Def Leppard – The Story So Far-The Best Of

The Story So Far- The Best Of è la classica raccolta che ripercorre gli anni di una band che ha fatto la storia del genere, per cui è ovvio che qui si trovino i maggiori successi, così come qualche brano degli ultimi lavori, magari sfuggito ai fans della prima ora.

I Def Leppard sono un’istituzione per gli amanti dell’hard & heavy, perché anche se inserita con non poca fatica nel carrozzone della new wave of british heavy metal, la band di Joe Elliot si è sempre espressa su coordinate melodiche dall’appeal irresistibile, trovando il successo anche tra chi non ascolta metal abitualmente.

Rock, pop, hard rock da arena, super ballad che hanno conquistato migliaia di fans in giro per il mondo, lungo una carriera arrivata oltre i quarant’anni costellata da successi planetari e tragedie umane che hanno segnato in modo indelebile la storia del gruppo britannico.
The Story So Far- The Best Of è la classica raccolta che ripercorre gli anni di una band che ha fatto la storia del genere, per cui è ovvio che qui si trovino i maggiori successi, così come qualche brano degli ultimi lavori, magari sfuggito ai fans della prima ora.
I Def Leppard arriveranno nel nostro paese all’inizio dell’estate insieme agli Whitesnake, formando una coppia d’assi imperdibile per i rockers con qualche capello bianco sulla chioma ormai rada, e The Story So Far è l’occasione per una retrospettiva sul meglio che il gruppo ha offerto nella sua lunga carriera.
La raccolta esce in vari e formati e per tutti i gusti: 2 CD /1 CD/ 2 LP + bonus 7” con appunto una raccolta di singoli, “The Hysteria Singles”, box in edizione limitata con 10 singoli 7” in vinile, ma ci sono anche note dolenti: a parte il singolo natalizio We All Need Christmas e la cover di Personal Jesus dei Depeche Mode, non ci sono tracce inedite e vengono completamente ignorati i brani dai primi due lavori (On Through the Night e High ‘n’ Dry), scelta che lascia con l’amaro in bocca per l’importanza storica dei due lavori in questione.
Per il resto The Story So Far è un tuffo nella musica dei Def Leppard tra classici immortali e brani splendidi ma meno conosciuti, in un lungo abbraccio con questi signori dell’hard & heavy, con cui più o meno tutti siamo cresciuti e che hanno segnato qualche stagione della nostra vita con le loro hit.
Non siamo molto in sintonia con questo tipo di operazioni, ma per i Def Leppard facciamo volentieri un’eccezione, anche per l’immensa discografia dei nostri e l’importanza che hanno avuto nel portare al successo la nostra musica preferita.

Tracklist
Disc 1
01. Animal
02. Photograp
03. Pour Some Sugar On Me
04. Love Bites
05. Let’s Get Rocked
06. Armaggedon It
07. Foolin’
08. Two Steps Behind
09. Heaven Is
10. Rocket
11. Hysteria
12. Have You Ever Needed Someone So Bad
13. Make Love Like A Man
14. Action
15. When Love & Hate Collide
16. Rock of Ages
17. Personal Jesus

Disc 2
01. Let’s Go
02. Promises
03. Slang
04. Bringin’ On The Heartbreak
05. Rock On (Radio Remix)
06. Nine Lives” (feat. Tim McGraw)
07. Work It Out
08. Stand Up
09. Dangerous
10. Now
11. Undefeated
12. Tonight
13. C’Mon C’Mon
14. Man Enough
15. No Matter What
16. All I Want Is Everything
17. It’s All About Believing
18. Kings Of The World

Line-up
Joe Elliott – Vocals
Phil Collen – Guitar & Vocals
Vivian Campbell – Guitars & Vocals
Rick “Sav” Savage – Bass & Vocals
Rick Allen – Drums & Vocals

DEF LEPPARD – Facebook

Doomcult – Life Must End

I Doomcult non finiranno sui rari libri dedicati al doom (e in quei pochi non vengono citate neppure band che meriterebbero interi capitoli …) ma sono un’alternativa tutto sommato stimolante e a suo modo abbastanza originale ai soliti nomi.

Eccoci alle prese con un nuovo lavoro dei Doomcult, progetto solista dell’olandese J.G. Arts.

Life Must End contiene anche i tre brani inseriti nell ep Ashes (del quale abbiamo parlato alcuni mesi fa), il che ovviamente è un indicatore della continuità stilistica dell’operato di questo musicista.
Anche in questo caso, quindi, troviamo pertanto un doom essenziale ma non privo di spunti interessanti, ai quali viene meno il supporto di una voce più incisiva o comunque più adatta al genere rispetto al ringhio messo in campo da Arts.
Va detto che, comunque, è sicuramente preferibile questa opzione piuttosto che una voce pulita incerta e priva di nerbo perché, quanto meno, questa scelta pur non essendo ottimale garantisce un impatto adeguato alla bisogna.
In generale Life Must End è un opera che conferma in toto le impressioni fornite con i tre brani di Ashes, dei quali Black Fire si riconferma il picco con i suoi toni più evocativi: Arts propone la musica che più ama senza troppi fronzoli né particolari contraffazioni e questo già non e poco. Poi, evidentemente, ciò non può bastare per rendere quello dei Doomcult un nome che verrà ricordato tra qualche decina d’anni ma è abbastanza per ottenere l’apprezzamento degli appassionati del genere.
In generale i brani hanno il pregio di possedere il giusto groove per mantenere un buon livello di attrattività, sia quando i ritmi divengono un po’ più incalzanti, sia quando rallentano in ossequio alo spirito del doom più autentico (notevole la conclusiva Deathwish , ideale manifesto del progetto di Arts a giudicare anche dall’autocitazione).
Insomma, i Doomcult non finiranno sui rari libri dedicati al doom (e in quei pochi non vengono citate neppure band che meriterebbero interi capitoli …) ma sono un’alternativa tutto sommato stimolante e a suo modo abbastanza originale ai soliti nomi, sia per gli appassionati del genere nella sua veste più classica sia per quelli più orientati al suo versante estremo.

Tracklist:
1. Suffering
2. Sulphur
3. Black Fire
4. King of Bones
5. Ashes
6. Inferno
7. Deathwish

Line-up:
J.G. Arts – Everything

DOOMCULT – Facebook

Skelethal/Cadaveric Fumes – Heirs Of Hideous Secrecies

Due proposte dalla ancora poco considerata (se non dai cultori del metal estremo underground) scena transalpina che, invece, ha in serbo vere e proprie sorprese sia in campo death che nell’ancora più oscuro e maligno black metal.

La Hells Headbangers records licenzia questo split che vede protagonisti due gruppi francesi alle prese con un putrescente death metal old school.

Un paio di brani ciascuno per Cadaveric Fumes e Skelethal, band molto seguite nel panorama underground estremo del loro paese, tutte due assolutamente devote al genere suonato all’alba degli anni novanta, nella sua versione più malefica e catacombale.
I primi a scendere in campo sono i Cadaveric Fumes, band di Rennes attiva dal 2011 ma ancora senza un full length in bella mostra nella propria discografia composta da un paio di ep, altrettanti demo e da uno split con i Demonic Oath.
The Spectral Parade e Necromancy Sublime ci presentano un gruppo che rispecchia in toto il genere nella versione più marcia e morbosa, con il suono che esce come se provenisse da una cripta, alternando stacchi e mid tempo a veloci ripartenze e restando fedele al più oscuro e fetido death metal vecchia scuola.
Il discorso non cambia con Emerging From The Ethereal Threshold e Torrents Of Putrefying Viscosity, le due tracce firmate Skelethal, gruppo di Lille che invece il suo full length lo ha pubblicato lo scorso anno (Of The Depths….) dopo una manciata di lavori minori, per arrivare assolutamente in forma a questa release che li fotografa come band di death metal vecchia scuola di matrice scandinava.
Rispetto ai Cadaveric Fumes, gli Skelethal possiedono un impatto più potente e atmosfere meno catacombali, ma il risultato tutto sommato rimane confinato nel genere.
Due proposte dalla ancora poco considerata (se non dai cultori del metal estremo underground) scena transalpina che, invece, ha in serbo vere e proprie sorprese sia in campo death che nell’ancora più oscuro e maligno black metal.

Tracklist
1.Cadaveric Fumes – The Spectral Parade
2.Cadaveric Fumes – Necromancy Sublime
3.Skelethal – Emerging From The Ethereal Threshold
4.Skelethal – Torrents Of Putrefying Viscosity

Line-up
Skelethal:
Jon Whiplash – Drums, Bass
Gui Haunting – Vocals, Guitars

Cadaveric Fumes :
Lèo Brard – Drums
Wenceslas Carrieu – Guitars, Vocals
Romain Gibet – Vocals
Reuben Muntrand – Bass

SKELETHAL – Facebook

CADAVERIC FUMES – Facebook

Musmahhu – Reign of the Odious

La poliedricità di Swartadaupuz è infinita e ci regala un’opera feroce e malvagia dedita a un death compatto, claustrofobico e corrosivo.

Entriamo nell’underground svedese diabolico, oscuro e malvagio oltre ogni aspettativa; il debutto dei Musmahhu contiene tutte queste amene caratteristiche e di questo dobbiamo ringraziare la teutonica Iron Bonehead, da sempre immersa in queste sonorità catramose e sotterranee.

Debutto davvero interessante ma dietro le quinte tira le fila Swartadaupuz, un personaggio storico dell’estremo in terra scandinava, immerso in molteplici progetti prettamente black, tutti di ottima qualità, dal raw all’atmosferico con taglio personale. Chi segue la scena si sarà sicuramente imbattuto in acts come Svartit, Helgedom e Azelissasath solo per citarne alcuni; sono molto numerosi i suoi progetti ma la poliedricità e la forte personalità rendono ogni uscita meritevole di attenzione. Non pago di questa iperattività e arso dal sacro fuoco interiore, Swartadaupuz si lancia in una nuova avventura dedicandosi all’esplorazione del versante black death della sua ispirazione creando un concentrato di potenza e costruendo un muro impenetrabile di suoni, claustrofobico e intossicante e accompagnato da Likpredikaren alle vocals, dal growl depravato e gorgogliante; noi incauti ascoltatori siamo intrappolati in un abisso di ferocia e odio da parte di una creatura mitologia mesopotamica multiforme, il Musmahhu, che ci attorciglia la gola con forza portandoci all’asfissia sensoriale. Sette brani, tutti del medesimo alto valore, che attaccano con un suono vibrante, denso e che raramente rallentano, sfiorando conturbanti lidi doom. Il polistrumentista conosce perfettamente la materia estrema, ha grandi capacità compositive ed è in grado di atterrarci senza pietà; il lento dipanarsi nell’inizio della title track, riempie l’aria di una malvagità sconfinata; è vero che di death ne esce parecchio, ma la capacità di coinvolgimento di questa band è molto alta, per di più aiutata da un’ottima produzione, sempre underground, ma di livello. La capacità di creare melodie che ricordano l’old school svedese dei bei tempi e la attitudine feroce e malevola, fanno salire l’adrenalina durante l’ascolto. Ottima opera prima da parte di un’ artista che oltre a essere impegnato in molteplici progetti gestisce anche la Ancient Records, scrigno di meravigliose entità black.

Tracklist
1. Apocalyptic Brigade of Forbidden
2. Musmahhu, Rise!
3. Slaughter of the Seraphim
4. Burning Winds of Purgatory
5. Reign of the Odious
6. Spectral Congregation of Anguish
7. Thirsting for Life’s Terminus

Line-up
Likpredikaren – Vocals
Swartadauþuz – Guitars, Bass, Keyboards

Mountain Eye – Roads Uncharted

La band olandese ci scaraventa per mezzora nel bel mezzo della scena nu metal che fu, e lo fa con una raccolta di brani assolutamente riusciti: se il genere è ancora nelle vostre corde l’ascolto dell’album è consigliato anche se può sembrare sorpassato rispetto alle mode del momento.

Un sound alternativo ispirato alla scena nu metal di qualche anno fa è la musica suonata dai Mountain Eye, band olandese formata nel 2017 ed arrivata al debutto con questi otto brani racchiusi in Roads Uncharted.

La band segue le linee tracciate dai gruppi statunitensi a cavallo dei due secoli, quindi in questa raccolta di brani non troverete una nota riconducibile ai suoni modaioli degli ultimi tempi, ma solo nu metal ispirato dai vari Mudvayne, Korn, Sevendust, American Head Charge: gli otto brani risultano delle mazzate niente male, ricamate da linee melodiche perfette, tanto che brani come Take Control o Verge avrebbero fatto la fortuna del gruppo una ventina d’anni fa.
I Mountain Eye ci provano, anche se fuori tempo massimo, grazie ad un buon songwriting (i brani sono tutti potenziali singoli), un cantante che nel genere si rivela un vero talento sfoggiando growl, scream e clean vocals eccellenti ed assecondato da un gruppo compatto che crea muri sonori possenti (vedi brani come Black Flood, Verge, Singularity), tellurici ed inespugnabili.
La band olandese ci scaraventa per mezzora nel bel mezzo della scena nu metal che fu, e lo fa con una raccolta di brani assolutamente riusciti: se il genere è ancora nelle vostre corde l’ascolto dell’album è consigliato anche se può sembrare sorpassato rispetto alle mode del momento.

Tracklist
1.Misery
2.Take Control
3.Diamonds On Your Tongue
4.Black Flood
5.Verge
6.Singularity
7.Hidasher
8.Y(our) Masquerade

Line-up
Arthur – Vocals
Omar – Guitar
Tim – Guitar
Kieft – Bass
Matthijs – Drums

MOUNTAIN EYE – Facebook

Dawn Of Winter – Pray For Doom

Pray For Doom è un buon lavoro, il sound dei Dawn of Winter segue le coordinate delle leggende del genere come Candlemass, Solitude Aeturnus e Pentagram, con un Mutz evocativo come non mai, ed un lotto di brani che si trascinano come mastodontici moloch, lenti ed inesorabili nella loro pesante marcia.

I Dawn Of Winter rappresentano il doom metal nella sua forma più pura e una lunga litania epico metallica divisa in otto capitoli è dunque quello che troverete tra i solchi di questo nuovo lavoro, il terzo a scadenza decennale dal primo album intitolato In The Valley Of Tears (1998) ed il suo successore, The Peaceful Dead (2008).

Tre opere sulla lunga distanza intervallati da una manciata di lavori minori è quindi quanto offerto in un ventennio dalla band tedesca che tra le sue fila vede Gerrit P. Mutz, singer dei power metallers Sacred Steel.
Pray For Doom è un buon lavoro, il sound dei Dawn of Winter segue le coordinate delle leggende del genere come Candlemass, Solitude Aeturnus e Pentagram, con un Mutz evocativo come non mai, ed un lotto di brani che si trascinano come mastodontici moloch, lenti ed inesorabili nella loro pesante marcia.
E’ sostanzialmente un album per appassionati questo Pray For Doom, avaro di soprese nel corso del suo viaggio nel mondo del doom metal classico, partendo da A Dream Within A Dream per arrivare tramite lunghi passaggi dal lento incedere alla title track, sicuramente il brano più rappresentativo di tutto l’album, valorizzato da armonie semi acustiche e da una eccellente prova del vocalist, al massimo dell’espressività.
Il resto si muove lento nei meandri più classici del genere, leggermente prolisso in alcuni passaggi, ma anche capace di far tremare le pareti con l’altro picco, la più movimentata e rocciosa The Orchestra Bizarre.
Ci congediamo dai Dawn Of Winter consigliando l’album agli amanti delle sonorità classiche e dei gruppi citati: il gruppo tedesco rimane comunque nel genere un’alternativa valida ai soliti nomi che del doom classico hanno fatto la storia.

Tracklist
1. A Dream Within A Dream
2. The Thirteenth Of November
3. Woodstock Child
4. The Sweet Taste Of Ruin
5. Pray For Doom
6. The Orchestra Bizarre
7. Paralysed By Sleep
8. Father Winter

Line-up
Jorg M. Knittel – Guitars
Dennis Schediwy – Drums
Joachim Schmalzried – Bass
Gerrit P. Mutz – Vocals

DAWN OF WINTER – Facebook

Speechtones – Step

Step è un primo passo, una fondazione di un nuovo mostro sonoro che nasce non a caso in Sardinia, una terra molto fertile per l’underground di qualità.

Dalla Sardegna esordio assoluto per gli Speechtones, un gruppo che fa musica diretta e di sostanza, scegliendo come generi lo stoner, l’heavy rock e sua maestà il desert, tutto in maniera ben fatta e coerente.

Ascoltare la loro prima prova, in download libero sul loro bandcamp, oltre a far scoprire un nuovo valido gruppo underground riesce a regalare bei momenti a chi si vuol lasciare rapire da un suono che è meglio lasciar fluire ad alto volume. In questo gruppo sardo convivono diverse anime e i generi cambiano con facilità, anche grazie al talento compositivo e alla freschezza musicale e mentale. La produzione può essere ampiamente migliorata, ma questo ep Step è la pietra miliare di una strada ancora in costruzione, dato che il lavoro è stato registrato con il primo batterista che non è più in formazione. I tre pezzi possono sembrare pochi, ma illustrano molto bene ciò che è e ciò che potrebbe diventare questo gruppo. Come tante band al proprio esordio le idee sono giustamente tante e spingono tutte per uscire fuori. Il risultato sono tre canzoni, tre appunti di ciò che è e di ciò che sarà. Perché questo gruppo è solido e andrà avanti. La psichedelia è presente in forme diverse, ma sicuramente gli Speechtones non la interpretano nella concezione classica del termine, anche se hanno dei bei momenti stupefacenti soprattutto nel primo pezzo, che è anche quello di maggior respiro dato che supera gli otto minuti. La coppia di canzoni rimanente è più breve e mette in luce altre peculiarità della band, come la capacità di usare lo stoner e il desert rock anche se in realtà lo stile parte da questi assiomi ma è una miscela originale e in totale divenire. Step è un primo passo, una fondazione di un nuovo mostro sonoro che nasce non a caso in Sardinia, una terra molto fertile per l’underground di qualità.

Tracklist
1.Popular Express
2.Sharks and Dogs
3.Speechless

SPEECHTONES – Facebook

Woest – Le Gouffre

Le Gouffre esibisce un pizzico di fruibilità ed organicità in più rispetto al precedente album, ma la proposta di questi francesi resta rivolta ad un’audience piuttosto selezionata; ciò non toglie che chi abbia pazienza e voglia di confrontarsi con sonorità a loro modo ostiche potrebbe trarne decisamente soddisfazione.

I francesi Woest giungono al loro secondo full length in soli due anni, continuando a proporre la loro personalissima forma di industrial black metal.

La fin de l’ère sauvage, uscito nel 2017, era un lavoro interessante e ricco di spunti pregevoli, leggermente penalizzato da una produzione non proprio scintillante e da una frammentarietà che è comunque insita in chi si approccia in maniera obliqua alla materia estrema.
In Le Gouffre non vengono certo meno l’incedere inquieto ed una certa imprevedibilità della proposta, anche se, rispetto al predecessore, il tutto appare offerto in maniera più organica e anche più convincente a livello di registrazione; per il resto Malemort e Torve, con la collaborazione di altri musicisti che vanno a completare l’organico donando ai Woest sembianze più vicine a quelle di una band tradizionale, fermo restando il confermato ricorso alla drum machine programmata dall’effettista Dæmonicreator, proseguono sulla impervia strada di un black metal intersecato da rumorismi e sfuriate industrial che poco concede all’orecchiabilità.
In tal senso, però, abbiamo una piacevole eccezione come Ô vide éternel, traccia in cui un’anima elettronica entra prepotentemente sul proscenio donando al tutto un certo groove, sebbene disturbato e deviato come da copione, mentre per il resto il sound si abbatte feroce con una punta di drammaticità conferita anche da un’idea lirica fortemente nichilista; in tutto questo, il manifesto del modus operandi dei Woest è un brano complesso ma davvero notevole come Tout restera carbone, dissonante, cangiante e interpretato in maniera molto intensa da Torve.
Le Gouffre esibisce un pizzico di fruibilità ed organicità in più rispetto al precedente album, ma la proposta di questi francesi resta rivolta ad un’audience piuttosto selezionata; ciò non toglie che chi abbia pazienza e voglia di confrontarsi con sonorità a loro modo ostiche potrebbe trarne decisamente soddisfazione.

Tracklist:
1. Éveil
2. Le gouffre
3. Ô vide éternel
4. À la gloire de l’immonde
5. Spasme de haine
6. Tout restera carbone
7. Vagues du Styx

Line-up:
Torve – vocal
Malemort – guitar
Deckard – guitar
Irotted – bass
Dæmonicreator – drum machine and sound effect

WOEST – Facebook

HELEVORN

Il lyric video di “Nostrum Mare (Et deixo un pont de mar blava)”, dall’album “Aamamata” (Solitude Productions / Bad Moon Music).

Il lyric video di “Nostrum Mare (Et deixo un pont de mar blava)”, dall’album “Aamamata” (Solitude Productions / Bad Moon Music).

Exhibiting their elegant and gloomy music around the world, Palma, Spain’s melancholic doom outfit HELEVORN have posted their new lyric video “Nostrum Mare (Et deixo un pont de mar blava)”, which is sung in eight different languages. The video is in support of their fourth album “Aamamata” due out this Wednesday, January 23rd via Solitude Productions / Bad Moon Music.

Vocalist Josep Brunet explains the track:

“This is a song about what our Mediterranean Sea was and what is nowadays… I mean, during the past times it was a sea to share, to grow, of course, there was a lot of wars, but it was our true nation, of all of us, so in this song appears eight different languages of our big cultural area (Greek, Maltese, Spanish, Arabic, Catalan, Italian, French, and Hebrew), and we had our friends and fans of the band do the vocals on it.

The lyrics for it are from a poem by Catalan writer, Miquel Martí I Pol, translated into these eight languages. The melodic vocals done by Julia Colom too are really awesome; we had goosebumps on our skin when she was recording her vocal parts. Very epic, gothic and very deep.”

“Aamamata” follows their 2014 album “Compassion Forlorn”, 2009’s “Forthcoming Displeasures” and 2005 debut full length “Fragments, which have anchored HELEVORN’s place in the global doom scene.

The band adds:

“We think that fans will love the new album. We know that we are not discovering something new, we are creating 90’s goth-doom metal in present times. It should be received like a piece to reborn the scene and for the music to relate on the decadence of humankind through the drama of the refugees that are dying and trying to escape from the hell that the Western countries have put them in.”

With more and more fans craving the somber tones and dreary vocals, HELEVORN has brought their dramatic intensity to many European festivals including Dutch Doom Days, Gothoom Open Air, Wave Gotik Treffen, and Madrid is the Dark Fest. They are also bringing their gloom to Canadian cities this coming May for their first cross country tour with Solitude Productions label mates Mexico’s Majestic Downfall (dates listed below).

HELEVORN’s current lineup consists of Samuel Morales (Guitars), Josep Brunet (Vocals), Xavi Gil (Drums), Enrique Sierra (Keyboards), Sandro Vizcaino (Guitars) and Guillem Morey (Bass).

Vinyl and CD pre-order of “Aamamata” on HELEVORN’s online store here and Solitude Productions here.

Shadows of The North Canada Tour 2019 w/ Majestic Downfall, Helevorn
May 8 – Victoria, BC – Logan’s Pub
May 9 – Nanaimo, BC – TBD
May 10 – Vancouver, BC – Astoria Hastings
May 11 – Kelowna, BC – Munnin’s Post
May 12 – Lethbridge, AB – The Slice
May 13 – Regina, SK – The Exchange
May 14 – Winnipeg, MB – The Park Theatre
May 16 – Sudbury, ON – The Asylum
May 17 – Toronto, ON – Duffy’s Tavern
May 18 – Ottawa, ON – House of Targ
May 19 – Quebec City, QC – L’Anti Bar
May 20 – Trois-Rivieres, QC – Royal Tavern
May 21 – Montreal, QC – Piranha Bar

Track Listing:
1. A Sail To Sanity (5:25)
2. Goodbye, Hope (5:58)
3. Blackened Waves (5:26)
4. Aurora (7:24)
5. Forgotten Fields (5:44)
6. Nostrum Mare (Et deixo un pont de mar blava) (7:28)
7. Once Upon a War (5:55)
8. The Path to Puya (8:38)
9. La Sibil·la (5:05)
Album Length: (57:08)

Album & Live Line Up:
Xavi Gil (Drums)
Will Adrift (Bass)
Sandro Vizcaino (Guitars)
Samuel Morales (Guitars)
Josep Brunet (Vocals)
Enrique Sierra (Keys)

For more info:
http://www.helevorn.com
https://www.facebook.com/helevornband
https://twitter.com/helevornband
https://www.instagram.com/helevornband

Paola Tagliaferro – Fabulae

Un delicato e poetico affresco di prog cantautorale ed esoterico. Per palati fini.

Quando l’esoterismo si fa canzone. E voce. Immaginate una versione femminile di Greg Lake (King Crimson era), alle prese con un repertorio fortemente impregnato di (piuttosto che ispirato da) temi di carattere ermetico-esoterico.

Potrete così avere forse un’idea di questo bellissimo disco realizzato da Paola Tagliaferro, songwriter colta e raffinata, autrice di una proposta di cantautorato prog molto evocativo ed affascinante. Undici brani, una stupenda confezione a libro apribile, liriche suggestive, arrangiamenti sopraffini, ottimi musicisti coinvolti in questo progetto solista, suoni tersi. Fabulae è tutto questo: una superba messa in musica di tematiche che attingono al mito ed alla tradizione, alla alchimia ed al taoismo, al paganesimo e all’animismo rinascimentale, allo sciamanesimo ed alle più antiche leggende del folclore, non solo italico. Paola Tagliaferro è una poetessa del pentagramma e la sua un’opera di pregio. Forse non per tutti, ma – per lo meno in questi casi – proprio qui riposa un indubbio punto di forza (espressiva come poche volte davvero accade) di Fabulae. Bellissima poi la riproposizione di Moonchild, che Fripp, Sinfield, Mc Donald e Giles inserirono nello storico debut del Re Cremisi ispirandosi al romanzo omonimo di Aleister Crowley. Partecipa Bernardo Lanzetti e, in qualità di ingegnere del suono, Pier Gonella. Altre garanzie di assoluta qualità.

Tracklist
1 The Awakening of She-Wolf
2 The Bluebeard’s Room
3 White Goddess
4 Bird Maiden
5 The Swan Can’t Be a Duck
6 The Shaman’s Drum
7 The Soul’s Skin
8 The Day of the Moon
9 Algorithm
10 Mrs Yin and Mr Yang
11 The Alchemists
12 Moonchild
13 To Absent Friends

Line up
Paola Tagliaferro – Vocals
Pier Gonella – Guitars
Bernardo Lanzetti – Guest Male Vocals

PAOLA TAGLIAFERRO – Facebook

Shockin’ Head – Xxmiles

Unione di intenti e tanta attitudine per questo quartetto che risulterà una gradita sorpresa per gli amanti del metal, siano essi più legati alla tradizione che a suoni moderni e dall’impatto di un carro armato.

Nuova uscita targata Volcano Records, che licenzia il debutto di questa heavy/thrash band chiamata Shocking’Head, formata da vecchie conoscenze dell’underground metal del ponente ligure.

Chupacabras, R.A.V.E.D. ed Estremo Ponente sono i gruppi da cui provengono i musicisti che compongono la line up di questa nuova band che ci investe con tutta la sua carica metallica, attraverso otto brani (di cui uno cantato in dialetto sardo) aggressivi, graffianti, melodici e con puntate estreme che deflagrano in un sound esplosivo.
Unione di intenti e tanta attitudine per questo quartetto che risulterà una gradita sorpresa per gli amanti del metal, siano essi più legati alla tradizione che a suoni moderni e dall’impatto di un carro armato.
Orgoglio metallico nell’affrontare i problemi della vita di tutti i giorni, guerrieri che a denti stretti affrontano le dure prove che la vita ci impone, aiutati dalla forza che si trova dentro ognuno di noi, queste sono le tematiche delle fucilate heavy/thrash che compongono l’album.
Xxmiles contiene splendidi passaggi melodici, così come una notevole forza d’urto sprigionata in brani come All In, Falling In Reverse e la micidiale Soul Destruction, perfetta alchimia tra heavy metal, thrash e groove: un album prettamente metal che non risulta affatto old school e appare invece ben inserito per sonorità ed impatto in questo inizio millennio, oltre che suonato e cantato con mestiere e grinta da vendere.

Tracklist
1. All In
2. Falling in Reverse
3. Ejaaa!!!
4. Winners in the Desert
5. Soul Destruction
6. Trip in the Hell
7. Xxmiles
8. Blame Game

Line-up
Daniele Sedda – Vocals
Black Ale – Bass
Zac Vanders – Guitars
Frederic Volante – Drums

SHOCKIN’ HEAD – Facebook

The Sacrifice – The Sacrifice

In questo esordio omonimo la synthwave si congiunge carnalmente con il rock e d il metal e, pur non smarrendo mai il proprio lato più danzereccio, il sound appare in ogni frangente molto più nervoso e robusto rispetto a quanto accade nei lavori afferenti all’elettronica più tradizionale.

Per noi di MetalEyes, nonostante il nostro focus siano ovviamente metal e rock, l’elettronica più evoluta non è certo un tabù, quindi non è neppure una novità il fatto di dare spazio a queste sonorità all’interno della webzine.

Del resto una proposta come questa nuova creatura musicale, che emerge dalla vicina Francia ed è denominata The Sacrifice, rappresenta uno dei più concreti e riusciti tentativi di mettere d’accordo appassionati di musica abituati ad ascoltare generi spesso molto lontani tra di loro.
In questo esordio omonimo la synthwave si congiunge carnalmente con il rock e d il metal e, pur non smarrendo mai il proprio lato più danzereccio, il sound appare in ogni frangente molto più nervoso e robusto rispetto a quanto accade nei lavori afferenti all’elettronica più tradizionale.
Del resto lo scopo del trio è dichiaratamente quello di creare una raccolta di brani ballabili, ricchi di groove e di ariose aperture atmosferiche: certo, qui non è rinvenibile la pesantezza dei riff rammsteiniani, per cui i The Sacrifice assomigliano più ad una versione alleggerita dei Deathstars oppure ad una più irrobustita dei primi Depeche Mode o ancora, se vogliamo, un qualcosa che mette assieme in uno stesso ipotetico calderone Ultravox, Alan Parsons Project, Kirlian Camera e i Paradise Lost dell’era Host.
Tutti questi riferimenti, sui quali magari alcuni si troveranno in disaccordo, sono alla fin fine solo un lungo giro di parole per non dire in maniera chiara e diretta che quest’album dei The Sacrifice mi sta facendo piacevolmente saltellare da qualche giorno: non si può resistere a potenziali bombe commerciali come Order of Disorder, Violent Devolution, Moving to the City, guidate dalla bella e calda voce di Rel, alle quali vanno aggiunti due trascinanti episodi strumentali come Aurora e la conclusiva Errdemption.
Ecco, diciamo che se in Italia ci fossero discoteche capaci di programmare solo musica di questa fattura, potrei anche essere tentato di rimetterci piede dopo qualche era geologica, nonostante una carta d’identità impietosa: messa da parte questa improbabile eventualità, resta invece più realizzabile l’opportunità di trascorrere tre quarti d’ora lasciandosi piacevolmente coinvolgere da undici tracce che possiedono l’innato dono di mettere di buon umore, cosa non da poco in questi tempi bastardi.

Tracklist:
1. Redemption
2. Order of Disorder
3. Under the Moon
4. Digging Deep
5. Violent Devolution
6. Aurora
7. Ghosts
8. Endless Night Terror
9. Moving to the City
10. Marble Hallways
11. Errdemption

Line-up:
Rel: Vocals, synths, guitars
Reverend Prick: Synths, programming
Six: Drums, percussions, guitars

THE SACRIFICE – Facebook

The Black – Reliquarium / Infernus, Paradisus et Purgatorium

I due dischi, raccolti insieme da Black Widow, che rilanciarono il doom nel nostro paese. Un pezzo di storia.

Mario Di Donato. Un uomo ed un musicista che sono storia dell’heavy, del doom metal e del dark sound (non solo nostrani).

Con i Requiem e poi attraverso la sua lunga e coerentemente integerrima carriera da solista, come The Black, Di Donato ha scritto pagine importantissime, imprescindibili da più punti di vista. Ci riferiamo qui, infatti, non solo alla sua musica, ma anche ai suoi testi e alla sua attività pittorica. La Black Widow di Genova ristampa, ora, i primi due lavori in assoluto dell’artista di Pescara: Reliquarium (un mini-LP pubblicato nel 1989) e l’esordio-trilogia Infernus, Paradisus et Purgatorium (uscito nel 1990). L’alba di un mito, veramente. Questi due lavori riportavano in auge il doom primevo e incorruttibile, lento ed ossianico, cadenzato e gotico, nero e sepolcrale, di scuola Black Sabbath, attualizzandone il messaggio con tocchi prog e liriche di matrice esoterica, evidenti nel richiamo alla teologia scolastica ed al cristianesimo dantesco. Il ricorso al latino in Reliquarium, già di per sé, la dice lunga al riguardo. L’identica scelta si trova confermata dal disco successivo, al suo interno suddiviso in tre capitoli che ne fanno, a tutti gli effetti, un vero e proprio libro in musica, intenso ed evocativo. I primi passi di una leggenda. Ed il verbo dark-doom secondo The Black. Due pagine di storia, rituale e liturgica.

Tracklist
1 Post Fata Resurgo
2 Anguis
3 Mea Culpa
4 Mors
5 Ab Aeterno
6 MTMM
7 VII Orbis
8 IX Orbis
9 VIII Orbis
10 I Orbis
11 II Orbis
12 IV Orbis
13 IV Caelum
14 VIII Caelum

Line up
Mario Di Donato – Vocals / Guitars / Harmonium
Belfino De Leonardis – Bass
Giuseppe Miccoli – Drums
Gianni Bernardi – Keyboards / Organ

THE BLACK – Facebook

In Twilight’s Embrace – Lawa

Solo mezzora scarsa, ma di qualità questo nuovo parto targato In Twilight’s Embrace, gruppo da seguire nel vasto panorama del metal estremo europeo.

Non è la prima volta che ci imbattiamo nei death/blacksters polacchi In Twilight’s Embrace, attivi da ormai quindici anni e con una più che discreta discografia alle spalle, vantando quattro full length di cui almeno un paio molto belli: The Grim Muse licenziato tre anni fa ed il precedente Vanitas uscito lo scorso anno.

La band di Poznań torna con il quinto lavoro, un’opera incentrata su un sound che, da tradizione, al death/black metal classico suonato da quelle parti aggiunge atmosfere e melodie oscure per un risultato alquanto affascinante.
Il death metal melodico dei primi lavori è ormai un ricordo, gli In Twilight’s Embrace si crollano di dosso le rimanenti sfumature scandinave che ancora apparivano nel precedente album per lasciarsi conquistare dalla parte più oscura del loro sound.
Con ben in evidenza l’idioma polacco nei titoli, Lawa risulta ancora più misantropo ed oscuro, sei brani di metal estremo oscuro, dalle melodie che tornano a tratti ad impreziosire brani come il gioiellino Ile trwa czas (How long does time last).
Solo mezzora scarsa, ma di qualità questo nuovo parto targato In Twilight’s Embrace, gruppo da seguire nel vasto panorama del metal estremo europeo.

Tracklist
1. Zaklęcie (The Spell)
2. Dziś wzywają mnie podziemia (The netherworlds beckon me today)
3. Krew (Blood)
4. Pełen czerni (Blackfilled)
5. Ile trwa czas (How long does time last)
6. Żywi nieumarli (Alive undead)

Line-up
Cyprian Łakomy – vocals
Leszek Szlenk – guitars, accordion
Marcin Rybicki – guitars
Jacek Stróżyński – bass, additional guitars
Dawid Bytnar – drums

IN TWILIGHT’S EMBRACE – Facebook

Dzjenghis Khan – Dzjenghis Khan

Verrete catapultati nel suono degli anni sessanta e settanta, specialmente quello americano che fondeva la psichedelia con il rock duro e che ha dato vita a grandissimi gruppi come i Grand Funk Railroad, Hawkwind, e tanti altri.

Necessaria e doverosa ristampa da parte della Heavy Psych Sounds del debutto dei Dzjenghis Khan, uno dei gruppi di psichedelia pesante che hanno impressionato maggiormente negli ultimi anni.

Il trio da San Francisco uscì con questo debutto per l’olandese Motorwolf nel 2007, e riuscì subito a catturare l’attenzione di molti ascoltatori e della critica. Il perché lo scoprirete ascoltando questa ristampa, se già non li conoscete, e verrete catapultati nel suono degli anni sessanta e settanta, specialmente quello americano che fondeva la psichedelia con il rock duro, e che ha dato vita a grandissimi gruppi come i Grand Funk Railroad, Hawkwind, e tanti altri. Qui troverete quelle bellissime atmosfere cariche di tensione e di indolenza tipica dei giovani drogati che vagano in cerca di sangue ed emozioni a basso costo. Le dieci tracce sono tutte fantastiche, non esiste un momento di noia, anche gli assoli di chitarra danno gioia. I testi sono una delle cose migliori di questo gruppo, che gioca con intelligenza ed ironia con i vostri peni e con certi bicchieri di whiskey. Purtroppo non si sa molto di questo gruppo, ma solo che è nato nel 1977, e non ha pubblicato nulla fino al 2007, ma non c’è problema dato che i tre membri sono immortali. Inoltre da quando sono emigrati da San Francisco a Den Haag, ridente cittadina olandese sempre sul mare come Frisco, se ne sono perse le tracce. La musica invece rimane ed è bellissima, una commistione di acid, psych e fuzz, uno stoner a bassa frequenza che fa vibrare come qualcosa dei migliori Blue Cheer, anzi anche meglio. I pezzi sono tutti figli amatissimi di impetuose jam che in un’altra dimensione si sono intrecciate e stanno suonando tutte assieme. Il disco è bellissimo, e grazie a questa ristampa lo possiamo gustare di nuovo, anche se come tutte le cose belle ha il rovescio della medaglia : durante le registrazioni si sono perse le tracce del loro ingegnere del suono Hans Koolstra, che dopo aver mormorato qualcosa sui canali di uscita è scomparso.

Tracklist
1 Snake Bite
2 The Widow
3 No Time For Love
4 Avenue A
5 Against The Wall
6 Black Saint
7 End Of The Line
8 Rosie
9 Sister Dorien

Line-up
Jinx
Binks
Spence

DZJENGHIS KHAN – Facebook

AEOLIAN

Il video di “Silent Witness”, dall’album “Silent Witness” (Snow Wave Records).

Il video di “Silent Witness”, dall’album “Silent Witness” (Snow Wave Records).

Hailing from Majorca, Spain, melodic death metallers Aeolian have released a new music video for the track “Chimera”, which is taken off from the band’s latest album “Silent Witness”, released via Snow Wave Records.

Links:
https://www.facebook.com/aeolianmetalband/
https://www.facebook.com/snowwaverecords/

Phlebotomized – Deformation Of Humanity .

Non sappiamo quale sia stata la molla che ha spinto Tom Palms a tornare sul mercato con questo leggendario monicker, resta il fatto che ascoltare musica di questo livello è sempre un piacere, quindi mai come in questo caso deve essere accolto un rientro sulla scena dopo oltre vent’anni come quello dei geniali Phlebotomized.

Nessuno avrebbe scommesso in un ritorno dei seminali Phlebotomized, band che dalla notevole scena olandese di primi anni novanta arrivò alle orecchie di chi allora, come oggi, non si accontentava dei soliti ascolti, ma si inoltrava in un underground metallico in grado anche in quegli anni di regalare gruppi e opere sopra la media.

I Phlebotomized, con il primo album intitolato Immense Intense Suspence, andarono oltre quello che si suonava allora con un sound geniale, di difficile catalogazione e sorprendentemente avanti rispetto a quello che si aveva modo di ascoltare nel metal estremo.
Doom, progressive, brutal, melodic, symphonic death: Immense Intense Suspence era tutto questo e anche di più, difficile da capire, ma tremendamente affascinante così come Skycontact, secondo ed ultimo lavoro targato 1997 che sterzava leggermente verso un’atmosfera psichedelica risultando comunque un’altra gemma musicale di valore inestimabile.
Il chitarrista Tom Palms, unico superstite della formazione originale, torna con altri musicisti a rinverdire i fasti di quei due storici album con Deformation Of Humanity, nuovo lavoro licenziato dalla Hammerheart Records che rompe un silenzio durato ben ventuno anni,.
Di musica sotto i ponti ne è passata tanta, il death metal progressivo non fa più notizia, così come le band che al metal estremo abbinano altri suoni e sfumature, ma la qualità di questo nuovo lavoro è talmente alta che cancella in un sol colpo non solo gli anni trascorsi ma un gran numero di colleghi dediti al genere, lontani dal geniale songwriting del nuovo Phlebotomized.
Tra le splendide note di capolavori come Chambre Ardente, Descende To Deviance, Proclamation of a Terrified “Breed” e la title track si trovano in perfetto equilibrio tutti i generi estremi, dal più melodico, al più brutale, in perfetta armonia tra cambi repentini di sound ed atmosfere ancora oggi difficilmente eguagliabili.
Non sappiamo quale sia stata la molla che ha spinto Tom Palms a tornare sul mercato con questo leggendario monicker, resta il fatto che ascoltare musica di questo livello è sempre un piacere, quindi mai come in questo caso deve essere accolto un rientro sulla scena dopo oltre vent’anni come quello dei geniali Phlebotomized.

Tracklist
1. Premonition (Impending Doom)
2. Chambre Ardente
3. Descend To Deviance
4. Eyes On The Prize
5. Desideratum
6. My Dear …
7. Proclamation Of A Terrified “Breed”
8. Until The End
9. Deformation Of Humanity
10. Until The End Reprise
11. Ataraxia II

Line-up
Rob Op `t Veld – Synths
Dennis Bolderman – Guitar
Tom Palms – Lead Guitar
Ben de Graaff – Vocals
Alex Schollema – Drums
André de Heus – Bass guitar

PHLEBOTOMIZED – Facebook

Lucifer’s Child – The Order

Dopo un ottimo lavoro come The Wiccan del 2015, la chitarra dei Rotting Christ (George Emmanuel) e il basso dei Nightfall (Stathis Ridis) escono con questo The Order, attento seguace delle sonorità delle due cult band ateniesi, splendido accolito di tutta la loro produzione, ma altrettanto fedele ammiratore delle sonorità industrial.

Una rapida scorsa alle origini dei greci Lucifer’s Child e ci si rende immediatamente conto che si è difronte ad un super combo.

Formatisi nel 2013 dall’idea di George Emmanuel (chitarra) dei Rotting Christ e Stathis Ridis (basso) dei Nightfall, i nostri sono fautori di un Black Metal, molto articolato, complesso, a tratti prog, spesso industrial.
The Order – uscito per la più che prolifica polacca Agonia Records – è un album davvero interessante. Ci troviamo di fronte ad un prodotto multiforme, dalle molteplici sfaccettature e non facilmente etichettabile. Di sicuro il Black ne costituisce la scenografia, il fondale di un opera frastagliata, eclettica nella struttura, composita sì, ma dall’elevatissima qualità nella sua amalgamazione.
Solide basi industrial, costituiscono il leitmotiv Wagneriano, che tessono trame complesse sulle quali si dipana un Black Metal dall’impronta molto gotica ed a tratti, di una maestosità che annichilisce l’ascoltatore. Brani come Viva Morte e la Title-Track non nascondono volutamente l’imprinting di Emmanuel e di Ridis, proiettandoci all’interno di un Maelstrom ellenico di suoni imponenti, di smisurata imperiosità, a tratti sublimemente pomposi, quasi si volesse ostentare burbanzosa autorità. Anche nella successiva Fall of the Rebel Angels si ha l’impressione che i nostri avessero proprio l’intenzione di ridurre a totale prostrazione l’ascoltatore, tale è la magnificenza del corredo musicale, ordito attorno al momento Black. Nel brano, come anche in El Dragón, il sound, marcatamente industrializzato, però non ci rimanda al più classico degli Industrial Black Metal come si potrebbe ragionevolmente pensare (tipo Mysticum, per intenderci), bensì ai macchinosi, pesantissimi soffocanti martellamenti di band quali Ministry, Fear Factory e Rammstein, strizzando l’occhio anche a gruppi come i Pain, denotando forti ammiccamenti alle commistioni elettroniche della band di Tägtgren.
Intendiamoci, non siamo di fronte ad un minimalista copia ed incolla, o ad un’accozzaglia di stili ed influenze messe lì a caso. Tutto è fluido, nella sua complessità, e le digressioni musicali accompagnano sempre un Black Metal suonato perfettamente, infarcito, come nella goticissima Through Fire We Burn, o in Black Heart (che pare brutalmente prelevata da Khronos o da Macabre Sunsets) da cupe eteree atmosfere, avvolgenti la ritmata ossessività tipica del Black, ma altresì musicanti la pomposità della marcia, quando non sfocia nel Blast più violento.
Haraya , la penultima traccia, va a braccetto con le canzoni precedenti, costruita su un’attenta intelaiatura Gothic Black (è la song che maggiormente rispecchia le radici dei Lucifer’s Child, ossia le due cult band ateniesi che ne hanno prestato chitarra e basso) che, abilmente ritmata da Ridis e Vell (batteria), non si addormenta mai, avviluppandosi su se stessa su troppo rigide diatoniche atmosfere da Canto Gallicano o Gregoriano, ma sostiene egregiamente i suoi quasi cinque minuti, senza mai far assopire l’ascoltatore con passaggi ben programmati, tra mid e up tempo.
Al contrario, ed in direzione diametralmente opposta, Siste Farvel. Qui il Funeral Black la fa da padrone. Non più industrial ed elettronica, ma una magnificente malinconica marcia funebre, che ci congeda con l’ultimo addio (appunto Siste Farvel, dal danese) che tragicamente ci deprime, generando lo sconforto di chi sa che l’album è oramai terminato, e che l’ultima nota, ci proietterà ben presto nel vuoto assoluto del silenzio delle nostre cuffie.

Tracklist
1. Viva Morte
2. The Order
3. Fall of the Rebel Angels
4. Through Fire We Burn
5. El dragón
6. Black Heart
7. Haraya
8. Siste farvel

Line-up
Stathis Ridis – Bass
George Emmanuel – Guitars
Marios Dupont – Vocals
Nick Vell – Drums

LUCIFER’S CHILD – Facebook

600000 Mountains – Mister Sartorius

Rispetto alla maggior parte dei gruppi stoner i catanesi hanno un gran bel tiro naturale e, soprattutto, riescono ad andare molto in profondità grazie a ruvide melodie che escono da distorsioni dall’incedere influenzato dal prog.

Dal fertile sottobosco musicale catanese arriva l’ep autoprodotto di esordio dei 600000 Mountains, un gruppo che fa uno stoner molto acido e ben strutturato.

Una breve descrizione del loro suono è quella scritta sopra, ma se si ascoltano i primi tre pezzi di questo ep di esordio si possono trovare molte altre cose. Rispetto alla maggior parte dei gruppi stoner i catanesi hanno un gran bel tiro naturale e, soprattutto, riescono ad andare molto in profondità grazie a ruvide melodie che escono da distorsioni dall’incedere influenzato dal prog. I 600000 Mountains non cantano, ma sarebbe forse superfluo o magari lo faranno in futuro, sicuramente con questo disco non annoiano, perché la musica interamente strumentale non è affatto tediosa come dicono molti, ma è più difficile da offrire in termini di qualità. A volte i testi nascondono imbarazzanti vuoti creativi, perché se suoni bene, hai le idee chiare in testa e viaggi lontano come qui non v’è bisogno di favellare. I tre pezzi sono tutti di ampio respiro, con il secondo che oltrepassa gli otto minuti, e hanno uno sviluppo molto ben congegnato, come fossero viaggi che accompagnano l’ascoltatore là dove le nubi toccano oltre il cielo, verso lo spazio. I punti di riferimento sono più o meno gli stessi della maggioranza dei gruppi di questo genere, ovvero Kyuss, Karma To Burn e ovviamente i Tool, soprattutto per quanto riguarda la composizione. Ascoltare questi tre pezzi è molto gratificante e rende bene l’idea di un trio che ha molte qualità e possiede altrettanto talento nel creare certe atmosfere che piacciono a chi ama la musica come fuga, ed è sempre bello ascoltare cosa nasce nelle salette e nei garages della penisola. Un buon esordio che fa presagire un futuro radioso e fumoso.

Tracklist
1. Take Care and Survive
2. Omelette Man
3. Horse Suplex

Line-up
Simone Pellegriti -guitar
Guido Testa – bass
Giorgio Rosalia – drums

600000 MOUNTAINS – Facebook