Led Zeppelin, Pink Floyd e Motorhead.
Il gruppo, messe in campo le sue armi migliori, parte alla conquista delle scogliere a nord della Francia con il suo sound spaccaossa, un bombardamento thrash metal che non lascia scampo già dall’opener In Retribution, sei minuti abbondanti di ritmiche infernali, scream al limite del black e solos terremotanti.
Il mood del disco si rifà in toto al primo brano e continua imperterrito la sua avanzata nel cuore del territorio europeo a suon di cannonate, intervallate da attimi di metallo classico ed oscuro, tragicamente melodico ma inesorabilmente potente.
Si respira tra i solchi delle varie Decision Day, Who is God?, il mid tempo estremo di Strange Lost World, il massacro sonoro Sacred Warpath, una fievole speranza di luce, una convinzione che, dall’abominevole sterminio ci sarà una rinascita, ancora una volta una chance data all’uomo che continua a non imparare dai propri errori ma che come un’araba fenice, quando tutto sembra perduto, rinasce per provare a costruire un mondo diverso.
Il trio trasforma queste sensazioni in musica perennemente in bilico tra il thrash metal più oltranzista e quello classico, il che aiuta non poco l’atmosfera oscura di Decision Day.
Batteria e basso liberi di far danni sono una macchina di morte metallica sopra le righe, la sei corde riempe di riff e ritmiche molte volte il limite del marziale il sound, mentre Angelripper conquista cuori metallici dal’alto del suo ruvido e malvagio tono vocale.
Una bellezza Refused To Die, cavalcata che ricorda una marcia delle truppe verso la morte, ora scalfita da venti metallici che da nord soffiano imperterriti sulle coste imbrattate dal sangue dei soldati caduti sotto i colpi dei nemici in un deliro brutale e senza freni.
Decision Day non diventerà un classico, i bei tempi sono passati ormai, ma sicuramente non farà rimpiangere più di tanto i vecchi lavori del gruppo tedesco; per i fans un gran bel regalo da parte di chi la storia del genere l’ha scritta sul serio.

TRACKLIST
1.In Retribution
2.Rolling Thunder
3.Decision Day
4.Caligula
5.Who Is God?
6.Strange Lost World
7.Vaginal Born Evil
8.Belligerence
9.Blood Lions
10.Sacred Warpath
11.Refused To Die
12.Predatory Instinct

LINE-UP
Tom Angelripper – Bass, Vocals
Bernemann – Guitars
Makka – Drums

SODOM – Facebook

EDxKEMPER – Cut Her Head And Love Her

Cut Her Head And Love Her è da spararsi tutto d’un fiato quando la vostra voglia di sangue prende il sopravvento

Torna il grind puro efferato, distruttivo, amato e odiato e lo fa con l’ep del combo greco EDxKEMPER , quintetto di Atene che per Symbol Of Domination da vita a questi dieci brani per 9.01 minuti di musica che riescono nell’impresa di sorprendere in uno spazio talmente ridotto che probabilmente non ha eguali.

Le soprese non finiscono qui, perchè a masterizzare queste terribili dieci tracce troviamo nientemeno che
Dan Swanö, sommo musicista e produttore, ex leader di chi il death metal melodico ha contribuito ad inventarlo (Edge Of Sanity) e qui alle prese con un genere che non mi risulta nelle sue corde.
Il gruppo di grindsters prende spunto per le liriche dalla psyche distorta di Edmund Kemper, famoso serial killer americano che svolse la sua missione di morte nella zona di Santa Cruz nei primi anni settanta, un modo alquanto originale per creare nove minuti di terremoto estremo, dalla velocità impressionante, violentissimo e perfettamente in linea con il più puro spirito grind.
Dieci brani di cui ovviamente solo due arrivano al minuto, dieci mitragliate di genere che sono accompagnate da un gran lavoro in sala d’incisione (la produzione è stata affidata a Greg Skouras aiutato dal gruppo) e dalla copertina notevole curata da Dark Ink Terrorismo.
Ovviamente parlare delle tracce diventa assolutamente inutile, Cut Her Head And Love Her è da spararsi tutto d’un fiato quando la vicina di casa mostra tutta la sua simpatia malsana e la vostra voglia di sangue prende il sopravvento, ottimo modo per non mettere in pratica gli insegnamenti del buon Edmund.

TRACKLIST
01. Dead And Gone
02. 5 Years In Hell
03. I.C.H.M.T.A.B.T.A.S.M.
04. Desperate Cries
05. Cut Her Head And Love Her
06. Dear Mother
07. For A Piece Of Rotten Flesh
08. Your Pitiful Life
09. Her Soul Lives In Me
10. Not For Your Eyes

LINE-UP
Sotiris – Vocals
Michalis – Drums
Spyros – Bass
Labros – Guitars
Vanya – Guitars

EDxKEMPER – Facebook

Snorri – Putrid Fucking Black Metal

Come un’onda nera che ricopre il tutto e che ci avvolge tra le putrescenze gli Snorri fanno un black metal classicheggiante ed aggressivo

Tutto nero, tutto sta marcendo e stiamo cadendo sempre più in basso.

Dall’Australia arriva la colonna sonora di un’apocalisse fatta di squartamenti, di tagli dal basso verso l’alto, ad opera di una legione di demoni. Snorri è una creatura a due teste che viene dall’underground metallaro australiano, e il loro suono si avvicina a quello delle origini, ma c’è di più. Come un’onda nera che ricopre il tutto e che ci avvolge tra le putrescenze, gli Snorri fanno un black metal classicheggiante ed aggressivo, con riferimenti a varie scene, sia a quella europea che a quella americana. Questa cassetta è la prima uscita ufficiale del gruppo, e fa parte di un trittico di cassette veramente notevole lanciato questa estate dalla portoghese Signal Rex, una delle etichette migliori nel campo del black metal. Putrid Fucking Black Metal va sentito come un continuum o come un libro degli orrori, le chitarre si alzano furenti, mentre la batteria ed il basso scavano pentacoli sulla superficie terrestre, la furia va e viene, a seconda della volontà demoniaca di chi hanno evocato gli Snorri. Non c’è continuità ma bensì nera discontinuità. Forse non abbiamo bisogno di opere di bene, ma di marci fiori del male.

TRACKLIST
01. Exorcism Masturbation
02. Black Fucking Mass
03. Homo Homini Lupus
04. Abel De La Rue
05. Into The Endless Darkness

LINE-UP
Old
B.H.

SIGNAL REX – Facebook

George Tsalikis – The Sacrifice

Esordio solista per il frontman dei Zandelle, George Tsalikis, con un concept incentrato su una storia di vampiri, dalle buone idee poco valorizzate da una produzione deficitaria.

George Tsalikis è il frontman dei power metallers americani Zandelle, nonchè ex Gothic Knights, e torna sulle nostre pagine un anno dopo l’uscita dell’ottimo Perseverance, che vedeva il ritorno sul mercato del gruppo newyorkese dopo sei anni dall’ultimo lavoro.

Il frontman debutta con il primo lavoro solista, autoprodotto ma distribuito dalla label tedesca Pure Steeel, con un’opera ambiziosa dal concept vampiresco.
Una storia di vampiri dunque, moderna magari ma pur sempre di “succhiasangue” si tratta, un argomento abusato in tutte le forme d’arte dal cinema alla musica e tornato in auge negli ultimi anni.
Il singer si contorna di un manipolo di musicisti della scena metal statunitense e da vita ad un album di U.S. metal old school nella sostanza così come nella forma, senza grossi picchi qualitativi ma che non mancherà di piacere, specialmente a chi apprezza l’heavy metal americano, oscuro ed in gran parte strutturato su ritmi cadenzati su cui Tsalikis ed i vari ospiti narrano le vicende delle creature della notte.
Il nostro si destreggia tra chitarre, basso, piano e tastiere, le pelli sono lasciate al drummer Mike Paradine, mentre molti dei solos sono ad appannaggio del chitarrista Richie Blackwood e le vocals che fanno la loro apparizione lungo il corso della storia sono di Alanna Dachille, Ryan Taylor, Caitlin Rose Scarpa, Don Manzo e Kristen Keim.
Heavy metal robusto ma alquanto melodico, pregno di atmosfere oscure, vissuto tra i vicoli di una New York alle prese con romantici vampirelli, strade bagnate da pioggia sporcata dallo smog della grande mela, un via vai di canzoni che vivono su cavalcate vecchia scuola, valorizzate da buoni interventi chitarristici ma poco esplosive, complice una produzione appena sufficiente che non imprime la giusta forza alle canzoni.
L’idea non è male, qualche canzone riesce ad uscire dall’anonimato, ma la batteria è poco incisiva e le performance dei vari cantanti lasciano pochi ricordi, appiattendosi sul compitino e nulla più.
Peccato, perché il metallo classico di cui si fregia il sound di The Sacrifice è di quello d.o.c., puntando sulle buie trame degli storici Metal Church, le ritmiche robuste degli Zandelle e l’atmosfera da opera metal che però, purtroppo, si respira solo a tratti tra i solchi di Declaration e Inner Struggle.
Un album che con un opportuno lavoro di rimasterizzazione potrebbe acquisire quel tanto che basta per valorizzare il sound, mentre per ora è circoscritto al mondo degli appassionati del genere.

TRACKLIST
1. Chapter 1: World of Darkness
2. Chapter 2: Of My Dreams
3. Chapter 3: The Vixen
4. Chapter 4: The Vampire’s Promise
5. Chapter 5: Taken
6. Chapter 6: Declaration
7. Chapter 7: The Confrontation
8. Chapter 8 (part 1): Inner Struggle
9. Chapter 8 (part 2): With Friends Like These
10. Chapter 9: Victimized
11. Chapter 10: The Hero’s Lamen

LINE-UP
George Tsalikis – lead vocals, rhythm guitar, accoustic guitar, bass, keyboards, piano

special guests:
Mike Paradine – drums
Richie Blackwood – lead guitars
Alanna Dachille – vocals
Ryan Taylor – vocals
Caitlin Rose Scarpa – vocals
Don Manzo – vocals
Kristen Keim – vocals

GEORGE TSALIKIS – Facebook