Trigger – Cryogenesis

Un buon esordio per il gruppo australiano che si fa preferire nei momenti in cui la furia metallica strappa le redini dalle mani del gruppo ed è cosi libera di sfogarsi, ma che non mancherà di trovare estimatori anche per le sue parti melodiche.

Gruppo australiano nato a Melbourne nel 2011 e con ep alle spalle intitolato Machina e licenziato tre anni fa, i Trigger debuttano sulla lunga distanza con Cryogenesis, album che accomuna in un unico sound soluzioni tradizionali ed imput moderni in un’alternanza di atmosfere estreme, moderne, melodiche e cool.

Siamo in territori esplorati da gruppi come In Flames e Soilwork da una parte e Trivium dall’altra, con un comune denominatore chiamato Iron Maiden e la formula funziona abbastanza bene, anche se i Trigger li preferiamo quando la loro anima estrema prende il sopravvento sulla parte melodica che, come in molti act statunitensi, risulta un pò troppo leggera.
Per il resto Tim Leopold e compagni sanno come intrattenere l’ascoltatore, passando dunque con disinvoltura da ritmiche veloci e tritaossa ad assoli melodici e dal taglio heavy e refrain fatti oer scalare classifiche rock metal nelle radio della costa australiana.
Tutto questo porta ad una varietà che, brano per brano, trova la sua massima ispirazione nel duello tra la tradizione europea e quella statunitense, un bene per la fruibilità di Cryogenesis che sicuramente non annoia nei suoi cinquanta minuti di durata.
L’album in questione è il classico esempio di lavoro che, se ben supportato, dovrebbe fare sfracelli nei giovinastri con un occhio alla storia ed uno alle sonorità più attuali, per mezzo di piccole bombe come l’opener The Forge Of Hepaestus, il power/thrash melodico di Dead Sun, l’ottima Crowned, valorizzata da suoni tastieristici ed un refrain che si piazza al centro del cervello, e Dysphoria, con il suo alternare appeal e ferocia estrema così da risultare il brano più riuscito dell’intero lavoro.
Un buon esordio per il gruppo australiano che si fa preferire nei momenti in cui la furia metallica strappa le redini dalle mani del gruppo ed è cosi libera di sfogarsi, ma che non mancherà di trovare estimatori anche per le sue parti melodiche.

Tracklist
1.The Forge Of Hepaestus.
2.Dead Sun
3.Echoes Of The Silenced
4.Crowned
5.Tethered To The Tide
6.Devide
7.Alexandria
8.Deluzion
9.Dysphoria
10.Veins Of Ambrosia

Line-up
Tim Leopold- Lead Vocals
Luke Ashley – Guitar
Sean Solley – Guitar
Matt Ambrose – Bass
Darcy Mulchay – Drums

TRIGGER – Facebook

Ophe – Litteras Ad Tristia Maestrum Solitude

Nonostante quella targata Ophe sia una forma di avanguardismo quanto mai estrema, l’album possiede una sua logica, per quanto a tratti destrutturata, riuscendo così ad attrarre piuttosto che respingere ogni tentativo d’approccio.

Dopo aver accolto gli ottimi Område, duo francese dedito ad una forma di black metal decisamente poco convenzionale, la My Kingdom cattura anche gli Ophe, che di quella band sono una diretta emanazione trattandosi del progetto solista di Bargnatt XIX.

Parlando l’anno scorso di Nåde, avevo evidenziato come gli Område, pur nella loro vis sperimentale, riuscivano a mantenere il tutto nell’alveo di una forma canzone che rendeva l’ascolto sicuramente non semplice ma neppure eccessivamente cervellotico.
Ben diverso è il discorso da farsi per questo Litteras Ad Tristia Maestrum Solitude, con il quale il musicista lascia sfogare ogni sua pulsione senza porsi particolari limiti stilistici o compositivi, consentendo ad elementi musicali teoricamente alieni al black metal quali il jazz o il noise di arricchire e allo stesso tempo di avvelenare ulteriormente un’atmosfera già abbondantemente malata.
Ne scaturisce così un lavoro non troppo lungo ma intenso e sfidante per le capacità di assimilazione dell’ascoltatore medio: eppure, nonostante quella targata Ophe sia una forma di avanguardismo quanto mai estrema, l’album possiede una sua logica, per quanto a tratti destrutturata, riuscendo così ad attrarre piuttosto che respingere ogni tentativo d’approccio.
Con Litteras Ad Tristia Maestrum Solitude, Bargnatt XIX si spinge anche oltre la tradizione del black sperimentale transalpino ben rappresentata da band come Deathspell Omega e Blut Aus Nord, alzando l’asticella dell’incomunicabilità per raggiungere l’illogica schizofrenia di una band come i Fleurety; però, al contrario del duo norvegese, gli Ophe non illudono l’ascoltatore con passaggi più fruibili per poi quasi deriderlo con momenti a loro modo sconcertanti, ma ne mantengono la testa sempre ben al di sotto della linea di galleggiamento consentendo che un’effimera bolla di ossigeno si palesi solo con la conclusiva Cadent, le cui dissonanze acustiche e la voce carezzevole riescono parzialmente ad edulcorare l’impatto squassante di gran parte del lavoro.
Personalmente ritengo i folli sei minuti di XVIIII l’emblema di Litteras Ad Tristia Maestrum Solitude, con le riminiscenze zorniane che vanno a sovrapporsi all’ottimo lavoro chitarristico del musicista francese, ma anche l’ossessivo mantra recitato sottovoce di Decem Vicibus non è da meno, andando a formare una coppia di tracce più brevi che fungono quasi da spartiacque tra il black metal deviato di Somnum Sempiternum e la cacofonia di Missive Amphibologique D’Une Adynamie A La Solitude.
In buona sostanza, se black metal avanguardista deve esserci, questa è la strada maestra, proprio perché l’operato di Bargnatt XIX non si disperde in mille rivoli di breve gittata, ma rimane nell’alveo in un discorso musicale coerente, per quanto possa apparire nell’immediato inquieto e scostante.

Tracklist:
1. Somnum Sempiternum
2. Decem Vicibus
3. XVIIII
4. Missive Amphibologique D’Une Adynamie A La Solitude
5. Cadent

Line-up:
Bargnatt XIX

OPHE – Facebook

Structural Disorder – …And The Cage Crumbles In The Final Scene

All’ascolto di …And The Cage Crumbles In The Final Scene vi troverete al cospetto di dettagli e sfumature che porteranno alla mente molti gruppi amati negli ultimi trent’anni di metal progressivo, perfettamente inglobati in un sound personale di altissimo livello.

Uno dei punti forti del metal progressivo è l’assoluta mancanza di barriere stilistiche o binari su cui incatenare la creatività degli artisti, specialmente se poi si dimostrano di un’altra categoria come gli svedesi Structural Disorder.

Questo magnifico lavoro intitolato …And The Cage Crumbles In The Final Scene segue di un paio d’anni il secondo album (Distance) e di quattro il debutto con cui si fecero conoscere ai più attenti fans del progressive animato dalla forza espressiva del metal (The Edge Of Sanity).
Il quintetto di Stoccolma capovolge il cilindro e come un mago in elegante frac estrae una buona fetta di quello che la musica metal/rock ha regalato in questi anni, amalgamando e modellando a suo piacimento note e spartiti in un sound vario, originale e perfettamente calato nel progressive moderno.
Inside è l’intro che ci prepara al capolavoro The Fool Who Would Be King, dieci minuti di musica totale, una serie infinita di sorprese compositive che passano dal metal prog, al death, dalla musica teatrale alla fusion, in un caleidoscopio di luci e ombre che cambiano tempi ed atmosfere al sound di cui si compone il brano.
Il resto continua sulla strada intrapresa dalla prima straordinaria traccia, allargando ancora di più i confini (Nine Lies) con sfumature di metal classico e ritmiche power che si alternano ad atmosfere intimiste care al progressive moderno.
Assolutamente non cervellotica né troppo intricata, la musica del gruppo splende di un songwriting assolutamente digeribile anche per ascoltatori di generi dall’andamento molto più lineare delle bellissime ripartenze di The Architect Of The Skies, delle melodie tradizionalmente prog di Kerosene o della forza espressiva del secondo brano capolavoro di questo album, Mirage, che chiude l’opera come era iniziata, fra decine di cambi d’atmosfere ed ispirazioni.
All’ascolto di …And The Cage Crumbles In The Final Scene vi troverete al cospetto di dettagli e sfumature che porteranno alla mente molti gruppi amati negli ultimi trent’anni di metal progressivo, perfettamente inglobati in un sound personale di altissimo livello.
Dopo il bellissimo lavoro dei norvegesi In Vain, gli Structural Disorder regalano un’altra perla progressiva di provenienza scandinava imperdibile per gli amanti della musica a 360°.

Tracklist
1. Inside
2. The Fool Who Would Be King
3. Drowning
4. Nine Lies
5. The Architect of The Skies
6. Kerosene (Birgersson)
7. Mirage

Line-up
Markus Tälth – Guitar & Vocals
Johannes West – Acoustic Accordion, Electric Accordion & Vocals
Erik Arkö – Bass & Vocals
Kalle Björk – Drums
Hjalmar Birgersson – Keyboard, Guitar & Vocals

STRUCTURAL DISORDER – Facebook

Kayleth – Colossus

Il disco è molto piacevole da ascoltare e lo si può fare a lungo e ripetutamente senza che susciti mai noia o pesantezza auricolare: i Kayleth sono un gruppo davvero capace e producono il loro album migliore, che piacerà molto a chi ama la musica pesante che viaggia in alta atmosfera.

Nuovo disco per una delle realtà italiane più interessanti per quanto riguarda il panorama stoner, i veneti Kayleth.

Secondo disco su Argonauta Records per questi veterani attivi dal 2005. Colossus sancisce una maturazione molto completa e che regala un gruppo al suo apice creativo, dopo essere cresciuti disco dopo disco, attraverso un miglioramento costante e potente. Il disco si snoda attraverso uno space stoner delicato, dove le melodie sono sviluppate con grande gusto e consapevolezza di poter sempre suonare la cosa giusta. Il disco suona Kayleth al cento per cento, e anche grazie ad un’ottima produzione riesce ad arrivare molto bene nel cervello e nel cuore di chi lo ascolta. I Kayleth sviluppano gli argomenti che hanno sempre trattato e li portano ad un altro livello, dove la loro musica possa elevarsi ulteriormente. Ci sono momenti del disco che sono pervasi da un sentire stoner molto vicino al grunge, con ottimi ritornelli e canzoni molto al di sopra della media. In apparenza la musica dei Kayleth potrebbe sembrare semplice e priva della benché minima complessità, mentre invece non è affatto facile produrre questo tipo di suono senza avere il discorso molto chiaro in testa. Uno degli aspetti che rendono molto interessante il tutto è il grande lavoro delle tastiere e dei synth, un elemento che è arrivato nel divenire del gruppo, perché in partenza non era presente, e porta ulteriore profondità al suono. Il disco è molto piacevole da ascoltare e lo si può fare a lungo e ripetutamente senza che susciti mai noia o pesantezza auricolare: i Kayleth sono un gruppo davvero capace e producono il loro album migliore, che piacerà molto a chi ama la musica pesante che viaggia in alta atmosfera.

Tracklist
01 – Lost in the swamp
02 – Forgive
03 – Ignorant Song
04 – Colossus 05 – So Distant
06 -Mankind’s Glory
07 – The Spectator
08 – Solitude
09 – Pitchy Mantra
10 – The Angry Man
11 -The Escape
12 – Oracle

Line-up
Massimo Dalla Valle: Chitarra
Alessandro Zanetti: Basso
Daniele Pedrollo: Batteria
Enrico Gastaldo: Voce
Michele Montanari: Synth

KAYLETH – Facebook

DEMONSTEALER

Il video di The Perspective Of Evil, dall’album The Last Reptilian Warrior di prossima uscita (Transcendig Obscurity).

Il video di The Perspective Of Evil, dall’album The Last Reptilian Warrior di prossima uscita (Transcendig Obscurity).

Demonstealer revealed their third video which has members of De Profundis and Necrophagist that can be viewed on YouTube HERE and on Facebook HERE. They have an active crowdfunding campaign that can be accessed AT THIS LINK.

Prior to this, the band released their second song which had guest contributions from members of Septicflesh, Aborted, Nervecell and Hideous Divinity which can be heard AT THIS LINK.

The album will now have an extra track that will feature acclaimed drummer Daniel Presland (Ne Obliviscaris). A video of him talking about his participation can be viewed AT THIS LINK.

Updated track listing of the album –
1. The Grand Collapse Of Humanity featuring Kevin Paradis (Benighted)
2. Sculpting The Archetype featuring Krimh (Septicflesh), Stefano (Aborted) & Rami (Nervecell)
3. The Perspective Of Evil featuring Romain Goulon (Necrophagist) & Arran McSporran (Virvum)
4. The Human Pestilence featuring David Diepold (Cognizance) & Stefano (Hideous Divinity)
5. No Victory In War featuring Kevin Paradis (Benighted) & Shoi Sen (De Profundis)
6. The Weak Shall Perish featuring David Dielpold (Cognizance), Arran McSporran (De Profundis) & Mendel (Aborted)
7. The Last Reptilian Warrior
8. Bonus track featuring Dan Presland (Ne Obliviscaris)

Extended version of the continuous two-panel artwork –

The crowd-funding campaign for this epic album is still going on AT THIS LINK. More details will be revealed shortly.

Bandcamp

Facebook

ENCHANTYA

Il video di Dark Rising, dalla’album omonimo (Massacre).

Il video di Dark Rising, dalla’album omonimo (Massacre).

After the release of their debut album by Massacre Records, called “Dark Rising”, Enchantya is very proud to announce that the band started recording their next album on the 10th of February, at the Pentagon Audio Manufactures Studios with amazing Fernando Matias (SINISTRO) on the control. The new album entitled “On Light And Wrath” has 11 tracks. EnChanTya invited Ricardo Oliveira ( My Enchantment, Attick Demons) to record the drums. More news will be available soon.

Infamous Sinphony – Manipulation

Indimenticabile esordio, nel panorama underground americano di fine anni Ottanta, imperdibile per gli amanti del thrash più estremo e brutale, nero e tirato.

Una leggenda. Truci e feroci. Grezzi e violentissimi, soprattutto per gli standard degli Eighties.

Da Los Angeles, gli Infamous Sinphony (è questa la grafia originaria del nome), esordirono nel 1989 su demo tape, con un prodotto volutamente sgraziato e lancinante, peraltro ottimamente registrato. La band si era fatta le ossa con anni di gavetta e concerti di spalla a Exploited, Beowulf, DRI, Blast ed Adolescents. Questa vicinanza a band hardcore punk andò molto ad influenzare il suono sporco ed estremamente rude, oscuro e orrorifico, del quintetto californiano. Manipulation presentava in tutto sedici velocissime tracce, che spingevano il thrash americano di allora in una direzione quasi proto-grind, con appena un paio di rallentamenti, più prossimi al doom. Sotto il profilo vocale, facevano sembrare Wattie degli Exploited un edulcorato maestro di sensibilità canora, il che già la dice lunga a proposito della loro furia cieca: pezzi che paiono un vero assalto all’arma bianca, senza tregua ed all’insegna di una insistita corrosività musicale. Puro underground, insomma. Dopo quella granitica e fulminante cassetta ed una fase di oblio, il gruppo si è riformato, incidendo altri dischi. Tuttavia – nella memoria di chi scrive, come in quella di molti thrashers – è vivo, quasi soltanto, il ricordo del formidabile Manipulation, ristampato poi su CD prima dalla Wild Rags e poi dalla Xtreem Music, nel 2014, con tre bonus-track.

Track list
– Manipulation
– Let’s Move to Another Planet
– Process of Denial
– Siamese Twins
– Outa the Black
– Cadavers-n-stiffs
– Dead Bumble Bees
– Get Out
– Sniveller
– Retribution
– Executioner
– Meth Lab
– Anti-buse
– Persian Gulf
– Blood Orgy
– Incapacitated

Line up
Greg Raymond – Vocals
Paul Leoncini – Guitars
J-sin Platt – Guitars
Anthony Chuck Burnhand – Drums
Scott Nelson – Bass

1989 – Autoprodotto

Eschatos – Mære

Ascoltare questo ep per chi apprezza il post black/metal è un passo fondamentale, in attesa che giunga auspicabilmente quanto prima un nuovo full length che potrebbe definitivamente far brillare come una supernova il nome degli Eschatos.

Mi sto sempre più convincendo che, alla fine, la quantità di grande musica che ci perdiamo sarà infinitamente superiore a quella che riusciamo ad intercettare.

Allora diventa una questione di mera fortuna imbattersi in un lavoro come questo ep dei lettoni Eschatos, band con due full length all’attivo che a occhio e croce sembrano essere passati del tutto inosservati dalle nostre parti.
Quindi siamo costretti a cominciare, volenti o nolenti, dal fondo, con Mære e le sue due lunghe tracce che squarciano ogni velo su una band dal talento enorme.
Intanto revisioniamo l’etichetta affibbiata agli Eschatos: progressive black metal vuol dire tutto e niente, perché in realtà del genere nato tra fiordi e le foreste della Norvegia troviamo prevalentemente l’attitudine, alcune sfuriate ritmiche e lo screaming che la stupefacente Kristiana Karklina esibisce all’interno di un’ interpretazione teatrale e a tratti spasmodica.
Mære consta di due soli brani per un fatturato complessivo di poco superiore ai venti minuti ma dal peso specifico notevole: Luminary Eye Against the Sky è un lento crescendo che può ricordare per impostazione gli olandesi Dool, benché con caratteristiche di base più metal e con un parossismo vocale che culmina con il disperato ripetuto urlo “is my death”.
The Night of the White Devil è una traccia divisa in tre parti, con la prima che pare ripartire da dove era terminato il precedente brano con l’isterica reiterazione della frase “I step into the sun with face covered in blood“, preludio ad un incedere più atmosferico e melodico che asseconda uno sviluppo ritmico che con il trascorrere dei minuti si increspa e si placa senza soluzione di continuità: gli Eschatos manipolano la materia con la spiccata personalità della band di livello superiore, esaltata dall’apporto di una vocalist fuori dal comune alla quale offre talvolta un valido supporto il più profondo growl del tastierista Marko Rass (anche se quello di Kristina non è affatto da meno per ferocia).
La band lettone proviene come detto da due lavori di buona fattura che non le è valsa ancora la fama che pare meritare incondizionatamente, fosse solo in base a quanto offerto in Mære; ascoltare questo ep per chi apprezza il post black/metal è un passo fondamentale, in attesa che giunga auspicabilmente quanto prima un nuovo full length che potrebbe definitivamente far brillare come una supernova il nome degli Eschatos.

Tracklist:
1. Luminary Eye Against the Sky
2. The Night of the White Devil (part I, II and III)

Line-up:
Kristiana Karklina — vocals
Edgars Gultnieks — guitars
Martinš Platais – guitars, bass, keyboards
Tomass Bekeris — bass,
Edvards Percevs — drums,
Marko Rass — keyboards, organ, effects, vocals.

ESCHATOS – Facebook

Crescent – The Order Of Amenti

Una continua e crescente tensione viene portata al massimo da brani pieni di malvagità, tutti medio lunghi ed elaborati quel tanto che basta per farne otto dimostrazioni di pura malvagità fatta musica.

Non é sicuramente il primo album estremo che come tematiche si concentra sulle atmosfere misteriose ed oscure dell’antico Egitto, ma dalla sua questo mastodontico e devastante album ha nell’origine dei suoi creatori quel di più che lo rende ancora più affascinante.

Infatti proprio dai vicoli più nascosti del Cairo nascono i Crescent, notevole creatura estrema che picchia forte il pugno sul tavolo della scena underground mondiale con The Order Of Amenti.
Persi così nell’inferno egiziano veniamo travolti dal blackened death metal del quartetto, a tratti supportato da sinfonie oscure che rendono ancora più soffocante il sound che raccoglie in sé una serie di riff che richiamano la tradizione locale, in un turbinio di musica estrema che arriva improvvisa come una tempesta di sabbia nel deserto.
L’album è una discesa terrorizzante nel profondo degli inferi, dove statue di divinità avvolte tra le spire di rettili letali, sono di guardia ai segreti di una civiltà che ancora difende, tra leggende e verità, la sua misteriosa esistenza.
I Crescent ci vanno giù pesante, seguendo la strada già tracciata con il primo album (Pyramid Slaves) e portando male in musica come e meglio di tanti act più famosi.
Una continua e crescente tensione viene portata al massimo da brani pieni di malvagità, tutti medio lunghi ed elaborati quel tanto che basta per farne otto dimostrazioni di pura malvagità fatta musica.
Stupende si rivelano Obscuring The Light, Beyond The Path Of Amenti e la conclusiva In The Name Of Osiris, che vi trascineranno in un clima maligno, valorizzato da un metal estremo che avvicina le proposte di Nile e Behemoth e le ingloba in un sound che tocca vette di rabbrividente atmosfericità: un’opera oscura da far vostra senza riserve.

Tracklist
1.Reciting Spells to Mutilate Apophis
2.Sons of Monthu
3.Obscuring the Light
4.Through the Scars of Horus
5.The Will of Amon-Ra
6.Beyond the Path of Amenti
7.The Twelfth Gate
8.In the Name of Osiris

Line-up
Moanis Salem – Bass
Amr Mokhtar – Drums
Ismaeel Attallah – Guitars, Vocals
Youssef Saleh – Guitars

CRESCENT – Facebook

ITHILIEN

Il video di “Edelweiss”, tratto dall’album “Shaping the Soul” (Wormholedeath).

Il video di “Edelweiss”, tratto dall’album “Shaping the Soul” (Wormholedeath).

I belgi Ithilien sono orgogliosi di presentare il nuovo video per il brano “Edelweiss”, tratto dall’album “Shaping the Soul” uscito nel 2017 via Wormholedeath / Aural / The Orchard / Disk Union:

Directed by Bram Mervillie / Produced by Sixshooter
Make-up by Cindy Ghijsel
Special thanks to Eddy Gryson and the organisation of Staf Versluys

iTunes https://tinyurl.com/y9pwsvk6
Spotify https://tinyurl.com/y9juk3br
Amazon US https://tinyurl.com/y956a3h5
Aural https://tinyurl.com/y7xbhxjy

Gli Ithilien sono inoltre lieti di annunciare che in Aprile saranno in tour in Giappone. Per maggiori informazioni seguite la band sui loro links ufficiali.

ITHILIEN
Website : www.ithilien.be
Facebook : facebook.com/Ithilien.Music
Twitter : twitter.com/ithilienmetal

Emphatica – Metamorphosis

Metamorphosis fa parte di quelle opere di musica totale, che lasciano stupefatti, un’esperienza di viaggio che ci fa perdere in una marea di suoni e sensazioni molte volte difficili da interpretare.

Emphatica è la creatura di Gerardo Sciacca, musicista campano dal grande talento che, con il suo progetto solista, nel giro di poco più di due anni ha dato alle stampe ben sette lavori, di cui quattro nel 2014 (“Winterscape”, “Atlas Of The Universe”, “Minimal Clouds” e Metamorphosis), per lo più strumentali ai quali probabilmente l’etichetta di symphonic metal sta stretta, almeno per i canoni del genere.

Metamorphosis fa parte di quelle opere di musica totale, che lasciano stupefatti, un’esperienza di viaggio che ci fa perdere in una marea di suoni e sensazioni molte volte difficili da interpretare; musica senza tempo che esce fuori dai binari dell’usa e getta, ormai abitudine anche nei generi meno popolari, e si eleva ad opera d’arte.
Ho immaginato, all’ascolto dell’album, di attraversare il corridoio di un museo, volgendo lo sguardo alle opere esposte, ora quadri, ora sculture, ed accomunando ad ognuna di esse un momento di questo capolavoro, così che la musica di Gerardo potesse avere un volto, un paesaggio, una storia.
Di solito queste sensazioni si manifestano leggendo, nel raffigurarsi volti e luoghi descritti dallo scrittore che il lettore, senza volerlo, disegna nella sua mente, proprio per dare una fisionomia a personaggi ed eventi: sensazioni che la musica racchiusa in Metamorphosis esalta, portando l’ascoltatore a lavorare di fantasia.
Molto vicino ad un’opera classica, questo lavoro non aggiunge elementi sinfonici al metal, ma li amalgama sapientemente, facendo risultare il tutto un’unica stupenda sinfonia di musica a 360°, e creando un mastodontico caleidoscopio di suoni dove la voce risulterebbe superflua, come se potesse rompere l’incantesimo, fragile opera di cristallo di cui la conclusiva The Time Traveler è un manifesto di celestiale armonia di note.
Un album consigliato a tutti gli amanti della buona musica: tra le sue note (tanto per darvi dei riferimenti) ho rinvenuto echi di progressive settantiano, gothic, metal prog, qualche digressione elettronica e naturalmente musica classica, il tutto amalgamato per creare un lavoro sublime. Non lasciatevelo sfuggire.

Tracklist:
1.The Abstract Manifesto
2.Metamorphosis
3.Once In A Lifetime
4.Northern Stars
5.Anima
6.The Eyes Of Darkness
7.The Time Machine
8.The Time Traveler

Line-up:
Gerardo Sciacca- All Instruments

EMPHATICA – Facebook

Sar Isatum – Shurpu

L’album viaggia piuttosto bene, magari senza guizzi indimenticabili ma corrosivo il giusto per tenersi lontano da svenevolezze assortite, mantenendo ben saldo il carico di gelida ferocia che il genere richiede.

Il symphonic black continua ad essere interpretato con buon proprietà un po’ in tutti i continenti e se appare comunque difficile poter rinverdire i fasti del passato, le band che vi si dedicano lo fanno con grande competenza e risultati apprezzabili .

Vedremo se i capostipiti della specie, ovvero i Dimmu Borgir (almeno per quanto riguarda l’approccio al genere più pomposo e ammiccante), saranno in grado di riprendere in mano lo scettro con l’album di prossima uscita dopo una pausa creativa piuttosto lunga, ma per ora vale la pena di prestare attenzione a band dall’inferiore pedigree ma dalle sicure capacità.
E’ questo il caso dei Sar Isatum, gruppo del Colorado che sembra comunque provenire dall’altra parte dell’oceano per approccio: Shurpu è il primo album per questi buoni epigoni della scena scandinava di fine secolo, prendendo come riferimenti band dall’impatto sinfonico ma ben più ortodosso come i primi Emperor, i Limbonic Art o gli stessi Dimmu Borgir fino ad Enthrone Darkness Triumphant.
L’album viaggia piuttosto bene, magari senza guizzi indimenticabili ma corrosivo il giusto per tenersi lontano da svenevolezze assortite, mantenendo ben saldo il carico di gelida ferocia che il genere richiede: è anche grazie ad un lotto di tracce di buona intensità (tra le quali citerei l’opener autointitolata e le furiose Black Gate e Gormandizer) che i nostri riescono ad imprimere un marchio sufficientemente personale in un ambito nel quale è arduo schiodarsi da certi stilemi.
I Sar Isatum arricchiscono il tutto con un immaginario che riporta alla civiltà sumera, con tanto di sfumature orientaleggianti che si manifestano anche nei momenti più burrascosi: un elemento in più che contribuisce a rendere appetibile questo buonissimo primo passo per il gruppo di Denver.

Tracklist:
1. Sar Isatum
2. Chenoo
3. Black Gate
4. Gormandizer
5. Celestial Diaspora
6. Vanaspati
7. Halls of Pestilence

Line-up:
Gadreel – Guitars
Memitim – Keyboards
Cannibal Chris – Bass
JP Dalkhu – Drums
Demothi – Vocals

SAR ISATUM – Facebook

No-Chrome – Feel The Rust

Questo lavoro rimarrà nei vostri principali ascolti per un bel po’, specialmente se siete affascinati dalla vita on the road e dalle atmosfere che il mondo delle motociclette sa regalare, ovviamente con il rock, quello duro, ignorante e alcolico, a farvi da colonna sonora.

Entrate nel vostro garage, togliete il telo alla vostra preziosa motocicletta, accendete il motore ed alle prime note di Burning Nipples, opener di questo esplosivo lavoro targato No-Chrome, date gas e lasciate che la gomma posteriore lasci tanto del suo battistrada sull’asfalto del vostro cortile.

Hard rock, rock’n’roll, qualche sfumatura southern capace di trasformare le strade del Piemonte nella Route 66 e Feel The Rust è servito: sporco, cattivo, irriverente con le sue regole e i suoi riti di una vita on the road.
I No-Chrome arrivano come missili sulle loro Harley dalla provincia di Cuneo, suonano rock duro, prima come cover band, poi con brani loro, che vanno a comporre nel 2009 l’ep Among The Dust.
Nel 2011 l’uscita dell’album Carburator permette alla band di aprire per Adam Bomb, Strana Officina e le rockers svedesi Crucified Barbara, mentre il tempo non concede tregua come la pioggia di ritorno da un viaggio su due ruote e siamo già a questi ultimi due anni e al completamento di Feel The Rust.
Rock’n’roll ipervitaminizzato da scariche hard rock, pelle in perenne sudorazione da birra e asfalto, bocca che si asciuga dal vento che ci schiaffeggia il viso sporco di polvere, ed ecco che siamo già nel vortice rock creato da brani assolutamente irresistibili come Drink Before To Die, Godzilla, con il basso che pulsa e segue il ritmo dei pistoni che scivolano nel cilindro in Carburator e nel ritmo festaiolo di Summer Boobies.
Non ci sono semafori ne autovelox, l’album tiene alte velocità, con la mano che non ne vuol sapere di mollare l’acceleratore e i brani che a turno ci esaltano fino all’inno conclusivo Masterpiece Of Rock’n’Roll.
Assolutamente da vivere, questo lavoro rimarrà nei vostri principali ascolti per un bel po’, specialmente se siete affascinati dalla vita on the road e dalle atmosfere che il mondo delle motociclette sa regalare, ovviamente con il rock, quello duro, ignorante e alcolico, a farvi da colonna sonora.

Tracklist
1.Burnin Nipples
2.Drink Before To Die
3.Godzilla
4.Carburetor
5.Summer Boobies
6.Rabbit Kill Again
7.Raise Your Hate
8.Motor Pinball
9.Bleeding On The Rockfalls
10.Masterpiece Of Rock’n’roll

Line-up
Luca Peirone (Hellbastard) – Vocals, Guitars
Gianluca Fruttero (Hollywood Mostriciattoli) – Bass
Alessandro Dalmasso (Dalma) – Drums

NO-CHROME – Facebook

Black Wizard – Livin’ Oblivion

Per gli amanti dei suoni old school i Black Wizard, con il loro heavy rock d’alta scuola vario e potente, sono una band da annotare sul biglietto della spesa in questo inizio di 2018.

Una band che non faticherà a trovare nuovi estimatori con il suo nuovo lavoro è quella dei canadesi Black Wizard, il cui sound infatti pesca a piene mani dalla tradizione heavy metal e hard rock a cavallo tra gli anni settanta ed il decennio successivo, alla quale saggiamente i musicisti nord americani aggiungono dosi letali di stoner rock così da renderne l’approccio squisitamente retrò ma molto cool.

Siamo arrivati al quarto album di una carriera iniziata sui banchi di scuola e che ha portato i quattro amici ad unirsi in una band nel 2008, per poi esordire due anni dopo con l’album omonimo; Young Wisdom è il secondo lavoro uscito nel 2013 ,  seguito da un live e dal precedente New Waste licenziato due anni fa.
Livin’ Oblivion non porta con sé grossi cambiamenti, ma non è quello che si cerca da un gruppo come i Black Wizard, quindi chi ama l’heavy rock pregno di umori vintage e potenziato da dosi massicce di doom e stoner non avrà di che lamentarsi all’ascolto di questa apoteosi di riffoni ultra heavy.
Come sul precedente album il sound varia mantenendo una buona alternanza tra brani più orientati verso l’heavy metal, altri splendidamente doom (bellissima James Wolfe) e, come la title track, avventurosi tuffi nello stoner di fine millennio.
L’album non fa prigionieri, anche quando la furia metallica si placa e il gruppo ci regala una perla sabbathiana come Cascadia, brano semi acustico che prelude alla veloce Portraits.
Continua fino alla fine questa altalena tra atmosfere doom e heavy/stoner metal, con la conclusiva Eternal Illusion a donare gli ultimi botti di questo gran bel lavoro.
Per gli amanti dei suoni old school i Black Wizard, con il loro heavy rock d’alta scuola vario e potente, sono una band da annotare sul biglietto della spesa in questo inizio di 2018.

Tracklist
1. Two Of These Nights
2. Feast Or Famine
3. James Wolfe
4. Livin Oblivion
5. Cascadia
6. Portraits
7. Poisoned Again
8. Heavy Love
9. Eternal Illusion

Line-up
Eugene Parkomenko – Drums
Adam Grant – Vocals, Guitars
Evan Joel – Bass
Danny Stokes – Guitars

BLACK WIZARD – Facebook

Dirty Shirt – FolkCore DeTour

Una grande festa dal vivo di metal e di folk romeno, una gioia per le orecchie e per le gambe.

Un progetto musicale davvero interessante, già bello sulla carta, che poi diventa un qualcosa di bellissimo nella pratica, e soprattutto nella musica.

I Dirty Shirt sono un gruppo romeno di metal moderno molto fresco e conosciuto in patria, ma hanno anche girato fuori dalla loro nazione. Questo disco dal vivo è il risultato di una trionfale tournée in patria con l’Ansamblul Transilvania, un’orchestra di folclore della Transilvania, la splendida regione romena che è diventata famosa come patria del Conte Dracula, ma che è molto più di quello. L’unione dei due gruppi riesce benissimo, come si può ascoltare nel disco, che è un perfetto esempio di come due flussi di energia in apparente contraddizione abbiano invece tante cose in comune ed insieme ne escono entrambi potenziati. La forza dei Dirty Shirt sta nella loro capacità di creare groove metallici freschi e potenti, di grande forza dal vivo. L’orchestra transilvana porta nel loro suono una ventata di folclore romeno che è già molto metal di par suo. Il concerto vive di momenti anche molto differenti fra loro, con un pubblico trascinato dai gruppi e trascinante di per sé, che diventa esso stesso un’entità ben precisa che partecipa al concerto. Stupisce la nuova veste dei brani dei Dirty Shirt e gli arrangiamenti dell’Ansamblul Transilvania che sono molto azzeccati e calzano a pennello. Metal e folk verace vanno perfettamente a braccetto, e come in una osmosi si scambiano reciprocamente vita e fluidi, creando una nuova entità totalmente inedita e molto potente, che ha nella dimensione live la sua ragion d’essere. Da tempo non si ascoltava un disco così potente dal vivo, caldo ed interessante in ogni suo frangente. Questo lavoro è stato pianificato e preparato nei minimi dettagli, e ciò si evince nella cura riposta e nell’andare oltre i propri limiti. FolkCore DeTour è un disco che mostra un percorso mai battuto in precedenza dal metal romeno, e che lascia davvero una grande gioia dentro e dietro di sé. L’album è molto divertente e non si riesce a stare fermi mentre lo si ascolta: il progetto è perfettamente riuscito, anzi è andato oltre le più rosee aspettative.

Tracklist
1. Rapsodia Romana
2. Ciocarlia
3. Moneyocracy
4. Dulce-i Vinu’
5. Cobzar
6. Ride
7. Freak Show
8. UB
9. Balada
10. Manifest
11. Rocks Off
12. My Art
13. Dirtylicious
14. Hungarian Dance No.5
15. Mental Csardas
16. Hotii
17. Maramu’
18. Calusarii
19. Saraca Inima Me
20. Bad Apples

Line-up
Dan «Rini» Craciun : vocals
Robert Rusz : vocals
Mihai Tivadar : keys, guitars
Cristian Balanean : guitars
Dan Petean : guitars
Pal Novelli : bass
Vlad «X» Toca : drums
Cosmin Nechita : violin

DIRTY SHIRT – Facebook

Wolfhorde – The Great Old Ones

Gradevole ep offerto dai Wolfhorde, i quali omaggiano con un brano ciascuno Finntroll, Moonsorrow ed Amorphis, ovvero le più importanti tra le band che ne hanno influenzato il sound.

Anche se un ep contenente tre cover di norma non dovrebbe trovare cittadinanza su queste pagine, facciamo un eccezione visto l’ambito abbracciato  da questo lavoro.

La band che si cimenta con la riproposizione di un brano ciascuno di Finntroll, Moonsorrow e Amorphis si chiama Wolfhorde, è ovviamente finlandese e si lancia un questa operazione per omaggiare fin dal titolo  (The Great Old Ones)  quelli che sono stati i gruppi che hanno fornito un impronta al loro sound.
Indubbiamente qui troviamo tre maniere ben diverse nel maneggiare la materia folk all’interno del metal estremo, a partire dagli Amorphis per i quali tale elemento è sicuramente parte integrante del loro stile, ma certo in maniera meno esplicita di quanto non lo sia per i Moonsorrow e tanto meno per i Finntroll.
Il trio di Keuruu va comunque a pescare giustamente nelle prime opere dei propri numi tutelari offrendoci la loro versione della title track di Jaktens Tid dei campioni dell’humppa metal, Kylän Päässä da Voimasta ja kunniasta, secondo album di una delle più grandi band contemporanee (almeno per quanto mi riguarda ) e Sign from the North Side, tratta addirittura da The Karelian Isthmus, full length d’esordio per quello che diverrà poi una dei nomi di punta in assoluto nella terra dei “thousand lakes”.
Le versioni sono interessanti in quanto ben eseguite e comunque non risultano insipide fotocopie degli originali, nel senso che i Wolfhorde hanno cercato per quanto possibile di conferire una loro impronta a ciascun brano; ovviamente, al di là di questo gradevole passaggio interlocutorio, per la band non resta che trarre il meglio dalla lezione dei “great old ones” per cercare, nel prossimo futuro, se non di raggiungerne  il livello (molto difficile) almeno di avvicinarlo, e noi non possiamo che augurarcelo con loro.

Tracklist:
1. Jaktens Tid (Finntroll cover)
2. Kylän Päässä (Moonsorrow cover)
3. Sign from the North Side (Amorphis cover)

Line-up:
Nuoskajalka – Bass
Hukkapätkä – Vocals, Drums, Percussion
Werihukka – Guitar, Traditional instruments, Keyboards

WOLFHORDE – Facebook

SCUORN

Il video di Sepeithos, dall’album Parthenope (Dusktone).

Il video di Sepeithos, dall’album Parthenope (Dusktone).

I Parthenopean Epic Blacksters SCUORN hanno annunciato le date del loro prossimo “Parthenope UK Tour 2018”, che inzierà a Maggio.
Dopo il sucesso degli ultimi tour da headliners in Italia ed Europa, i Partenopei torneranno on the road a supporto del loro acclamato full-length “Parthenope”, suonando per la prima volta nel Regno Unito.
Ad accompagnare la band napoletana i tourmates DISTURBIA, Anomal Me(n)tal da Caserta.

Di seguito le date e le venue confermate :

“Parthenope UK Tour 2018”
w/special guest DISTURBIA

16/05 – The Chameleon Arts Cafe – Nottingham
17/05 – The Star and Garter – Manchester
18/05 – The Old Hairdressers – Glasgow
19/05 – Eradication Festival – Cardiff *
20/05 – The Unicorn Camden Live – London

* Scuorn Only

“Parthenope” è disponibile ora !!!
ORDINA QUI : http://mailtrack.me/tracking/raWzMz50paMkCGDkBQZlBGN0AmtzMKWjqzA2pzSaqaR9AQxkAwD4ZGZkWay2LKu2pG0kAGR2BQt1ZGZmAyp
Full Album Streaming : http://mailtrack.me/tracking/raWzMz50paMkCGDkBQZlBGN0AmtzMKWjqzA2pzSaqaR9AQxkAwD4ZGZkWay2LKu2pG0kAGR2BQt1ZGZmA1t

Official Tour Partners :
Dusktone – Cult Of Parthenope – Metal Hammer Italia – Metal In Italy – Vic Firth – Evans Drumheads – Axis Percussions – Serial Drummer – Nologo picks – Sansone Strings – Band Scrims UK

Riffocity – Under A Mourning Sky

Under A Mourning Sky non può certo distinguersi per l’originalità, ma è un album suonato e prodotto molto bene, e se siete fans degli Iced Earth il consiglio è di cercarlo e farlo vostro, non ve ne pentirete.

Ecco un caso nel quale il monicker del gruppo (Riffocity, sinceramente bruttino) potrebbe frenare gli appassionati di thrash metal al momento di un primo ascolto, per poi farli stropicciare gli occhi davanti all’ottimo album di debutto sulla lunga distanza, dal titolo Under A Mourning Sky.

Prodotto dal gruppo con l’aiuto di Bob Katsionis (Firewind), il lavoro vede i Riffocity impegnati in un heavy/thrash statunitense dall’atmosfera drammatica ed oscura, dura come l’acciaio e melanconica come i più suggestivi momenti di un capolavoro come Something Wicked This Way Comes degli ormai storici Iced Earth.
E alla band di Jon Schaffer i Riffocity si ispirano maggiormente per questo album che a tratti entusiasma per la sagacia con cui la band passa da sfuriate metalliche pesantissime, ricamate da solos granitici ma oltremodo melodici, e da ritmiche mozzafiato a emozionanti brani nei quali il cantante Thomas Trampoyras può dare sfoggio della sua naturale somiglianza vocale con il Barlow di Melancholy (Holy Martyr) o Watching Over Me.
Da qui la band greca parte per la sua (poco) personale rivisitazione del thrash metal d’oltreoceano, e oltre agli Iced Earth tra le trame del disco escono in maniera marcata i soliti Metallica ed una vena progressiva che porta i Riffocity a costruire tracce lunghe ed assortite di cambi di tempo e ottime parti strumentali che vedono salire in cattedra i due chitarristi (Dimitris Kalaitzidis e George Lezkidis).
L’album sfiora l’ora di durata ma consiglio di non scoraggiarsi perché merita comunque di essere ascoltato per intero, dedicando particolare attenzione a Fortunes Of Death, alla devastante From Inside the Arrows Come, a Perish Unloved e alla conclusiva Above The End.
Under A Mourning Sky non può certo distinguersi per l’originalità, ma è un album suonato e prodotto molto bene, e se siete fans degli Iced Earth il consiglio è di cercarlo e farlo vostro, non ve ne pentirete.

Tracklist
1. Hail Thy Father
2. Arnis Oblivion
3. Bitter Sunday
4. Fortunes of Death
5. This Eternal Secret Lies Above
6. From Inside the Arrows Come
7. Isolation
8. Perished Unloved
9. Under a Mourning Sky
10. Above The End

Line-up
Thomas Trampoyras – Vocals
Dimitris Kalaitzidis – Guitars, Backing Vocals
Giorgos Lezkidis – Guitars
Panos Sawas – Bass

Current Line-up
Thomas Trabouras-Vocals
Dimitris Kalaitzidis-Guitars and Backing Vocals
George Lezkidis-Guitars
Panos Savvas-Bass Guitar
Tasos Daimantidis -Drums

RIFFOCITY – Facebook

Mortis Mutilati – The Stench Of Death

Pur senza possedere un forte impulso innovativo, il nome Mortis Mutilati si fa ricordare per un’interpretazione musicale delle pulsioni più oscure dell’animo umano tutt’altro che inflazionata, con il suo incedere tragico e allo stesso tempo decadente.

Della one man band francese Mortis Mutilati ci si era già occupati diversi anni fa in occasione del precedente full length Mélopée funèbre.

Macabre, che in passto ha militato in ottime band come Azziard, Moonreich e The Negation, tra le altre, porta avanti da anni un idea di black metal molto personale benché nel complesso priva di particolari spunti sperimentali.
Il punto di forza del sound offerto è un buon gusto melodico che va ad intersecarsi con un mood drammatico e intenso, che abbraccia sonorità che vanno dal dsbm fino al doom, e non è un caso se lo stesso musicista parigino definisce il suo stile funeral black metal.
The Stench Of Death è il quarto full length che va ad aggiungersi ad una discografia finora impeccabile, con il nostro che, dopo i primi anni in perfetta solitudine, ha iniziato recentemente ad avvalersi di contributi da parte di altri musicisti, tra i quali in particolare quello del chitarrista Rokdhan: questo finisce inevitabilmente per arricchire un sound che ha le sue fondamenta nel black metal ma da lì si muove per costruire un qualcosa di più composito, che attinge parimenti dal doom più catacombale come da quella dark wave che andò ad influenzare i Katatonia della superba coppia The Discouraged Ones / Tonight’s Decision.
Macabre possiede un notevole gusto melodico che favorisce la fruizione di un lavoro lungo ma ricco di momenti dal forte impatto emotivo, coincidenti per lo più con i passaggi maggiormente ragionati all’interno di brani bellissimi come Echoes From The Coffin, Onguent Mortuaure e Invocation A La Momie, oltre che nella lunghissima Portrait Ovale.
Pur senza possedere un forte impulso innovativo, il nome Mortis Mutilati si fa ricordare per un’interpretazione musicale delle pulsioni più oscure dell’animo umano tutt’altro che inflazionata, con il suo incedere tragico e allo stesso tempo decadente che va a comporre un quadro stilistico ben rappresentato graficamente dalla copertina horror/vintage.

Tracklist:
1.Nekro
2.Echoes From The Coffin
3.Crevant-Laveine
4.Regards D’outre Tombe
5.Onguent Mortuaure
6.Portrait Ovale
7.Homicidal Conscience (feat. Devo Andersson)
8.Invocation A La Momie
9.L’odeur du Mort
10.Ecchymoses

Line-up:
Macabre – All instruments, Bass, Vocals

Guests:
Rokdhan – Guitars
Asphodel – Vocals (female)
Devo – Guitars (lead) (track 7)