Bölthorn – Across The Human Path

Buttarsi nell’agone viking death metal non è cosa affatto facile, in questo caso lo si fa con molta qualità e bravura, riuscendo sempre a cogliere il punto. Across The Human Path è una delle migliori cose uscite in Italia in questo genere, e non solo.

In questo gran revival vichingo degli ultimi anni, fra serie tv e gruppi metal che si rifanno a questa epopea, arrivano da Parma come un colpo di Mjölnir i Bölthorn, semplicemente il miglior gruppo italiano di viking melodic death metal in circolazione.

Le influenze sono chiare e ci portano dalle parti degli asgardiani Amon Amarth, con quella mistura particolare di death metal melodico con influenze viking. La bellezza di Across The Human Path sta proprio nel groove incessante, nella capacità di creare una certa atmosfera, che non è solo derivativa, ma che porta in sé qualcosa di innovativo e di antico al tempo stesso. Il suono di questi parmensi non è inedito, ma lo fanno ad un livello molto superiore rispetto alla maggior parte dei gruppi del genere o sottogenere. Si parte con un’ottima produzione che fa risaltare la loro preparazione tecnica e la sapienza compositiva: i Bölthorn creano un pathos particolare, un sentire che ricorda i migliori dischi del genere, quel ritrovarsi fianco a fianco nella neve con i guerrieri durante una battaglia, o guardare il mare dagli scogli di un fiordo immaginando cosa ci possa essere al di là delle onde. In alcuni momenti l’assalto melodic death metal diventa struggente, compenetrando quella malinconia che ha contraddistinto i vichinghi, quella profonda conoscenza della vita che porta ad affrontarla a viso aperto, difficoltà per difficoltà, giorno per giorno. Il cantato è in growl, ma è molto chiaro e rende molto bene, il gruppo è preparato , preciso e con un’impronta personale e ben definita. Le canzoni sono quasi tutte di ampio respiro per sviluppare al meglio le profonde trame sonore. I Bölthorn nascono dalla volontà di Ivan (già nei Dust, Dream’s Echo ed Ironcross Project) di creare un progetto inizialmente da studio: Rob degli Angerfish e Drake dei Ny Mind si trovano subito in sintonia con lui e quindi il tutto avanza fino alla registrazione del disco presso l’Audicore Studio di Fontevivo in provincia di Parma. Il risultato è un lavoro mai scontato, ben suonato e ottimamente composto, che emoziona e che piacerà molto a chi ama queste sonorità e questo immaginario, ma anche molto fruibile per chi non le conoscesse ancora. Buttarsi nell’agone viking death metal non è cosa affatto facile, in questo caso lo si fa con molta qualità e bravura, riuscendo sempre a cogliere il punto. Across The Human Path è una delle migliori cose uscite in Italia in questo genere, e non solo.

Tracklist
1. Intro
2. Sentinel
3. For Honor
4. Thor
5. Curse of Time
6. Warriors
7. Midgaard
8. The Lair of the Beast
9. The Kaleidoscope

Line-up
Ironcross – Composer, Guitar, Bass and Drum
Drake – Vocals
Röb – Composer, Guitar

BOLTHORN – Facebook

Blackberry Smoke – Find And Light

Find And Light è un album impedibile per gli amanti del southern rock, elettrico e graffiante come forse mai nella discografia del gruppo, intriso di sanguigno blues rock e composto da una serie di brani che ribadiscono la grandezza dei Blackberry Smoke.

In ritardo di qualche mese sull’uscita del nuovo Find And Light tornano sulle pagine di Metaleyes i Blackberry Smoke, probabilmente la band southern più famosa tra le nuove leve del rock americano per antonomasia.

Charlie Starr continua ad essere il pilota di questa perfetta macchina southern rock, arrivata ormai al sesto album in studio da quando, all’alba del nuovo millennio partì da Atlanta per conquistare i cuori dei rocker a stelle e strisce prima e poi di quelli sparsi per il mondo.
Il successo arrivato ultimamente ma consolidato con almeno due capolavori come Little Piece of Dixie (2009) e The Whippoorwill (2012) ha portato la band in giro per il mondo con live sempre più seguiti dai fans ed immortalato a suo tempo nel bellissimo Leave a Scar, Live: North Carolina, licenziato ormai quattro anni fa, ma che esprimeva tutta la poetica carica southern rock dei Blackberry Smoke.
Find And Light è dunque un album impedibile per gli amanti del southern rock, elettrico e graffiante come forse mai nella discografia del gruppo, intriso di sanguigno blues rock e composto da una serie di brani che ribadiscono la grandezza di questa band.
I Blackberry Smoke targati 2018 sono tutti nel rock dell’opener Flesh And Bone o in quello sporcato di blues di The Crooked Kind, nella poesia country della strepitosa ballad I’ve Got This Song, in Let Me Down Easy con la singer Amanda Shires al microfono e nel capolavoro I’ll Keep Ramblin’, un rock’n’roll d’altri tempi con tanto di coro gospel e chitarre che sanguinano blues; un gruppo strepitoso che continua a scrivere la storia del Southern rock, con il solo Cody Cannon ed i suoi Whiskey Myers a contendergli lo scettro di sovrani del genere.

Tracklist
1.Flesh And Bone
2.Run Away From It All
3.The Crooked Kind
4) Medicate My Mind
5.I’ve Got This Song
6.Best Seat In The House
7.I’ll Keep Ramblin’
8.Seems So Far
9.Lord Strike Me Dead
10.Let Me Down Easy
11.Nobody Gives A Damn
12.Till The Wheels Fall Off
13.Mother Mountain

Line-up
Charlie Starr – Vocals,Guitars
Paul Jackson – Guitars, Vocals
Richard Turner – Bass
Brit Turner – Drums
Brandon Still – Keyboards

BLACKBERRY SMOKE – Facebook

LEADEN TEARS

Il lyric video di “The Revenger”, dall’album di prossima uscita.

Il lyric video di “The Revenger”, dall’album di prossima uscita.

E’ uscito il lyric video di “The Revenger”, il primo singolo della band italiana gothic symphonic metal Leaden Tears. Il singolo anticipa il loro album di debutto, la cui uscita è prevista nella prima parte del 2019. Il lyric video è già disponibile, mentre i dettagli dell’album verranno svelati a breve.

– LEADEN TEARS sito ufficiale: https://www.leadentears.com

– LEADEN TEARS pagina facebook: https://www.facebook.com/leadentears

BROKEN BONES PROMOTION

https://www.facebook.com/brokenbonesrecords/
http://brokenbonesrecords.blogspot.com/

Idle Hands – Don’t Waste Your Time

Tutto sommato una buona partenza per la band di Portland, con un album consigliato alle anime oscure amanti tanto del dark rock dei Sisters Of Mercy che del metal classico di scuola statunitense alla Metal Church.

Gli Idle Hands sono una metal band proveniente da Portland formata da ex membri degli Spellcaster, band della scena metallica dell’Oregon con tre full length all’attivo prima dello scioglimento avvenuto lo scorso anno.

Gabriel Franco (voce e chitarra), Sebastian Silva (chitarra) e Colin Vranizan (batteria), raggiunti da David Kimbro (basso), tornano dopo pochi mesi con l’ep di debutto per questa nuova realtà.
Gli Idle Hands suonano un metal dalle tinte gotiche, che alterna alle atmosfere dark un sound che prende ispirazione dal metal tradizionale di scuola statunitense.
Ne escono cinque brani racchiusi in questo ep intitolato Don’t Waste Your Time, che si apre con l’arpeggio melodico di Blade And The Will, seguita da By Way Of Kingdom e l’ottima Can You Hear The Rain, il brano sicuramente più riuscito nonchè orientato verso il dark rock ottantiano.
Ed infatti il meglio gli Idle Hands lo tirano fuori quando la musica lascia territori marcatamente metal per un rock robusto, ma figlio del dark/gothic classico, come appunto avviene in Can You Hear  The Rain e nella conclusiva I Feel Nothing.
Tutto sommato una buona partenza per la band di Portland, con un album consigliato alle anime oscure amanti tanto del dark rock dei Sisters Of Mercy che del metal classico di scuola statunitense alla Metal Church.

Tracklist
1. Blade And The Will
2. By Way Of Kingdom
3. Can You Hear The Rain
4. Time Crushes All
5. I Feel Nothing

Line-up
Gabriel Franco – Vocals/Guitar
Sebastian Silva – Guitar
David Kimbro – Bass
Colin Vranizan – Drums

IDLE HANDS – Facebook

Nemus – See-Mensch

See-Mensch è un lavoro valido ma non raggiunge certi picchi di intensità ai quali cui siamo abituati ascoltando le produzioni della Naturmacht Records: questo accade soprattutto perché non viene data la necessaria continuità alle valide intuizioni che emergono in ciascun brano .

Nemus è uno dei due progetti solisti (l’altro è Dreamshift) del tedesco Frank Riegler e See-Mensch è il secondo lavoro che segue l’esordio intitolato Wald-Mensch.

Quindi dopo l'”uomo-foresta” questa volta tocca all'”uomo-lago” in questa sequenza di strane creature che costituiscono l’immaginario lirico del musicista bavarese: il tutto confluisce in una forma musicale le cui basi black metal vengono sovente scompigliate da passaggi folk, post metal e in generale sempre piuttosto atmosferici.
In quasi una quarantina di minuti l’album si snoda così con un incedere sempre piuttosto melodico al quale viene conferita un’aura drammatica soprattutto dallo screaming di Riegler, che in buona sostanza è una sorta di urlo straziante, magari non il massimo da un punto di vista prettamente tecnico, ma utile alla causa.
Diciamo subito che See-Mensch è un lavoro valido ma non raggiunge certi picchi di intensità ai quali cui siamo abituati ascoltando le produzioni della Naturmacht Records: questo accade soprattutto perché non viene data la necessaria continuità alle valide intuizioni che emergono in ciascun brano .
Infatti Riegler utilizza uno schema che probabilmente sarà funzionale alla narrazione ma che spezza irrimediabilmente il pathos creato inizialmente piazzando puntualmente a metà di ogni traccia dei passaggi interlocutori che preludono poi ad una nuova progressione ma la cosa ha un po’ l’effetto di essere interrotti mentre si sta mangiando una succulenta portata per poi riprendere dopo averla riscaldata: per quanto sia buona il piacere non potrà che risultare attenuato.
Una canzone notevole come Das Ungetüm è emblematica in tal senso: i ritmi parossistici e trascinanti imposti nella fase iniziale vengono sospesi per quasi un minuto a favore di cinguetti e sciabordii vari prima che il tutto riprenda con il manifestarsi di un growl minaccioso (soluzione vocale che a mio avviso Riegler dovrebbe utilizzare di più, peraltro) che prelude ad una nuova notevole progressione chitarristica e lo stesso si può dire per la successiva Blut Und Schuppen, più rallentata ed evocativa nel suo incedere.
Questo è a grandi linee il modus operandi che viene replicato nel corso dell’album, con un’intensità altalenante ma con uno standard qualitativo sempre di discreto livello; nel complesso questo seconda uscita targata Nemus si rivela soddisfacente ma ci sono ancora ampi margini per rendere il tutto ancor più coinvolgente e ben focalizzato.

Tracklist:
1. In Die Tiefe
2. Das Ungetüm
3. Blut Und Schuppen
4. Schwimme Ewig
5. Tiefengesang
6. Nachts Im Teich

Line-up:
Frank Riegler – Everything

NEMUS – Facebook

Costruendo il sepolcro: il Doom prima del Doom

Sul fatto che i Black Sabbath siano stati i creatori del doom nessuno può avanzare dubbi. Anche sul fatto che il genere si sia sempre più imposto, specie nei paesi anglofoni ed in Svezia, a partire dagli anni Ottanta – complice anche la NWOBHM (Legend, Ritual, Witchfinder General) – in pochissimi potranno avanzare riserve.

Il doom – oggi coltivato specialmente nei paesi nordici, nel Maryland, nell’Oregon e nella Columbia britannica – ha dato origine a generi e filoni importanti ed amatissimi, come Drone, Funeral, Gothic Metal, Black Doom, Ambient Doom e Avantgarde Doom, ovviamente senza dimenticare lo Stoner della scena di Palm Desert e lo Sludge della Louisiana. Dagli anni ’90, sino ad oggi, rilevanza estrema e meritata ha avuto il Death Doom, inventato dal cosiddetto trittico inglese, ossia Paradise Lost, Anathema e My Dying Bride (a cui va aggiunta – lo si faccia, una volta tanto – la luminosa meteora Enchantment).
Tuttavia, esiste anche una preistoria del genere, quando ancora non si chiamava così. Prima, infatti, che si incominciasse a parlare di doom metal, l’hard rock e il blues già avevano iniziato ad edificare muri sonori con rallentamenti, tempi cadenzati e solenni, arcane malinconie e ancestrale maestosità, distorsioni e dissonanze, scale minori e squarci epico-ossianici, giochi di riverberi e colti riferimenti di natura esoterico-letteraria ed occultistica.
Se vi riflettiamo, scopriamo che già i Blue Cheer – in particolare quelli di Vincebus Eruptum, vale a dire con alla chitarra Leigh Stephens (poi nei durissimi Silver Metre) – avevano aperto le porte a un nuovo genere musicale ed alla sua codificazione artistico-culturale. In tale senso, il proto-doom può essere cercato e felicemente rintracciato, tra la fine degli anni Sessanta e i primissimi Settanta, negli inglesi Leaf Hound (una costola degli Atomic Rooster), nei gallesi Budgie, negli americani Sir Lord Baltimore (gli iniziatori, tra il 1970 ed il 1972, della scena di Washington DC), nei primi album dei tedeschi Lucifer’s Friend, negli australiani Buffalo, nella giapponese Flower Travellin’ Band (Satori, il loro capolavoro targato 1971, che tanto anticipa i Rush delle suite).

I seminali Pentagram, anche sotto il nome di Bedemon, nacquero e furono attivi in Virginia a partire dal lontano 1971. I britannici Pagan Altar incisero il loro disco d’esordio – pubblicato, poi, solo nel 1984 – già nel 1978. Altre entità solo a torto (ed ingiustamente) etichettabili come ‘minori’, sia pure senza mai pubblicare in vita le loro registrazioni, hanno dato un forte e significativo contributo alla causa. Si pensi solo (riscoperti oltre vent’anni fa, dalla purtroppo defunta Kissing Spell) ai britannici Wicked Lady, Ice, Stone Angel, Daemon, Irmin’s Way, Dark ed in parte Dragon Milk, tutti attivi a metà circa degli anni ’70. Musiche bellissime, senza tempo.
Né vanno certo dimenticati, ai fini della nostra ricostruzione storica e del discorso che andiamo qui svolgendo, i Night Angel (poi evolutisi nella EF Band, nel 1979), gli scozzesi Iron Claw (attivi tra il 1969 e il 1974, senza purtroppo mai arrivare al traguardo del debutto su vinile), gli Egor del singolo Street (1971), gli Stallion inglesi (vissuti tra il 1974 e il 1976 e responsabili d’un entusiasmante hard prog, con Moog), gli eterei e cupi Wooden Lion (nero space prog hawkwindiano, durati dal 1973 al 1976). Una menzione particolare merita quindi la Flying Hat Band, fondata a Birmingham nel 1971 dal chitarrista Glenn Tipton, in seguito una delle due asce (insieme a KK Downing) dei Judas Priest (autori di un classico del doom settantiano, con lo storico ed imprescindibile Sad Wings of Destiny, uscito per la Gull nel 1976).
I gruppi di cui in questa sede stiamo trattando non erano ovviamente di puro doom (non aspettatevi i Candlemass, dunque), ma al genere di fatto arrivavano mescolando sapientemente hard rock, prog, blues, folk anglo-britannico alla Stackridge e dark di matrice Black Widow (la band di Leicester era in pista dal 1969: autentici modelli e prime-movers).

Occulti e cosmici furono acts di proto-doom come gli Zior. Il loro primo album omonimo apparve, nel 1971, per la piccola Nepentha. Univa hard progressive ed atmosfere gothic dark plumbee, molto ossessive e tetre, in anticipo sullo shock rock di Alice Cooper e Ozzy Osbourne. Vera demonologia in musica, con richiami alla magia e un’ottima reputazione concertistica. Gli Zior combinavano nel modo migliore effetti elettronici, ricerca sperimentale e gusto per la distorsione, con una voce molto alla Arthur Brown, quindi enfatica e teatrale. Prodotti da Larry Page dei Kinks, realizzarono, giusto due anni dopo, un secondo lavoro, rimasto inedito all’epoca e ristampato su CD assieme al primo. Il rock blues stravolto dei Blue Cheer veniva, in questo secondo capitolo, da loro appesantito ancor di più, reso travolgente, ma altresì capace di lasciare spazio a ballate dark e pagine trasognate. Un altro gioiello, dal punto di vista sia timbrico sia iconografico.
Altra pietra miliare del proto-doom rimane l’unico album omonimo degli Horse. Hendrixiani, con in cabina di regia l’ingegnere del suono di Led Zeppelin e Hawkwind, gli Horse debuttarono nel 1970, per la RCA. Influenzati dai Black Widow nella costruzione dei brani (e dagli Yes in certe armonie vocali), allo scioglimento si trasformarono in Saturnalia (un solo rarissimo LP, di tarda psichedelia, forse più bello per la veste grafica che per le composizioni), mentre il drummer Rick Parnell entrò negli Atomic Rooster del quarto e quinto disco (periodo pertanto 1972-1973).
Gli Horse, a tutti gli effetti, osarono molto, preceduti soltanto dai connazionali Harsh Reality (1969, interessante e pionieristico hard prog dalle tinte fosche) e Plus (il masterpiece Seven Deadly Sins, anch’esso del 1969, combinava in maniera straordinaria nascente rock sinfonico e proto-doom). Nel 1971, sempre in Inghilterra, uscì per la Vertigo Three Parts of My Soul, dei misteriosi e assai lugubri Dr. Z: un eccellente rock progressivo, dominato dalle tastiere di Keith Keyes, con ritmiche spartane e originali suggestioni misticheggianti, dalla multiforme vena interpretativa, fra disperazione e ansie pessimistiche. Quattro anni dopo vide la luce Green Eyed God (Penny Farthing, 1975) dei londinesi Steel Mill, quintetto influenzato da Black Widow e Van der Graaf (per l’uso dei fiati) e naturalmente dai Black Sabbath per le sezioni chitarristiche. Hard prog, folk celtico e rimandi floydiani possiamo rinvenire in questa perla rara dell’underground britannico, pubblicata inizialmente solo in Germania Ovest dalla Bellaphon (nel 1972) e ancora una volta prodotta da Larry Page degli Zior.

Un validissimo gruppo britannico, che non giunse però mai a pubblicare il proprio disco, fu quello dei Three-Headed Dog. Ispirati dalla figura mitologica di Cerbero, appunto il cane a tre teste scelto come monicker, i Three-Headed Dog registrarono sei brani nel 1972 e altri cinque l’anno seguente: tutti e undici sono stati finalmente pubblicati, solo moltissimo tempo dopo, nel 2006, dalla volitiva e benemerita Audio Archives (specializzata in questo tipo di operazioni di recupero musicale, si pensi al secondo disco dei Fantasy). Una edizione laser che ci permette, ora, di apprezzare tutta l’arte della band, antesignana di un hard-doom primordiale ed oltremodo evocativo.

E veniamo finalmente a un gruppo di illustri sconosciuti: gli Iron Maiden. No, non è uno scherzo ai danni del lettore. Quelli ai quali ci riferiamo adesso sono gli Iron Maiden di Bolton, nati nel 1968 ed attivissimi dal vivo, tra il 1970 e il 1975, pure di spalla a UFO, Procol Harum e Thin Lizzy. Nulla ci rimane del loro mix dalle mille sfumature di proto-doom e hard prog metallizzato, se non i nastri di Maiden Flight, pubblicati postumi dalla Perfect Pitch, nel 2005. Paradossalmente e incredibilmente, ancora più prossimi al doom furono gli Iron Maiden di Basildon nell’Essex – no, neanche loro sono quelli famosi di Paul Di Anno e Bruce Dickinson – autori nel 1969 del 45 giri God of Darkness, con sul Lato B Ballad of Martha Kent. La sfortunata band, che firmò anche per la Gemini senza arrivare tuttavia a nulla, meritava davvero altra sorte. A renderle in parte giustizia, pure in questo caso grazie alla Audio Archives, la stampa postuma del 1998, dal titolo Maiden Voyage, con ottimi riff e lunghe composizioni, dai sette minuti di media. Piccola postilla per i curiosi: questi Iron Maiden aprirono, a volte, anche per i loro idoli Black Sabbath. Alcuni di loro, successivamente, suonarono con Spirit of John Morgan (un mito dell’underground UK), Zior, Poco, Venom, Nik Turner ed Hawkwind. Senza dubbio, un curriculum di tutto rispetto.
Un altro nome di culto, quello dei Warlord, può far pensare ai grandi colleghi statunitensi.

Tuttavia, questi Warlord sono inglesi, nati a Londra nel 1974, particolarmente attivi tra il 1976 e il 1977, con un tastierista ospite. Il loro unico disco, un bel concentrato di hard rock tradizionale e proto-doom, è apparso infine omonimo, solo nel 2002, nuovamente per la Audio Archive. Li si può ascoltare anche sulla compilation Necrocopia – Original UK Doom in memoriam, altro CD della Audio Archive che copre tutto il periodo 1968-1977, nel Regno Unito, con pezzi di Night Angel, Horse, Wooden Lion, Iron Claw, Three-Headed Dog, Zior, Iron Maiden (quelli di cui sopra), Stallion, Necromandus, Egor e Flying Hat Band. Un prodotto assolutamente essenziale e irrinunciabile: un pezzo di storia, e non solo per collezionisti ed amanti di rarità storiche sepolte tra la polvere del passato.
Quest’ultima ha finito per avvolgere anche altre band, da riscoprire. Ad esempio, non si possono né devono fare passare sotto silenzio gli Electric Funeral. Svizzeri – come Cardeilhac, Country Lane e Spot – gli Electric Funeral proponevano un heavy sabbathiano ed oscuro, ruvido e selvaggio. Erano di Neuchatel e le loro incisioni di distorto proto-doom, risalenti ad un nastro del 1970-71, sono state rese pubbliche con il titolo The Wild Performance solamente nel 1991, per mano della Vandisk. La band aveva doti tecniche e qualità di scrittura superiori alla media e avrebbe meritato certo migliore destino. Tuttavia, come si è visto e si sta vedendo, pochi del gruppi esaminati qui hanno potuto poi dare alle stampe un album. Se lo avessero fatto, con buona probabilità, oggi si direbbe, apertamente, che la nascita effettiva del doom metal va collocata nei Seventies e non nella decade successiva.
Non raggiunsero l’altrimenti meritato traguardo dell’album neanche i Sudden Death, oscura band di Los Angeles, sorta nel 1970. Un gruppo di valore, come confermarono a quell’epoca i concerti con i Blue Cheer, i Seeds e le prime Runaways. Nel 1972, i Sudden Death registrarono un demo live, fra proto-doom e complesse trame hard. La Rockadelic lo ha pubblicato infine nel 1995, intitolandolo per l’occasione Suddenly. Un bel coacervo di rimpianti e storia infranta.

I Warpig erano, invece, canadesi e riuscirono nell’impresa di pubblicare il loro (unico) LP, registrato nel 1970 e stampato nel 1972 dalla Fonthill. Il quartetto dell’Ontario poteva contare su un axeman di eccezione, l’insegnante di chitarra Rick Donmoyer. Purtroppo, il debut dei Warpig, sabbathiano fin dal nome scelto, non ebbe quasi riscontro, malgrado gli aiuti e l’amicizia di Terry Brown, dei Rush: un vero peccato, dato che il proto Doom Metal dei quattro era a dire poco straordinario, con echi di Uriah Heep e Deep Purple, ed eccellenti parti di tastiera. Si sciolsero nell’indifferenza generale, nel 1975. La ristampa della Relapse ce li ha, se non altro, restituiti in tutto il loro incandescente e tetro splendore.
Parliamo ora di tre band che riuscirono, per quanto privatamente, a pubblicare i loro dischi, ma che restano, oggi, rarissime chimere per collezionisti, dato che una riedizione su compact – né ufficiale, né in formato bootleg – non è mai stata approntata. Si tratta di tre gruppi tutti americani. I Sorcery, rispettivamente nel 1978 e nel 1980, pubblicarono il debutto Sinister Soldier e il doppio Till Death Do We Part: fantastici esempi di hard-doom sabbathiano e astrale, che affonda le radici nel sound di marca Seventies. Molto belli anche i Lodestone (un album omonimo nel 1982): tra doom e nascente US metal, coi sintetizzatori che spingono le sonorità di ascendenza Black Sabbath in una direzione talora quasi futuristica e vagamente fantascientifico-siderale. La strada percorsa poi dallo stoner, in America e non soltanto. Infine, segnaliamo i leggendari – davvero, l’aggettivo calza qui a pennello – Laudanum: due LP per la Byron Records – di proprietà del leader, e così denominata in omaggio al grande poeta del Romanticismo inglese – a spasso tra Black Sabbath, ELP, Atomic Rooster, Mozart, con aperture che spaziavano dal proto-doom settantiamo (che ormai abbiamo imparato a conoscere) a porzioni tanto massicce quanto barocche e spaziali, epiche e sinfoniche. Il cantante era innamorato perso della musica e della cultura del Settecento, del resto. Il che è molto in carattere.
Chiudiamo con i Necromandus, che incisero anche loro un disco mai stampato all’epoca. Registrato nel 1973, da un quartetto amico nientemeno che di Tony Iommi, Orexis of Death fu pubblicato solo nel 1991, su vinile (dalla Reflection) e ancora più tardi su compact dalla Rise Above di Lee Dorrian: l’occasione imperdibile, finalmente, per apprezzare la musica dei Necromandus, un heavy prog dalle pieghe notevolmente doomeggianti e dagli stacchi a tratti quasi fusion. Membri del gruppo hanno in seguito suonato con ELO e Hammerhead.

Per Max

Bibliografia

– Alberto Bia, The Bible of the Devil. The Essential Obscure Hard Rock Encyclopedia (2015)
– Antonello Cresti, Come to the Sabbath. I suoni e le idee della Britannia esoterica (2011)
– Cesare Rizzi, Progressive & Underground (2003)

SHE WAS NOTHING

Il video di “#4oak”.

Il video di “#4oak”.

A distanza di un anno e mezzo dal loro ultimo album “Reboot” i She Was Nothing tornano sulla scena pronti a celebrare il decennale del progetto SWN.
Presentano un singolo dalle sonorità Electonic/Rock, con un retrogusto acido accompagnato dalle consuete sfumature Drum and Bass che stanno caratterizzando il sound attuale della band.

Mixed: She Was Nothing
Mastered: Eleven Studio
Video director: Sharky Videomaker

#4oak è disponibile su tutte le piattaforme di musica digitale.

www.facebook.com/shewasnthing
instagram.com/shewasnothing
www.youtube.com/shewasnothing
www.twitter.com/shewasnothing
vk.com/she_was_nothing

Serrabulho – Porntugal (Portuguese Vagitarian Gastronomy)

Divertente, dissacratore, caotico, mai ovvio e con uno dei migliori titoli possibili, impossibile pretendere di più dai Serrabulho

La teoria del caos, che sembra governare molte più cose di quello che crediamo, si incontra con la musica e ne viene fuori il terzo disco dei portoghesi Serrabulho, Porntugal (Portuguese Vagitarian Gastronomy), un qualcosa dalle parti del grind e portoghese fino al midollo.

I Serrabulho sono all’apparenza un gruppo grind, in realtà sono dei propugnatori del caos e dei sovvertitori dei valori della cultura portoghese, e sono ossessionati dal culo e dai suoi prodotti. La struttura del disco è un grind abbastanza classico e ben suonato in linea con la tradizione lusitana che è simile a quella italiana. Detto ciò i Serrabulho sono la cosa più lontana che possiate immaginare dal gruppo grind triste e depresso, perché hanno un’ironia ed un’autoironia immensi. Nel disco ci sono inoltre una moltitudine di elementi del loro paese, che è come fosse un membro del gruppo, nel senso letterale della parola membro. Ci sono attacchi con le cornamuse e momenti suonati con strumenti tipici lusitani, il tutto al servizio del caos e della merda che vola spinta da un ventilatore potentissimo. Il gruppo portoghese utilizza anche frammenti di registrazione dell’etnomusicologo portoghese Tiago Pereira in collaborazione con A Música Portuguesa a Gostar Dela Própria, un interessantissimo progetto di registrazione audio e video della musica popolare portoghese. Porntugal è anche un invito ad imparare la lingua portoghese in modo da capire fino in fondo cosa dicono i Serrabulho perché ne vale assolutamente la pena. Il disco è un unicum nel panorama grindcore e va oltre la musica per investire molti ambiti che sembrano separati ma non lo sono. Divertente, dissacratore, caotico, mai ovvio e con uno dei migliori titoli possibili, impossibile pretendere di più dai Serrabulho.

Tracklist
01. She Drinks Milk
02. Ela Fez-me um Grão de Bico
03. Fecal Torpedo
04. Pito Sem Penas
05. Os Tintins do Tintin
06. BBC Wild Life
07. Cagalhão Com Ovo a Cavalo
08. Gelado de Caganetas
09. Dingleberry Ice Cream
10. Tofu au Cu
11. Tomate Pelado

Line-up
Carlos Guerra – vocals, sampling
Paulo Ventura – guitar, vocals
Guilhermino Martins – bass, caixa, sampling, vocals
Ivan Saraiva – drums

SERRABULHO – Facebook

Tourniquet – Gazing At Medusa

Un suono drammatico ed ispirato, dalle trame progressive ma dall’impatto estremamente potente, rende questo ultimo lavoro dei Tourniquet un enorme pezzo di granitico metallo, supportato dal potenziale dei musicisti coinvolti.

Quando si parla di metal cristiano non ci si può certo dimenticare dei Tourniquet, il gruppo che vede i due capitani Ted Kirkpatrick e Aaron Guerra. oggi affiancati da Chris Poland (Megadeth) e Tip “Ripper” Owens alle prese con un metal progressivo e vario, ma tipicamente statunitense.

Progetto iniziato nel lontano 1990, i Tourniquet vanno in doppia cifra riguardo ai full length con Gazing At Medusa, album composto da nove brani molto vari, una raccolta di molte delle sfumature che riguardano il metal classico, dal thrash, al doom (bellissima Memento Mori), passando per l’hard & heavy, il tutto condito da una vena progressiva che nobilita il sound.
Ospite importante di questo lavoro è Deen Castronovo (Steve Vai, Journey), voce sulla conclusiva title track di un lavoro imperdibile per gli amanti del metal statunitense.
Un suono drammatico ed ispirato, dalle trame progressive ma dall’impatto estremamente potente, rende questo ultimo lavoro dei Tourniquet un enorme pezzo di granitico metallo, supportato dal potenziale dei musicisti coinvolti.
All Good Things Died Here, il crescendo progressivo di The Peaceful Beauty of Brutal Justice e la title track non deluderanno gli amanti dell’U.S. metal, qui portato alla massima potenza tra bordate di metallo classico e scudisciate thrash.
I Tourniquet, fino ad oggi band di culto del panorama metallico, potrebbero trovare una grossa spinta da questo nuovo album, imperdibile per gli amanti del metal classico a stelle e strisce grazie soprattutto alla vena dei musicisti coinvolti.

Tracklist
1. Sinister Scherzo
2. Longing for Gondwanaland
3. Memento Mori
4. All Good Things Died Here
5. The Crushing Weight of Eternity
6. The Peaceful Beauty of Brutal Justice
7. Can’t Make Me Hate You
8. One Foot in Forever
9. Gazing at Medusa

Line-up
Ted Kirkpatrick – Drums, Bass
Aaron Guerra – Guitars, Vocals
Tim “Ripper” Owens – Vocals (guest musician)
Chris Poland – Guitars (guest musician)
Deen Castronovo – Vocals on “Gazing at Medusa” (guest musician)

TOURNIQUET – Facebook

Forlorn Seas – Exodus

Exodus è un buon inizio per i Forlorn Seas, con sette tracce ispirate che troveranno sicuramente il supporto degli amanti del metal moderno di matrice progressiva.

L’underground rock/metal riesce sempre a regalare ottime sorprese, magari in un momento di stanca come il periodo di fine anno quando di solito si tirano le somme dei dodici mesi trascorsi e si perde l’attenzione necessaria per assaporare nuove proposte.

I padovani Forlorn Seas sono una di queste, alla caccia di estimatori tra gli ascoltatori del metal progressivo di stampo moderno, un genere in cui il baratro della tecnica fine a sé stessa a danno di un sound più emotivo e fruibile diventa sempre più profondo; la giovane band se ne esce con questo lavoro maturo e passionale, nel quale la tecnica è al servizio di un metal dalle tinte dark e atmosferiche senza perdere quel tanto di carica estrema che basta per allontanare ogni dubbio sulla loro forza espressiva, bravi come si dimostrano nell’alternare metal estremo e post rock mantenendo la giusta tensione.
Non perdono il filo del discorso i musicisti veneti, rimanendo dentro i confini di un genere che trova nuova energia in brani come Lost Oracles, la seguente Oniricon o la più melodica Children Of Aton.
L’alternanza tra potenza elettrica ed armonie acustiche è quasi perfetta e permette all’ascoltatore di godere della musica del gruppo senza perdere la giusta attenzione, anche grazie al minutaggio non troppo elevato dei sette brani in programma.
Exodus è un buon inizio per i Forlorn Seas, con sette tracce ispirate che troveranno sicuramente il supporto degli amanti del metal moderno di matrice progressiva.

Tracklist
1.Lost Oracles
2.Oniricon
3.Children Of Atom
4.Crestfallen
5.Thirst
6.The Kingdom Below
7.Blossom

Line-up
Alberto Rondin – Vocals
Giovanni Lazzari – Guitar / Back vocals
Alessandro Casagrande – Guitar
Marco Michelotti – Drums
Nicola Guarino – Bass, Back vocals

FORLORN SEAS – Facebook

Comatose Vigil A.K. – Evangelium Nihil

Evangelium Nihil è esattamente ciò che speravamo ci venisse nuovamente regalato prima o poi dai Comatose Vigil, indipendentemente dalla loro configurazione: questo è il funeral doom, strumento d’elezione per il raggiungimento della catarsi attraverso l’evocazione quasi fisica di un dolore che sembra impossibile poter circoscrivere.

Si vociferava da tempo di uh possibile ritorno dei Comatose Vigil, i maestri del funeral doom russo dei quali si aspettava un seguito al capolavoro Fuimus, Non Sumus…, risalente al 2011.

In effettim nel 2014 c’era stata una reunion che aveva portato la band ad esibirsi in qualche data dal vivo ma lo scioglimento , apparentemente definitivo, era stato annunciato inesorabile dopo qualche tempo.
Anche senza conoscere a fondo le dinamiche all’interno della band il motivo di tutto questo lo si è intuito allorché sono letteralmente, iniziati a volare gli stracci sui social tra Alexander “ViG’iLL” Orlov e Andrey “A.K. iEzor” Karpukhin; nulla di inedito in ambito musicale, fondamentalmente, e anche se la torta da spartire è molto più esigua il doom non è certo esente da questi eventi: certo è che ritrovarci ora con due entità aventi lo stesso nome, la prima appannaggio di Orlov e la seconda, con il suffisso A.K. , di Karpukhin, in tale ambito fa pur sempre uno strano effetto.
Ma tant’è, noi che amiamo questo tip di musica e quindi una band come quella moscovita, non possiamo che esultare di fronte a questo nuovo Evangelium Nihil, album d’esordio dei Comatose Vigil con l’estensione A.K., che vedono il vocalist avvalersi dell’aiuto del talentuoso musicista georgiano David Unsaved dei magnifici Ennui, il quale si occupa magistralmente di tutta la strumentazione esclusa la batteria, affidata allo statunitense John Devos degli emergenti Mesmur.
Va detto subito che il sound offerto non tradisce in alcun modo lo spirito originario del monicker: il sound si muove drammatico e maestoso, incentrato su un tappeto di tastiere sul quale si abbatte una ritmica bradicardica e il growl impietoso di A.K. iEzor.
C’è quindi una spiccata continuità rispetto a quanto avvenne con Fuimus, non Sumus…, anche se quell’opera era forse ancor più minimale e meno avvolgente: per quasi un’ora e un quarto i quattro lunghi brani si rovesciano sulla psiche dell’ascoltatore, costringendolo in una vischiosa bolla all’interno del quale la vacuità dell’esistenza è dipinta in maniera così ipnotica e diluita da rendere impossibile qualsiasi reazione, allorché la realtà si manifesta in tutto il suo orrore dinanzi agli occhi
Evangelium Nihil si snoda ossessivo, senza lasciare tregua pur trascinandosi penosamente per oltre tre quarti d’ora di funeral sublime, prima di infliggere il colpo definitivo con i meravigliosi venti minuti finali di The Day Heaven Fell, vera e propria quintessenza del genere nella sua veste più atmosferica.
Se qualcuno si dovesse lamentare dell’eccessiva uniformità stilistica è bene invitarlo a dedicarsi a generi a lui più consoni: qui il passo è esattamente lo stesso dal primo al settanduesimo minuto e quando arriva l’unico elemento di discontinuità, sotto forma di una sorta di interferenza radio piazzata a metà della title track, si rivela fondamentalmente solo un elemento di disturbo.
Evangelium Nihil è esattamente ciò che speravamo ci venisse nuovamente regalato prima o poi dai Comatose Vigil, indipendentemente dalla loro configurazione: questo è il funeral doom, strumento d’elezione per il raggiungimento della catarsi attraverso l’evocazione quasi fisica di un dolore che sembra impossibile poter circoscrivere.

Tracklist:
1. Evangelium Nihil
2. Comatose Vigil
3. Deus Sterilis
4. The Day Heaven Fell

Line-up:
David Unsaved – Bass, Keyboards, Guitars
John Devos – Drums
A.K. iEzor – Vocals

COMATOSE VIGIL A.K. – Facebook

Noiskin – Hold Sway Over

Il suono dei Noiskin è un distillato del metal moderno, contiene la giusta dose di aggressività con la melodia che gioca un ruolo molto importante.

Debutto con un disco di metal moderno per questo quartetto bergamasco, con musicisti provenienti da realtà differenti, una particolarità non da poco.

Infatti, la composizione dei pezzi riflette le varie estrazioni e contribuisce ad arricchire il tutto. Il suono dei Noiskin è un distillato del metal moderno, contiene la giusta dose di aggressività e la melodia gioca un ruolo molto importante. Il gruppo lombardo ha scritto l’album vertendo sulla tematica delle scelte, che sono una delle cose più importanti dell’essere umano. Siamo composti da cellule che scelgono e le conseguenze le portiamo dentro e fuori di noi. I testi sono interessanti e maturi e si sposano bene con la musica che è narrazione essa stessa. Le scelte (musicali) che compiono invece i Noiskin sono sempre improntate a supportare la narrazione e coerenti al contesto e, anche se non sono molto originali, funzionano ugualmente bene ed è ciò che conta. Durante l’ascolto si comprende in maniera chiara che la band ha molte potenzialità e le usa per cercare di imporsi all’interno di una scena affollata come quella modern metal e metalcore, con la difficoltà aggiuntiva di non essere anglosassoni. Bisogna dire che sono gli interessanti passaggi più vicini all’hard rock come Bound To MY Skin che potrebbero aprire nuove prospettive al gruppo. Anche l’uso delle tastiere fa rendere al meglio la poetica musicale dei Noiskin così come alcuni inserti elettronici, ma una delle cose migliori di Hold Sway Over è la voce che si sposa molto bene agli strumenti, creando anche atmosfere che potrebbero ricordare i Queensryche, come nel brano Twilight Sleep, anche se molto meno prog metal. Un debutto interessante di un gruppo che mette diverse carte sul tavolo.

Tracklist
01 NOISE
02 HOLD S WAY O VER
03 HAZE
04 BEYOND T EMPTATION
05 CHAPTER III
06 BOUND T O M Y S KIN
07 TWILIGHT S LEEP
08 ENTROPY
09 AS I L AY D YING
10 THE F AREWELL

Line-up
Luca Taverna – Voce e Chitarra Ritmica
Marco Depriori – Chitarra solista e Cori
Simone Tarenghi – Basso
Federico Bombardieri – Batteria

NOISKIN – Facebook

POSTCARDS FROM ARKHAM

Il video di Leviathan, dall’album Manta.

Il video di Leviathan, dall’album Manta.

THE PAST / THE PRESENT / THE FUTURE

For progressive/post/metallers POSTCARDS FROM ARKHAM was 2018 the most inspiring. They’ve done headlining tour to support album „Manta“, released an acoustic album, played on festivals with mighty Anathema, Leprous, Ihsahn and started to work on the new album “Øakvyl” (Will be released during 2019).

As a present for unstoppable support was released brand new music video. Single “Leviathan” is very different and weird song from the album MANTA, so it deserves a weird visual interpretation.

NEW ALBUM MANTA & SPIRIT – OUT NOW

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Barbarossastraße – Waiting In The Wings

Waiting In The Wings è un album piacevole ed intenso, maturo e divertente quanto basta per risultare un ascolto obbligato per gli amanti dell’hard & heavy classico.

Sembra facile suonare hard & heavy nel nuovo millennio quando, per quanto riguarda il rock, si è già detto tutto o quasi e le nuove tendenze portano ad una spettacolarizzazione della musica a discapito di impatto, attitudine e molte volte talento.

Nel genere in cui si muovono questi quattro rockers senesi, al secolo Barbarossastraße, l’impressione è quella di un ritorno prepotente allo spirito che regnava negli anni ottanta, specialmente nell’underground nel quale si muovono realtà che devono vedersela con i problemi di tutti i giorni, muovendosi forti di una passione mai doma tra serate in piccoli locali di provincia, un lavoro che reclama una sveglia che suona senza pietà all’alba e tanti sacrifici.
Waitings In The Wings è il loro secondo lavoro, licenziato dalla Volcano Records, un ottimo esempio di quello che è stata per una manciata d’anni la massima espressione del life style rock’n’roll e che vedeva come ombelico del mondo Los Angeles ed il suo Sunset Boulevard.
La copertina che ricorda non poco quella di Theatre Of Pain dei Motley Crue ci mette subito in guardia su quello che ascolteremo sul nuovo lavoro targato Barbarossastraße, ed infatti il sound ricorda nei brani più tirati lo storico gruppo statunitense che con gli Skid Row rappresenta la fonte d’ispirazione primaria per questi dieci brani.
La band si fa preferire quando preme sull’acceleratore dello sleazy metal e se ne esce con piccoli ma letali candelotti di dinamite come Backdraft, Nowhere Train, la trascinante ed irriverente On The Loose e I’ll Do It Again, ma è palese che tutto Waiting In The Wings funziona, tra veloci trame rock ‘n’ roll, mid tempo dal piglio heavy e ballad che placano l’elettricità sprigionata nell’aria dai Barbarossastraße.
Un album piacevole ed intenso, maturo e divertente quanto basta per risultare un ascolto obbligato per gli amanti dell’hard & heavy classico.

Tracklist
1.Here to Stay
2.Backdraft
3.Waiting in the Wings
4.Nowhere Train
5.Hereafter
6.On the Loose
7.Praise the Storm
8.Mexican Standoff
9.I’ll Do It Again
10.It Will Take Some Time

Line-up
Dario “TanzarHell” Tanzarella – Vocals
Riccardo “Richie” Ciabatti – Guitars
Alessandro “Pozze” Pozzebon – Bass
Marco “Lookdown” Guardabasso – Drums

BARBAROSSASTRASSE . Facebook

Slot – 15 (The Best Of)

Una buona raccolta per conoscere una realtà importante del metal/rock russo, una scena ancora parzialmente da scoprire e ricca di band e musicisti di grande valore.

Gli Slot sono una delle band russe più famose, essendo attivi dal 2002 e con sette full length pubblicati, oltre alla partecipazione a festival importanti dividendo il palco con le icone occidentali a cui la loro musica si ispira come Korn, Limp Bizkit e Guano Apes.

Nookie ne è la cantante, famosa in patria per aver partecipato con successo alla versione russa di The Voice, nonché leader della band che porta il suo nome e qui impegnata al microfono accanto all’alter ego maschile Cache.
Il sound si ispira all’alternative/nu metal statunitense, tra parti rap, scream, doppia voce e raffiche metalliche colme di groove che si alternano a campionamenti e spunti elettronici.
15 (The Best Of) celebra appunto i quindici anni del quintetto con una compilation dei brani più famosi, un inedito e quattro versioni alternative.
Rispetto ai Nookie, gli Slot sono più crossover, perché il metal qui è manipolato ad uso e consumo dell’anima rap, con i duetti tra i due cantanti che sono fondamentali per la riuscita di brani che, per il fan della scena statunitense di inizio secolo, potrebbero risultare abbastanza scontati.
E’ Nookie a fare la differenza, trattandosi di un’interprete che, nonostante la sua piccola stazza, esprime una forza ed una grinta da leonessa nel corso di diciannove brani dal buon appeal interpretati in maniera ispirata e convincente in ogni passaggio; grazie a lei la band non sfigura affatto al confronto con i colleghi a stelle e strisce, anche in virtù di brani che se non brillano per originalità originalità non mancano in impatto e attitudine crossover.
Una buona raccolta per conoscere una realtà importante del metal/rock russo, una scena ancora parzialmente da scoprire e ricca di band e musicisti di grande valore.

Tracklist
01.Khaos (Demo 2002)
02.Odni
03.2 voyny
04.7 zvonkov
05.Myortvye zvyozdy
06.Oni ubili Kenni
07.Sloy pepla
08.Doska (Live 2008)
09.Kukla Vudu
10.Alfa Romeo Beta Dzhulyetta
11.Zerkala (Live 2011)
12.Sumerki
13.Odinokie lyudi
14.Esli | 15. Prostochelovek
16.Boy! (Remaster 2015)
17.Mochit, kak hochet!
18.Strakh i agressiya
19. Krugi na vode (Radio Version)

Line-up
Nookie – Female Vocal
Cache – Male Vocals, Programming
ID – Guitar
Vasiliy GHOST Gorshkov – Drums
Nikita Muravyov – Bass

SLOT – Facebook

BERGRIZEN – EINSAMKEIT IM WINTERSTURM

Live album per la one-man bad di Kiev. L’ottima produzione ed un sound al limite della perfezione – per essere un live – fanno di Einsamkeit im Wintersturm, il miglior best of per conoscere il Black Metal di Mr Myrd’raal.

L’Holy Death Over Kyiv Festival V del 2018, ha visto sul palcoscenico alcune band Black ucraine tra le più conosciute (Kroda e Bergrizen principalmente), alcune emergenti (Burshtyn e Grave Circles), i bielorussi Pestilentia e – come altra eccezione territoriale – gli stratosferici Acherontas dalla Grecia.

A Kiev la scena Black e davvero molto attiva (come anche in parte, nel resto del paese) e questo festival – giunto oramai alla quinta edizione – ne è la dimostrazione.
Da questo show, ne è scaturito un live album – Einsamkeit im Wintersturm – per gli ucraini Bergrizen che, forti del fatto di giocare in casa, hanno deciso di portare su vinile (non è prevista una versione in cd, al momento) il meglio della loro produzione che, ad oggi, dopo 11 anni di attività, vanta 5 full-length all’attivo, oltre a un demo, uno split (autoprodotto, con i connazionali Hexenmeister) e alcune raccolte. Pur non essendo un amante dei live (e ancor meno dei live Black Metal), mi sono approssimato a questo album con curiosità; inizialmente dubbioso soprattutto per la produzione, ma ne sono stato immediatamente rapito. Il sound è pressoché perfetto e mostra un sapiente lavoro in fase di registrazione e mixaggio da parte della prolifica label tedesca Purity Through Fire (Azelisassath, Antimateria, Kalmankantaja, Kroda, Sarkrista e decine di altre produzioni).
Ovviamente oggi – nell’era del digitale – tutto è più semplice. La stessa masterizzazione non avviene quasi più in analogico (OTB); se ciò (seppur raramente) accadesse, il processamento vedrebbe comunque come risultato finale il formato digitale: attraverso un processo lungo e difficile, fatto di conversioni da analogico/digitale/potenziale elettrico/nuovamente analogico (tramite un AD Converter – cioè Analog to Digital Converter) e quindi successive riconversioni in dati binari e acquisizioni all’interno della DAW (Digital Audio Workstation).
Invece nel Mastering Digitale (ITB, ossia in the box, che altro non è, che il caro Personal Computer), il processo è molto più semplice, diretto, ed i risultati di gran lunga superiori a quelli dell’analogico.
Ed è per questo che un live di una band come i Bergrizen (quindi non proprio i Dream Theater), risulti essere molto piacevole all’ascolto, grazie a suoni puliti, chiari, nitidi, e netto risalto di tutti gli strumenti che non finiscono mai per perdersi nel calderone sonoro del live. Il mio, un giudizio non solamente personale, ma totalmente ovvio, del tutto evidente, quasi apodittico, se confutato da chiunque acquistasse ed ascoltasse ora l’album.
Chiaro, serve anche tanta bravura della band, in realtà una one-man band, visto che Myrd’raal suona – in studio – tutti gli strumenti e ne è anche il vocalist. Di notizie su chi abbia coadiuvato il lavoro live del frontman ucraino ne abbiamo poche; molto probabilmente qualche session live member misconosciuto e quasi sicuramente Olgerd dei Kroda per le tastiere (con cui Myrd’raal aveva già collaborato nell’album del 2017 “Der Unsterbliche Geist”).
L’album non aggiunge – ovviamente – nulla su quanto già scritto a proposito del genere proposto dai Bergrizen; un ottimo Melodic Black Metal, ricco di atmosfera e di pathos. Certo non siamo di fronte ai connazionali Drudkh, vera icona del Black ucraino; ma Mr.Myrd’raal sa il fatto suo. Strazianti, ossessivi, melodici tremolii Black, avvolti da nebbie a fosche tinte autunnali, cullati da soventi (drammaticamente) melodiosi arpeggi, avviluppano uno scream tragico, lancinante, disperato. Sinceramente a me questi ucraini piacciono davvero, e questo album – che raccoglie il best of – potrebbe essere un’ occasione per tutti, di conoscere una band di cui si sa oggi forse troppo poco, rispetto all’attenzione che meriterebbe.

Tracklist
1. Der unsterbliche Geist
2. Lied der Rache
3. Ankunft der Winterdämmerung II
4. Das alte Herzeleid
5. Entsagen
6. Der Wanderer II – Die Nacht des Raben
7. Der Wanderer
8. Einsamkeit im Wintersturm

Line-up
Myrd’raal – All instruments, Vocals

BERGRIZEN – Facebook

Kadavar – Live In Copenhaghen

La band dal vivo risulta una macchina da guerra hard rock e la track list, che pesca principalmente dall’ultimo album per poi fungere di fatto da best of dei lavori precedenti, è un susseguirsi di brani che uniscono influenze scomode come Black Sabbath e Led Zeppelin e il più moderno stoner rock, rilasciando essenze di rock blues condito da un’atmosfera di evocativo e drogato trasporto.

Nel viaggio a ritroso verso il mondo del rock di matrice settantiana, i tedeschi Kadavar sono una delle band che più hanno mostrato personalità e talento nel proporre sonorità che rispecchiano il sound di band che hanno fatto la storia e con le quali le nuove leve si devono obbligatoriamente confrontare.

Il trio nato a Berlino nel 2010, senza grossi clamori ha dato alle stampe quattro full length (di cui l’ultimo, Rough Time, uscito lo scorso anno) e oggi con il sempre fondamentale aiuto della Nuclear Blast, licenzia questo Live In Copenhagen, registrato lo scorso anno al Pumpehuset nella capitale danese durante il tour di supporto all’ultimo lavoro.
La band dal vivo risulta una macchina da guerra hard rock e la track list, che pesca principalmente dall’ultimo album per poi fungere di fatto da best of dei lavori precedenti, è un susseguirsi di brani che uniscono influenze scomode come Black Sabbath e Led Zeppelin e il più moderno stoner rock, rilasciando essenze di rock blues condito da un’atmosfera di evocativo e drogato trasporto, ma rimanendo legato a canzoni semplici e lineari, grintose nelle versioni live e dal facile ascolto.
I Kadavar sono la classica band che, senza strafare, suona del buon rock, convincendo all’istante anche se ci si ritrova al suo cospetto per la prima volta.
Ottima partenza con Skeleton Blues e poi via per gli arcobaleni vintage ricamati dal trio tedesco, in alcuni casi esaltati da scorribande hard rock come Pale Blue Eyes o Die Baby Die.
Con i Kadavar non esistono momenti di pausa, il rock duro, stonato e vintage della band continua a martellare gli astanti con riff sabbathiani che si intrecciano come serpenti nascosti all’ombra di rocce nel deserto, con il sole che schiaccia e le membra che diventano pesanti al suono della potente e monolitica Forgotten Past, uno dei brani più stonati di tutto il repertorio del gruppo.
La psichedelica Purple Sage conclude il concerto in un delirio retro rock e i Kadavar si congedano dai fans con il brano che più di altri si rivela la classica jam psych/hard/rock e si confermano una live band di alto livello: un live da non perdere se siete amanti di questo tipo di sonorità.

Tracklist
1. Skeleton Blues
2. Doomsday Machine
3. Pale Blue Eyes
4. Into The Wormhole
5. The Old Man
6. Die Baby Die
7. Black Sun
8. Living In Your Head
9. Into The Night
10. Forgotten Past
11. Tribulation Nation
12. Purple Sage

Line-up
Lupus Lindemann – Vocals, Guitars
Simon “Dragon” Bouteloup – Bass
Tiger – Drums

KADAVAR – Facebook

Sarah Longfield – Disparity

Sarah dimostra di non essere solo una virtuosa dello strumento, ma anche una musicista, una cantante e una compositrice molto completa e versatile.

Debutto solista per Sarah Longfield, una delle migliori virtuose mondiali della chitarra a sette corde.

Sarah ha formato nel 2012 il gruppo The Fine Constant che, con due dischi come Myriad e Woven In Light, si è fatto una certa reputazione fra chi ama il prog, per poi arrivare a pubblicare molti video in rete che dimostrano la sua straordinaria bravura chitarristica. In questo disco Sarah ci dimostra che le sue capacità sono molteplici e che possiede anche un grande talento compositivo. Disparity è un album che vive su diversi livelli, che fa viaggiare su molti mondi rivelandosi un incontro tra generi. Sicuramente di fondo c’è un grande amore per il prog metal e per il djent, ed è anche molto forte l’importanza dell’elettronica, che costituisce una parte importante della struttura. Inoltre la Longfield propone una rilettura personale dei lavori della tradizione chitarristica, rielaborando a modo proprio cose che Steve Vai e Joe Satriani hanno proposto per la prima volta anni fa. Di suo Sarah ci mette molto mostrando che non c’è solo una virtuosa dello strumento, ma che è una musicista, una cantante e una compositrice molto completa e versatile. L’obiettivo di Disparity è di creare una certa imago mentis nell’ascoltatore, come uno spazio che vive di leggi molto diverse da quelle del mondo reale, perché è composto dal sogno. In alcuni passaggi del disco c’è una struttura quasi free jazz, un rompere tutti gli schemi, concatenando diversi passaggi sonori per poi ottenere quasi uno straniamento sonoro uscendo in forma completamente diversa da quella precedente. Le canzoni sono della giusta durata e sono tutte concatenate fra loro. Come si vede in copertina, anche nel disco Sarah indossa molti colori e riesce a padroneggiarli tutti molto bene, creando un lavoro che fa vedere molto di un talento talmente grande che ci riserverà ancora qualche sorpresa.

Tracklist
1. Intro
2. Embracing Solace
3. Departure
4. Cataclysm
5. Sun
6. Citrine
7. Miro
8. Stay Here
9. The Fall

SARAH LONGFIELD – Facebook

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL – THE MAGIK WAY

Grazie alla reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni domenica alle 21.30 su Witch Web Radio.
Questa volta Mirella ha intervistato Nequam, mente dell’esoterico progetto musicale The Magik Way.

MIRELLA Il progetto The Magik Way nasce nel 1996 ad Alessandria da un’idea di alcuni componenti dei Mortuary Drape, black metal band attiva già dal 1986; ci racconti com’è sorto l’intento di esplorare ancora più a fondo il lato esoterico della musica?

NEQUAM A quell’epoca avevamo dai 20 ai 24 anni di età e già da un po’ di tempo frequentavamo gli ambienti esoterici alessandrini. Ci sembrava arrivato il momento di esplorare nuovi territori musicali e a partire dal 1997, anno in cui abbiamo musicato il “Dracula” del regista teatrale Hermes Beltrame, non abbiamo più abbandonato l’idea di adottare un approccio alla scrittura non dissimile da quello dei compositori di musica applicata. Noi abbiamo maturato l’idea, al netto di 22 anni di attività, che le tematiche esoteriche necessitino di un ventaglio di suoni il più variegato possibile. Ad ogni storia, ad ogni tema, corrisponde il tentativo di trovare i suoni giusti, come se dovessero essi stessi tradurre dei colori o degli odori. Così è nata l’esigenza di creare concept album, ma anche di servirci di altre forme d’arte per il raggiungimento dell’obiettivo. Osservare i metodi di applicazione della musica nel mondo del teatro o dell’arte contemporanea ci ha aiutati molto.

MC Subito dopo la formazione, come ad affermare che The Magik Way non è solo musica ma qualcosa di più ampio e complesso, create “L’Ordine della Terra”, una fondazione che aggrega cultori dell’esoterismo che si confrontano su vari temi in totale anonimato. Potresti spiegare di cosa si tratta?

Risponde la dott.sa Roberta Rossignoli (L’Ordine della Terra):
Accomuna i membri dell’Ordine un regime psichico notturno. Ci guida, inconsciamente, da sempre, un pensiero mitico primordiale il quale ci insegna che la Natura, regolata dalla legge inesorabile della Necessità, è il regno della Morte. Ad ispirarci e condurci verso il suo grembo oscuro è l’ancestrale e archetipica spiritualità della Grande Madre, la Terra, che presiede al ciclo naturale di morte e rinascita: rifugio e nutrimento, sepolcro e culla, elemento primordiale da penetrare e scavare, materia primitiva, luogo del mistero, cavità ed anfratto, grembo abissale negli antichi culti misterici. In questa prospettiva, i misteri eleusini, l’orfismo, il pitagorismo, l’esoterismo sono percorsi di conoscenza e riflessione imprescindibili dove l’iniziazione è di per sè una morte simbolica, mimetica della catabasi di Demetra, della discesa nelle profondità ctonie della Grande Madre. Conoscere e riconoscere uno stato di coscienza originario, la cui realtà è eterno divenire, crescere e sfiorire, splendere per spegnersi, è un’indagine conoscitiva a circuito chiuso; è il nostro alambicco per un’alchimia interiore. Nella nostra claustrofilia, cultori di una religione della morte, intesa come ritorno al sè, come restituzione intima e profonda in un dialogo incessante con le leggi della natura, ci rivoltiamo contro maschere e menzogne per ritrovarci.

MC La band muove i primi passi nel mondo underground in maniera schiva, misteriosa, come a non volersi immediatamente rivelare al pubblico. Una sorta di rifiuto a concedersi totalmente? Come si svolgevano le prime esibizioni dei The Magik Way?

NEQUAM  Le performance, specie nel periodo 2000-2010 non erano pubblicizzate ma rientravano in un’idea di happening improvvisato… i nostri punti di riferimento in quegli anni erano il Living Theatre, La Fura dels Baus, la più radicale Marina Abramovic del periodo pre-Ulai e un certo metodo “anarchico casuale”, per dirla alla John Cage. Non eravamo interessati a mostrarci, se non nell’atto creativo. Questo atteggiamento, molto lontano dall’idea classica di band (che fa concerti, realizza dischi, si mostra) ha comportato un sostanziale allontanamento dalle “scene”, se intese nell’accezione più tradizionale appunto. In realtà abbiamo prodotto tantissimo: in campo musicale (performance improvvisate, rumorismo, commenti sonori per mostre), pittorico (leggendarie le opere realizzate da Azàch, con sangue e bile di pollo, commentati da suoni disturbanti), numerose video-installazioni, performance sul limite umano, alla stregua della body art e i linguaggi post-human, ma sempre in chiave esoterica. Ogni nostro lavoro, musicale e non, ha sempre evidenziato il nostro desiderio e la nostra necessità di creare habitat, luoghi contenitore dove creare. Famigerati sono i siti dove siamo stati stanziali, in aree dismesse o sotterranee, vere e proprie scatole cosmiche, macchine teatrali dove agire indisturbati. Chiunque li abbia visti li ricorda come luoghi particolari, energetici, densi. La sperimentazione è continuata in quella chiave per circa 10 anni, sino al 2012 anno in cui Marco Cavallini (Sad Sun Music) e Francesco Palumbo (My Kingdom Music) non ci hanno contattati per riportarci alla produzione discografica, nel senso più o meno canonico.

MC Nel 2017 la grande svolt: in un Auditorium presentate il DVD Ananke, mostrandovi finalmente dopo vent’anni di mistero. Come mai questa decisione?

NEQUAM  Ananke è un’opera importante. Intanto perché vede la partecipazione della dott. sa Alexandra Rendhell, medium e antropologa portatrice di un’energia positiva e potentissima. La sua presenza non è casuale, ma accade per i festeggiamenti durante il Ventennale dell’Ordine della Terra. Il suo lavoro, così come quello dell’illustre padre Magister Fulvio Rendhell, è stato di fondamentale importanza nella creazione dei The Magik Way. Sul DVD appare in qualità di voce monitante, impegnata nelle letture e citazioni selezionate dalla dott.sa Rossignoli. Inoltre presentiamo al pubblico una nostra nuova concezione, antitetica rispetto al passato dove ogni cosa era celata… e cioè mostrarsi in toto, manifestando la necessità di aprire il sipario, con l’obiettivo di essere visti. Il DVD è infondo una grande installazione a forma di quadrato, centripeta e avvolgente. Risente della perentorietà del titolo, laddove Ananke in greco indicava la forza esercitata dalla Natura nell’autodeterminarsi degli eventi.

MC Da allora cos’è cambiato nella band?

NEQUAM La nostra band è un organismo vivente in continua mutazione. In 22 anni nessun membro ha abbandonato sbattendo la porta, ma talvolta sospendendo per esigenze personali. Ad oggi comunque, ogni membro partecipa, anche a distanza, ad ogni lavoro. Uniti da una grande amicizia e vivo desiderio di sperimentazione, siamo disposti a trasformarci, mutando strumenti, talvolta persino costruendoceli e in definitiva costruendo noi stessi. L’obiettivo è solo e sempre la resa finale. Da quando nel 2012 abbiamo ripreso l’attività discografica indubbiamente c’è più lavoro, anche di comunicazione. Non ci spaventa, lo facciamo (io in prima persona) con entusiasmo e ben consapevoli della fortuna che abbiamo ad avere un seguito di veri appassionati dai quali riceviamo rispetto e stima. Non smetteremo mai di ringraziarli per questo.

MC Come nascono i brani dei The Magik Way? C’è una fonte d’ispirazione costante per le vostre opere?

NEQUAM A seconda dell’opera. Il regno animale, la natura, l’introspezione: qualunque cosa possa risvegliare il nostro “daimon”. Attraverso le nostre opere noi poniamo domande a noi stessi. Creiamo scenari nel tentativo di descrivere le forze che ci circondano e che di tanto in tanto ci compenetrano.

MC Chi scrive la musica e i testi?

NEQUAM La musica la scrivo io (salvo alcune eccezioni, ad esempio l’uso dell’improvvisazione). Ho un approccio, specie ultimamente, molto essenziale. In casa ho uno studiolo dove compongo, dove realizzo sostanzialmente la pre-produzione. Il mio rapporto con la musica è a dir poco maniacale. Nonostante io abbia un lavoro, degli affetti, una vita come chiunque altro, quando sono in fase ideativa vivo in una dimensione alterata (o chissà, forse l’unica dimensione reale che io possa provare). Giorno, notte, ogni momento è buono per rimuginare. Potrei forse definirmi così: un rimuginatore di musiche, più che un autore! I testi invece possono provenire da me, come dall’Ordine della Terra (vedi nel caso dello Split-cd con i Malvento uscito il 23 dicembre) dove sono stati scritti da Roberta Rossignoli in prima persona. Credo sia pensiero comune in noi, il desiderio di utilizzare la lingua italiana in una chiave evocativa. Come i greci usavano le gutturali per descrivere qualcosa che sfuggisse al controllo dell’uomo, anche la lingua italiana è ribollente di termini possenti e schioccanti. Proviamo ad usarli, a tramarli, così da sempre.

MC Quali sono i progetti futuri della band? So che ci saranno parecchie novità.

NEQUAM Il 23 dicembre è uscito lo split-cd con i Malvento dal titolo Ars Regalis, un bellissimo esperimento di fusione tra due band che hanno in comune la voglia di sperimentare… e a tal proposito vorrei ringraziare Zin e i Malvento così come Roberto Mura dell’etichetta Third I Rex, tutte persone molto in gamba con le quali è stato bello creare! Un lavoro a quattro mani incentrato sul tema del Mercurio Alchemico. Poi ci sarà, verso febbraio/marzo circa, un’altra sorpresa che però non posso proprio svelare, un altro esperimento che ci ha permesso di collaborare con un grande nome della musica oscura. E poi avremo i restanti mesi del 2019, dove saremo impegnati nella registrazione del disco nuovo. Insomma, ne vedrete e sentirete delle belle!

MC C’è un sogno, o forse è meglio dire un obiettivo che vi siete prefissi e che vorreste si realizzasse con la musica?

NEQUAM Il nostro unico sogno è sempre stato di poter fare al meglio quello che stiamo facendo ora. Speriamo di poter continuare così, con qualcuno disposto ad emozionarsi ascoltando la nostra musica. Sinceramente non chiediamo di meglio.

MC Grazie di essere stato con noi

NEQUAM Grazie a voi per lo spazio concessoci, un saluto e un abbraccio a tutti quelli che ci seguono.