Fankaz – Seities

Tanta melodia ed un’equilibrata durezza per un disco che fa star bene e che davvero ci voleva. Lasciatevi andare, al resto ci pensano i Fankaz.

I Fankaz pubblicano un disco che riallinea le stelle e il globo terracqueo con l’hardcore melodico, genere troppo spesso stuprato da ignoranti senza arte né parte.

I Fankaz hanno qualcosa in più rispetto alle altre band del genere e lo si sente subito, grazie anche alla loro grande padronanza tecnica, che li porta ad eccellere. Il disco sarà uno dei più grandi successi che la vostra cameretta abbia mai visto, con dita alzate e cori che volano, e tanto tanto amore. Finalmente con un disco come Seities ci si può abbandonare alla musica, lasciando da parte generi, sottogeneri, pose o dichiarazioni rilasciate all’asilo dal cantante o in piscina a nove anni dal bassista. Questo è un disco da godere, abbandonarsi e lasciarsi andare, nella migliore tradizione dell’hardcore melodico tecnico. Una delle loro maggiori ispirazioni, e lo dichiarano anche loro, sono i magnifici Belvedere, un gruppo canadese di hardcore melodico fatto con gran tecnica che è un piacere solo pronunciarne il nome. E i Fankaz sono anche meglio in alcuni frangenti. Questi ragazzi, che sono già in giro da un po’, hanno un sacco di registri e di idee, ma soprattutto emozionano e hanno quel suono che è davvero bello risentire riproposto in questa maniera, così appassionata e competente. Musica da adolescenti ? No di certo, perché le emozioni non devono avere età, e risentire che da qualche parte battono ancora i cuori al ritmo di Belvedere, Lagwagon e Strung Out, non può che riempire di gioia. Seities è un disco davvero ben fatto e suonato benissimo, e dal vivo deve essere una bomba. Tanta melodia ed un’equilibrata durezza per un disco che fa star bene e che davvero ci voleva. Lasciatevi andare, al resto ci pensano i Fankaz.

TRACKLIST
01-Intro
02-Screams of Lies
03-Overwhelmed
04-I Feel Sorry
05-Broken City
06-Behind the Curtains
07-Petrified
08-My Stories
09-Something Personal
10-Day by Day
11-Fale Witness
12-Symptoms

LINE-UP
RICKY – Guitar – Voice
ELIO – Guitar – Voice
MORA – Bass – Voice
POLE – Drums

FANKAZ – Facebook

Paolo Baltaro – The Day After the Night Before

The Day After the Night Before va scoperto piano, senza fretta, abbandonandosi tra le note di questi splendidi brani.

Certo che la scena underground nazionale non smette di regalare sorprese e così, lasciando per un attimo la frangia metallica ed estrema, ci facciamo travolgere dalla musica totale del polistrumentista Paolo Baltaro, al secondo album da solista dopo i trascorsi con varie band, tra le quali Arcansiel, Mhmm, Roulette Cinese, S.A.D.O. e Sorella Maldestra.

Questo nuovo lavoro segue il debutto licenziato per Musea nel 2011 (Low Fare Flight to the Earth) ed entusiasma per la varietà della musica proposta che, se può senz’altro essere considerata come rock progressivo, è composta da una moltitudine di anime musicali perfettamente amalgamate nel suo insieme.
Ogni brano è stato composto come una colonna sonora di film inesistenti, in cui Baltaro canta e suona tutti gli strumenti aiutato da molti altri musicisti, eccetto le due versioni di Do It Again, colonna sonora reale dell’ultimo film di Ricky Mastro, in preparazione questi giorni e in uscita prevista per la prima metà del 2017, e le due cover Bike (Syd Barrett) e It’s Alright With Me (Cole Porter).
Registrato a Londra al Pkmp Soho Studios e ad Amsterdam allo Studio 150, masterizzato da Cristian Milani al Rooftop Studio di Milano, l’album è un’opera affascinante dove la parola d’ordine è stupire.
Progressivo nel più puro senso del termine, The Day After the Night Before – Original Soundtracks for Imaginary Movies si compone di una dozzina di brani l’uno diverso dall’altro, l’uno più intrigante dell’altro, dove il musicista nostrano vola oltre i confini ed i muri costruiti per imprigionare i generi, per raccogliere il meglio che la musica rock può offrire donandolo all’ascoltatore.
Dagli anni settanta ai giorni nostri, si compie un viaggio su una nuvola di note che solca il cielo mentre progressive, jazz, rock e fusion compongono quella che risulta di fatto un’opera rock.
Preparatevi all’ascolto dell’album come se doveste incontrare in una quarantina di minuti tutti gli artisti e musicisti che hanno segnato la storia della nostra musica preferita, dai Pink Floyd, ai Beatles, da Jimi Hendrix a Frank Zappa: in totale libertà artistica e con una facilità disarmante Paolo ce li presenta tutti prima che il loro contributo, tradotto in ispirazione, lasci un segno indelebile su questo splendido album.
The Day After the Night Before va scoperto piano, senza fretta abbandonandosi tra le note di questi splendidi brani: l’opera è scaricabile dal sito del musicista (www.paolobaltaro.com), mentre è disponibile all’acquisto la versione in vinile più cd, quindi non ci sono scuse per perdersi un lavoro di questa portata.

TRACKLIST
1.Do It Again (Acoustic Version)
2.Postcard From Hell
3.Cole Porter At Frankz’s Birthday Party
4.Goodnight
5.Another Sunny Day
6.Bike
7.Nowhere Street Part II
8.Pills
9.Silent Song
10.It’s All Right With Me
11.Do It Again (Electric Version)
12.Revolution N.13-11 (Hidden Track)

LINE-UP
Paolo Baltaro – Vocals, all Instruments
Andrea Beccaro – Drums
Andrea Fontana – Drums
Alessandro De Crescenzo – Guitars
Paolo Sala – Guitars
Gabriele Ferro – Guitars
Gabriel Delta – Guitars
Simone Morandotti – Piano
Barbara Rubin – Chorus
Luca Donini – Sax, Flute
Sandro Marinoni – Sax, Flute
Alberto Mandarini – Tromba

PAOLO BALTARO – Facebook

Thrownness – The Passage And The Presence

I Thrownness hanno piazzato un primo colpo da ko, e spero ne seguano tanti altri che ci lasceranno sanguinanti e barcollanti come questo.

Totale massacro hardcore per questo giovane gruppo milanese: Thrownness è un concetto filosofico introdotto dal filosofo tedesco Heidegger, che viene dai più additato come pessimista e catastrofico, ma che invece aveva ragionato molto profondamente sulle gesta umane e ne aveva ricavato una giusta consapevolezza.

Riassumendo in breve il concetto di Thrownness, lo si può descrivere come un disagio derivante dal fatto di essere stati buttati nel mondo senza averlo potuto scegliere, e che abbiamo un disagio atavico nato per la differenza tra la vita che viviamo e quella che vorremmo vivere, quindi frustrazioni, deliri, etc. Insomma Thrownness è disagio, e il gruppo milanese col supporto del disagio fa un disco di hardcore metal clamoroso, velocissimo, molto potente e suonato con un piglio da consumati veterani, a conferma del fatto che non conta tanto la sapienza nell’hardcore ma l’importante è avere la futta, la rabbia e se la razionalizzi musicalmente ne viene fuori un disco come The Passage And The Distance. Il disco, in download libero sul bandcamp della Drown Within Records (date un’occhiata anche alle loro altre produzioni che sono tutte ottime), è un continuo fluire di lava metallicamente hardcore, con molti riferimenti a gruppi e situazioni anni novanta e anche al meglio dei duemila. No, non è metalcore, che non è un genere totalmente disprezzabile, ma qui è hardcore metal, che è un’altra roba, anche se i generi come sempre sono etichette pressoché inutili. In alcuni momenti si arriva addirittura a congiungere l’hardcore con cose come i Dillinger Escape Plan, o avvicinarsi alle dinamiche del crossover. Ciò che davvero conta è che questi ragazzi hanno fatto un grandissimo disco, trascinante e coinvolgente dal primo all’ultimo secondo, con una potenza davvero unica e un grande produzione a supportarli. I Thrownness hanno piazzato un primo colpo da ko, e spero ne seguano tanti altri che ci lasceranno sanguinanti e barcollanti come questo.

TRACKLIST
1.Verfall
2.Unclean Lips
3.The Fertile Abyss
4.Olympus of Appearance
5.Error Sewer
6.Servant and Supplicant
7.Thalassic Regression
8.Fragment of a Crucifixion, 1950

THROWNNESS – Facebook

The Ossuary – Post Mortem Blues

Bellissimo album di hard rock/doom sulla scia dei maestri settantiani da parte dei The Ossuary, band formata da musicisti della scena estrema e metallica nazionale.

Non è la prima volta che dei musicisti attivi nella scena death metal lasciano i suoni estremi per tornare indietro nel tempo, fino alla fine degli anni settanta per ricreare l’atmosfera ipnotica ed occulta di molte delle opere hard rock uscite in quel periodo, magari perse tra le nebbie di fumi illegali, basti pensare agli Spiritual Beggars ed ai trascorsi estremi dei suoi componenti.

Questa nuova band pugliese è formata da tre musicisti che facevano parte degli storici Natron, più Stefano Fiore dei Twilight Gates alla voce, si chiama The Ossuary ed è attiva da un paio d’anni.
Nell’ossario troviamo uno straordinario esempio di hard rock/doom metal dal titolo Post Mortem Blues, una messianica opera dove il blues è più concettuale che suonato, mentre aumenta la voglia di farci travolgere da questo sabba settantiano, in compagnia di un sound che, da frangia dell’hard rock, si trasformò in qualcosa di più pesante.
Post Mortem Blues è un bellissimo lavoro, il suo compito non è quello di stupirci, ma di farci vivere ancora una volta le atmosfere dei primi lavori di Black Sabbath e Pentagram, aggiungendo dosi massicce di Rainbow e Deep Purple, interpretando in maniera straordinaria i suoni rock a cavallo tra gli anni settanta ed il decennio successivo, divenuto poi il periodo d’oro dell’heavy metal che stava nascendo.
Un enciclopedia rock; questo possiamo definire l’album, con la voce di Fiore che richiama il Dio alla corte di Iommi ed il Gillan più introspettivo, mentre si passa da brani hard rock come l’opener The Curse o la melodica title track a molossi doom metal come Graves Underwater ed Evil Churns.
Band già da culto, grazie ad un album da conservare tra gli altri gioielli di un prolifico underground tricolore.

TRACKLIST
01. Black Curse
02. Witch Fire
03. Blood On The Hill
04. Graves Underwater
05. Post Mortem Blues
06. The Crowning Stone
07. Evil Churns
08. The Great Beyond

LINE-UP
Stefano “Stiv” Fiore – vocals
Domenico Mele – guitars
Dario “Captain” De Falco – bass
Max Marzocca – drums

THE OSSUARY – Facebook

Forgery System – Distorted Visions

Esordio d’eccezione per questi ragazzi assolutamente da seguire nel loro percorso thrash e crossover, sperando che non si separino più.

I pavesi Forgery System debuttano sulla lunga distanza con Distorted Visions, un più che buon disco di thrash e crossover.

Questi ragazzi hanno molte idee e le sviluppano tutte bene, dando vita a composizioni thrash metal molto varie e con sconfinamenti nel crossover. Stupisce, essendo un disco di esordio, la padronanza della materia e la bravura tecnica, oltre alla capacità di poter usare diversi registri della musica pesante. Distorted Visions è un lavoro che ha fortissime radici nel metal anni ottanta e novanta, e questi ragazzi hanno una conoscenza dell’argomento che, se non li sapessi così giovani e di Pavia, avrei tranquillamente giurato sulla loro provenienza a stelle e strisce. Nel disco si sente quella freschezza di groove molto anni novanta, quella bella scorrevolezza di generi metal che concorrono tutti allo stesso risultano, ovvero quello di arrivare a divertire l’ascoltatore attraverso la durezza e la melodia. Unico appunto può essere la produzione, perché, e non è facile, con suoni più potenti questo disco sarebbe ancor più gigantesco.
Esordio d’eccezione per questi ragazzi, assolutamente da seguire nel loro percorso thrash e crossover, sperando che non si separino più.

TRACKLIST
1.Metal Ain’t Gonna Die
2.Swimming In A Bowl
3.Instrumetal
4.New Sensation
5.Yellow Line
6.Eclipse Of Wrath
7.She
8.Ebola
9.2016

LINE-UP
Gabriele Orlando – Guitar/Vocals
Daniele Maggi – Guitar
Pablo Dara – Bass/Vocals
Federico Fava – Drums

FORGERY SYSTEM – Facebook

Frozen Sand – Fractals – A Shadow Out Of Lights

I Frozen Sand si confermano una realtà da seguire con attenzione in un panorama nostrano che ha ormai raggiunto una qualità complessiva altissima, anche in questo specifico genere.

Vi avevamo parlato dei piemontesi Frozen Sand in occasione dell’uscita del primo ep intitolato Prelude, uscito nel 2015, ottimo lavoro che appunto fungeva da preludio a questo primo full length che conferma la bravura del gruppo novarese.

Fractals – A Shadow Out Of Lights mantiene quello che i quattro brani contenuti nel lavoro precedente promettevano, sviluppando le virtù che risplendevano all’epoca e valorizzandole con ottime idee ed un songwriting più maturo, con il gruppo più consapevole dei propri mezzi.
Prodotto benissimo, come deve essere un album di metallo progressivo, Fractals riparte da dove si era fermato l’ep, ed il primo brano, A Melody through Time and Space mette subito in evidenza l’eleganza metallica con cui i Frozen Sand affrontano tracce aggressive e la loro bravura nel saper coniugare il power prog al metal più moderno, magari poco digerito dagli amanti della musica progressiva più canonica, ma perfetta per accaparrarsi le lodi dei più giovani dagli ascolti estremi.
Perfect Inspiration ed Everlasting Yearning sono due devastanti canzoni power prog, in  cui la sezione ritmica mette la freccia e viaggia sulla corsia di sorpasso: da annotare anche il bell’assolo power sulla seconda traccia e le ottime linee melodiche vocali.
Si corre veloce e Sail Towards The Unknown tiene il piede ben schiacciato sull’acceleratore preparandoci a Yell Of Esitation dove tornano le sfumature modern metal che non inficiano affatto l’ottimo risultato ottenuto dalla band con questo primo full length.
Poi, come per incanto, si torna a viaggiare sulle ali dei DreamTheater: You – Partial – Perfection – Daylight, traccia top di questo lavoro, con il prezioso contributo al microfono di Alessandra Sancio (ospite sull’album oltre a Fabio Privitera e Alex Saitta), vede il gruppo affrontare la materia progressiva con uno spiccato talento melodico, così da fare del brano uno scrigno emozionale, seguito dalla splendida ballad dalle tinte folk Silent Raven.
I Frozen Sand si confermano una realtà da seguire con attenzione in un panorama nostrano che ha ormai raggiunto una qualità complessiva altissima, anche in questo specifico genere.

TRACKLIST
1.A Melody through Time and Space
2.Perfect Inspiration
3.Everlasting Yearning
4.Sail towards the Unknown
5.Yell of Hesitation
6.Rule this World
7.You – Partial – Perfection – Daylight
8.Silent Raven

LINE-UP
Luca Pettinaroli – Vocals
Mattia Cerutti – Guitar
Tiziano Vitiello – Bass
Simone De Benedetti – Drum
Federico De Benedetti – Guitar, synth guitar & back vocals

FROZEN SAND – Facebook

Artemisia – Rito Apotropaico

Un album molto bello ed intenso, un passo avanti importante per gli Artemisia ed uno dei migliori esempi di metal cantato in italiano degli ultimi tempi.

Tornano gli Artemisia con il quarto album della loro carriera, a conferma dello stato di grazia raggiunto dal precedente lavoro, Stati Alterati Di Coscienza, uscito tre anni fa ed applaudito da fans e addetti ai lavori.

La band della splendida interprete Anna Ballarin e del chitarrista Vito Flebus, ormai da dieci anni nella scena metal nazionale, propone il suo disco più oscuro e dark, potenziato da scariche metalliche classic doom ed una vena psichedelica che spunta tra i brani come ipnotici occhi di un serpente pronto a colpire.
Sempre valorizzato da testi d’autore, questa nuova quarta opera dal titolo Rito Apotropaico (termine riferito a oggetto, atto, animale o formula che allontana o annulla un’influenza maligna) porta con sé una voglia di cambiamento da parte del quartetto, che potenzia la vena sabbatica del proprio sound, lasciando le sfumature alternative dei precedenti lavori e proponendosi come band metal a tutti gli effetti.
Oscuro e potente dicevamo, proprio come un rito che deve allontanare le forze oscure, con una Ballarin espressiva e a tutti gli effetti sacerdotessa di questi trentacinque minuti di metal cantato in italiano.
Leggende, magia, l’aldilà ed il sempre aberrante lato oscuro dell’uomo sono i temi trattati in questi otto brani ,con l’opener Apotropaico che, senza indugi, ci invita al sabba creato dagli Artemisia e che continua ipnotico con Il Giardino Violato, traccia dedicata al tema scottante della pedofilia.
Stupenda Tavola Antica, con in evidenza il basso di Ivano Bello, mentre la tensione metallica rimane altissima, con la protagonista che tramite una tavola ouija cerca di evocare uno spirito guida.
Doom stoner di alta qualità nella rituale Iside e atmosfera che si rilassa con le ariose armonie acustiche di La Guida, prima che il gran finale venga assicurato dalle sfuriate metalliche del trittico La Preda, Regina Guerriera e Senza Scampo.
Un album molto bello ed intenso, un passo avanti importante per gli Artemisia ed uno dei migliori esempi di metal cantato in italiano degli ultimi tempi.

TRACKLIST
1.Apotropaico
2.Il giardino violato
3.Tavola antica
4.Iside
5.La guida
6.La preda
7.Regina guerriera
8.Senza scampo

LINE-UP
Anna Ballarin – Voce
Vito Flebus – Chitarra
Ivano Bello – Basso
Gabriele “Gus” Gustin – Batteria

ARTEMISIA – Facebook

Psychedelic Witchcraft – Magick Rites and Spells

Al di là del buon valore della musica contenuta, sfugge l’utilità di un’uscita retrospettiva per una band che all’attivo ha solo un Ep ed un full length.

Autori di due lavori già trattati all’epoca dal nostro Massimo Argo sulle pagine di In Your Eyes, i Psychedelic Witchcraft cercano di mantenere elevata l’attenzione nei loro confronti con l’uscita di questa raccolta che presenta, di fatto, la riedizione dell’intero Ep Black Magic Man (a sua volta già oggetto di una precedente riedizione), un brano inedito, due cover e due altre canzoni ri-registrate che erano già uscite come singolo.

In buona sostanza, i motivi di interesse reale non sono moltissimi, a meno che non si sia dei fan sfegatati della band, alla luce anche di una produzione ancora troppo scarna (oltre all’Ep, il full length The Vision del 2015) per condividere del tutto l’immissione di un simile prodotto su un mercato già abbastanza saturo.
Questo non perché la musica ivi contenuta non sia meritevole di attenzione, visto che il rock psichedelico dalle sfumature doom della band fiorentina è senz’altro avvincente, nonostante personalmente la voce di Virginia Monti non mi convinca sempre del tutto, specialmente nelle tracce iniziali. Non a caso, resta piuttosto marcata la differenza qualitativa tra la seconda metà della raccolta, ovvero quella corrispondente a Black Magic Man, e la prima composta, al netto delle cover, dall’inedito Come A Little Closer e dalle riproposizioni nella nuova veste di Wicked Dream e Set Me Free, nonostante la vena blues di quest’ultimo brano sia tutt’altro che disprezzabile.
La sensazione è che la Monti indulga troppo, in queste tracce, su toni alti che non le si addicono, al contrario di quanto avveniva in ottimi brani quali Angela, Lying On Iron, Black Magic Man e Slave Of Grief, dove l’interpretazione era talvolta più grintosa ma nel contempo maggiormente controllata.
Ma al di là di questo, che è un parere derivante da gusti personali che, come tali, possono essere del tutto opinabili, quella che non si riesce a rinvenire è la reale utilità di un’operazione che aggiunge davvero poco a quanto già si sapeva dei Psychedelic Witchcraft, una band che comunque prosegue meritoriamente la sua strada a ritroso rivolta verso un rock che sarà pure vintage ma non per questo meno affascinante.

Tracklist:
1. Come A Little Closer (exclusive to this release)
2. Godzilla (Blue Öyster Cult cover, exclusive to this release)
3. Set Me Free (Re-recording, exclusive to this release)
4. Wicked Dream (Re-recording, exclusive to this release)
5. The Dark Lord (originally performed by Sam Gopal with Lemmy)
6. Angela (taken from the Black Magic Man EP)
7. Lying On Iron (taken from the Black Magic Man EP)
8. Black Magic Man (taken from the Black Magic Man EP)
9. Slave Of Grief (taken from the Black Magic Man EP)

Line-up:
Virginia Monti – Singer
Riccardo Giuffrè – Bass
Jacopo Fallai – Guitar
Mirko Buia – Drums

PSYCHEDELIC WITCHCRAFT – >Facebook

Errant Shadow – Errant Shadow

Prodotto in maniera impeccabile e suonato divinamente, Errant Shadow è un prodotto dal taglio internazionale cosi come lo sono i musicisti che ci hanno lavorato, creando momenti emozionanti e grande musica rock.

Altro bellissimo concept album tra progressive metal e gothic rock, questa volta creato dal musicista torinese Seren Rosso, aiutato da una manciata di ottimi musicisti come Nalle Påhlsson (Therion), Kevin Zwierzchaczewski (Lord Byron), Mattia Garimanno (Il Castello di Atlante), Emanuele Bodo (Madiem), Davide Cristofoli (Highlord) e Isa García Navas (ex-Therion).

Uno spiegamento di forze niente male per un’opera rock emozionante, licenziata dalla Ænima Recordings ed intitolata Errant Shadow.
La storia è un viaggio epico attraverso il tempo e lo spazio: in un mondo decadente post-moderno, due cavalieri erranti, un uomo e una donna, ripercorrono le tracce di episodi cruciali, fino alle origini dell’uomo e lungo questo avventuroso viaggio si innamorano l’uno dell’altra.
La band prende il nome dal titolo dell’opera e gli Errant Shadow, sotto la guida di Seren Rosso e del produttore, nonché patron della label, Mattia Garimanno, danno vita a questo straordinario viaggio all’insegna del prog metal elegante e raffinato, così come d’autore si sviluppano le trame dark gotiche.
Forse con troppa fretta l’opera è stata presentata dai protagonisti come una sorta di alleanza prog/gothic tra Dream Theater, Opeth e Nightwish perché, a ben sentire, qui si va oltre e l’album a mio parere trova la sua ideale collocazione tra il progressive elegante di Ayreon e quello finemente gotico dei primi Nightingale del genio svedese Dan Swano; insomma, un’accoppiata che sicuramente non svilisce i paragoni fatti nelle presentazioni anzi, valorizza l’album come opera di culto ed aggiunge arte su arte con spunti dark rock riconducibili agli ultimi Tiamat.
Prodotto in maniera impeccabile e suonato divinamente, Errant Shadow è un prodotto dal taglio internazionale cosi come lo sono i musicisti che ci hanno lavorato, creando momenti emozionanti e grande musica rock.
Un plauso ai due vocalist in grado, con le loro voci, di creare sfumature malinconiche e dark rock su un tappeto di musica totale che raccoglie in un unico sound progressive, metal e rock, sotto la bandiera delle emozioni: un turbinio di note ed atmosfere incredibilmente intense e che hanno la loro massima espressione nelle due tracce che concludono l’album, To The Cygnets Committee e Just In Heaven, ma ricordo che Errant Shadow va assolutamente ascoltato in tutta la sua durata, per godere al meglio della musica di cui è composto.
Un lavoro bellissimo, che non mancherà di sorprendere ed affascinare gli amanti dei suoni progressivi e delle melodie di stampo dark rock.

TRACKLIST
01. The Captain
02. The Dark Room
03. In a Cave
04. From the Abyss of My Heart
05. Such a Lot
06. Hiroshima
07. Crows in the Air
08. Broken Dreams
09. To the Cygnets Committee
10. Just in Heaven
11. To the Cygnets Committee (Bonus Track)

LINE-UP
Seren Rosso – Guitars
Kevin Zwierzchaczewsk – Vocals
Isa Garcia Navas – Vocals
Nalle Pahlsonn – Bass
Mattia Garimanno – Drums
Emanuele Bodo – Guitars
davide Cristofoli – Keyboards

ERRANT SHADOW – Facebook

Evil Reality – Winners And Losers

Gli Evil Reality producono un disco molto bello ed interessante, originale e con una grande anima gotica, anche se non disdegnano e possiedono molta sapienza pop.

Ep d’esordio per questo gruppo milanese di metal sperimentale e felicemente spiazzante.

Ascoltando l’ep si finisce infatti in diversi generi, quali il gothic, l’industrial più melodico e il groove metal. La melodia è molto forte e strutturata, e la bella voce femminile di Sorrow rende moltissimo. Le canzoni sono tutte ben costruite e le parti aggressive e più dolci sono ben bilanciate. L’influenza dei Rammstein in alcuni momenti è molto forte, ma l’originalità del gruppo non è ma in discussione. Winners And Losers è anche un disco orecchiabile e radiofonico, coniugando bene la ricerca musicale con una giusta accessibilità per tutti o quasi. Stupisce la maturità del gruppo, questa conoscenza del percorso da intraprendere e anche la capacità di essere duri e dolci anche nella stessa canzone, senza essere schizofrenici. Il metal di Winners And Losers è sicuramente un metal altro, moderno ma anche molto gotico nel gusto. Il concept dell’ep sono le emozioni che viviamo in questa vita, suddivisi tra vincenti e perdenti. Gli Evil Reality producono un disco molto bello ed interessante, originale e con una grande anima gotica, anche se non disdegnano e possiedono molta sapienza pop. Insomma un bel sentire, ed è solo l’inizio.

TRACKLIST
1- Will to Power
2- Frail
3- Excluded
4- Bittersweet Lullaby
5- Losers’ Kingdom

LINE-UP
Sorrow – voice
Envy – guitar and 2nd voice
Shame – bass guitar
Shy – keyboards
Aloof – drums

https://www.facebook.com/Evil-Reality-235272533479256/

Parris Hyde – Mors Tua Vita Mea

L’esordio sulla lunga distanza dei Parris Hyde è un lavoro riuscito, consigliato agli amanti dell’heavy metal classico.

Mors Tua Vita Mea è l’esordio di questa heavy metal band italiana che porta il nome del suo leader, Parris Hyde, compositore e musicista da trent’anni nella scena nazionale, prima con i thrashers Bonecrusher poi con gli hard rockers Waywarson.

Nel 2013 il musicista milanese decide di formare una band tutta sua con l’ aiuto di Roby Kant Cantafio, chitarra, Max Dean, basso, Karl Teskio, batteria e dopo un primo ep di rodaggio arriva finalmente l’esordio sulla lunga distanza.
Mors Tua Vita Mea si sviluppa su tredici brani che spaziano tra l’horror metal di scuola King Diamond – Lizzy Borden e lo speed thrash, toccando lidi hard rock, insomma tutte le influenze di Hyde si sono congiunte per dar vita ad un buon esempio di heavy metal che, al sottoscritto, ha ricordato in particolare le ultime prove di Lizzy Borden (Deal With The Devil / Appointment With Death) con qualche sconfinamento nell’horror metal classico di King Diamond e, rimanendo sul nostro territorio, un pizzico di Death SS, immancabili quando si parla di un certo tipo di metal.
Il bello di questo lavoro che la varietà del songwriting risulta un toccasana in fatto di ascolto, evidenziando una personalità che un musicista da oltre trent’anni sulla scena non può non possedere, emergendo soprattutto nei brani hard rock oriented come la bellissima Digital Dream Land o in Life On The Line, scelta come singolo.
Suonato molto bene ed attraversato da una vena melodica di stampo gotico in alcuni tratti molto suggestiva, con l’uso dell’ organo a riempire di atmosfere horror molti dei brani, Mors Tua Vita Mea si conclude con tre bonus track: la versione per organo e voce del brano I Killed My Wife with a Knife, la simpatica cover metal del brano natalizio Jingle Bells e la cover di Fear Of The Dark degli Iron Maiden, tracce che nulla aggiungono e nulla tolgono all’impressione di essere al cospetto di un lavoro riuscito, consigliato agli amanti dell’heavy metal classico e dei gruppi citati.

TRACKLIST
1. Mors Tua Vita Mea
2. 2ND2NO1
3. I Killed My Wife with a Knife
4. I Love Shopping (with Your Money)
5. Life on the Line
6. Digital Dream Land
7. Far Away
8. Alone
9. The Third Millennium Disillusion
10. Border of Mexico
11. I Killed My Wife with a Knife (Gothic Version) (Bonus track)
12. Metal Bells (Bonus Track)
13. Fear of the Dark (Remix) (Bonus Track)

LINE-UP
Parris Hyde – Vocals, Guitars, Keyboards
Roby Kant Cantafio – Guitars
Max Dean – Bass
Karl Teskio – Drums

PARRIS HYDE – Facebook

Fabiano Andreacchio And The Atomic Factory – Bass Guitar Hero

Fabiano Andreacchio si dimostra musicista dalla grande tecnica: aspettiamo ora un nuovo lavoro di inediti di questo suo progetto a suo modo originale e da seguire senza remore.

Torna, a pochi mesi di distanza dall’ottimo Living Dead Groove, Fabiano Andreacchio, attuale bassista dei Gory Blister e leader dei The Atomic Factory, band con cui ha registrato il lavoro precedente.

Bass Guitar Hero è una compilation di brani più datati a cui Fabiano Andreacchio And The Atomic Factory hanno dato una veste più attuale e conforme al sound del gruppo.
Invero, rispetto ai brani di Living Dead Groove, questa raccolta sottolinea in modo più marcato la tecnica individuale del bassista lombardo, davvero un eroe del basso, stupefacente nel disegnare arabeschi di intricate ritmiche metal progressive.
Le tracce si sviluppano quindi sul basso di Andreacchio, abbandonando la forma canzone più marcata nel disco uscito qualche mese fa e indirizzandosi maggiormente verso la tecnica strumentale.
Un album per musicisti e per chi apprezza le opere strumentali, con pochi punti di riferimento stilistici come ormai ci ha abituato il bassista e con qualche chicca che non manca di valorizzare l’album, come la bellissima e progressiva One Step Closer To Heaven e la cover di Transylvanya degli Iron Maiden.
Fabiano Andreacchio si dimostra musicista dalla grande tecnica: aspettiamo ora un nuovo lavoro di inediti di questo suo progetto a suo modo originale e da seguire senza remore.

TRACKLIST
1.HeartQuake
2.Hell Is Now NGA
3.Unforgivable (acoustic)
4.Sexonia NGA
5.One Step Closer To Heaven
6.Curious (acoustic)
7.Strange KInd NGA
8.The Gentle Hand 8acoustic)
9.Transylvanya NGA
10.Ascent (dub mix)

LINE-UP
Fabiano Andreacchio – Bass and Vocals
Mikahel Shen Raiden – Guitar and Backing Vocals
Nicola De Micheli – Drums

FABIANO ANDREACCHIO – Facebook

Fear Of The Storm – Madness Splinters (1991-1996)

Esauriente retrospettiva su una delle più interessanti realtà italiane dedite alla gothic dark wave nella prima metà degli anni ’90.

I Fear Of The Storm sono stati protagonisti di una vicenda piuttosto frequente in ambito musicale, tanto più se il genere proposto pone le sue radici nell’underground ed il paese in cui tutto ciò si verifica è l’Italia.

La band siciliana, all’inizio degli anni novanta, si rese protagonista di una serie di demo su cassetta che riscossero una certa attenzione tra gli appassionati di darkwave e che, prima di fare il salto di qualità definitiva pubblicando il primo lavoro su lunga distanza, a causa di incomprensioni con la loro etichetta dell’epoca di fatto cessarono l’attività, lasciando in nel limbo anche una certa quantità di musica che sarebbe rimasta inedita per molto tempo.
Del resto io stesso, benché abbia amato non poco Cure, Bauhaus e Joy Division, tanto per citare i tre nomi principali, e, ad occhio e croce, sia più o meno coetaneo dei musicisti che diedero vita ai Fear Of The Storm, ne ignoravo l’esistenza prima di ricevere il promo da Francesco Palumbo (My Kingdom Records), l’artefice di questa meritoria riscoperta.
Già, perché senza la sua iniziativa, favorita dal fatto che due ex FOTS, Carlo Disimone e Valeria Buono, oggi fanno parte del roster della label salernitana con il loro ottimo progetto Dperd, quelli come me, distratti all’epoca da sonorità altrettanto oscure ma ben più metalliche (nel ’91 Forest Of Equibrium dei Catherdal avviò un’esplorazione senza ritorno dei cunicoli più oscuri e reconditi del doom) e soprattutto i più giovani, non avrebbero mai avuto l’opportunità di riscoprire questa band che poco aveva da invidiare per freschezza e creatività alle band d’oltremanica.
Madness Splinters (1991-1996) contiene, distribuiti su tre CD, i demo tape R.I.P., The Key Of My Silence e ...So Sad To Die In Oblivion…, il mini cd 1995 e II, l’album rimasto fino ad oggi inedito, per un totale di 41 brani ed oltre 3 ore e mezza di dark wave d’autore.
Il promo in nostro possesso contiene solo un parte di questa mole di musica ma si rivela comunque più che sufficiente per farsi un’idea quanto di buono i Fear Of The Storm abbiano prodotto nel corso della loro carriera, oltre che constatare, grazie alla disposizione dei brani in ordine cronologico, l’evoluzione del sound che dagli esordi genuini e ruspanti, aventi per riferimento la dark wave più asciutta ed essenziale (primi Cure e Joy Division), era giunto ad una forma davvero matura e quasi per nulla derivativa di gothic wave (da ascoltare con attenzione le splendide A Wondrous Sensation e The Factory Of Dreams, tratte appunto da II), passando per pulsioni nefiliane rinvenibili, ad esempio, in Eyes (dove in certi momenti il sound si avvicina a quello dei Rubicon, ovvero i FOTN senza Carl McCoy).
Da rimarcare, oltre all’operato degli attuali Dperd (con Disimone mai scontato con la sua chitarra), il fondamentale lavoro al basso di Antonio Oliveri e la prestazione dietro il microfono di Tony Colina, perfetto per il genere con la sua voice, spesso affiancata da quella di Valeria Buono (alle prese anche con le tastiere).
Gli amanti di queste sonorità dovrebbero essere irresistibilmente attratti da questa raccolta, mentre, per quanto riguarda il futuro dei Fear Of The Storm, non ci sono notizie certe su un loro ritorno né una tantum dal vivo né con materiale di nuovo conio, anche se le porte non paiono essere del tutto sbarrate ad entrambe le opzioni. Vedremo, nel frattempo Madness Splinters possiede tutte le caratteristiche per colmare qualsiasi vuoto.

Tracklist:
CD I
“R.I.P.”
1. Into The Storm
2. Eyes Of Death
3. Hatred
4. R.I.P. (abridged)
5. Images (Into The Helter Skelter)
6. Walking Through The Town
7. The Little Girl
8. Dreams Are Trasforming

“The Key Of My Silence”
9. Blood
10. Tears Of Sand
11. The Key
12. Around The Fire
13. Jungle And Desert
14. Towers Of Silence
15. Epitaph
16. Fear

CD II
“…So Sad To Die In Oblivion…”
1. Madness Splinters
2. Adrift In Limbo
3. Sunset
4. Ghostown
5. Sadness
6. The Dark River Of Oblivion
7. Drop After Drop
8. Eyes
9. Weightless

“1995”
10. The Return
11. Tears Of Sand
12. Marble Dust
13. Adrift In Limbo
14. Timeless Wailing Of Ageless Souls

CD III
“2”
1. Bleeding Fingers
2. Dancing Amid The Clouds
3. Her
4. The Factory Of Dreams
5. R.I.P. (Including A Descent Into The Well)
6. Higher And Farther
7. In Quest Of…
8. The Eyes Of Death
9. A Wondrous Sensation
10. Slow Motion
11. Sleepless Dreams(bonus track)

Line-up:
Valeria Buono: keys, vox
Carlo Disimone: guitars, drums programming, vox
Antonio “Mad” Oliveri: bass, slider pestering, vox
Tony Colina: male vox, bits of keys, piano on CD II and III
Massimiliano Busa: drums on CD I from song 1 to 8

FEAR OF THE STORM – Facebook

Starbynary – Divina Commedia: Inferno

Gli Starbynary vanno aldilà di ogni più rosea aspettativa e ci invitano a viaggiare con loro tra i gironi di un inferno mai così teatrale, drammatico ma dannatamente umano.

Caronte è tornato dagli inferi per traghettarci tra lo spartito di questa magnifica opera, sontuoso esempio di musica metal fuori categoria, ed assolutamente non catalogabile nelle troppo semplici coordinate del power progressive, anche se le atmosfere sono simili a quelle create dai Symphony X.

Tornano i Starbynary del vocalist Joe Caggianelli (ex Derdian) e del chitarrista Leo Giraldi, con questo secondo lavoro, prima parte di una trilogia sulla Divina Commedia che non poteva non iniziare con l’Inferno.
La band nostrana aveva già ammaliato gli appassionati del genere con lo stupendo debutto uscito sul finire del 2014 (Dark Passenger), album di una qualità artistica elevatissima dove, oltre ai musicisti italiani, si poteva godere delle prestazioni del bassista dei Symphony X, Mike Lepond.
Un turbinio di fughe power tra ritmiche ed atmosfere progressive, con un vocalist in stato di grazia ed una manciata di musicisti sopra la media, questo era il primo full length del gruppo italiano, ma se si pensava ad un risultato impossibile da ripetersi non si erano fatti i conti con gli Starbynary e la loro voglia di stupire regalando per la seconda volta un emozionante viaggio culturale e musicale.
Discesa all’inferno e risalita, allegoria di vita dove dramma e teatralità enfatizzano lo scorrere dell’esistenza umana, declamandone difetti e peccati, sottolineandone la precarietà ma anche evidenziandone la divina grandezza e
la nobile maestosità: è il viaggio di Dante attraverso il quale poter scrutare all’interno dell’animo umano fino a perdersi in un vortice di emozioni!
Lasciata la Bakerteam per la romana Revalve, altra label nostrana che praticamente non sbaglia un colpo, gli Starbynary vanno aldilà di ogni più rosea aspettativa e ci invitano a viaggiare con loro tra i gironi di un inferno mai così teatrale, drammatico ma dannatamente umano, così come lo sono le emozioni che l’ascolto di queste perle metalliche suggeriscono.
Di non umano ci sono i cinque musicisti e la loro bravura strumentale al servizio di un songwriting stellare, ed è così che, trasportati dalle varie The Dark Forest, dalla ballad In Limbo che la band trasforma con un crescendo entusiasmante in un mid tempo oscuro, da Medusa And The Angel che non lascia tregua nella sua atmosfera cangiante; Paolo e Francesca, poi, dispensa brividi con un Caggianelli superlativo ed il piano di Stars ci conduce ad undici minuti finali di delirio progressive power metal dalle tinte darkeggianti ed infernalmente gotiche.
Ci si rincorre così tra fughe di aggressivo power metal oscuro, atmosfere di sofferta tregua orchestrale violentate da ripartenze velocissime e mid tempo potentissimi in cui il vocalist incanta con vocalizzi teatrali, mentre Caronte ci lascia sulla riva del fiume e ci si mette in cammino verso l’appuntamento con la seconda parte di questa trilogia creata dagli straordinari Starbynary.
Il 2017 è partito benissimo e conferma il trend degli ultimi anni, che sono stati forieri di grande musica per il metal tricolore: non perdetevi questo album per nessun motivo.

TRACKLIST
1.The Dark Forest (Canto I)
2.Gate of Hell (Canto III)
3.In Limbo (Canto IV) 04 –
4.Paolo e Francesca (Canto V)
5.Medusa and the Angel (Canto
6.Seventh Circle (Canto XII-XIII-XIV)
7.Malebolge (Canto XVIII)
8.Soothsayers (Canto xx)
9.Ulysse’s Journey (Canto XXVI)
10.The Tower of Hunger (Canto XXXII-XXXIII)
11.Stars (Canto XXXIV: I Lucifero, II Cosmo, III Finally Ascendant)

LINE-UP
Joe Caggianelli – Vocals
Leo Giraldi – Guitars
Luigi Accardo- Keyboards and Piano
Sebastiano Zanotto – Bass
Andrea Janko – Drums

STARBYNARY – Facebook

Sirgaus – Il Treno Fantasma

Molto più “raccontato” rispetto all’opera precedente, Il Treno Fantasma è un altro viaggio meraviglioso nel mondo dei Sirgaus, un ennesimo lavoro da custodire gelosamente tra gli esempi che travalicano i generi musicali e donano arte a 360°.

La ricchezza culturale e la soddisfazione di un “non” lavoro come le fatiche dietro ad una webzine musicale, sono ripagate nel conoscere e vivere il percorso di fulgidi talenti dello spartito, che probabilmente non si sarebbero mai raggiunti ed approfonditi come semplici fruitori delle sette note, anche perché dubito (pur augurandolo ai protagonisti) che questi eroi della sacra arte possano trovare quel successo che, in un mondo guidato dalla bellezza e non dal denaro, avrebbero già ampiamente raggiunto.

Ma non credo che a Mattia Gosetti e Sonja Da Col, tornati come Sirgaus con questa nuova ed affascinate opera, interessi granché, molto più probabile che al duo proveniente dalla provincia di Belluno, come musicisti di altri tempi e affascinanti artisti di un teatro che compare dal nulla e scompare alla fine di ogni spettacolo, basti creare e lasciare la loro arte a chi la sa apprezzare.
Dopo il bellissimo Sofia’s Forgotten Violin, concept album licenziato nel 2013 e finito nella mia personale play list di fine anno, Mattia Gosetti, compositore e musicista sopraffino, aveva messo a riposo i Sirgaus per uscire a suo nome con il capolavoro Il Bianco Sospiro della Montagna, un’opera portata sul palco di un teatro con la cantante e moglie in veste di attrice.
Era il 2015 e questo splendido esempio di musica contemporanea tra rock, metal e operetta finì ancora una volta tra gli album più belli dell’anno, almeno per il sottoscritto, ancora una volta qui a raccontarvi (non a recensire) delle gesta di questi talenti persi tra le montagne dolomitiche.
Il Treno Fantasma è un’altra opera rock sontuosa, più oscura e dark musicalmente parlando rispetto ai lavori precedenti, meno epica rispetto a Il Bianco Sospiro Della Montagna, anche per la storia che, pur lasciando al centro delle vicende la terra d’origine del duo, lascia le tematiche sulla guerra per affrontare i cambiamenti frutto dello sviluppo e dei tempi in cui viviamo.
Molti ospiti accompagnano l’ennesimo viaggio musicale dei Sirgaus, dai cantanti Matteo Scagnet, Denis Losso, Michaela Dorenkamp e il figlio della coppia Diego Gosetti, alle pelli di Salvatore Bonaccorso, la chitarra di Daniele Bressa, ed il violino del sempre presente Fabio “Lethien” Polo dei folk metallers nostrani Elvenking.
Quasi ottanta minuti sul treno fantasma in una folle corse tra le trame orchestrali create da Gosetti, drammatiche e perfette nel raccontare le vicende dei protagonisti, nell’affrontare cambiamenti e scelte per continuare una vita lontana da casa o stretta tra i vicoli dei piccoli paesi di una montagna che sta stretta alle nuove generazione, fermi davanti ad un cavalcavia, linea di confine tra la solitudine e la tradizione della montagna e la caotica vita nella grande città.
A Train To The Mountains segna il ritorno della protagonista verso il paese dopo cinque anni, le melodie orchestrali mantengono linee malinconiche, mentre si fanno più dirette e metallicamente sinfoniche nella bellissima Fischia Nella Notte.
Pur con le sue differenze, Il Treno Fantasma mette in evidenza l’eleganza orchestrale della scrittura di Gosetti, già ampiamente dimostrata sui lavori precedenti, valorizzata dalla particolare e teatrale voce della Da Col, mentre l’opera viaggia spedita sui binari dell’eccellenza con perle come La Versione Di Girollino, La Regina Del Sottosuolo e L’Impero Cadente.
Molto più “raccontato” rispetto all’opera precedente, Il Treno Fantasma è un altro viaggio meraviglioso nel mondo di questo compositore nostrano, un ennesimo lavoro da custodire gelosamente tra gli esempi che travalicano i generi musicali e donano arte a 360°.

TRACKLIST
1.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi
2.Incontro Sul cavalcavia
3. A Train To The Mountains
4.Fischia Nella Notte
5.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi (seconda parte)
6.Un secco ramo
7.Riparerò Questi binari
8.Il Bosco Nero
9.La Versione Di Girollino
10.Da quella tela di Ro Bi Roberto Bianchi (terza parte)
11.La Regina Del sottosuolo
12.Il Folle Piano
13.La Rivalsa Di Girollino
14.Carbone Per La Mia Fornace
15.L’Impero Cadente
16.La Strada Verso Il Crescere

LINE-UP
Mattia Gosetti – Basso, Chitarra, Orchestrazione, Produzione
Sonja Da Col – Voce
Denis Losso, Matteo Scagnet, Michaela Dorenkamp, Andrea Sonaglia, Diego Gosetti – cantanti ospiti
Fabio Lethien Polo – Violino Elettrico
Daniele Bressa – Chitarra Solista
Salvatore Bonaccorso – Batteria

SIRGAUS – Facebook

Black Motel Six – Everything On Its Place

I Black Motel Six sono potenti, non abdicano di fronte alla necessità di essere melodici e sono orecchiabili e radiofonici, ovviamente non le radio che si sentono normalmente, pur non rinunciando ad avere una grande carica metal.

Suona tutto molto bene nell’esordio dei Black Motel Six, gruppo romano di groove metal, o meglio, di metal moderno.

Il loro suono arriva da molti generi, da ascolti come gli Stone Sour, o da schegge di metalcore e di death melodico, ma la referenza migliore è il groove metal. Questi ragazzi romani riescono a fondere insieme potenza, melodia e precisione, ed ogni canzone è una bella e piacevole mazzata. I Black Motel Six sono potenti, non abdicano di fronte alla necessità di essere melodici e sono orecchiabili e radiofonici, ovviamente non le radio che si sentono normalmente, pur non rinunciando ad avere una grande carica metal. La produzione supporta al meglio gli sforzi del gruppo, sottolineandone la pressoché perfetta calibrazione. Le canzoni arrivano come un fiume fresco d’estate, passano e lasciano una bella sensazione, e il loro linguaggio musicale è composto da molto più di diecimila parole. Qui non si tratta di novità, ma di una materia modellata bene, con forza di volontà ed anche coraggio, perché non è mai facile fare un’opera metallica ed al contempo melodica, ma questi romani grazie anche alla loro indubbia bravura tecnica ci riescono molto bene. Addirittura in certi passaggi la doppia cassa e la chitarra sono apertamente southern metal, eppure le ottime melodie sono tangibili. Sicuramente si ripropone una vessata quaestio, dicendo che un disco simile certe affermate realtà straniere se lo sognano di notte, eppure è così, però anche grazie a gruppi come i Black Motel Six dovremmo smettere di considerarci i figli minori del dio del metal: dischi così sono ottimi a prescindere, godiamoceli.

TRACKLIST
1.ON MY WOUNDS
2.SCREAM
3.HANDFUL OF DUST
4.F.Y.S.O.B. 03:54
5.LANDSLIDE PT.1
6.LANDSLIDE PT.2
7.THROUGH A NEW PHASE
8.EVERYTHING IN ITS PLACE
9.GN’R
10.SHAME ON YOU

LINE-UP
Steph – Vocals
Marco – Lead Guitars
Emanuele – Bass
Alessio – Drums

BLACK MOTEL SIX – Facebook

Coffin Surfer – Rot A’ Rolla

Undici minuti bastano per convincerci d’essere al cospetto di una band originale ed irresistibile, assolutamente fuori dal comune e per questo ancora più sorprendente.

Rot A’ Rolla, ovvero quando undici minuti bastano per convincerci di essere al cospetto di una cult band, originale ed irresistibile, assolutamente fuori dal comune e per questo ancora più sorprendente.

I bolognesi Coffin Surfer, un quartetto di pazzi grindsters con la passione per il rock’n’roll, hanno un solo demo alle spalle, uscito tre anni fa e tornano sul mercato underground con questo ep di cinque brani che riescono nell’intento da sempre perseguito dalla band : far ballare e scapocciare zombie e pin up a colpi di rock’n’roll, death, grind e surf.
La voce campionata di Phil Anselmo ci introduce nel mondo di Rot A’ Rolla e Nutria esplode tra ritmiche surf e grind/death: i grugniti classici del grind si confondono tra pesantissimo groove e devastanti ripartenze estreme e, come un orologio, il gruppo risulta preciso e perfetto, con Headless Chicks Rodeo se possibile ancora più devastante e violenta.
Saint Fetus è death metal feroce e sguaiato, mentre i venti secondi di Escape From India ci introducono alla conclusiva Deathroll, dove Motorhead, Napalm Death ed Elvis Presley vengono evocati all’unisono per sconvolgere le normali dinamiche del metal rock mondiale.
Grande band quella formata da questi ragazzi bolognesi, che sanno soprattutto suonare e lo dimostrano pur mantenendo un approccio alla propria musica violento e scanzonato in uguale misura. Resta solo da ascoltare per credere.

TRACKLIST
1.Nutria
2.Headless Chicks Rodeo
3.Saint Fetus
4.Escape From India
5.Deathroll

LINE-UP
Pica – Vocals
Balbo – Drums
Vale – Guitars
Raffa – Bass

COFFIN SURFER – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Aborym – Shifting.Negative

Shifting.Negative è quello che, senza alcuna remora, si può definire lo stato dell’arte di un certo modo di rimodellare la materia metal, rendendola moderna e sperimentale senza farla apparire nel contempo plastificata o cervellotica.

Accostare oggi gli Aborym ai Nine Inch Nails, per quanto possa essere accettabile, rischia d’essere riduttivo nei confronti della band di Fabban, anche se immagino che per lui l’essere avvicinato ad uno dei personaggi più influenti della musica contemporanea, come è Trent Reznor, non credo sia affatto sminuente.

Del resto gli Aborym non sono giunti alla forma espressa in questo nuovo Shifting.Negative da un giorno all’altro, bensì attraverso un percorso lungo oltre un ventennio ed in costante progressione, raggiungendo infine un risultato che va anche ben oltre quelli ottenuti in tempi recenti da chi, a torto o ragione, viene considerato il loro più naturale punto di riferimento (assieme ai NIN non è peccato aggiungervi anche i Ministry).
Mi azzardo ad affermare ciò, visto che né Reznor né Jourgensen si sono mai spinti così avanti, in un non luogo dove la forma canzone riesce misteriosamente a sopravvivere, nonostante la sua essenza sia costantemente messa a repentaglio da una sorta di “schizofrenia illuminata”, esasperata da un’instabilità che ben rappresenta gli umori cupi e poco rassicuranti dei quali l’album è pervaso ed esaltata, infine, da una produzione capace di rendere essenziale qualsiasi battito o rumore in sottofondo; la scelta di affidare il lavoro alle mani esperte di professionisti del calibro di Guido Elmi e Marc Urselli lucida al meglio l’ineccepibile prestazione d’assieme di tutti musicisti, tra i quali non si può fare a meno di citare il contributo chitarristico di Davide Tiso , senza per questo dimenticare i fondamentali Dan V, RG Narchost e Stefano Angiulli.
In buona sostanza, più ascolto Shifting.Negative e più mi rendo conto d’essere al cospetto di un’opera in grado di lasciare il segno, collocandosi temporalmente molto più avanti di gran parte della musica oggi in circolazione; non è neppure facile descrivere in maniera esauriente un lavoro di questa natura, con il rischio concreto di scrivere delle solenni fesserie o, peggio ancora, delle banalità, cercherò quindi di esprimere alcune delle impressioni derivanti da molteplici ascolti.
Partirei, quindi, da Precarious, singolo/video che ha anticipato l’uscita del disco e che ne ha rappresentato il mio primo approccio: tanto per far capire quanto la nostra mente sia condizionata da schemi precostituiti, ho trascorso circa sei minuti ad attendere quell’esplosione fragorosa che invece non sarebbe mai arrivata, percependo solo dopo diversi passaggi che quei momenti apparentemente interlocutori altro non erano che il naturale sviluppo di un brano intimo, intenso e disturbante allo stesso tempo, e tutto questo senza fare nemmeno ricorso a particolari artifici.
Già questo era il segno premonitore di un album che avrebbe in qualche modo scombinato i piani di chi si sarebbe aspettato, magari, un altro passo in direzione di quella relativa fruibilità che aveva mostrato a tratti il precedente Dirty: Shifting.Negative non stravolge il marchio di fabbrica degli Aborym, bensì lo consolida rendendolo ancor più peculiare ed imprevedibile, facendo apparire anche il passaggio più ostico quale inevitabile approdo di una creatività artistica segnata dall’inquietudine.
Concludo citando altri momenti chiave quali Unpleasantness, traccia che apre magistralmente l’album risultando probabilmente anche quella più orecchiabile (prendendo con tutte le cautele del caso questo aggettivo applicato alla musica degli Aborym) in virtù di un chorus piuttosto arioso, pure se inserito in un contesto aspro e disturbato da incursioni elettroniche, e l’accoppiata centrale formata da Slipping throught the cracks e You can’t handle the truth, in cui le già citate band icona del genere vengono omaggiate e non saccheggiate.
Shifting.Negative è quello che, senza alcuna remora, si può definire lo stato dell’arte di un certo modo di rimodellare la materia metal, rendendola moderna e sperimentale senza farla apparire nel contempo plastificata o cervellotica: un disco fondamentale per chiunque abbia voglia di osare qualcosa in più, spingendosi oltre schemi prestabiliti ed ascolti rassicuranti.

Tracklist:
1. Unpleasantness
2. Precarious
3. Decadence in a nutshell
4. 10050 cielo drive
5. Slipping throught the cracks
6. You can’t handle the truth
7. For a better past
8. Tragedies for sales
9. Going new places
10. Big h

Line-up:
Fabban: programming, modulars, synth and vocals
Dan V: guitars and bass
Davide Tiso: guitars
Stefano Angiulli: synths and keyboard
RG Narchost: additional guitars

ABORYM – Facebook

Evilgroove – Cosmosis

Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche, atmosfere southern e grunge rock.

C’è né voluto di tempo, ma alla fine anche gli Evilgroove arrivano al traguardo del primo lavoro sulla lunga distanza grazie alla nostrana Atomic Stuff.

Attivi sotto il monicker di Sunburn dal 1997 in quel di Bologna, Daniele “Doc” Medici alla chitarra, Matteo “Matte” Frazzoni al basso e Luca “Fraz” Frazzoni alla voce, dopo un paio di demo nel 2005 cambiano il nome in Evilgroove, prendendo parte a varie compilation e tributi.
Il 2014 è l’anno dell’entrata in formazione del batterista Christian “Sepo” Rovatti , e un paio di anni dopo iniziano a lavorare a Cosmosis, album che ci fa tornare indietro fino ai primi anni novanta, tra metal e grunge, hard rock e groove metal tra Pantera e Black Label Society, insomma una goduria per gli amanti del rock americano con il quale abbiamo attraversato l’ultimo decennio del secolo scorso.
I primi anni novanta per molti sono stati un periodo di vacche magre per l’heavy metal, mentre il grunge, l’alternative ed il metal estremo seminavano per raccogliere i frutti artistici tra crossover, nuove tendenze e voglia di mettersi in gioco.
Con il successo della musica di Seattle il rock americano ha vissuto un periodo d’oro, non solo per merito delle truppe del grunge: Corrosion Of Conformity, Tool, Black Label Society sono realtà che poco hanno a che fare con le note create nella piovosa città dello stato di Washington, ma è indubbia l’importanza dei loro album per il metal/rock di quel periodo.
Oggi, chi segue le vicende intorno al rock raccoglie i frutti di quella semina, anche e soprattutto per merito della scena underground colma di band che, ispirate dal suono di quello splendido periodo, creano lavori intensi e sopra la media.
E gli Evilgroove, con Cosmosis, fungono da perfetto esempio, proponendo un lavoro che trae ispirazione dai gruppi di cui si accennava in precedenza, dunque non un lavoro che brilla per originalità (ma chi di questi tempi, suonando hard rock chi può vantarsene?), bensì un ottimo album hard rock/metal con tutti i crismi per soddisfare gli amanti dei suoni americani.
Cosmosis erutta dieci brani di hard groove rock, la voce alla Zakk Wilde accompagna ritmiche ipnotiche, chitarre piene tra scariche metalliche panteriane, atmosfere southern tra Corrosion Of Conformity e Black Label Society e grunge più vicino ai Soundgarden che ai Nirvana, tanto per ribadire che qui si fa hard rock, alternativo quanto si vuole ma con i piedi ben piantati nel genere.
I brani meriterebbero tutti una menzione ma, oltre a ricordarvi le portentose Locusta, I The Wicked e Soul River, vi invito semplicemente a far vostro Cosmosis senza indugi.

TRACKLIST
01. Turn Your Head
02. Lucusta
03. Space Totem
04. I, The Wicked
05. Kick The Can
06. Physalia
07. Voodoo Dawn
08. Soul River
09. What I Mean
10. Cosmosis

LINE-UP
Daniele “DOC ” Medici – Guitar
Matteo “MATTE” Frazzoni – Bass
Luca “FRAZ” Frazzoni – Vocals
Christian Rovatti – Drums

EVILGROOVE – Facebook

Magnet – Feel Your Fire

E’ difficile che Feel Your Fire, con un sound così vintage, possa entrare nei gusti dei rockers attuali, mentre piacerà molto a chi con queste sonorità ci è cresciuto e si ritrova il mento imbiancato da un pizzetto mefistofelico.

Atmosfere occulte, suoni vintage di matrice rock blues, linee chitarristiche eleganti e sfumature sabbatiche e lascive donano un tocco sacrilego e magico al rock settantiano suonato da questo gruppo capitanato da Riccardo Giuffrè, bassista dei Psychedelic Witchcraft, qui alle prese con voce e chitarra.

E di blues è pregno Feel Your Fire, un album che continua imperterrito a solcare la strada dei Magnet, anche se il sound risulta più dinamico e rock ‘n’roll, specialmente nell’opener Buried Alive With Thee.
Le atmosfere vintage donano all’album un’aura di magia musicale, e i riferimenti espliciti a nomi di spicco del panorama hard rock non inficiano la buona riuscita di brani dal forte sentore di incenso, messianici pur non essendo esplicitamente doom.
Un rito, musica che non insegue la chimera dell’originalità, ma che sa donare ancora forti emozioni, così esposta ai delicati venti blues pur mantenendo una buona verve hard e leggere sfumature psichedeliche: si viaggia in un trip settantiano per tutta la durata dell’album, con atmosfere che passano dal rock’n’roll al blues occulto e ricco di magia (Ouroborus, Little Moon) al finale tutto dedicato ai Black Sabbath con Magnet Caravan, brano tributo alla Planet Caravan di Iommi e soci.
E’ difficile che Feel Your Fire, con un sound così vintage, possa entrare nei gusti dei rockers attuali, mentre piacerà molto a chi con queste sonorità ci è cresciuto e si ritrova il mento imbiancato da un pizzetto mefistofelico.

TRACKLIST
1. Buried Alive With Thee
2. Ouroboros
3. Light
4. Little Moon
5. Drive Me Crazy
6. Feel Your Fire
7. Satan’s Daughter
8. Magnet Caravan

LINE-UP
Riccardo Giuffrè
Jacopo Fallai
Mirko Buia
Vanni Fanfani

MAGNET – Facebook