Vulgar Speech – Is This Vulgar?

Is This Vulgar? mostra un sound ancora in divenire ma che potrebbe regalare soddisfazioni, perché sicuramente non manca di impatto e di una buona dose di groove, esattamente quanto serve oggi per entrare nel cuore degli ascoltatori.

I Vulgar Speech sono un gruppo di giovani rockers provenienti da Pordenone, attivi dal 2012 come quartetto e diventati in seguito un affiatato trio.

Questo ep intitolato Is This Vulgar? è uscito in realtà tre anni fa, e ci presenta una band che all’hard & heavy classico aggiunge sfumature thrash/groove metal ed abbondanti dosi di stoner .
Il risultato è tutto in questo ep che lascia parlare la musica, specialmente nell’opener W.A.R., sorta di intro che sfocia nella prima lunga traccia, la stoner metal Scarred, brano ispirato alla scena americana degli anni novanta e appesantito da dosi letali di thrash metal che richiama i Metallica, così come avviene nella notevole Fight Your Demons, traccia oscura che ispira jam desertiche chiamando in causa anche Alice In Chains e Kyuss.
Si cambia registro con We Innovate Healthcare, dove Riccardo Cauduro (voce e chitarra), Mirko Martinello (basso) e Fabio Cauduro (batteria) si trasformano in una hard rock band ad inizio brano, per poi violentarlo con potenti ripartenze thrash.
In conclusione, Is This Vulgar? mostra un sound ancora in divenire ma che potrebbe regalare soddisfazioni, perché sicuramente non manca di impatto e di una buona dose di groove, esattamente quanto serve oggi per entrare nel cuore degli ascoltatori.

Tracklist
1. W.A.R.
2. Scarred
3. Fight Your Demons
4. We Innovate Healthcare
5. Can U Really..?

Line-up
Riccardo Cauduro – Vocals, Guitars
Mirko Martinello – Bass
Fabio Cauduro – Drums

VULGAR SPEECH – Facebook

All My Sins – Pra Sila – Vukov Totem

Uno dei migliori dischi di black metal degli ultimi anni, potente, melodico ed affascinante, con una poetica musicale e non che non può lasciare indifferenti.

Arriva dalla Serbia un disco black metal furioso e con grandi melodie che farà la gioia di molti amanti del nero metallo.

I serbi All My Sins sono un gruppo con un talento compositivo molto particolare, con un timbro che si impone subito all’attenzione dell’ascoltatore. La loro storia è particolare, perché dopo due demo fra il 2002 ed il 2004 si va direttamente ad un ep del 2017. Dovendo semplificare la spiegazione del tipo di black metal che offrono si potrebbe affermare che facciano un qualcosa di classico, ma vanno oltre perché c’è anche quel ritorno alla natura ed il recupero delle proprie tradizioni che è uno degli effetti del genere. Le tradizioni degli slavi del sud sono molto presenti in questo disco, che ha un significato recondito molto profondo e si sposa inevitabilmente con ciò che noi chiamiamo occulto, ma che ai nostri antichi era molto ben chiaro e quotidiano. Il lavoro si basa soprattutto, oltre che su un robusto e bellissimo black metal della seconda ondata norvegese, sul concetto del lupo come essere lunare e sulla sua presenza nella cultura slava. Da lì si arriva alla similitudini fra questo animale e l’uomo moderno, il tutto senza preconcetti ed illustrando molto bene i passaggi. Le liriche sono in tutte in serbo, ma se si traducono con i mezzi moderni riservano più di una sorpresa. In questo caso il black metal viene usato come codice per indagare e spiegare la natura ancestrale e fortemente pagana della propria gente e delle proprie tradizioni, sopravvissute in qualche maniera al flagello chiamato cristianesimo che ha spianato in breve tempo culture millenarie. Il lavoro dei serbi ha una produzione grandiosa ed estremamente fedele, dovuta al fatto che un componente del gruppo, V, ha uno studio di registrazione e produzione di metal estremo, il Wormhole Studio di Pančevo e ha le idee molto chiare ed un bel talento dietro al controller. Il risultato è uno dei migliori dischi di black metal degli ultimi anni: potente, melodico ed affascinante, con una poetica musicale e non che non può lasciare indifferenti. Il black metal degli All My Sins è una cosa bellissima.

Tracklist
1.Vukov Totem
2.Zov iz Magle
3.Vetrovo Kolo
4.U Mlazevima Krvi
5.Opsena
6.Mesecu u Oko
7.Konačna Ravnodnevica (Čin Prvi)
8.Konačna Ravnodnevica (Čin Drugi)

Line-up
Nav Cosmos – Vocals / Bass / Vrg
V – Guitars / Keys
Nemir – Drums (Session)

ALL MY SINS – Facebook

Wingless – Triada

Triada è un lavoro interessante e vario, con i Wingless che riescono a variare la propria proposta senza snaturare impatto e atmosfere: consigliato ai doomsters dai gusti estremi e classici.

Triada è il nuovo album della doom metal band polacca Wingless, realtà attiva sulla scena dal 2012 e che ha già alle spalle due lavori come il debutto Hatred is Purity, del 2014 e The Blaze Within, secondo album uscito nel 2016.

A cadenza di un paio d’anni arriva quindi anche il terzo album che continua sulla strada intrapresa con i due album precedenti, con il sound che si piazza esattamente in mezzo a due delle maggiori correnti delle sonorità doom, quella death e quella classica.
Accompagnato dalla copertina creata da Rafał Wechterowicz, artista che ha messo la sua firma sulle cover di Slayer, Perfect Circle, Mastodon e Behemoth, Triada risente positivamente di questa altalena di atmosfere create alla perfezione dal trio proveniente da Cracovia.
Il sound è pervaso da un alone atmosferico ed dark che accompagna tutti i brani, ad iniziare da Anthem To Innany, traccia che letteralmente esplode in una cavalcata death metal per poi trovare il suo momento di pacata oscurità e tornare a colpire duro nella seconda parte.
Più tradizionalmente doom Tales Of Sleepless Nights, con il growl che si alterna al tono evocativo e che sarà il trademark del lavoro, confermato con la splendida Unnamed Terror, brano top di Triada, otto minuti che raccolgono doom , death, parti atmosferiche, dark e post metal.
Wasteland Man torna a calcare strade tradizionali e Mountain Improbable a raggiungere picchi di intensità evocativa che nel doom metal classico trovano la loro naturale origine.
Triada è un lavoro interessante e vario, con i Wingless che riescono a variare la propria proposta senza snaturare impatto e atmosfere: consigliato ai doomsters dai gusti estremi e classici.

Tracklist
1.Triad (intro)
2.Anthem to Innany
3.Tales of sleepless nights
4.Unnamed terror
5.Wasteland man
6.To the Blue Girl
7.Captain’s dreaming
8.Tired of this fear
9.Mountain Improbable
10.Centre of the Universe

Line-up
Olaf Różański – vocals
Grzegorz Luzar – guitars, bass
Piotr Wójcik – drums

WINGLESS – Facebook

Watershape – Perceptions

Il sound dei Watershape riesce a fondere perfettamente più di un’anima progressiva, imprigionando in questi cinquanta minuti di musica intitolati Perceptions il progressive rock classico, quello aggressivo e tecnico del metal e quello emozionale del post rock.

La tradizione nostrana per quanto riguarda la musica progressiva viene puntualmente confermata dalle uscite discografiche di un certo spessore anche nel nuovo millennio.

Il genere riserva sempre piacevoli sorprese e l’Italia in questo campo scaglia frecce che colpiscono al cuore gli amanti della musica progressiva, a mio avviso mai come in questo periodo aperta a mille ispirazioni ed influenze.
Il metal ha dato una grossa mano al genere, scuotendo dalle fondamenta un’attitudine conservatrice e donando verve ed soluzioni intriganti ad un sound che rischiava di rimanere confinato ai soli reduci dagli anni settanta.
Gli Watershape, per esempio, sono una band fondata da Francesco Tresca, batterista degli Arthemis ed ex Power Quest, raggiunto da una manciata di musicisti che hanno militato o militano in ottimi gruppi della scena tricolore come Hypnotheticall, Sinastras e Hollow Haze.
Il loro sound riesce a fondere perfettamente più di un’anima progressiva, imprigionando in questi cinquanta minuti di musica intitolati Perceptions il progressive rock classico, quello aggressivo e tecnico del metal e quello emozionale del post rock.
L’album è un piacevole viaggio tra queste sfumature ed atmosfere, la band in modo raffinato ed intelligente non calca mai la mano su questa o quella ispirazione ma lascia che la musica fluisca libera, così che i passaggi dal rock progressivo a quello metallico non risultano mai forzati, al limite dettati da momenti di atmosferico rock che va dai King Crimson (Inner Tide ricorda gli splendidi momenti di pacata atmosfera dei brani che hanno fatto di In The Court Of The Crimson King uno degli album più belli della storia) ai Porcupine Tree (una delle tante concessioni all’era moderna del prog, insieme ai Pain Of Salvation ed ai più estremi Opeth).
Il resto è musica rock/metal d’alta scuola, progressiva e tecnica ma senza strafare, lasciando che siano i brani e le loro atmosfere a donare emozioni all’ascoltatore.
Da segnalare la prestazione di Nicolò Cantele, cantante che ricorda a tratti Damian Wilson, per diversi anni frontman dei Threshold, band che con i Dream Theater completa la parte metal della musica del gruppo, e di spessore le prestazioni degli musicisti coinvolti che valorizzano splendidi brani come Beyond The Line Of Being, la metallica Cyber Life o la classica The Puppets Gathering, a mio avviso il punto più alto di questo bellissimo album consigliato senza riserve a tutti gli amanti dei suoni progressivi.

Tracklist
01. Beyond The Line Of Being
02. Cyber Life
03. Alienation Deal
04. Stairs
05. The Puppets Gathering
06. Inner Tide
07. Fanciful Wonder
08. Seasons
09. Cosmic Box #9

Line-up
Nicolò Cantele – Vocals
Mirko Marchesini – Guitars
Mattia Cingano – Bass & Chapman Stick
Enrico Marchiotto – Keyboards & Synths
Francesco Tresca – Drums & percussions

WATERSHAPE – Facebook

Helrunar – Vanitas Vanitatvm

Ennesima prova di enorme spessore targata Helrunar, una garanzia di qualità e profondità che va ben oltre gli angusti confini del genere in cui la band tedesca viene incasellata.

Vanitas Vanitatvm è il quinto full length per gli Helrunar, band tedesca che con gli anni si è meritata una considerazione prossima allo status di culto, pur non essendo mai riuscita a sfondare nei confronti di un audience più ampi in ambito black metal.

Uno dei motivi è forse il fatto che il genere, nell’interpretazione di Marcel Dreckmann e Sebastian Körkemeier, è sempre stato contraddistinto da confini poco delineati; un bene per chi ritiene che il black sia un’ideale base di partenza per esplorare le pieghe più oscure del metal, un male per chi si vi si accosta con un atteggiamento dogmatico.
Con Vanitas Vanitatvm il duo di Munster abbandona certe pulsioni pagan che affioravano nei precedenti lavori, per approdare ad una forma più diretta ma pervasa sempre da una classe superiore: la mia predilezione nei confronti degli Helrunar deriva anche dall’ammirazione che nutro personalmente per un artista come Marcel Dreckmann, del quale ho apprezzato in passato l’operato sia con gli Árstíðir Lífsins, sia con il suo stupendo progetto folk Wöljager.
Dopo l’intro di prammatica, l’album parte sparato con l’ingannevole ferocia di Saturnus e della stessa Lotophagoi, prima che il suo finale ci regali i primi significativi spunti melodici di un lavoro che, con il procedere dei brani, diviene sempre più aperto a soluzioni trasversali al black.
Blutmond è un mid tempo solenne, avvolgente e ricco di sfumature, mentre Da brachen aus böse Blattern, am Menschen und am Vieh ha un incedere molto vario nervoso a livello ritmico; la carezzevole ed acustica title track prepara il terreno alla nuova sfuriata di In Eis und Nebel, canzone dotata di una linea melodica superba, ma è la successiva Nachzehrer ad esplicitare al meglio quali siano le caratteristiche peculiari degli Helrunar: un arpeggio cupo ed ossessivo esplode poi in un pesante riff, accompagnando il profondo recitato di Dreckmann, con lo schema che si ripete fino allo splendido finale che segue una estrema dichiarazione di amore morboso.
Questa lunga traccia, magnifica per potenziale evocativo ed eseguita in maniera a dir poco magistrale, viene seguita, quasi a contrastarne tali caratteristiche, dalla sferzante Als die Welt zur Nacht sich wandt, classico esempio del miglior black di scuola tedesca, con il suo perfetto equilibrio tra algida solennità e aperture melodiche, e ancora dal brano più lungo del lavoro, Necropolis, che nell’arco dei suoi quasi dieci minuti offre un caleidoscopico fluttuare all’interno del black death più evoluto.
In definitiva, siamo di fronte all’ennesima prova di enorme spessore targata Helrunar, una garanzia di qualità e profondità che va ben oltre gli angusti confini del genere in cui la band tedesca viene incasellata; continuo a ritenere che l’operato di questi due ottimi musicisti sia troppo spesso sottovalutato a favore di realtà più cool a livello di immagine o stilistico, ed è un peccato, perché Vanitas Vanitatvm è in assoluto uno dei migliori album ascoltati quest’anno, non solo in ambito black metal.

Tracklist:
1. Es ist ein sterbend Liecht
2. Saturnus
3. Lotophagoi
4. Blutmond
5. Da brachen aus böse Blattern, am Menschen und am Vieh
6. Vanitas Vanitatvm
7. In Eis und Nebel
8. Nachzehrer
9. Als die Welt zur Nacht sich wandt
10. Necropolis
11. Der Tag an dem das Meer seine Toten freigibt

Line-up:
MD – Vocals
SK – Chitarra, basso, batteria

HELRUNAR – Facebook

Tritonica – Disforia

Sì, siamo costantemente sull’orlo del precipizio, e solo una certa maniera di intendere la musica come hanno questi tre ragazzi può ancora liberare animo ed energia per portare avanti un discorso musicale fruttuoso.

I Tritonica sono un gruppo romano fondato nel 2016 e fautore di un noise post sludge math che è davvero una delizia ed una preghiera al dio dei tritoni, la più empia e blasfema figura musicale della storia.

Il gruppo è composto da tre studenti universitari, o da tre laureati, tre disoccupati, tre precari, la ripetizione del numero magico, accomunati dall’amore per la musica prog nel senso più esteso del termine, ovvero un qualcosa che vada oltre e non si fermi alle apparenze. La loro musica è felicemente inclassificabile e non per tutti anzi, chi si vuole avvicinare lo fa a suo rischio e pericolo. Disforia è un disco che esprime molto meglio il disagio e le fratture che viviamo. Un disco di musica totale che si dimena di fronte a noi, senza avere alcuna voglia di piacere, anzi si accetta meglio il dispiacere che il suo contrario. L’atmosfera qui perde le coordinate spazio temporali, e ci si immerge in un turbolento mare oppiaceo, con la tragedia che incombe ma che è al contempo una liberazione, il tutto con i modi di un Les Claypool più vario e meno cervellotico. I registri musicali del lavoro sono molteplici e non si viaggia in un’unica direzione, se non quella di essere distorti, e si canta o si suona e basta, ma sempre con un’identità ben precisa e soprattutto ben strutturata, che fa di Disforia un continuum con un senso solo se ascoltato tutto assieme o lasciandosi portare da lui. Sì, siamo costantemente sull’orlo del precipizio, e solo una certa maniera di intendere la musica come hanno questi tre ragazzi può ancora liberare animo ed energia per portare avanti un discorso musicale fruttuoso. I continui campi di tempo e di registro rendono questo disco un’esperienza che rientra in quella bellissima nouvelle vague noise ed altro che in Italia abbiamo sempre avuto e che offre tanti e succosi frutti underground. Disforia è corposo, vero e contundente là dove si vorrebbe che tutto andasse bene: ascoltatelo mentre vi cola l’ansia dentro il corpo.

Tracklist
1 al-Ghazali
2 Manjala
3 Zags in Bb
4 Alchimia del fato
5 Cronotopica
6 Coagula
7 Jimi
8 Semiramis
9Semiramide
10 Solve
11 Mimonesis

Line-up
Andrea El Khaloufi – Chitarra e Voce
Alfredo Rossi – Basso e Voce
Nicola Di Lisa – Batteria e Voce

TRITONICA – Facebook

Closer – Event Horizon

Un bellissimo lavoro di metal moderno, potente e melodico, ben costruito e ottimamente arrangiato, da parte di una band da tenere d’occhio.

Quello dei Closer è un metal moderno, fatto di potenza e di melodia, attento alle scelte timbriche e davvero molto ben suonato, oltre che ottimamente prodotto.

La band è nata a Verona nel 2011 ed è al secondo lavoro, dopo il debutto autoprodotto (My Last Day, 2014). I Closer suonano un heavy di rara intensità, spesso arricchito da inflessioni post-grunge – qualcuno ricorda i Chamber 69 dell’ex Coroner e Kreator Tommy Vetterli? – e molto epico, non lontano per capirci dagli Alter Bridge. Non ci sono letteralmente pause in Event Horizon e il disco scorre molto bene, in tutti i suoi dodici brani, con un ottimo songwriting e liriche non banali. I suoni sono squadrati e quasi geometrici, con basso e batteria che sostengono, puntualmente, il lavoro delle due chitarre. Un tappeto sonoro sul quale si staglia la bellissima voce di Simone Rossetto. Idee, qualità, belle armonie in stile Metallica, tocchi più moderni alla 30 Seconds to Mars e Nickelback arricchiscono questo come-back, di quelli da non lasciarsi davvero scappare.

Tracklist
1- Here I Am
2- Illusion
3- The Call
4- Mistakes
5- Battle Within
6- Beyond the Clouds
7- Wait For Me
8- Masquerade
9- Untouchable
10- Sand in Hand
11- Moments and Eternity
12- Event Horizon

Line-up
Simone Rossetto – Vocals
Andrea Bonomo – Guitars
Nicola Salvaro – Guitars
Manuel Stoppele – Bass
Danilo Di Michele – Drums

FINISTER

Il video di Lihìghter, dall’album Please, Take Your Time in uscita a ottobre (Red Cat Records).

Il video di Lihìghter, dall’album Please, Take Your Time in uscita a ottobre (Red Cat Records).

È in uscita il video di LIGHTER, nuovo singolo dei FINISTER. Il brano anticipa l’uscita del secondo album della band fiorentina, PLEASE, TAKE YOUR TIME, in uscita il 19 ottobre per Red Cat Records. Il disco, che vede la collaborazione del producer triphop di fama internazionale Howie B (U2, Bjork, Tricky), segue l’esordio discografico datato 2015 di Suburbs Of Mind (Red Cat/Audioglobe), apprezzatissimo dalla critica.

LIGHTER è il perfetto one way ticket per l’universo musicale dei FINISTER: sospeso tra riff di chitarra, arpeggiatori e ritmi quasi dance, il brano è un surreale incrocio di chitarre, echi e delay. L’ascoltatore viene trascinato dalla voce di Elia in un mondo di cui sembra essere custode, fatto di luci, di fiamme e di libertà: welcome my friends, the hangover of freedom is free!

Il video traduce visivamente l’atmosfera del brano. Colori, sfumature e ombre, intrecciandosi tra di loro, sono i contorni psichedelici di una realtà in cui perdersi: ad attenderci, i Finister.

“Lighter non ha un messaggio, né un significato particolare: è solo la descrizione a tratti ironica, di un festino surreale, una celebrazione satirica dell’apparenza e della libertà di fingere di essere chi si vuole. La voce è aggressiva, le chitarre distorte, ma nulla è reale, tutto un bluff.” (Finister)

CREDITS
Direzione ed editing di Katia Ganfield. Riprese presso The Brighton Studio (Brighton, UK).

CONTATTI BAND:
www.facebook.com/finisterband
http://www.youtube.com/Finisterchannel

Horrendous – Idol

Il death metal degli Horrendous non è di facile assimilazione, ma ad un ascolto attento, se da una parte può affiorare qualche piccolo difetto compositivo, dall’altra il rimanere nei canoni del genere di questi tempi è sicuramente un punto a favore per la band, ispirata da gruppi storici come Death e Morbid Angel.

Gli Horrendous sono una band statunitense attiva dal 2009 e dedita ad un ottimo death metal progressivo, legato ancora alla vecchia scuola e che non indugia in troppi svolazzi compositivi, lasciando a molte parti heavy il compito di vitalizzare un sound oscuro e tradizionale.

Il nuovo lavoro, intitolato Idol, si presenta dunque come un monolite di metal estremo di matrice death metal, impreziosito da ottime trame progressive che non vanno mai fuori tema, ma mantengono un approccio old school.
La tecnica ovviamente fa la sua parte con le ritmiche che vanno in crescendo, con passaggi intricati supportati dalle chitarre che, all’occorrenza, danno vita a notevoli strumentali di stampo classicamente heavy metal.
Il death metal degli Horrendous non è di facile assimilazione, ma ad un ascolto attento, se da una parte può affiorare qualche piccolo difetto compositivo, dall’altra il rimanere nei canoni del genere di questi tempi è sicuramente un punto a favore per la band, ispirata da gruppi storici come Death e Morbid Angel.
Tra i brani presenti, Soothsayer, The Idolater e la conclusiva Obolus fanno da sunto del credo musicale degli Horrendous, gruppo da seguire con attenzione nel vasto panorama del metal estremo underground.

Tracklist
1.…Prescience
2.Soothsayer
3.The Idolater
4.Golgothan Tongues
5.Divine Anhedonia
6.Devotion (Blood for Ink)
7.Threnody…
8.Obolus

Line-up
Jamie Knox – Drums
Damian Herring – Guitars, Vocals
Matt Knox – Guitars, Vocals
Alex Kulick – Bass

HORRENDOUS – Facebook

BLOODBATH

Il lyric video di Bloodicide, dall’album The Arrow Of Satan Is Drawn in uscita a ottobre (Peaceville Records).

Il lyric video di Bloodicide, dall’album The Arrow Of Satan Is Drawn in uscita a ottobre (Peaceville Records).

I Bloodbath, band di culto Svedese formata da membri di Paradise Lost, Katatonia, Opeth e Craft, ha appena pubblicato il lyric video di “Bloodicide” primo brano estratto dal nuovo studio album “The Arrow Of Satan Is Drawn in uscita il prossimo 26 Ottobre su Peaceville Records/Audioglobe

Guest star dell brano sono JEFF WALKER (CARCASS), KARL WILLETTS (BOLT THROWER) e JOHN WALKER (CANCER)

Il disco è stato registrato dai Bloodbath e da Karl Daniel Liden, nei Ghost Ward, City Of Glass & Tri-Lamb Studios, ed e il secondo album con Nick Holmes alla voce. The Arrow Of Satan Is Drawn, è una rappresentazione dello stato fetido e marcio in cui versa questo povero mondo, con i capi politici che minacciano guerre nucleari usando i 140 caratteri di twitter, dove il capitalismo si sta autodistruggendo, dove siamo tutti spiati e il cambiamento climatico sta distruggendo il pianeta. Tutto questo è la benzina che da vita alla nuova ode firmata dai Bloodbath.

La band sarà in Italia per un’unica data il 6 Dicembre all’Alcatraz di Milano insieme a KREATOR, DIMMU BORGIR E HATEBREED.

THE ARROW OF SATAN IS DRAWN TRACKLISTING

1. Fleischmann [03:38]

2. Bloodicide [04:56]

3. Wayward Samaritan[03:39]

4. Levitator[04:37]

5. Deader[04:06]

6. March Of The Crucifiers[04:05]

7. Morbid Antichrist[04:05]

8. Warhead Ritual[03:38]

9. Only The Dead Survive[05:06]

10. Chainsaw Lullaby [03:20]

Bonus Tracks on Ltd Edition CD & 7”

11. Ride The Waves Of Fire [03:48]

12. Wide Eyed Abandon[05:00]

Bloodbath are:

Old Nick – vocals

Blakkheim – guitar

Lord Seth – bass

Joakim – guitar

Axe – drums

Bloodbath online:

@BloodbathBand

Instagram: @officialbloodbath

http://bloodbath.biz/

Ivan – Memory

Memory è un lavoro che gli appassionati dovrebbero sicuramente provare ad ascoltare perché molti potrebbero restarne folgorati, a differenza di altri che saranno spinti ad archiviarlo dopo uno o due passaggi.

Ecco un’opera che mette a dura prova anche chi con il doom ha a che fare quotidianamente e che sicuramente non si fa scoraggiare né dalla lunghezza dei brani né, tanto meno, dal loro lento e penoso incedere.

Quello che rende oggettivamente complesso l’ascolto di Memory, terzo full length in tre anni per gli australiani Ivan, è la scelta di affidare in toto lo sviluppo melodico al violino, ottenendo risultati contrastanti e che, in quanto tali, dovrebbero ricevere riscontri di diversa natura.
Se è indubbiamente affascinante la soluzione adottata dal duo di Melboune, non si può altresì negare che questo, alla lunga, testa in maniera probante anche la resistenza degli ascoltatori più allenati, questo perché a mio parere il violino è uno strumento che in ambito doom metal andrebbe utilizzato sempre con un dosaggio molto oculato (come i primi My Dying Bride hanno insegnato).
I due lunghissimi brani, che vanno a sommare una durata vicina ai cinquanta minuti, sono praticamente simili, con lo strumento ad arco a delineare le sue laceranti linee melodiche, un growl che in sottofondo ci racconta tutta la propria riprovazione nei confronti dell’esistenza umana, e le chitarre che sostanzialmente delineano assieme alla base ritmica il battito di un cuore in procinto di fermarsi per sempre; fanno eccezione gli ultimi minuti di Time Is Lost, quando il connubio tra violino e chitarra diviene tangibile ed equilibrato, rendendo questa parte del lavoro la più evocativa e coinvolgente.
La sensazione straniante deriva dal fatto che in certi momenti il disco appare qualcosa di meravigliosamente struggente, mentre in altri affiora un’inevitabile stanchezza senza che, di fatto, intervengano elementi di discontinuità a provocare impressioni così discordanti.
Ascoltando Memory nelle sue parti iniziali sembra quasi d’essere al cospetto ad una versione funeral doom dei Dark Lunacy, ma soprattutto il termine di paragone più naturale potrebbero essere gli Ea, con la chitarra collocata però in secondo piano da un violino nettamente preponderante su tutto il resto.
Ed è così, comunque,che gli Ivan ottengono ciò che probabilmente si erano prefissati, ovvero quello di apparire una sorta di dolente orchestra che accompagna il defunto alla sua ultima dimora.
Tutte queste considerazioni mi spingono, a livello di consuntivo, ad apprezzare senz’altro quest’opera, mantenendo però più di una riserva sulla possibilità che possa essere oggetto di molti ascolti ininterrotti dalla prima all’ultima nota; in sintesi, le dolenti pennellate chitarristiche restano sempre la soluzione più indicata per indurre emozioni in ambito funeral/death doom.
Va anche aggiunto, a favore degli Ivan, che la ricerca di soluzioni maggiormente peculiari va a loro merito, tanto più che i progressi rispetto alle recedenti opere appaiono sensibili, per cui Memory è un lavoro che gli appassionati dovrebbero sicuramente provare ad ascoltare perché molti potrebbero restarne folgorati, a differenza di altri che saranno spinti ad archiviarlo dopo uno o due passaggi: io mi colloco a metà strada, ritenendo il tutto molto intrigante ma decisamente migliorabile nell’equilibrio delle sue componenti strumentali.

Tracklist:
1 Visions
2 Time Is Lost

Line-up:
Brod Wellington
Joseph Pap

IVAN – Facebook

The Moor – Jupiter’s Immigrants

L’album offre un progressive metal estremo e meravigliosamente moderno, un continuo susseguirsi di emozioni estreme come attitudine, sia quando il death metal si fa spazio tra lo spartito, sia quando le melodie hanno la meglio, mantenendo però un’atmosfera di evocativa tensione.

I The Moor licenziano dopo sei lunghi anni il loro secondo lavoro sulla lunga distanza intitolato Jupiter’s Immigrants, un album bellissimo ed emozionante dal taglio moderno e progressivo, estremo e melodico.

Guardando sempre a nord e alla penisola scandinava, la band veneta si è costruita una reputazione soprattutto oltre confine, ed anche questo nuovo lavoro risulta un’opera dal taglio internazionale, dal sound al lavoro dietro la consolle, per finire con gli illustri ospiti che hanno dato il loro contributo come special guest.
Mixato da Fredrik Nördstrom (In Flames, Powerwolf), accompagnato dalla copertina creata da Niklas Sundin (Dark tranquillity, Arch Enemy) e con la presenza di Michael Stanne nella title track e Niklas Isfeldt dei Dream Evil nella conclusiva Dark Ruler, Jupiter’s Immigrants letteralmente deflagra risultando un fiume in piena di note progressivamente metalliche, emozionanti e dirette, durissime e melodiche, rabbiose e struggenti.
L’album offre un progressive metal estremo e meravigliosamente moderno, un continuo susseguirsi di emozioni estreme come attitudine, sia quando il death metal si fa spazio tra lo spartito, sia quando le melodie hanno la meglio, mantenendo però un’atmosfera di evocativa tensione: una raccolta di brani che non lascia spazio ad alcun cedimento coinvolgendo in ogni singola parte l’ascoltatore, travolto dalla piena di questo fiume musicale.
Ottimo anche l’uso delle voci, splendide ed emozionanti quelle pulite, decise e perfettamente inserite nel contesto delle varie tracce quelle estreme: questo ottimo lavoro ha la sua patria musicale nella penisola scandinava, quindi avvicinatevi alle varie Lead The Difference, The Profiteer, Enthroned ed Odin Vs Jesus con la consapevolezza di essere al cospetto di una band nata in Italia ma adottata dalla scena nordica: Dark Tranquillity, Amorphis, Leprous, Soilwork, In Flames vengono idealmente racchiusi nello stesso spettacolare sound, fornendo un risultato davvero imperdibile.

Tracklist
1.Lead the Difference
2.Jupiter’s Immigrants
3.The Profiteer
4.Thousand Miles Away
5.Enthroned
6.Inception
7.Odin vs Jesus
8.The Alarmist
9.Dark Ruler

Line-up
Enrico Longhin – Vocals, Guitars
Andrea Livieri – Guitars
Massimo Cocchetto – Bass
Alberto Businari – Drums

THE MOOR – Facebook

AstorVoltaires – La Quintaesencia de Júpiter

Ascoltando La Quintaesencia de Júpiter si viene rapiti e il nostro cuore si apre insieme alle nostre sinapsi, rimanendo sospesi sopra una piccola grande opera d’arte, fatta da un uomo come noi ma con uno smisurato talento musicale e narrativo.

AstorVoltaires è il progetto solista di uno dei membri degli splendidi Mar De Grises cileni, un gruppo che meravigliò e migliorò la vita di molti di noi dal 2000 al 2013, con bellissimi dischi di doom/post rock sognanti e melanconici.

L’unico membro del gruppo è il cileno, ora trapiantato in Repubblica Ceca, Juan Escobar, appunto ex appartenente ai Mer De Grises e poi in moltissimi altri gruppi come Aphonic Threnody, Lapsus Dei, Arrant Sudade e altri. La sua straripante personalità musicale trova in questo progetto il suo definitivo compimento, dipingendo bellissimi affreschi di pace ed inquietudine, di sogni e di terribili incubi, con una fortissima luce bianca che abbaglia e scalda facendo stare bene, come in un’esperienza di premorte. Il quarto lavoro sulla lunga distanza di una carriera iniziata nel 2009, quando i Mar De Grises erano ancora attivi, è forse quello più completo e melanconico. Forte è l’impronta di gruppi come gli Anathema o i Katatonia, ed è anche presente il doom ed il post rock, il tutto miscelato attraverso la forza della neo classicità. Questo disco in un’epoca diversa dalla nostra sarebbe stato un dipinto, forse meglio una scultura marmorea da vedere attraverso le sue rifrazioni di luci, in un gioco di rimandi che porta lontano, lo stesso gioco che domina questo bellissimo lavoro, che ti bacia e ti accoltella allo stesso tempo, pensato e suonato con canoni assolutamente al di fuori di quelli normali del mercato e dell’intrattenimento. Vivere la poesia parlando di ciò che sta sopra e dentro di noi, così in alto come in basso, e attraverso una musica talmente bella e struggente da non sembrare vera ricongiungersi all’universo là fuori, e che è già dentro di noi. Ascoltando La Quintaesencia de Júpiter si viene rapiti e il nostro cuore si apre insieme alle nostre sinapsi, rimanendo sospesi sopra una piccola grande opera d’arte, fatta da un uomo come noi ma con uno smisurato talento musicale e narrativo. Il disco va sentito come preferite voi, ma regalategli del tempo, non ascoltando le tracce saltando da una all’altra, ma assaporate ciò che vi regala, il cosmo, il corpo umano, la gioia, la morte o il tenero bacio di un fantasma.

Tracklist
1.Manifiesto
2.Hoy
3.Un Gran Océano
4.Thrinakia: El Reino del Silencio
5.Un Nuevo Sol Naciente
6.Arrebol
7.La Quintaesencia de Júpiter
8.Más allá del Hiperboreo

Line-up
J:EscobarC

ASTORVOLTAIRES- Facebook

Krakow – Minus

Difficile posizionare perfettamente la musica dei Krakow in un genere definito, forse psych/progressive metal/rock è la definizione più vicina a quello che suona il quartetto norvegese, bravo nel saper unire le varie atmosfere ed ispirazioni in un unico e suggestivo sound.

I Krakow danno alle stampe il loro quinto album, sterzando verso sonorità a metà strada tra psych rock, progressive e metal estremo e confezionando un piccolo gioiello di musica non così scontata come si potrebbe pensare, specialmente se si considera la band norvegese una gruppo progressive moderno.

Il quartetto di Bergen ha condensato il materiale in poco più di mezzora di musica evocativa, psichedelica e dai tratti progressivi, ma lascia spazio pure a sonorità più cool come lo stoner per un risultato interessante.
In Minus, quindi, non ci sono riempitivi, la musica scorre su un letto psichedelico, creando atmosfere fuori dal tempo sferzate da venti progressivamente metallici; la parte estrema, rilevante nella notevole The Stranger, si contrappone ai momenti evocativi ed atmosferici, mai dilatati ma tenuti in tensione da un songwriting essenziale.
Phil Campbell è ospite gradito nell’opener Black Wandering Sun, in From Fire From Stone nuvoloni sludge appaiono all’orizzonte portando perturbazioni di stampo Neurosis, mentre è il doom/progressive che rende la title track il brano più riuscito dell’intero lavoro.
Difficile posizionare perfettamente la musica dei Krakow in un genere definito, forse psych/progressive metal/rock è la definizione più vicina a quello che suona il quartetto norvegese, bravo nel saper unire le varie atmosfere ed ispirazioni in un unico e suggestivo sound.

Tracklist
1. Black Wandering Sun
2. Sirens
3. The Stranger
4. From Fire, From Stone
5. Minus
6. Tidlaus

Line-up
Frode Kilvik – Bass, Vocals
René Misje – Guitar,Vocals
Kjartan Grønhaug – Guitar
Ask Ty Arctander – Drums

KRAKOW – Facebook

North Of South – New Latitudes

Trovare paragoni per quanto suonato in questo album è alquanto difficile, sicuramente New Latitudes troverà estimatori negli amanti del metal tecnico, del progressive moderno e di chi apprezza la musica underground di alto livello.

Davvero tanto carne al fuoco in questo esordio discografico targato North Of South, progetto solista del chitarrista e compositore spagnolo Chechu Gomez.

Le nuove latitudini musicale del nostro abbracciano una moltitudine di generi diversi uniti in un unico sound che, a dispetto, dell’enorme quantità di ispirazioni funziona, anche se l’orecchio che serve per apprezzare la musica di Gomez è di quello più aperto ad ogni esperienza uditiva.
New Latitudes risulta così un’esperienza di ascolto totale, passando dal metal al rock latino di Santana, dal jazz al pop, dal punk al progressive senza ovviamente dimenticare la tradizione spagnola nel suono della chitarra acustica, che emerge a tratti unendo le varie atmosfere che cambiano ad ogni nota.
Uno spartito in piena burrasca creativa, un mare in tempesta che porta a riva note stravolte su relitti di generi assolutamente distanti, mentre facilmente vengono in mente i maestri Cynic negli angoli strumentali che guardano al metal estremo.
Sono attimi, perché in brani originali come l’opener The Human Equation o Balance Paradox le intuizioni di Gomez portano a confondere l’ascoltatore travolto dalle onde create sul pentagramma di New Latitudes.
Anche in questo lavoro, la tecnica strumentale di livello assoluto viene messa al servizio delle già intricate canzoni, così che l’ascoltatore è portato a concentrarsi sui vari generi e cambi di atmosfere piuttosto che seguire evoluzioni fine a sé stesse.
Trovare paragoni per quanto suonato in questo album è alquanto difficile, sicuramente New Latitudes troverà estimatori negli amanti del metal tecnico, del progressive moderno e di chi apprezza la musica underground di alto livello.

Tracklist
01. The Human Equation
02. Nobody knows
03. Balanced Paradox
04. Before we die
05. Crystal Waters
06. There’s no Glamour in Death
07. Time will tell
08. Faith is not Hope
09. Montreux

Line-up
Chechu Gòmez – Guitars

NORTH OF SOUTH – Facebook

Fallen – Tout Est Silencieux

Come sempre l’abilità di Fallen risiede sostanzialmente nel non rendere la sua musica ambient eccessivamente minimale, riuscendo invece a conferirle un senso melodico, prefigurante una calma che viene però spesso screziata da rumori assortiti di sottofondo, quasi a volerci ricordare che proporre questo tipo di sonorità significa anche saper cogliere gli spunti che giungono dalla quotidianità.

Commentare le uscite targate Fallen (al secolo Lorenzo Bracaloni) sta diventando una piacevole consuetudine.

Il musicista toscano, a distanza relativamente breve dall’uscita del bellissimo Glimpses, ritorna con quest’album intitolato Tout Est Silencieux, edito dall’etichetta transalpina Triple Moon Records .
Forse anche per questo sia il titolo del lavoro che quello di tutti i brani è in lingua francese, un aspetto questo che ovviamente ha un valenza del tutto relativa, dato che si parla di musica ambient per sua natura del tutto strumentale.
Rispetto all’album precedente, che era volto all’evocazione di atmosfere e situazioni notturne, gli scostamenti sono minimi ma sufficienti, comunque, a farci sembrare le sonorità più consone a quella copertina in cui un uomo ed un cane paiono in procinto di essere avvolti e resi invisibili dalla nebbia
Come sempre l’abilità di Fallen risiede sostanzialmente nel non rendere la sua musica ambient eccessivamente minimale, riuscendo invece a conferirle un senso melodico, prefigurante una calma che viene però spesso screziata da rumori assortiti di sottofondo, quasi a volerci ricordare che proporre questo tipo di sonorità significa anche saper cogliere gli spunti che giungono dalla quotidianità.
L’intento di considerare ogni impulso colto dal nostro udito un elemento a suo modo musicale, benché non venga prodotto da uno strumento, non è certo una novità ma, a mio avviso, caratterizza non poco questo lavoro che come sempre non delude e anzi, aumenta ancor più le quotazioni di uno dei compositori più brillanti (e anche più prolifici) in circolazione oggi nel nostro paese in questo settore.

Tracklist:
01 la tempête dans le coeur
02 chèrement
03 mémoires du vent
04 la chanson des enfants
05 dans les rêves oublié
06 tout est silencieux

Line-up:
Fallen – piano, electric piano, guitars, synthesizers and field recordings

FALLEN – Facebook

Lady Maciste – Laut

I Lady Maciste si presentano agli amanti del genere con un sound diretto e live, con chitarra e batteria a formare un muro sonoro dal piglio stoner, ma non solo.

In questi ultimi anni il rock underground tricolore può vantare di una scena stoner di notevole qualità, con una serie di gruppi che ha fornito agli ascoltatori amanti delle sonorità desertiche album convincenti e di indubbio spessore, tanto che si potrebbe pensare al nostro paese come ad una delle appendici più importanti del sound made in Sky Valley.

Arrivano a scaldare ancora di più questo rovente ottobre i Lady Maciste, duo riminese composto dai fratelli Parma, Gian Luca (chitarra e voce) e Roberto (batteria), con il loro primo lavoro, un ep dal titolo Laut composto da sei brani di stoner rock, psichedelico e bluesy.
I due ex Akemi si presentano agli amanti del genere con un sound diretto e live, chitarra e batteria a formare un muro sonoro dal piglio stoner, ma non solo: tra le trame di brani potenti come l’opener Bruto, la roboante Devil Is My Bride o la introversa Gong, troviamo echi noise e grunge, una mistura sonora che dal rock americano degli anni novanta trova la sua origine, perdendosi nel deserto e ritrovandosi tra accordi di blues sporcato dalla psychedelia e dal punk (Ted Bundy).
L’ep dà il via a questa nuova avventura tutta in famiglia, con i fratelli Parma che riescono a riempire di note rock il sound con l’aiuto di soli due strumenti, un’attitudine diventata una piacevole costante tra le nuove leve dell’alternative rock.
Se vi piace il rock uscito dagli States nell’ultimo decennio del secolo scorso (Queen Of The Stone Age, Kyuss, Sleep e primi Nirvana) Laut è assolutamente consigliato.

Tracklist
1.Bruto
2.Pink
3.Devil Is My Bride
4. Gong
5. Ted Bundy
6. Just A KId

Line-up
Gian Luca Parma – Guitars, Vocals
Roberto Parma – Drums

LADY MACISTE – Facebook

Opera Oscura – Disincanto

Stupendo disco di dark metal progressivo, sinfonico e classicheggiante, intriso di lirismo e con parti toccanti di voce e piano

Gli italiani Opera Oscura propongono un interessante e riuscito prog venato di metal, che si esprime attraverso la costruzione sonora di belle e ricercate atmosfere, non prive – come anticipa il nome del gruppo – della giusta dose di oscurità (mai tetra, peraltro). Stile e suoni sono piuttosto moderni, con un’ottima produzione di supporto, e valide qualità tecniche messe in mostra dai musicisti.

Anche se la componente progressive appare essere più marcata, rispetto a quella di matrice invece più heavy, non dubitiamo che gli amanti dei Dream Theater più liquidi e dei Queensryche più intimistici potranno, senz’altro, apprezzare questo lavoro. A tratti, possono venire in mente i passaggi più melodici dei tedeschi Ivanhoe – metà anni Novanta, altri tempi – che furono abili e pionieristici nel sapere abilmente mixare soluzioni dal gusto fortemente sinfonico e passaggi maggiormente duri. Tuttavia, qui il contesto è infinitamente più classicheggiante, con massicce e meravigliose parti di pianoforte e una voce femminile da brividi, non senza una ragguardevole eleganza e raffinatezza, che i brani di Disincanto fanno apprezzare di sé in sede sia compositiva, sia esecutiva. Gli Opera Oscura aggiornano, dunque, le formule del rock progressivo, evitando sterili e vuoti virtuosismi fini a se stessi, guardando sia alla forma sia in particolare alla sostanza e trovando un riuscitissimo connubio ed equilibrio artistico tra le due. Il che non è certo poco e si traduce in un altro punto a favore del CD in questione, intriso oltretutto di opportuni quanto apprezzabili umori di matrice dark rock, immaginifico e cinematografico. Nei brani degli Opera Oscura troviamo, altresì, squarci operistici, oscurità strumentali, giochi musicali di luce e ombra, testi teatrali, con un’onirica dolcezza che si sposa ad un pathos a volte prossimo a quello del drama rock più colto.

Tracklist
1- A picco sul mare
2- La metamorfosi dei sogni
3- Il canto di Sirin
4- Pioggia nel deserto
5- Gaza
6- Dopo la guerra
7- Resti

Line-up
Alessandro Evangelisti – piano / tastiere
Francesco Grammatico – programmazione / basso
Umberto Maria Lupo – batteria
Serena Stanzani – voce
Francesca Palamidessi – voce
Alfredo Gargaro – chitarre
Leonardo Giuntini – basso
Andrea Magliocchetti – chitarra classica

OPERA OSCURA – Facebook

IBRIDOMA

Il video di “Sadness Comes”, dall’album “City of Ruins” in uscita ad ottobre (Punishment 18 Records).

Il video di “Sadness Comes”, dall’album “City of Ruins” in uscita ad ottobre (Punishment 18 Records).

“City of Ruins”, the new album from Italian metallers IBRIDOMA will come out on October 27th by Punishment 18 Records. Today the band has released a new video for the song “Sadness Comes”, which is the first track of the album. Watch it here: https://www.youtube.com/watch?v=SYYiMfa7ZY8

The full-length “City of Ruins” was mixed at Domination Studio by Simone Mularoni (DGM, Elvenking, Injury, Bulldozer, Labÿrinth). The album coverart was created by Gustavo Sazes (Kamelot, Amaranthe).

“City of Ruins” tracklist:
01. Sandness Comes
02. Evil Wind
03. T.F.U.
04. Di Nuovo Inverno
05. City Of Ruins
06. Angel Of War
07. My Nightmares
08. Fragile
09. Terminator
10. I’m Broken

More information at:
http://www.ibridoma.com
http://www.facebook.com/ibridomaofficial