Alice Cooper – A Paranormal Evening – Live at the Olympia, Paris

Un live di Alice Cooper è soprattutto teatro, ma questa volta la parte visiva passa in secondo piano e lascia alla musica l’onore di celebrare una epopea musicale travolgente con le sole imperdibili uscite in doppio cd e vinile.

Ennesima celebrazione per quella leggenda vivente che di nome fa Vincent Damon Furnier ma che tutti conoscono nei panni di Alice Cooper, da quarant’anni uno degli artisti più amati della storia del rock e del metal.

Le vicende personali e la sua storia artistica fanno parte integrante del nostro mondo e fa piacere trovare la strega Alice ancora in ottima forma a settant’anni suonati, con un nuovo album licenziato lo scorso anno (Paranormal) e ora questo live che ne immortala le gesta nello show tenuto all’Olympia di Parigi.
Ritrovata una nuova giovinezza con la partecipazione nella super band Hollywood Vampires e altre collaborazioni, lo zio Alice non ci pensa neppure ad abdicare tenendosi ben stretta la corona di sovrano del rock teatrale e granguignolesco che egli stesso ha portato al successo con live spettacolari e album che sono scritti a caratteri cubitali nella storia del rock.
Rock’n’roll, hard rock, glam, heavy metal: Alice Cooper ha dettato le regole di questi generi, li ha modellati a suo piacimento e ci ha costruito sopra una carriera inimitabile diventando un’ispirazione primaria per generazioni di musicisti.
A Paranormal Evening At The Olympia Paris segue un programma ben collaudato, con una scaletta perfetta tra grandi classici e nuovi brani che ripercorrono la carriera di questo grande artista.
Per chi, almeno una volta, ha visto Alice Cooper dal vivo sa che la spettacolarità dell’evento è pari alla lista di grandi canzoni di cui l’artista statunitense dispone: I’m Eighteen, Under My Wheels, School’s Out, No More Mr. Nice Guy, Billion Dollar Babies, Poison, fino alle più moderne Brutal Planet e Woman Of Mass Destruction.
La band, composta da Nita Strauss, Tommy Henriksen e Ryan Roxie alle chitarre, dal bassista Chuck Garric e dal batterista Glen Sobel, asseconda con perizia i vari passaggi imposti dai generi che Cooper tocca con la sua musica, potenti quando serve, classicamente heavy e perfetti nel rock energico di cui si compongono le tracce più datate.
Un live di Alice Cooper è soprattutto teatro, ma questa volta la parte visiva passa in secondo piano e lascia alla musica l’onore di celebrare una epopea musicale travolgente con le sole imperdibili uscite in doppio cd e vinile.

Tracklist
CD1
1. Brutal Planet
2. No More Mr. Nice Guy
3. Under My Wheels
4. Department Of Youth
5. Pain
6. Billion Dollar Babies
7. The World Needs Guts
8. Woman Of Mass Distraction
9. Poison
10. Halo Of Flies
CD2
1. Feed My Frankenstein
2. Cold Ethyl
3. Only Women Bleed
4. Paranoiac Personality
5. Ballad Of Dwight Fry
6. Killer / I Love The Dead themes
7. I’m Eighteen
8. School’s Out

Line-up
Alice Cooper – Vocals
Nita Strauss – Guitars
Tommy Henriksen – Guitars
Ryan Roxie – Guitars
Chuck Garric – Bass
Glen Sobel – Drums

ALICE COOPER – Facebook

Autoblastindog – Pornophorno

PornoPhorno è un disco grind hardcore molto free e quasi jazz, che taglia in profondità la carne grassa e dopata di questa inutile realtà, piena zeppa di orpelli del nulla.

Questo disco ha la migliore intro del mondo, ovvero Cicciolina aka Ilona Staller che illustra il suo programma elettorale che dice, tra l’altro,”di lottare con tutte le nostre forze contro la criminalità organizzata, ma facciamolo con tutto il nostro amore”.

E dopo questo inizio geniale c’è un disco molto bello e che come fa spessissimo il grindcore/hardcore centra benissimo il punto, meglio di tanti trattati e super cazzole varie che scrive il vostro guru di fiducia. Gli Autoblastindog sono di Grosseto e dintorni e hanno capito benissimo come va il Belpaese, dove le macchine volano giù dai viadotti e si parla di progresso, e Dio ci guarda sempre bonario per un buon 5 x mille o quel che cazzo è. Questo è il loro secondo disco, il primo si chiama Batracomiomachia e lo potete trovare in download libero sul loro bandcamp, anche se è doveroso donare dei fondi a questi ragazzi assetati. A parte le facezie, questo disco è uno scrigno che contiene tanti tesori, ogni canzone a partire dai titoli geniali ha in sé qualcosa di fantastico ed entusiasmante, perché questa realtà quotidiana è talmente sconfortante che quando te la sbattono in faccia alla maniera del gruppo toscano ti viene fin da ridere, mentre tutto intorno caga sangue.
PornoPhorno è un disco grind hardcore molto free e quasi jazz (si dice così quando si va a cazzo però si sa dove si vuole andare, o almeno lo si sapeva), che taglia in profondità la carne grassa e dopata di questa inutile realtà, piena zeppa di orpelli del nulla. L’album non è solo pars distruens ma anche è anche dare testate contro il muro a ritmo di chitarre distorte e batterie impetuose, che è poi un gran bel destino. Uno dei migliori dischi del cosiddetto underground italiano, in cui ogni secondo è da ascoltare nell’attesa di diventare anziani e cacarsi addosso in piena libertà.

Tracklist
1.La morte di Eraclito
2.Italia’s got Amen
3.Stairway to ENEL
4.M’asciuga
5….e il Sommo decadde
6.Luddismo mon amour
7.Selfie=Sega
8.L’attore Porno
9.Gli oscuri segreti di Eternia
10.Tattakkialkazzo
11.#soppartito
12.Diffusa illegalità e confusione religiosa
13.Vulvevolvendo
14.S.C.C. (Sodomia CULturale cOllettiva)

Line-up
Guerra – Berci, fiatella ed effetti ganzi
Andrea – Chitarre sbagliate
Isacco – Bassi a manetta
Ale – Batterismi ingannevoli

AUTOBLASTINGDOG – Facebook

HARDCORE SUPERSTAR

Il video di “AD/HD”, dall’album “You Can’t Kill My Rock ‘N Roll” in uscita a fine settembre (Gain Music/Sony).

Il video di “AD/HD”, dall’album “You Can’t Kill My Rock ‘N Roll” in uscita a fine settembre (Gain Music/Sony).

Gli HARDCORE SUPERSTAR presentano il video di “AD/HD”, ultimo esplosivo singolo della band disponibile su tutte le piattaforme digitali.

“AD/HD” è un brano potente, destinato a scuotere le mura dei club e a far muovere il pubblico, che non potrà fare a meno di fare headbanging, alzare i pugni al cielo e cantare a squarciagola.
Il nuovo singolo sarà seguito dall’uscita dell’undicesimo album della band “You Can’t Kill My Rock ‘N Roll” il 21 settembre. Le prime recensioni dei media rock europei sono entusiastiche e accompagnate da numerosi articoli e interviste.

I plausi della critica e il successo radiofonico ricevuti dall’album e dai singoli hanno spinto la band a fissare altre date e a tornare in Australia per la prima volta dopo dieci anni.

Il 2018 segna il ventesimo anniversario della band e i festeggiamenti includeranno una serie di eventi molto speciali. Restate sintonizzati!

Void Rot – Consumed To Oblivion

Tre brani, benché brevi per le abitudini consolidate del genere, rivelano la maestria compositiva con la quale i Void Rot manipolano la materia rendendola avvincente per l’appassionato dal primo all’ultimo minuto.

Dai sempre più preziosi scrigni della Everlasting Spew sbuca questa temibile creatura denominata Void Rot, dedita ad un death doom la cui oscurità risulta quasi impossibile da squarciare.

Consumed To Oblivion è stato appena pubblicato dall’etichetta italiana in sinergia con la Sentient Ruin Laboratories (che si occupa dell’uscita nel formato tape): si tratta di un ep che, sia pure con i suoi soli quindici minuti, colloca di diritto la band di Minneapolis tra le migliori realtà emergenti del genere.
Il death doom dei Void Rot prende le mosse dalla sempre fondamentale scuola finlandese, anche se tra le varie citazioni in sede biografica vengono menzionati anche i connazionali Spectral Voice, ed in effetti gli autori del magnifico Eroded Corridors of Unbeing paiono costituire un naturale punto di riferimento per i nostri.
I tre brani, oggettivamente brevi per le abitudini consolidate del genere, rivelano la maestria compositiva con la quale questi quattro ragazzi manipolano la materia rendendola avvincente per l’appassionato dal primo all’ultimo minuto. La title track è davvero un esempio di come i Void Rot interpretino il death doom: un suono rombante e ribassato, che non disdegna qualche accelerazione ritmica mantenendo sempre alta la tensione e l’attitudine morbosa.
Una prova magnifica per una band che ha già fin d’ora le carte in regola per lasciare il segno con un auspicabile prossimo full length.

Tracklist:
1.Ancient Seed
2.Consumed By Oblivion
3.Celestial Plague

Line-up:
Will Bell – Drums
John Hancock – Guitars, Vocals
Craig Clemons – Bass
Kent Sklarow – Guitars

VOID ROT – Facebook

Ultraphonix – Original Human Music

Original Human Music risulta un ottimo lavoro, perché quando artisti di questo spessore si mettono in gioco c’è sempre da divertirsi.

Nel mondo del rock e del metal ne succedono di tutti i colori: con buona pace degli ascoltatori e dei fans accaniti di questo e quel genere gli artisti mettono al servizio di altri musicisti il loro talento ed esperienze o semplicemente collaborano, anche se, come in questo caso uno si chiama George Lynch, chitarrista dei leggendari Dokken, e l’altro è Corey Glover, voce carismatica dei non meno noti Living Colour.

Il metal classico anni ottanta incontra quello crossover del decennio successivo: un’affermazione che potrebbe apparire scontata (anche perché la storia dei due grani artisti e musicisti statunitensi non si ferma solo ai due gruppi citati), ma è indubbio che il nome delle due band citate faccia parte, più di altre esperienze vissute da Glover e Linch, della storia del metal/rock e siano pure le più lontane tra loro come approccio ed attitudine.
Diciamo subito che il progetto Ultraphonix è molto più vicino al background del cantante che del chitarrista, quindi in Original Human Music è Lynch a mettersi al servizio di un Glover debordante, sia nei brani in cui il funky prende il comando del sound, sia quelli in cui l’alternative metal ed il blues fanno la loro comparsa, più o meno evidente.
La sensazione è di essere al cospetto di una band vera, sanguigna e maledettamente coinvolgente, anche se il talento metallico di Lynch è forse leggermente soffocato dalla sound e dalla personalità del grande singer di colore.
Accompagnata da Pancho Tomaselli al basso e Chris Moore alla batteria, la coppia forma una band superlativa e l’album ne risente positivamente offrendo una raccolta di brani di crossover/rock/metal/funky/blues d’autore, con picchi qualitativi altissimi (Walk Run Crawl, Counter Culture e Free) tra i quali non manca qualche piccola caduta (Wasteland) o brani che scivolano ordinari ma illuminati dalla classe dei due leader (Take A Stand, What You Say).
Original Human Music risulta un ottimo lavoro, perché quando artisti di questo spessore si mettono in gioco c’è sempre da divertirsi: da non perdere assolutamente specialmente se siete amanti del crossover rock!

Tracklist
01. Baptism
02. Another Day
03. Walk Run Crawl
04. Counter Culture
05. Heart Full Of Rain
06. Free
07. Wasteland
08. Take A Stand
09. Ain’t Too Late
10. Soul Control
11. What You Say
12. Power Trip

Line-up
Corey Glover – Vocals
George Lynch – Guitars
Pancho Tomaselli – Bass
Chris Moore – Drums

ULTRAPHONIX – Facebook

Thecodontion – Thecodontia

Prima demotape del duo laziale di Ladispoli dedito ad un black/death sperimentale. La totale assenza di chitarre potrebbe incuriosire molti, fare arretrare inorriditi alcuni, ma sicuramente ingolosire i più intransigenti collaudatori di nuovi sound.

Affrontare l’ascolto di un prodotto, nel quale dichiaratamente la band esclude la presenza di uno strumento fondamentale (almeno nel genere proposto dal duo laziale, ossia black death metal), appare fin da principio impresa ardua, figuriamoci recensirlo!
Ma andiamo per gradi.

I Thecodontion sono un duo che arriva da Roma (Ladispoli): autodefiniscono il proprio genere “Prehistoric metal of war”, intendendo fin da subito proiettare l’ascoltatore in un era preistorica ben definita (il Permiano), così antica, che i conosciuti dinosauri – a cui ci siamo tanto affezionati grazie ai vari Jurassic Park (?!) – non esistevano ancora. Siamo nell’era degli arcosauri, più precisamente dei Ticodonti (da cui prendono nome e cognome band e demotape) ossia gli antenati rettiliani dei dinosauri.
L’idea di utilizzare unicamente due bassi distorti (in aggiunta, un terzo per gli “assoli”, e tutti suonati senza ausilio di picks), batteria e parti vocali, deriva – sostengono i nostri – da un profondo desiderio di sperimentazione (ad onore del vero, già parecchio è stato fatto in ambito noise), vocato a sonorità primitive e tribali. Un lavoro sicuramente molto impegnativo; basti pensare alla difficoltà – soprattutto per un genere come l’estremo – di non far sentire la mancanza di uno strumento fondamentale come la chitarra.
In effetti, sin da un primissimo ascolto, le pazzesche distorsioni dei loro bassi creano un sound davvero primordiale – a tratti raw – e l’assenza delle chitarre passa forse un attimo inosservata.
Il primo brano Desmatosuchus Spurensis (Linked Loricata of Spur), appare come un primo grezzo lavoro dei Celtic Frost (Morbid Tales, per intenderci) suonato in modo molto ruvido, senza fronzoli, dal quale è stato depredato ogni qualsivoglia spunto di melodia. Persino la voce di Heliogabalus ricorda lontanamente quella di Mr. G.Warrior. I ritmi incalzanti di tutti i 4 pezzi e i bass effects, possono davvero riportarci a quel lontano (svizzero) 1984. Ovviamente i paragoni non devono trarre in inganno, (Morbid Tales è, rimane e sarà per sempre, uno di quei capolavori che hanno segnato un’epoca); in questo caso, ci servono unicamente per dare un’idea di quanto avessero in mente Heliogabalus e Stilgar (Basso) quando presero questa coraggiosa decisione: provare a fare qualcosa di nuovo, di sconvolgente e di assurdamente “differente”, ma partendo da basi ben note e conosciute.
Via via che si procede all’ascolto, l’assenza del guitar sound appare sempre più evidente, e l’incedere dei due/tre bassi può portare qualche volta ad una sensazione di privazione sonora, ad un’emozione di negativa carenza da riff ed assoli. Il brano successivo Erythrosuchidae (Vermillion Digigrade), non varia molto dal predecessore, se non per un paio di momenti che ricordano tanto i momenti più groove del blast beat dei primi anni ’80 (D.R.I., Repulsion e S.O.D. per intenderci).
Nel terzo brano – Longisquama Insignis (Skeletal Analysis of a Kyrgyz Diapsid), una sonorità più death fa da padrona; emerge sicuramente anche l’interesse dei nostri per il war metal di band quali Blasphemy, Teitanblood e Archgoat (e prima ancora Sarcofago e altri gruppi della scena brasiliana di quel tempo); ovviamente i riff black, gli accordi tipici del death e le atmosfere guerresche qui sono chimere. Non esistono i dualistici accordi tipici del riff death, ma unicamente il monismo sonoro del basso.
Il drumming – in quasi tutto il demo – non conosce soste. Una raffica di mitra che accompagna le “grattugiate” dei bassi, senza quasi intervalli, senza quasi alcuna interruzione; un treno diretto che non ferma in stazioni intermedie.
L’ultimo brano – Stagonolepis (Robertsoni/Wellesi/Olenkae) – è un po’ un’eccezione, con diversi stop’n’go schizoidi, segnati da distorti assoli di basso (il famoso terzo basso, di cui si parlava all’inizio), che ne dettano ripartenze e brusche fermate. Una produzione sicuramente difettante (è comunque una demo) e un sound molto spesso accostabile al noise, non favorisce di certo la distinzione dei passaggi tra up-mid-down tempo, rendendo il tutto non troppo distinguibile e spesso poco accessibile.
In definitiva, la curiosità nasce e muore dopo l’ascolto di una demo coraggiosa, che sicuramente scontenterà i più tradizionalisti, ma che forse troverà negli sperimentalisti i loro maggiori fan. Interessante potrebbe essere scoprire come il duo laziale possa sostenere il gran peso della loro piccola rivoluzione in un full length.

Tracklist
1.Desmatosuchus Spurensis (Linked Loricata of Spur)
2.Erythrosuchidae (Vermillion Digigrade)
3.Longisquama Insignis (Skeletal Analysis of a Kyrgyz Diapsid)
4.Stagonolepis (Robertsoni/Wellesi/Olenkae)

Line-up
Heliogabalus – Vocals
Stilgar – Bass

THECODONTION – Facebook

Wombripper – From The Depths Of Flesh

I Wombripper sorprendon con questo ottimo e devastante lavoro, fatto di un death metal vecchia scuola di matrice nord europea: un pezzo di granito estremo che vi seppellirà sotto una valanga di note.

Una devastante prova di forza estrema arriva dalla madre Russia con il primo full length dei Wombripper, band attiva dal 2012 e che fino ad ora aveva dato alle stampe un demo, un ep, ed uno split con i colleghi Torn Apart.

Passato un anno, la band torna con questo massacro intitolato From The Depths Of Flesh, una mazzata old school senza compromessi violentissima, feroce ed ispirata allo swedish death metal.
Scuola nordica, dunque, per i Wombripper i quali, senza timori reverenziali travolgono, distruggono e schiacciano tutto quanto si para di fronte, con un lotto di brani che risultano pura violenza in musica.
Le chitarre sanguinano, mentre i riff di scuola Entombed/Dismember provocano terremoti e la distruzione si concretizza con una serie di brani che ha nella coppia Restless e The Suicidal Recreation un perfetto esempio di death metal scandinavo.
Niente di nuovo quindi, ma una scarica di adrenalinica violenza che non ha pause nei suoi quaranta minuti di durata, valorizzata dalla terza splendida traccia del lotto, Godless Slaughter (In The Name Of Doom), mastodontica death metal song potenziata da un tellurico e melodico riff.
Quello che ad oggi è un trio, proveniente da Nizhny Novgorod, sorprende con questo ottimo e devastante lavoro, fatto di un death metal vecchia scuola di matrice nord europea: un pezzo di granito estremo che vi seppellirà sotto una valanga di note.

Tracklist
1.Still Unborn
2.Immolation Rites
3.Torn By The Nails
4.Frantic Exhumation
5.Restless
6.The Suicidal Recreation
7.Locked In The Iced Coffin
8.Godless Slaughter (In The Name Of Doom)
9.Prenatal Death

Line-up
Dan – Guitars, Vocals
Ivan – Guitars
A.V – Drums

WOMBRIPPER – Facebook

Haunt – Burst Into Flame

Il gruppo statunitense segue pedissequamente i cliché dell’heavy metal suonato dalle band storiche, ma si guadagna la promozione piena grazie ad un songwriting che dà vita ad un lotto di brani piacevoli, sicuramente perfetti per smuovere nostalgicamente gli appassionati meno giovani.

Debuttano sulla lunga distanza gli americani Haunt, quartetto proveniente da Fresno in California e con alle spalle l’ep Luminous Eyes licenziato lo scorso anno.

Nati come progetto solista del chitarrista, bassista e cantante Trevor William Church, in coppia con il batterista Daniel “Wolfy” Wilson, ed in seguito raggiunti dal bassista Matthew Wilhoit e dal chitarrista John William Tucker, gli Haunt danno vita ad un classico album heavy metal dai rimandi old school, un tuffo nella NWOBHM dei primi anni ottanta, anche se nati nell’assolata California.
Metal classico, dunque, ruggente e granitico, pregno di crescendo melodici, ritmiche in stile Saxon e duetti chitarristici dai rimandi maideniani: il sound degli Haunt è tutto qui, un perfetto esempio di hard & heavy tradizionale, roccioso e melodico.
Ovviamente non esiste originalità nella musica del gruppo statunitense, che segue pedissequamente i cliché dell’heavy metal suonato dalle band storiche di cui sopra, ma si guadagna la promozione piena grazie ad un songwriting che dà vita ad un lotto di brani piacevoli, sicuramente perfetti per smuovere nostalgicamente gli appassionati meno giovani.
Burst Into Flame, licenziato dalla Shadow Kingdom Records, risulta così un buon album, inadatto a chi è affascinati dai suoni più cool di questa prima parte del nuovo millennio, perché gli Haunt si alleano alle truppe sassoni e vi tortureranno con la vergine di ferro, siete avvisati.

Tracklist
01. Burst Into Flame
02. Crystal Ball
03. Reflectors
04. My Mirage
05. Wanderlust
06. Frozen In Time
07. Heroes
08. Can’t Get Back
09. Looking Glass

Line-up
Daniel “Wolfy” Wilson – Drums
Trevor William Church – Vocals, Guitar, Bass
Matthew Wilhoit – Bass
John William Tucker – Guitars

HAUNT – Facebook

Tamarisk – The Ascension Tape

Nastro di culto, da parte di uno sfortunato ma pionieristico gruppo inglese, tra i primissimi a lanciare il new progressive britannico a inizio degli Eighties.

Il new prog inglese inaugurato ufficialmente nel 1983 dai debutti sulla lunga distanza di Marillion e IQ nasce in realtà alla fine degli anni Settanta, con il desiderio di riproporre in forma aggiornata le sonorità del rock sinfonico nato al principio del decennio precedente.

Tra il 1978 e il 1979 nascono i grandiosi Twelfth Night, per certi aspetti i Van Der Graaf degli anni Ottanta. Nel 1981, escono poi i primi dischi dei francesi Edhels, dei norvegesi Kerrs Pink (tra Camel e Pink Floyd) e degli olandesi Light, mentre i Lens (primo nucleo degli IQ) ripropongono e modernizzano certo space progressive, con il loro primo ed unico nastro, Seven Stories Into Eight. La scena londinese è anch’essa in pieno fermento: dal nord-est della capitale inglese, giungono i Tamarisk. Nel 1982, incidono il loro primo demo, The Ascension Tape: solo tre composizioni, ma di eccellente qualità e molto rappresentative del nascente movimento e della declinazione artistica che il Regno Unito inizia a fornirne. Riusciti intrecci di chitarra fluida e tastiere pompose, ottimo gusto, raffinatezza e melodia, azzeccati inserti più hard rock – in anticipo di tre anni sul gioiello medievaleggiante Different Breed dei Beltane Fire – contribuiscono a codificare l’approccio stilistico dei Tamarisk. L’anno seguente il quintetto inglese registra una seconda cassetta, Lost Properties, nuovamente di tre pezzi. A quel punto, il materiale per realizzare un LP c’è, ma il contratto non arriva e la band si scioglie. Dalle sue ceneri nasceranno i Dagaband – una sorta di ELP in versione più hard – e successivamente Quasar (attivi tra il 1984 ed il 1988, autori di due splendidi dischi: lo storico Fire in the Sky e Lorelei) e Landmarq, questi ultimi tutt’ora sulla breccia, dal vivo in particolare. Membri dei Tamarisk, inoltre, hanno poi lavorato con i Jadis e gli Enid del grande keyboards-player Robert Godfrey. Oggi, chi volesse risalire alle origini del new prog albionico riascoltando i Tamarisk non deve più fare molta fatica: tutte le incisioni del gruppo, finalmente, sono state riversate su compact disc prima con il titolo di Frozen in Time (2012) e quindi – risuonate per l’occasione, del tutto remixate e rimasterizzate – come Breaking the Chains, pubblicato proprio quest’anno dalla Cult Metal Classics assumendo come titolo quello del migliore brano di Ascension Tape.

Tracklist
– Ascension
– Christmas Carol
– Breaking the Chains

Line up
Andy Grant – Vocals
Richard Harris – Drums
Steve Leigh – Keyboards
Peter Munday – Guitars
Mark Orbell – Bass

1984 Autoprodotto

DEATH SS

Il video della title track dell’album “Rock ‘N’ Roll Armageddon” (Lucifer Rising).

Il video della title track dell’album “Rock ‘N’ Roll Armageddon” (Lucifer Rising).

Rock Hard – 8/10
“La capacità di saper scrivere dei brani e saperli interpretare secondo uno stile pressoché unico”

Metalitalia.com – 8/10 HOT ALBUM
“Uno dei grandi pregi di questo lavoro è proprio la freschezza delle composizioni”

Classic Rock – 8/10
“Se il mondo fosse un posto giusto, questa non dovrebbe essere solo una cult band”

Mancano poche ore alla pubblicazione del nuovo album “Rock ‘N’ Roll Armageddon” dei DEATH SS. Per anticipare questa nuova e nona uscita la band ha reso disponibile l’anteprima di tutto il disco.

Ricordiamo che l’album sarà pubblicato il 7 settembre 2018 su Lucifer Rising Records. Disponibile il video della titletrack. Il singolo è disponibile anche su iTunes e Spotify

Il disco è il seguito di “Resurrection” del 2013 e del live “Beyond Resurrection” del 2017 e sarà disponibile in CD digipak, 2LP viola con poster e in digitale.

Sull’album in veste di special guest ci sarà Al Priest, il chitarrista originario dei DEATH SS già presente sull’iconico album “Heavy Demons” e presente anche allo show del quarantennale del Metalitalia.com Festival.
L’artwork è stato curato da Alex Horley, illustratore di Rob Zombie, Dark Horse Comics, DC Comics ecc..

Tracklist:
Black Soul (4:44)
Rock ‘N’ Roll Armageddon (3:57)
Hellish Knights (4:33)
Slaughterhouse (3:45)
Creature Of The Night (5:57)
Madness Of Love (4:56)
Promised Land (3:07)
Zombie Massacre (3:42)
The Fourth Reich (3:46)
Witches Dance (4:04)
Your Life Is Now (4:44)
The Glory Of The Hawk (3:55)
Forever (4:26)

Krypta – The Name / Omerta

Per i Krypta un inizio incoraggiante, ovviamente con tutte le riserve e le incognite derivanti da una proposta dal minutaggio così ridotto.

Primo passo discografico per questa band ucraina formata da ben sette elementi.

Il frutto di questo spiegamento di forze è un demo composto da due brani, intitolati The Name e Omerta.
Bisogna dire che il gusto melodico esibito dai nostri è davvero notevole e, pur senza inventare chissà che cosa, le due canzoni si fanno ascoltare piacevolmente, grazie anche al contrasto tra il growl sgraziato e la voce stentorea (anche troppo, specie in The Name), ma non stucchevolmente lirica della brava violinista Tetyana.
Il gothic doom dei Krypta si dimostra all’altezza della situazione in virtù di un songwriting che non dimentica il fine ultimo del genere, che è ovviamente il suo essere di grande impatto emotivo.
Le due tracce sono piuttosto omologhe, anche se The Name appare più sognante e meglio delineata a livello melodico, mentre Omerta è un po’ più ruvida ma non meno efficace, grazie al bel lavoro violinistico nella fase centrale.
Da rivedere il growl di Roma e la voce di Tetyana, perché entrambi, quando forzano in maniera eccessiva, rischiano di andare fuori giri, e la chitarra solista, non sempre impeccabile nel tessere le buone armonie messe in campo dalla band.
Per i Krypta un inizio incoraggiante, ovviamente con tutte le riserve e le incognite derivanti da una proposta dal minutaggio così ridotto.

Line-Up:
Eugene Balitsky – guitar
Alexander Melnikov – bass
Igor – drums
Tetyana Tugolikova – vocals / violin
Vlad Surnin – keys
Dmytro Omelechko – guitar
Roma Kostyuchenko – vocals

Like A Storm – Catacombs

Catacombs è un lavoro costruito per provare il definitivo salto, almeno per quanto riguarda la popolarità: se la band ci sarà riuscita si vedrà più avanti, sicuramente non mancherà di trovare estimatori tra il popolo del rock in rotazione sui canali audio/visivi più popolari.

Terzo album per la band neozelandese Like A Storm, formata dai fratelli Brooks (Chris, Matt e Kent) più il batterista Zachary Wood.

Il gruppo, dopo il debutto uscito nel 2009 (The End of the Beginning), ha raggiunto una discreta popolarità con Awaken The Fire, lavoro che gli ha dato la possibilità di suonare in giro per il mondo di supporto alle star dell’ alternative rock Alter Bridge.
Il sound del gruppo è un post grunge animato da scariche nu metal, niente di nuovo quindi, ma perfetto per fare breccia nei cuori del fans del rock radiofonico, anche se leggermente in ritardo sulla tabella di marcia.
I fratelli Brooks hanno sicuramente il vantaggio di saper scrivere canzoni melodiche, ruffiane ma dure ed alternative quel tanto che basta per non apparire troppo adolescenziali: il rock di matrice post grunge (Alter Bridge, Nickelback) si allea con il metal moderno tra metalcore e nu metal e ne esce un album piacevole anche se non troppo personale.
I Linkin Park sono la terza band che forma il triumvirato artistico ispiratore della musica dei Like A Storm, che partono benissimo con l’opener The Devil Inside per poi inserire il pilota automatico, così da viaggiare ad andature standard, senza troppi scossoni e senza grossi sbandamenti.
All’ascolto di Catacombs si evince la ricerca di una perfezione formale, tutto è carino e al posto giusto, le sferzate metalliche, così come le melodie pop rock, si prendono a turno la scena: l’intenzione di costruire una raccolta di hits porta i Like A Storm a perdere molto in genuina attitudine e personalità, un peccato che chi segue i trend saprà perdonare ai tre fratelli neozelandesi.
Catacombs è dunque un lavoro costruito per provare il definitivo salto, almeno per quanto riguarda la popolarità: se la band ci sarà riuscita si vedrà più avanti, sicuramente non mancherà di trovare estimatori tra il popolo del rock in rotazione sui canali audio/visivi più popolari.

Tracklist
1.The Devil Inside
2.Out Of Control
3.Catacombs
4.Complicated (Stitches & Scars)
5.Solitary
6.The Bitterness
7.Until The Day I Die
8.Hole In My Heart
9.Bullet In The Head
10.These Are The Bridges You Burned Down
11.Pure Evil

Line-up
Chris Brooks – Lead vocals, guitar, didgeridoo, keys/programming
Matt Brooks – Vocals, lead guitar, keys/programming
Kent Brooks – Bass, vocals, keys/programming
Zachary Wood – Drums

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Coldbound – The Gale

In un genere in cui l’originalità è meno rilevante del potenziale emotivo, The Gale è uno scrigno che aperto ci travolge con la sue drammatiche e coinvolgenti trame tra Dark Tranquillity, Insomnium, Draconian e Swallow The Sun.

I Coldbound sono la band del polistrumentista e compositore Pauli Souka: The Gale è il quarto full length dal 2012, e con altri due ep forma una discografia di tutto rispetto in soli sei anni.

Il musicista finlandese, aiutato questa volta da Paulina Medepona (voce femminile in The Eminent Light) e Andras Miklosvari (tastiere ed orchestrazioni), dà vita a The Gale, un lavoro intenso sviluppato su un doom/death metal melodico e struggente.
Musica oscura che prende in considerazione il lato oscuro di ognuno di noi: la depressione, il suicidio ed in generale il male di vivere, temi che Souka racconta con la sua musica, a volte più vicina al black metal, in altri frangenti lontana dalla furia estrema e più ragionata ed atmosferica.
Nove brani per un’ora di male interiore raccontato attraverso mid tempo che si trasformano in lente litanie doom/death, con la chitarra che crea riff di sofferto metal melodico ed il growl che fa trasparire la tragica disperazione di un’anima alle prese con il suo travaglio interiore.
La title track si ricorda del passato black del nostro, con ritmiche più accentuate, ma è quando il sound si stabilizza su tempi più lenti e sofferti che The Gale offre il meglio di sé, con Endurance Through Infinity, My Solace e la conclusiva Towards The Weeping Sky ad emozionarci con le loro trame suggestivamente oscure e melodiche.
In un genere in cui l’originalità è meno rilevante del potenziale emotivo, The Gale è uno scrigno che aperto ci travolge con la sue drammatiche e coinvolgenti trame tra Dark Tranquillity, Insomnium, Draconian e Swallow The Sun.

Tracklist
1. 61° 43′ N 17° 07 E
2. The Invocation
3. Endurance Through Infinity
4. The Eminent Light
5. My Solace
6. The Gale
7. Winters Unfold
8. Shades of Myself
9. Towards the Sweeping Skies

Line-up
Pauli Souka- All Instruments/ Vocals
Andras Miklosvari- Keyboards tracks 4,5,6,7
Paulina Medepona- Vocals on The Eminent Light

COLDBOUND – Facebook

VANHÄVD

Il lyric video di Om den vulgära farsens nonsens, dall’ep Låt köttet dö.

Il lyric video di Om den vulgära farsens nonsens, dall’ep Låt köttet dö.

3-track doom metal EP of cosmic dread och existential horror.

19 July 2018 marked the release date of Swedish doom metal outfit Vanhävds debut EP Låt köttet dö (”Let the flesh die”). The EP is a sampler of a future album, showcasing both a slower and faster side of Vanhävd’s vision.

Expect pitch black sound design, funeral doom anti-grooves, melancholic melodies and blackened mid-tempo blasting.

Lyrical themes concern the intersection between visceral and existential horror, drawing inspiration from writers such as Norwegian antinatalist philosopher Peter Wessel Zapffe and horror author Thomas Ligotti.

Among the band members are the creative brains behind synthwave/metal hybrid Irving Force and underground doom techno act Starving Insect, promising an unorthodox approach to metal song writing and production.

Final note: Fuck the loudness war. This production is purposefully highly dynamic and uncompressed, with a dynamic range of DR12. Play it loud!

Links:
facebook.com/vanhavd
vanhavd.bandcamp.com

The National Orchestra of the United Kingdom of Goats – Huntress

Storie e musica come queste fanno respirare il cuore ed il cervello e lasciano spazio alla fantasia, e qui di fantasia e di voglia di sognare ce n’è moltissima.

Quartetto assolutamente fuori dal comune proveniente dal Sud Tirolo, che propone una musica che ha mille riferimenti e davvero tanto da raccontate.

Nei The National Orchestra of the United Kingdom of Goats non si può scindere l’aspetto musicale da quello visivo ed artistico, questo è il loro terzo album su lunga distanza e continua la narrazione iniziata con il primo ep The Chronicles of Sillyphus e proseguita con gli altri episodi discografici, di cui questo è il terzo lp. Protagonista di questa saga è la misteriosa Kolepta, della quale vediamo dipanarsi le gesta accompagnate dalla musica del gruppo. La proposta musicale viene descritta come symphonic grind pop extravaganza, e potrebbe andare benissimo, ma c’è di più. La costruzione della canzone è sicuramente progressiva, con una forte ossatura pop ed una grande attenzione quasi gotica alla drammatizzazione, che è una delle cose più rimarchevoli di questo gruppo. I nostri suonano dal vivo con costumi e pitture facciali, ognuno ha il suo ruolo nella grande storia che stanno narrando e la musica lascia il segno. Tutto scorre bene, anche se ci sono alcuni passaggi ancora acerbi che, contrastando con altri momenti davvero notevoli del disco, indicano che c’è ancora qualcosa da migliorare. Però questi piccoli difetti non si notano quasi nel quadro d’insieme che è molto originale ed unico, almeno in Italia, dove l’art rock ha avuto grandi episodi ma non una gloriosa storia. Nel libretto del disco c’è anche un fumetto che spiega il concept, disegnato molto bene da Digitkame e scritto da Thomas Torggler; inoltre sul sito della The National Orchestra of the United Kingdom of Goats compaiono ulteriori passi del racconto. Huntress è un disco piacevolmente fuori dal comune, che regala piacere nelle mattinate terse e fredde in cui il mondo appare sotto una luce diversa e forse è davvero qualcosa di diverso da quello che siamo abituati a vivere e vedere. Storie e musica come queste fanno respirare il cuore ed il cervello e lasciano spazio alla fantasia, e qui di fantasia e di voglia di sognare ce n’è moltissima.

Tracklist
1.Beast
2.Scent
3.Thrill
4.Attunement
5.Kill

Line-up
The Admiral
The Coachman
The Seer
The Insane

THE NATIONAL ORCHESTRA OF THE UNITED KINGDOM OF GOATS – Facebook

Hexenklad – Spirit Of Stone

Gli Hexenklad sono un gruppo dall’identità ben precisa in grado di regalare momenti notevoli con la sua commistione di folk metal che va ad incontrarsi specialmente con il black metal, e che possiede una epicità davvero molto marcata.

Dal 2014 i canadesi Hexenklad macinano folk metal con forti influenze black, per un suono molto pesante ed interessante, con ottime parti melodiche.

Il Canada, con le sue immense foreste e gli ancora più grandi spazi, è la culla naturale per un gruppo folk metal, ed infatti il chitarrista Steve Grund (SIG:AR:TYR, ex-Battlesoul), fondatore del gruppo insieme al batterista Sterling Dale, ha preso la drastica decisione di vivere nelle foreste di Bancroft nell’Ontario. Componendo in quello spazio libero dal materialismo e dalla vita da città, la musica è sgorgata fuori ed è andata a comporre il debutto Spirit Of Stone. Gli Hexenklad sono un gruppo dall’identità ben precisa in grado di regalare momenti notevoli con la sua commistione di folk metal che va ad incontrarsi specialmente con il black metal, e che possiede una epicità davvero molto marcata. I momenti migliori del disco emergono quando le melodie si aprono e il gruppo canadese regala il meglio con canzoni che coniugano musica pesante e tastiere molto ben congegnate. La voce di Timothy Voldemars Johnston è adatta al progetto musicale del gruppo e contiene in sé un’innata epicità. I tempi del disco sono tutti giusti e non c’è nulla di forzato o di fuori contesto, ma anzi si produce un folk black epic metal di grande presa e sostanza, in una formula molto personale ed originale, dove sono presenti riferimenti a gruppi come i tedeschi Falkenbach, andando poi oltre. In definitiva, il gruppo dell’Ontario è una delle migliori cose uscite ultimamente nel panorama folk metal, anche se il loro debutto è solo del 2017, e recentemente hanno reso noto che stanno lavorando al secondo episodio di una carriera che ha tutti gli elementi per essere ottima.

Tracklist
1.In This Life or the Next
2.To Whom Veer Sinistral
3.At the Ends of Existence
4.Returned
5.At Dusk
6.In Waking Tymes
7.Path to Ruin
8.An Offering

Line-up
Michael Grund – Guitars
John Chalmers – Guitars/Engineer
Timothy Voldemars Johnston – Vocals
Clare B – Keyboards
Jon Kal – Bass
Andrew C – Drums

HEXENKLAD – Facebook

Voodoo Diamond – Darkness Becomes It

Dieci brani vengono dati in pasto dal gruppo alle radio rock, dieci tracce perfette, tra melodie alternative, marziali ritmiche metalcore e rabbiose accelerazioni thrash, il tutto legato da una performance vocale ottima, sia nelle clean che nel vocione estremo.

Nel mondo del metal moderno ed alternativo, la linea che divide un buon lavoro dalla solita ed ormai abusata formula in uso nel metallo da classifica rischia ogni volta di spezzarsi, rivelandosi ormai sottilissima e sempre più sollecitata da opere di bassissimo livello artistico.

L’eccezione che conferma la regola è rappresentata da quei gruppi che hanno tanto da dire in termini musicali e sorprendenti protagonisti di ottimi album come quello di debutto su lunga distanza dei londinesi Voodoo Diamond, trio multietnico con base nel Regno Unito, con due ep già licenziati prima che Darkness Before It, con l’aiuto del produttore Scott Atkins (Cradle Of Filth, Amon Amarth) e di Fredrik Nordstrom (Bring Me The Horizon, Arch Enemy, Architects, In Flames, Soilwork, Opeth) per quanto riguarda mix e mastering, esploda nei lettori dei giovani appassionati dai gusti moderni in giro per il mondo.
Dieci brani vengono dati in pasto dal gruppo alle radio rock, dieci tracce perfette, tra melodie alternative, marziali ritmiche metalcore e rabbiose accelerazioni thrash, il tutto legato da una performance vocale ottima, sia nelle clean che nel vocione estremo.
Ma ovviamente chi fa la differenza in questo lavoro è il songwriting ispiratissimo, che permette all’album di non avere pause o riempitivi, solo un lotto di potenziali singoli, perfetti nei refrain, buoni nel saper alternare melodie radiofoniche a rabbiose parti core, valorizzato da un gran lavoro chitarristico che non risparmia solos di stampo heavy in un contesto moderno ed alternativo.
Deny è il singolo lanciato per far innamorare perdutamente i fans del rock/metal moderno, ma non è sicuramente da meno la splendida opener Black Ice o Trigger, tracce che non lasciano scampo, per l’alchimia perfetta tra Trivium, Killswitch Engage, Parkway Drive e Linkin Park .
Ne sentiremo parlare dei Voodoo Diamond, le carte in regola per sfondare ci sono tutte e scommetto che al prossimo giro li ritroveremo come la new sensation lanciata da qualche major: per ora resta da godersi questo ottimo debutto.

Tracklist
1.Black Ice
2.With My Hands Clenched
3.Deny
4.While She Sleeps
5.Trigger
6.Broken Mirrors
7.Forgive Me Not
8.Givin It All
9.Son Of A Bastard Sun
10.Violins

Line-up
Filipe Martins – Vocals, Guitars
Alex Dias – Vocals
Doug Rimington – Bass

VOODOO DIAMOND – Facebook

Torn The Fuck Apart – A Genetic Predisposition To Violence

A Genetic Predisposition To Violence risulta un lavoro più che riuscito, nel quale si alternano con sagacia violenza e tecnica progressiva, senza rinunciare ad una melodica forma canzone che facilita l’ascolto anche a chi non è amante fedele del death metal più estremo.

A Genetic Predisposition To Violence è il quarto full length dei Torn The Fuck Apart, quartetto attivo da una quindicina d’anni nella scena estrema statunitense, condividendo diverse volte il palco con alcuni mostri sacri del death metal.

Questo ed una manciata di lavori di buona qualità fanno dei Torn The Fuck Apart un gruppo interessante, specialmente per gli amanti del death tecnico e dai rimandi brutal.
Gore a manetta, quindi, e tanta tecnica strumentale, fortunatamente mai fine a se stessa, anche per quanto riguarda questo nuovo album composto da dieci tracce che formano un massiccio esempio di metal estremo pregno di cambi di tempo, accelerazioni devastanti ed un mood progressivo che valorizza l’istinto violento e brutale che anima il gruppo americano.
I Torn The Fuck Apart hanno il pregio di non fermarsi alla sola violenza musicale, i brani sono tutti strutturati in modo che l’impatto venga alternato con l’uso di melodie chitarristiche di stampo prog/death, evitando il solito attacco frontale devastante abituale nel genere.
It Jammed The Woodchipper è il classico muro sonoro tecnico e brutale, un benvenuto nel mondo della band di Kansas City, che continua con la successiva Invitation Homicide.
Il crescendo progressivo è però in continua ascesa, e l’album prende una piega molto diversa dalle prime avvisaglie estreme, toccando corde atmosferiche già nella strumentale In The Confines Of Fear che funge da intro alla devastante e tecnicissima Dad’s Head For Dinner.
Il picco di questo lavoro arriva con il secondo brano strumentale dell’album, The Object Of Obsession traccia oscura e progressiva di stampo heavy metal, sorprendente nel contesto brutal death dell’album.
A Genetic Predisposition To Violence risulta perciò un lavoro più che riuscito, nel quale si alternano con sagacia violenza e tecnica progressiva, senza rinunciare ad una melodica forma canzone che facilita l’ascolto anche a chi non è amante fedele del death metal più estremo.

Tracklist
1.It Jammed The Woodchipper
2. Invitation Homicide
3.These Pliers Are Terrible For Pulling Teeth
4.In The Confines Of Fear
5.Dad’s Head For Dinner
6.Abhorrent Existence
7.Boiled, Chopped And Slopped
8.Collection Complete
9.The Object Of Obsession
10.Compulsion To Torture

Line-up
Mitchell – Bass
Jake Page – Drums
Michael langner – Guitars, Vocals
Nick Yeates – Guitars

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